L'eredità più evidente di Eliza sono le schiere di chatterbot analoghi che le hanno fatto seguito e che continuano ad apparire ancora oggi. Ma cosa ha significato Eliza nella storia dell'interactive fiction? O, per dirla diversamente, perché ho sentito il bisogno di andare a ripescarla?
Una prima risposta è totalmente evidente. Quando si gioca a Eliza si entra in un dialogo testuale con un programma. Vi ricorda qualcosa? Confrontando superficialmente una sessione a Eliza con una sessione ad Adventure, si potrebbe quasi dire che entrambi i programmi sono variazioni di un'identica premessa.
Non è proprio così, però: mentre Eliza è "solo" un engine di generazione di testi (senza nessuna comprensione vera della lingua inglese), Adventure e i suoi antecedenti consentono al giocatore di manipolare un mondo virtuale attraverso comandi testuali e quindi non possono cavarsela semplicemente fingendo di comprendere gli input del giocatore (come invece fa Eliza). Tuttavia è quasi certo che Will Crowther conoscesse Eliza quando ha iniziato a lavorare ad Adventure e quindi non è escluso che sia stato influenzato dal modo con cui si interagisce con Eliza. Prima però che mi si accusi di spingere troppo in là l'influenza di Eliza, è bene precisare che è altresì vero che quasi tutte le interazioni uomo/computer dell'epoca avvenivano sotto forma di dialogo testuale; del resto le interfacce a linea di comando erano la regola in quei giorni. A ben guardare, quindi, l'unico vero elemento in comune fra Eliza e Adventure è il linguaggio pseudo-naturale di questa interazione. Da questo punto di vista Eliza rappresenta un importante precursore della vera e propria interactive fiction.
Ma fermarsi qui (come temo di aver fatto io stesso, alcuni anni fa, quando ho scritto la mia piccola storia dell'IF) significherebbe non vedere ciò che rende Eliza un oggetto di analisi così affascinante. Il gran numero di studiosi che sono stati attratti da Eliza, nonostante avessero scarsa consapevolezza (o scarso interesse) del ruolo che essa ricopre nella storia dell'IF, ci indica che deve esserci altro. Possiamo forse intuire cosa sia, se osserviamo come è stata accolta inizialmente Eliza dal pubblico e come l'ha accolta lo stesso Joseph Weizenbaum.
Probabilmente la prima persona a interagire a fondo con Eliza è stata la segretaria di Weizenbaum: "La mia segretaria, che mi aveva osservato lavorare per molti mesi al programma e che quindi sicuramente sapeva che era solo un programma per il computer, iniziò a conversare con Eliza. Dopo solo pochi scambi di battute, mi chiese di uscire dalla stanza."
La sua reazione non era inusuale; Eliza fece grande scalpore al MIT e nelle altre università in cui si diffuse, facendo di Weizenbaum un'inattesa celebrità. La maggior parte delle persone volevano semplicemente parlare con Eliza, per sperimentare personalmente quello che all'epoca era un raro esempio di divertimento alla portata di tutti, in quel mondo dell'informatica della metà degli anni '60 che tendenzialmente era tutto "Affari" (IBM) o "Bizzarro Esoterismo" (gli hacker della DEC).
Ci fu chi invece trattò il programma con una serietà che oggi appare incomprensibile. Si arrivò perfino a suggerire che sarebbe potuto essere utilizzato nella psicoterapia vera e propria. Carl Sagan, che successivamente diverrà famoso per il programma televisivo Cosmo, era un grande sostenitore di questa raggelante idea, che un gruppo di psicologi riuscì perfino a far pubblicare in un vero e proprio articolo scientifico sul The Journal of Nervous and Mental Diseases:
La reazione di Weizenbaum a tutto questo è diventata celebre quasi quanto Eliza.
Quando vide le persone impegnarsi in lunghe conversazioni a cuore aperto con Eliza, lui... si spaventò terribilmente! Il fenomeno che Weizenbaum stava osservando fu successivamente ribattezzato da Sherry Turkle come "effetto Eliza", che fu definito come la tendenza a "proiettare i nostri sentimenti su oggetti fisici e a trattare le cose come se fossero persone." Nella scienza informatica e negli ambienti dei nuovi media, l'effetto Eliza è diventato sinonimo della tendenza di un utente a presumere (basandosi sulle sue caratteristiche apparenti) che un programma sia molto più sofisticato e intelligente di quanto non sia in realtà. Weizenbaum giunse alla conclusione che questo fenomeno non solo era inquietante, ma anche pericoloso per il nostro tessuto sociale; si trattava di un fenomeno che minaccia i legami che ci tengono insieme e, potenzialmente, l'intera umanità. Il punto di vista di Weizenbaum, in netto contrasto con quello di persone come Marvin Minsky e John McCarthy dell'Artificial Intelligence Laboratory del MIT, era che l'intelligenza umana (con le sue qualità affettive e intuitive) non sarebbe mai potuta essere duplicata da una macchina - e che quindi chi ci avesse provato l'avrebbe fatto a suo rischio e pericolo.
A distanza di dieci anni dalla creazione di Eliza, Weizenbaum espresse queste idee nella sua opera magna, Computer Power and Human Reason, un'aspra critica contro l'utopismo digitale che in quegli anni dominava gli ambienti dell'informatica.
In quel testo Weizenbaum ha descritto i suoi studenti al MIT, che ovviamente era un'istituzione incentrata sulla scienza e la tecnologia, affermando che essi "hanno ormai rifiutato ogni modo di interpretare il mondo che non sia quello scientifico, e sono alla ricerca esclusivamente di un indottrinamento sempre più profondo e più dogmatico in tale fede (anche se questa parola non fa più parte dei loro vocabolari)."
Di certo non si deve essere fatto tanti amici fra gli hacker quando li ha descritti con queste parole:
"Vedo dei giovani brillanti dall'aspetto trasandato, spesso con luminosi occhi incavati, seduti ai computer con le braccia tese in attesa di far fuoco con le loro dita, già pronte a colpire quei tasti su cui la loro attenzione è fissa, in modo non dissimile da quella dello scommettitore al tavolo dei dadi. Quando non sono paralizzati in questa posa, siedono spesso intorno a tavoli coperti di stampati, che leggono con somma attenzione, come fossero studenti indemoniati di un qualche testo cabalistico. Lavorano fino allo svenimento: venti, trenta ore consecutive. Il loro cibo, quando si curano di mangiare, gli viene portato: caffè, cola, sandwich. Se possibile dormono su delle brandine accanto agli stampati. I loro abiti sgualciti, i loro volti non lavati e non rasati, e i loro capelli arruffati sono lì a testimoniare che hanno perso il senso del loro corpo e del mondo in cui si muovono."
Anche se Weizenbaum ha affermato di aver basato almeno in parte questa descrizione sulla sua personale esperienza di persona troppo ossessionata dal lavoro, possiamo dedurre che la sua antipatia per gli hackers "hardcore" del MIT esisteva già prima che scrivesse Eliza. Vale poi la pena di notare che Weizenbaum scelse di scrivere Eliza non sull'amato DEC degli hacker, ma piuttosto sul grande mainframe IBM 7094, collocato in un'altra parte del campus del MIT; secondo Steven Levy, Weizenbaum aveva "interagito solo sporadicamente" con il contingente dei hacker "hardcore" del MIT.
Tuttavia, per quanto mi riguarda, condivido in buona parte il punto di vista di Weizenbaum. Avendo osservato con i suoi occhi la sfilata di giovani studenti alle sue lezioni, studenti che potevano recitare a memoria ogni "assembler opcode" del PDP, ma che non avevano alcun rispetto o comprensione per l'estetica, la storia, o la semplice sincera fratellanza di due buoni amici davanti a una bottiglia di vino, Weizenbaum non fa altro che chiedere a gran voce un maggior equilibrio, a favore di un mondo dove coloro che hanno la conoscenza per creare e adoperare la tecnologia, ne abbiano anche l'umanità e la saggezza. È un qualcosa che ci farebbe molto comodo anche oggi, in questo mondo di "amici" su Facebook e di "conversazioni" su Twitter. Mi sento come Weizenbaum ogni volta che capito su Slashdot e incontro le sue migliaia di SLN ("Soulless Little Nerds" - Piccoli Nerd Senza Anima), i cui interessi culturali al di fuori dei videogiochi non vanno oltre Tolkien e i supereroi, e che pensano che la persecuzione da parte di Sony di un hacker della Playstation sia la violazione dei diritti umani del secolo. Probabilmente è proprio per questo che all'università ho scelto di studiare scienze umanistiche invece che informatica: gli studenti di quella facoltà erano semplicemente... molto più simpatici. Il che mi ricorda la descrizione iniziale che Watson fa di Sherlock Holmes, il suo nuovo compagno di stanza, in Uno Studio In Rosso:
Non c'è da meravigliarsi che Watson se ne sia andato e che Arthur Conan Doyle abbia iniziato a ritoccare quasi subito la personalità del suo eroe. Chi mai vorrebbe vivere con un tipo così?
A parte questo, io tuttavia credo anche che Weizenbaum (almeno per quel che riguarda la sua forte reazione dinanzi all'effetto Eliza) stesse trascurando un aspetto assai rilevante. Egli era convinto che il suo programma, pur basato su un "gioco di prestigio", avesse indotto un "potente pensiero allucinatorio ["delusional thinking"] in persone abbastanza normali". Il che è abbastanza assurdo, non vi pare? Davvero la sua segretaria che -come lui stesso aveva osservato- lo "aveva visto lavorare al programma per molti mesi", poteva pensare che Weizenbaum in quei mesi avesse creato tutto da solo una mente pensante? Scommetto che la segretaria fosse perfettamente consapevole che Eliza non fosse altro che una specie di "gioco di prestigio" e che semplicemente fosse disposta ad accettare consapevolmente e di propria volontà la finzione di una sessione di psicoterapia. Non è una scoperta che gli esseri umani sono immanentemente capaci di "credere" contemporaneamente a due cose contraddittorie e che ci sottoponiamo volontariamente a dei mondi immaginari che ben sappiamo essere finti. È esattamente questa la vera natura delle storie, ed è esattamente quello che facciamo ogni volta che leggiamo un racconto, che guardiamo un film, o che giochiamo a un videogame. Non è un caso se le diffusioni dei romanzi e dei film siano state accolte con le medesime preoccupazioni che Weizenbaum ha espresso riguardo a Eliza.
Partendo da qui, ci sono un milione di luoghi filosofici in cui potremmo spingerci con queste premesse, attingendo da McLuhan, da Baudrillard, e da cento altri ancora, ma non è nostra intenzione deviare il corso di questa piccola serie di articoli sulla storia dei videogiochi, dico bene? Concentriamoci quindi su Eliza e andiamo a vedere cosa Sherry Turkle ha scritto in merito alle reazioni degli utenti a questo "racconto" di una seduta di psicoterapia:
Se quindi diamo per scontato che coloro che interagivano con Eliza lo facevano sospendendo volontariamente la loro incredulità e agendo attivamente per mantenere in piedi la finzione di una sessione di psicoterapia, le implicazioni di ciò sono abbastanza profonde, perché questo significa che a metà degli anni '60 c'erano già delle persone seriamente impegnate in una "narrazione interattiva" digitale. Abbiamo cioè un primo concreto esempio del potenziale e dell'attrattiva del computer come medium di vero e proprio "storytelling", e non solo come strumento per creare storie di pura fantasia. Gli interlocutori di Eliza erano coinvolti in un pezzo di arte narrativa generata da un artista assolutamente umano, Weizenbaum in persona (non che lui si sarebbe mai descritto in questi termini, ovviamente). Cioè proprio ciò che gli scrittori e i lettori di narrativa hanno sempre fatto.
A differenza di ciò che fece Weizenbaum, io però avrei considerato l'accoglienza ricevuta da Eliza non come causa di preoccupazioni, ma come motivo di eccitazione e di grandi aspettative. "Se pensi che Eliza sia emozionante," potremmo dire a quella segretaria, "aspetta solo che arrivi la roba davvero buona e vedrai..."
Cielo, al solo pensarci mi coglie un fremito retroattivo.
Ed è proprio questo fremito che mi ha convinto a parlarvi di Eliza.
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
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