Negli ultimi tempi mi sono trovato sempre di più a giocare a indie games, spesso finanziati anche attraverso delle campagne Kickstarter. Così facendo, ho individuato una categoria particolare; o forse è meglio dire che mi sto imbattendo sempre di più in un tipo di videogioco che idealmente può essere ricondotto a una categoria che ho battezzato come “La famosa esperienza video ludica”.
Ma andiamo per gradi: prima devo dire che, riflettendo, mi sono reso conto di aver sempre associato all'idea di videogioco, a livello inconscio, determinate caratteristiche. Alcune tendiamo tutti a darle per scontate in quanto ovvie (per esempio quella di essere fonte d’intrattenimento, di fuga dalla realtà) e altre sono più personali e soggettive, correlate ai nostri gusti e interessi, caratteristiche che vanno a definire alla fine quello che cerchiamo in un videogioco.
Nel caso di un’avventura grafica, queste caratteristiche potrebbero essere la ricerca di una struttura ad enigmi impegnativa, di una storia elaborata che si dipani man mano che proseguiamo nel percorso di crescita del personaggio, oppure anche la durata del gioco stesso. Io per esempio sono uno di quei videogiocatori che tra le cose cerca appunto la durata, in un videogioco. Di solito spulcio le varie recensioni per assicurarmi che siano richieste perlomeno 10 ore per completare il tutto.
Capisco che qui stiamo entrando in un terreno pericolante, molti potrebbero obiettare che non è detto che una storia debba durare per forza 10 ore, magari una storia di 5 ore molto intensa, che riesce a dire tutto in questo lasso di tempo, potrebbe essere superiore a un gioco più lungo ma che non ha nulla di particolare da offrire. Beh… questo è ovvio. Io parto dal presupposto che ognuno di noi abbia una vita molto intensa, tra lavoro e famiglia e chissà cos’altro, e che quindi cerchi di “ottimizzare” anche il tempo dedicato all’hobby videoludico, cercando di accaparrarsi solo il meglio che il panorama ha da offrire, scartando quindi il gioco mediocre o di basso livello, preferendogli qualcosa che ci ispira particolarmente o dalla comprovata bontà. Riassumendo: quando parlo di gioco che duri per lo meno 10 ore, parlo di un gioco da 10 ore che deve entusiasmarmi e tenermi incollato alla sedia fino alla fine.
Il fattore economico è un altro punto da considerare: posso anche acquistare un gioco dalla durata di 3-5 orette, ma il prezzo deve essere particolarmente basso. Non posso permettermi di spendere 20 euro per un capolavoro da 4 ore, che poi, una volta ultimato nel giro di un pomeriggio, mi costringe a spendere minimo altri 20 euro per poter continuare a divertirmi con il mio passatempo. Se spendo 20 euro devo essere sicuro che per un po’ di tempo avrò da fare, non che a distanza di 24 ore dovrò spenderne altrettanti per poter coltivare il mio hobby.
Negli ultimi tempi, dicevo, ho fatto una lunga immersione nell’ambito degli indiegames, e devo dire che ho provato davvero di tutto, dall’avventura grafica dei Wadjet Eye Primordia, a Waking Mars dei Tiger Style Games, passando per The Vanishing of Ethan Carter e tanti altri giochi più o meno interessanti.
Cos’è quindi questa categoria che amo definire “La famosa esperienza video ludica”? Sono videogiochi dalla breve durata e dal gameplay scarno, risicato, corto, semplice, basilare, che fanno della storia di fondo o della morale, o delle sensazioni trasmesse al videogiocatore, l’obiettivo dell’esperienza.
Partiamo da Dear Esther, è stato estremamente criticato… è un videogioco? Non è un videogioco? Si è parlato a lungo di questo, non ci sono scelte da compiere, l’interazione col mondo di gioco è ridotta a zero, si tratta semplicemente di camminare attraverso bellissimi paesaggi e recuperare brani di un diario che servono a ricostruire la storia e che a ogni partita vengono dislocati in punti diversi dell’isola su cui ci troviamo. Può piacere o non piacere, ma si tratta comunque di un videogioco che trovate nello store di Steam sotto la voce “simulatore di esplorazione” (e che è??? Nemmeno loro sapevano come definirlo). Questo è il classico “videogioco” che manda in crisi noi utenti: lo compro? Non lo compro? Costa 6.99 euro, magari con quella cifra potrei prendermi una bella AG classica della Sierra… cosa fare? Beh e qui torniamo al ragionamento iniziale, questa categoria di vg ci porta a conoscere quello che davvero cerchiamo in un videogioco, porta allo scoperto quelle che sono le nostre “richieste” nei confronti della macchina che abbiamo davanti.
Sono rimasto molto spaesato giocando ad “Among the Sleep”, dei Krillbite Studio. Questo gioco è stato finanziato attraverso Kickstarter e viene definito erroneamente un’”avventura”. Dico “erroneamente” perché non ha alcun elemento da avventura, anche se al giorno d’oggi si tende a definire qualsiasi cosa non sia un fps con questo termine. Non ci sono enigmi, non ci sono personaggi con cui dialogare, si tratta di un semplice gioco esplorativo in prima persona, con qualche elemento stealth, dove andremo a interpretare un bambino/a (non mi è ancora chiaro il genere del personaggio) di 2-3 anni che cerca sua madre e nel farlo si trova ad esplorare in compagnia del proprio orsetto di peluche 4-5 ambienti di gioco a tema, tentando di nascondersi da un mostro che ci insegue e perseguita. Come dicevo, si tratta soltanto di esplorare degli ambienti con cui l’interazione è ridotta quasi a zero, raccogliere alle volte un paio di oggetti e usarli da qualche parte. La grafica è accattivante, la storia coinvolgente, ma a livello di gioco c’è veramente poco e niente da fare. La durata si attesta sulle 5-6 ore e il costo è di 20 euro, tanto che gli stessi programmatori qualche giorno fa hanno rilasciato un dlc gratuito che permette di espandere di qualche ora l’esperienza di gioco. Personalmente, credo che il problema che accompagna l’uscita di questi vg sia che singolarmente forse varrebbe anche la pena di giocarli tutti, ma in un ambiente ricco, vario e competitivo come quello dei videogiochi, si deve per forza fare delle scelte: è impossibile giocare a tutto. Quindi, di conseguenza, si finirà sempre col premiare con l’acquisto il gioco che ci garantisce un buon equilibrio sotto tutti gli aspetti: storia, giocabilità, durata dell’esperienza, prezzo.
Sempre in quest’ottica, un gioco per me molto deludente è stato Neverending Nightmares di Infinitap Games. Anche questo è un progetto finanziato tramite Kickstarter, e la storia che lo accompagna è estremamente particolare. Il suo creatore, Matt Gilgenbach, ha sofferto per lunghi periodi di depressione e altri problemi di natura neurologica, e ha quindi deciso di trasferire questa sua esperienza in un videogioco. In Neverending Nightmares interpreteremo Thomas, un uomo che si risveglia da un incubo e si trova a passare da un delirio onirico all’altro. L’utente prende il controllo del protagonista e lo porta in giro per gli ambienti di gioco, facendoglieli esplorare.
Fondamentalmente si tratta di farlo camminare e camminare per chilometri e chilometri in una serie di stage a scorrimento laterale, evitando questo o quel mostro fino a trovare la porta o la stanza che innesca un’animazione che mette fine al livello. Si può morire, certo, ma non ci sono enigmi, le stanze che andremo a visitare sono graficamente graziose ma vuote, non ci sono personaggi con cui dialogare, ma solo ambiente da visitare e mostri da evitare. Il tutto è permeato da un certo gusto del gore molto simpatico e accattivante. È stata poi inserita la possibilità di seguire più percorsi che danno accesso a una rosa di 3-4 (non ricordo con precisione) finali possibili. Essenzialmente è l’apoteosi del “non gioco”: l’autore voleva far capire e provare al videogiocatore quali siano gli orrori, le fobie e le sensazioni che prova una persona afflitta da disturbi di tipo mentale e neurologico ed è riuscito perfettamente nel suo intento, il che rende interessante il videogioco di per sé come opera, ma poverissimo in termini di giocabilità. È in vendita al prezzo di 12 euro circa.
Un altro elemento caratterizzante di questa tipologia ludica è il fatto che presentano una rigiocabilità prossima allo zero. Quando riprendiamo in mano un videogioco, dopo averlo terminato al 100%, di solito lo facciamo perché ci ha divertito in termini di giocabilità e vogliamo assaporare un altro po’ le sue meccaniche o rivisitare uno scenario particolarmente difficile o che ci ha affascinato la prima volta. Nel caso di questi videogiochi, visto che la giocabilità è sacrificata alla storia, o all’esperienza o alla sensazione, non ci sarà motivo una volta che li avremo completati di riprenderli in mano, se non per mostrarli a qualche amico. E questa è una cosa importante da mettere sulla bilancia quando si decide se acquistare o meno.
Personalmente, dopo aver provato queste opere ed essermi fatto un’idea approfondita sul genere, e in alcuni casi avervi trascorso anche dei bei momenti, ho deciso di tenermi alla larga da questa tipologia di progetti nel futuro, però credo che valga comunque la pena provarne uno o due per farsi un’idea personale e comunque ampliare la propria cultura videoludica.
Comunque, una volta che ne avrete terminato un paio, ritengo inevitabile l’accantonamento del genere e il ritorno a forme di intrattenimento più classico e soddisfacente in termini di giocabilità, come un Legend of Grimrock 2, o un Gabriel Knight.
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