Benvenuti lettori temerari al consueto appuntamento con la traduzione ufficiale del The Digital Antiquarian, scritta dalla sapiente penna poliglotta del nostro The Ancient One e con la bislacca supervisione del sottoscritto: uno sforzo editoriale che si perpetua ormai da innumerevoli mesi e che raccoglie sempre più consensi e apprezzamenti. Un lungo viaggio, dunque, che ci ha portati alla storia di Infocom e del primo grande successo commerciale nella storia delle avventure testuali, Zork. Ma, prima di addentrarci nel magico Regno Sotterraneo, L'Antiquario ci parlerà di un aspetto tecnico di importanza notevole per lo sviluppo delle avventure testuali: il parser. E come dimenticare la lista degli articoli del ciclo Infocom: – Giochi col Parser – Esplorando Zork, Parte 1 – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Buona lettura avventurieri... e scegliete bene le parole! Festuceto |
“Due sono i prodotti che hanno venduto più computer di tutti gli altri: VisiCalc e Zork.” — Mike Berlyn “Dopo la scuola andavamo in questo negozio e giocavamo a qualunque gioco ci fosse disponibile, oppure inserivamo personalmente il codice dei giochi, e mi ricordo anche di quando uscì Zork e lo giocavamo su Apple II, e ne eravamo semplicemente estasiati.” — Andrew Kaluzniacki “La gente vedeva Zork e diceva: 'Lo voglio anche io, assolutamente sì. A chi intesto l'assegno?'” — Mike Berlyn “Credo che ci sia stato un periodo di tempo, probabilmente fra l'80 e l'84, in cui, per un sacco di macchine, non c'era praticamente niente di lontanamente simile.” — Mike Dornbrook |
Credo che molte persone, incluso me stesso, abbiano effettivamente giocato a Facade come fosse una commedia, provando azioni sempre più oltraggiose per vedere cosa sarebbe successo, cercando cioè di arrivare a “rompere” il sistema. Mi permetto di osservare, però, che quando il giocatore inizia a fare ciò, è segno che il game designer ha, in una qualche misura, fallito. Ho infatti iniziato ad adottare un approccio ironico con Facade dopo aver provato numerose condotte ragionevoli a cui il gioco o non ha risposto affatto, o ha risposto in un modo che era palesemente inappropriato alle mie azioni. A quel punto per me la mimesi è crollata e ho iniziato a trattare il sistema come fosse un giocattolo ingegnoso, anziché come una narrativa interattiva immersiva. Ovviamente non c’è niente di male nel fallimento di Facade: è un concept rivoluzionario e dovrà necessariamente passare per molte altre iterazioni prima che possa sperare anche solo di avvicinarsi a un realismo completo. Questo però solleva un punto: non credo che i giochi possano mantenere la propria mimesi rimproverando il giocatore, dicendogli in termini espliciti “di NO”, quando tenta di mangiarsi la spada o di colpire un amico. Dovremmo piuttosto impegnarci per rendere la nostra scrittura così buona, le nostre ambientazioni così credibili, e le nostre interazioni così lisce, che il giocatore sia assolutamente catturato dalla nostra storia, in modo che non gli venga mai in mente di mangiarsi la spada o di colpire gli amici, esattamente come non verrebbe mai in mente al suo avatar. Detto in altre parole, dobbiamo fare in modo che il giocatore DIVENTI davvero il suo avatar per tutto il poco tempo che giocherà. Appena il gioco inizia ad andare in frantumi (per usare questa metafora)… è allora che il giocatore si ricorderà solo una stupida avventura testuale, ed è allora che inizierà a giocare per ridere, cercando di rompere più che mai il sistema. Io lo faccio ogni anno con almeno una dozzina di giochi dell’IFComp, cercando di RUBARE porte ed edifici, e più in generale di creare scompiglio nello storyworld. Del resto il divertimento sta dove lo si trova. Ovviamente ci sono giocatori che affrontano ogni gioco con l’intenzione di romperlo. E alcuni potrebbero certamente considerare l’interactive fiction più interessante come un sistema con cui giocare che come storia, anche se penso che altri generi sarebbero più adatti per soddisfare questo loro bisogno. A questi giocatori dico: bene, divertitevi come più vi piace. Tuttavia credo che la maggior parte delle persone che giocano all’interactive fiction vi arrivino desiderando di essere immersi, per un po', in uno storyworld (e, sì, magari anche in una storia coerente) e di sperimentarlo attraverso gli occhi di qualcun altro. E le ricompense di un tale approccio devono essere infinitamente più grandi del provare azioni a caso per vedere dove sono collocati i confini della simulazione (per quanto anche questo possa risultare divertente). |
WEST OF HOUSE YOU ARE STANDING IN AN OPEN FIELD WEST OF A WHITE HOUSE, WITH A BOARDED FRONT DOOR. THERE IS A SMALL MAILBOX HERE. >FUCK SUCH LANGUAGE IN A HIGH-CLASS ESTABLISHMENT LIKE THIS! >SHIT YOU OUGHT TO BE ASHAMED OF YOURSELF. >TAKE ME HOW ROMANTIC! >ZORK AT YOUR SERVICE! >XYZZY A HOLLOW VOICE SAYS 'CRETIN'. >FIND HOUSE IT'S RIGHT IN FRONT OF YOU. ARE YOU BLIND OR SOMETHING? >FIND HANDS WITHIN SIX FEET OF YOUR HEAD, ASSUMING YOU HAVEN'T LEFT THAT SOMEWHERE. >FIND ME YOU'RE AROUND HERE SOMEWHERE... >CHOMP I DON'T KNOW HOW TO DO THAT. I WIN IN ALL CASES! >WIN NATURALLY! >SIGH YOU'LL HAVE TO SPEAK UP IF YOU EXPECT ME TO HEAR YOU! >REPENT IT COULD VERY WELL BE TOO LATE! >WHAT IS A GRUE? THE GRUE IS A SINISTER, LURKING PRESENCE IN THE DARK PLACES OF THE EARTH. ITS FAVORITE DIET IS ADVENTURERS, BUT ITS INSATIABLE APPETITE IS TEMPERED BY ITS FEAR OF LIGHT. NO GRUE HAS EVER BEEN SEEN BY THE LIGHT OF DAY, AND FEW HAVE SURVIVED ITS FEARSOME JAWS TO TELL THE TALE. >WHAT IS A ZORKMID? THE ZORKMID IS THE UNIT OF CURRENCY OF THE GREAT UNDERGROUND EMPIRE. >YELL AAAARRRRGGGGHHHH! |
“Molti giochi prevedano solo la parte del ‘se’, che poi sarebbe il percorso principale attraverso il gioco, di cui parlavo prima. Se il giocatore fa esattamente questo e tutto va bene, allora il gioco risponde così e tutto va avanti. Ma c’è sempre anche ‘altro’. E se il giocatore non facesse ciò che dovrebbe? Che succede se gli viene questa strana idea, o se digita quella o quell’altra cosa stramba che vuole provare semplicemente per vedere se il gioco si rompe? Così, tanto per vedere dove sono i confini. Ecco, questo fa parte del divertimento di giocare a un’avventura testuale, nonché parte del divertimento (una GRANDE parte del divertimento) del crearle; io infatti mi immagino un dialogo con il giocatore, così che alla fine quando il giocatore fa questa cosa estremamente strana e nel farla esclama ‘ah, nessuno può aver pensato di fare questo!’ e poi ‘Oh, cielo! Quella non è una risposta standard! Anche l’autore ci aveva pensato!’. Questo aiuta a forgiare un legame fra te e l’autore. ‘Quel tizio è strambo quanto me. Io e lui pensiamo nello stesso modo.’” |
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto
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Continua il ciclo di articoli dedicato alla nascita di Infocom e ai primi tre capitoli della celebre serie di Zork. Sì avete letto bene: nel corso del nostro viaggio analizzeremo i primi tre capitoli di Zork. Contrariamente a quanto annunciato nell'ultimo editoriale, non ci limiteremo ai primi due titoli della leggendaria serie Infocom, ma chiuderemo la trilogia originale, com'è giusto che sia. Pertanto considerate l'indice riportato di seguito, soltanto parziale. Sarà nostra premura completarlo non appena sarà possibile, e se proprio non potete resistere, cliccate in fondo all'articolo per fiondarvi nel blog originale del "The Digital Antiquarian" ... ma non vorrete rovinarvi la sorpresa, vero? A proposito, nel caso vi steste ancora chiedendo perché Zork sia così attuale qui su OldGamesItalia, vi consiglio di visitare attentamente la sezione "traduzioni" del nostro forum... Ecco il solito indice degli articoli: – Zork sul PDP-10 – La Nascita della Infocom – ZIL e la Z-Machine – Come Vendemmo Zork – Giochi a Parser – Esplorando Zork, Parte 1 – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 Buona lettura esploratori e ... attenti ai grue! Festuceto |
West of House This is an open field west of a white house, with a boarded front door. There is a small mailbox here. A rubber mat saying 'Welcome to Zork!' lies by the door. |
<ROOM "WHOUS" "This is an open field west of a white house, with a boarded front door." "West of House" <EXIT "NORTH" "NHOUS" "SOUTH" "SHOUS" "WEST" "FORE1" "EAST" #NEXIT "The door is locked, and there is evidently no key."> (<GET-OBJ "FDOOR"> <GET-OBJ "MAILB"> <GET-OBJ "MAT">) <> <+ ,RLANDBIT ,RLIGHTBIT ,RNWALLBIT ,RSACREDBIT> (RGLOBAL ,HOUSEBIT)>< |
1 1 YOU ARE STANDING AT THE END OF A ROAD BEFORE A SMALL BRICK BUILDING. 1 AROUND YOU IS A FOREST. A SMALL STREAM FLOWS OUT OF THE BUILDING AND 1 DOWN A GULLY. |
1 YOU'RE AT END OF ROAD AGAIN. |
1 2 2 44 29 1 3 3 12 19 43 1 4 5 13 14 46 30 1 5 6 45 43 1 8 63 |
[La sicurezza] fu infine battuta da un hacker del sistema della Digital: usando un’arcaica (non che ne sia mai esistita una diversa) documentazione dell’Incompatible Timesharing System, riuscì a capire come modificare il sistema operativo. Sapendo il fatto suo, riuscì anche a capire come funzionava la nostra modifica per proteggere la cartella del codice sorgente. A quel punto era solo questione di decriptare i sorgenti, il che ben presto si ridusse a intuire la chiave che avevamo usato. Ted non ebbe difficoltà a procurarsi il tempo che gli serviva sulla macchina: aveva appena trovato una macchina TOPS-20 che era sottoposta agli ultimi test e vi avviò un programma che tentava ogni chiave finché una non gli restituì qualcosa che aveva le sembianze di un testo. Dopo meno di un giorno di lavoro, aveva una copia leggibile del sorgente. Dovemmo ammettere che, chiunque si fosse preso la briga di fare tutto ciò, di certo se lo meritava... Tutto questo produsse altre conseguenze in seguito. |
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Forse è superfluo spiegare cos'è Eliza, il programma del 1964, ma andiamo sul sicuro: Eliza fu un simulatore di conversazione sviluppato appunto nel 1964 al MIT da Joseph Weizenbaum. Era un programma molto rozzo, che simulava molto alla buona l'approccio di un terapeuta: faceva domande all'interlocutore usando le parole chiave che venivano fuori durante la conversazione.
Nonostante la sua scarsa intelligenza, Eliza fu ben ricevuto quando venne realizzato: all'epoca molti ebbero la sensazione di parlare con una persona “vera” ed erano convinti che il programma fosse davvero intelligente.
Ebbene, l'Eliza di cui parliamo oggi prende spunto dall'Eliza del 1964 e costruisce una storia sulla salute mentale e sull'uso della tecnologia per risolvere i problemi di oggi. Si tratta di una visual novel, realizzata da Zachtronics, in cui noi interpretiamo Evelyn, nuova assunta alla Skandha.
La Skandha offre il servizio di consulenza psicologica Eliza, così chiamato in nome dell'Eliza originale: è un'IA che ascolta le persone, diagnostica un problema e offre delle soluzioni, fra cui esercizi di meditazione e consigli su quali medicine richiedere al proprio medico.
Evelyn è un Proxy: a differenza di altri programmi di consulenza psicologica, Eliza offre un'interfaccia umana. Il Proxy legge le risposte che il programma consiglia in modo che il servizio possa godere sia della precisione del programma, che del “tocco umano” dato dalla “persona vera” che sta dall'altro lato del tavolo. Può un programma sostituire effettivamente una vera seduta psicologica? È possibile, grazie alla tecnologia, ridurre le sofferenza dell'umanità? Quali sono i rischi in cui è possibile incorrere durante il percorso? Queste sono le principali, ma non le uniche, domande che si pone Eliza.
Partiamo dunque dall'analisi della storia. Attraverso la storia di Evelyn, che deve fare i conti con il suo passato e con i tre anni in cui si è allontanata dal mondo, andremo a esplorare le possibilità di Eliza, il suo futuro, e a conoscere le persone che ci hanno lavorato in passato e quelle che ci lavorano adesso.
La narrazione è molto coinvolgente e i personaggi sono veramente ben resi, tutti quanti: da Evelyn, sulla quale ho un paio di riserve che esprimerò più sotto, ai clienti con cui avrà a che fare, ai colleghi e ai pochi amici che ha. Quello che mi ha colpito di più è forse Soren, personaggio molto fastidioso, ubriacone e totale "creep", che però suscita lo stesso la compassione del giocatore, quando il gioco ci mostra le sue motivazioni.
Le tematiche affrontate sono terribilmente attuali e tutte, ma proprio tutte, sono drammatizzate attraverso i vari personaggi. Eliza mostra la nostra società, nel futuro, sì, ma fondamentalmente è la nostra, ossia una società che tende non solo e non tanto a sostituire l'essere umano con la macchina, quanto a usare la macchina per “pensare” e dedurre al posto dell'essere umano.
Perché la cosa più inquietante dello scenario proposto dal gioco non è tanto la mancanza di contatto umano, quanto la presunta capacità di Eliza di diagnosticare correttamente il problema del “paziente” (fra virgolette perché Eliza, nel gioco, non è ancora riconosciuto come strumento medico e non può prescrivere medicinali, ma, come dice un personaggio, la cosa è destinata a cambiare “se l'FDA continua a stare dalla nostra parte”). E, soprattutto, di saper applicare il rimedio necessario. Tutto questo, senza che ci sia alcun medico nel team che ha creato Eliza e che lo aggiorna costantemente.
Pochi personaggi si pongono quest'ultimo problema e le domande sull'efficacia del programma, che sono in effetti parecchie nel corso del gioco, non vengono quasi mai affrontate in maniera seria e professionale, ossia chiedendo il parere di medici. Si ricorre quasi sempre all'esperienza personale, che come è ben risaputo, non è mai prova sufficiente di alcunché, e alle “idee” che i diversi personaggi hanno della situazione.
L'unico personaggio nel gioco che è effettivamente uno psicologo nutre dubbi sull'efficacia del programma, ma propone lui stesso una soluzione che non è veramente tale, che ricorre anch'essa alla tecnologia come panacea di tutti i mali e che di fatto “sposta” il problema sotto il tappeto invece che risolverlo. Non risulta un personaggio particolarmente autorevole.
Non critico questa scelta dal punto di vista narrativo... ma è curioso come sia involontariamente specchio di una bruttissima abitudine della nostra società, quella appunto di non appoggiare il nostro parere su quello degli esperti del settore, ma di costruire le nostre idee sulle fragilissime basi del sentimento personale. Peccato che anche questo non sia stato tenuto in conto dal gioco.
La cosa furba di Eliza, se non un po' irrealistica, è stata quella di creare dei personaggi, la gran parte se non tutti, dalle buone intenzioni. Quasi nessuno, nel gioco, parte con l'idea “maligna” di sfruttare il malessere e i dati dei “pazienti”, tutti vogliono aiutare i propri simili, o se stessi, o vogliono cavalcare un'onda che, comunque, qualcuno cavalcherà. La dipendenza dalla tecnologia, l'assimilazione dei dati personali da parte delle multinazionali, lo sviluppo di intelligenze artificiali che un giorno ci sostituiranno o ci affiancheranno anche nelle mansioni che ora consideriamo nostro appannaggio, appaiono inevitabili in ogni caso.
Eliza dipinge quindi lo scenario migliore possibile, ossia quello in cui il nostro benessere psicologico è affidato a gente che è seriamente benintenzionata e che adotta tutte le misure necessarie per tenere al sicuro i nostri dati sensibili – e mostra che, nonostante questo, le complicazioni ci sono, sono gravi, e il problema originario è tutto fuorché risolto.
Questo si vede prima di tutto nei pazienti, persone con problemi spesso gravi che, nonostante il disclaimer all'avvio di Eliza che raccomanda di rivolgersi a una vera figura medica in questa situazione, non possono, per soldi, per vergogna, perché non sanno di stare davvero male, andare da un vero medico. Ed è ambigua la posizione degli impiegati della Skandha: quanto vogliono davvero aiutare queste persone? Perché non c'è una feature in Eliza che avvisi della gravità del problema e suggerisca, invece del programma di meditazione incorporato nell'app, di rivolgersi a uno specialista?
Viene quindi mostrata anche la questione etica: cosa fare quando quello che stai programmando può, sì, avere utilizzi positivi, ma può anche essere usato per fare danni, ma grossi danni? È lecito per un programmatore considerarsi solo “l'esecutore” dei comandi dall'alto e non assumersi alcuna responsabilità di quello che sta andando a creare e di come sarà usato? Anche il Proxy, d'altronde, è mero “strumento” del programma, recita le battute che deve recitare, e quanta responsabilità ha quando interagisce con persone che dovrebbero essere in cura?
Come dicevo, la scelta furba è stata quella di creare personaggi ben intenzionati e non macchiette malvagie disposte a tutto pur di fare quel milioncino in più: è stato furbo perché indubbiamente molti di coloro che lavorano dietro programmi controversi sono effettivamente ben intenzionati. Il gioco lascia aperto il giudizio finale, ossia quanto questa gente abbia ragione e quanto invece sia avulsa dalla realtà e dalle logiche normali. Eliza è pieno di piccoli dettagli che, anche se non commentati apertamente, mostrano diverse sfaccettature della problematica scelta come tema, e non posso dire di essere rimasta delusa, anzi.
Veniamo al gameplay. Qui, si poteva fare di meglio. Apparentemente, il sistema è più complesso del solito, per una visual novel. Abbiamo numerose scelte durante i dialoghi e nessuna, invece, nelle sedute con i pazienti: qui possiamo solo dire quello che ci suggerisce Eliza.
Per il primo capitolo (Eliza ne ha 7 in tutto) va anche bene, ma presto ci si accorge che le scelte che facciamo durante i dialoghi sono poco significative. Possiamo decidere di dirci pro o contro certe idee, ma questo non ci preclude la possibilità di scegliere un finale diverso nel capitolo 7; possiamo anche decidere se passare alcuni pomeriggi con questo o quel personaggio o da soli, ma anche questo non porta a nessuna conseguenza specifica. Alla fine del capitolo 7 potremo decidere cosa fare e raggiungeremo uno di 5 finali. Non c'è un finale migliore dell'altro (se non dal punto di vista soggettivo).
Anche per quanto riguarda le sedute come Proxy, avremo la possibilità di andare "off script" solo nell'ultimo capitolo. Fa strano che Evelyn non possa/voglia provare ad andare "off script" prima, specialmente quando si trova davanti a persone che chiaramente hanno bisogno di aiuto e non di sentirsi raccomandare l'app meditativa “Delfini Golosi”. E per giunta sembra anche una stronza, quando dice di farlo “per ricerca”. Quando infine possiamo andare "off script", i rischi per noi sono minimi, e il momento è spogliato dell'impatto che poteva avere.
Capisco anche che l'idea era quella di farci esplorare Eliza e le possibilità offerte ad Evelyn nella loro interezza prima di farci scegliere. Ma ci sarebbero stati modi di ottenere lo stesso risultato con delle scelte che facessero la differenza. Al momento, mi è parso quasi di avere davanti una kinetic novel in alcuni momenti, specialmente nelle sedute con i pazienti, e fa strano che nonostante i comportamenti diversi che possiamo avere, alla fine il mondo aspetti la nostra scelta come se fossimo la principessa sul pisello. Un gameplay più significativo avrebbe reso anche la storia più profonda e avrebbe accentuato l'importanza della scelta presa dalla protagonista.
Chiudiamo, come sempre, con il punto di vista tecnico. Dal lato grafico, Eliza non delude: i disegni sono bellissimi, sia quelli degli sfondi che gli sprite dei personaggi. La colonna sonora non sarà indimenticabile ma ha bei pezzi, adatti alle varie scene e poco intrusivi.
Lamento invece la mancanza di un tasto “passa veloce oltre il testo già letto”. Quando si vuole fare una visual novel che non usi Ren'Py, si dovrebbero quanto meno inserire le opzioni a cui Ren'Py ci ha abituati. È vero che qui possiamo saltellare da un capitolo all'altro e che è possibile skippare intere scene già lette, ma non è la stessa cosa: se io voglio ricominciare il gioco per vedere se facendo determinate scelte dall'inizio cambia qualcosa alla fine, sono comunque costretta a fare una marea di click!
È invece presente un tasto “history” che ci mostra quel che abbiamo letto fino a quel momento, e c'è la funziona "Auto", anche se ha solo due velocità (quindi non è possibile settarla alla velocità super-folle per ovviare alla mancanza del tasto Skip ^^').
Eliza è una buona visual novel, con un comparto narrativo di ottimo livello. Si sarebbero potute migliorare diverse cosucce, ma nel complesso sono soddisfatta di come mostra uno spaccato della nostra società e dell'industria tecnologica attraverso le vicende di un cast di personaggi realistico e abbastanza sfaccettato. Il gameplay invece poteva essere curato di più, o forse meglio: peccato, perché se così fosse stato avrebbe fatto un bel salto di qualità. Nonostante questo, la consiglio a tutti quelli che non odiano le visual novel e sono interessati all'argomento.
L'eredità più evidente di Eliza sono le schiere di chatterbot analoghi che le hanno fatto seguito e che continuano ad apparire ancora oggi. Ma cosa ha significato Eliza nella storia dell'interactive fiction? O, per dirla diversamente, perché ho sentito il bisogno di andare a ripescarla?
Una prima risposta è totalmente evidente. Quando si gioca a Eliza si entra in un dialogo testuale con un programma. Vi ricorda qualcosa? Confrontando superficialmente una sessione a Eliza con una sessione ad Adventure, si potrebbe quasi dire che entrambi i programmi sono variazioni di un'identica premessa.
Non è proprio così, però: mentre Eliza è "solo" un engine di generazione di testi (senza nessuna comprensione vera della lingua inglese), Adventure e i suoi antecedenti consentono al giocatore di manipolare un mondo virtuale attraverso comandi testuali e quindi non possono cavarsela semplicemente fingendo di comprendere gli input del giocatore (come invece fa Eliza). Tuttavia è quasi certo che Will Crowther conoscesse Eliza quando ha iniziato a lavorare ad Adventure e quindi non è escluso che sia stato influenzato dal modo con cui si interagisce con Eliza. Prima però che mi si accusi di spingere troppo in là l'influenza di Eliza, è bene precisare che è altresì vero che quasi tutte le interazioni uomo/computer dell'epoca avvenivano sotto forma di dialogo testuale; del resto le interfacce a linea di comando erano la regola in quei giorni. A ben guardare, quindi, l'unico vero elemento in comune fra Eliza e Adventure è il linguaggio pseudo-naturale di questa interazione. Da questo punto di vista Eliza rappresenta un importante precursore della vera e propria interactive fiction.
Ma fermarsi qui (come temo di aver fatto io stesso, alcuni anni fa, quando ho scritto la mia piccola storia dell'IF) significherebbe non vedere ciò che rende Eliza un oggetto di analisi così affascinante. Il gran numero di studiosi che sono stati attratti da Eliza, nonostante avessero scarsa consapevolezza (o scarso interesse) del ruolo che essa ricopre nella storia dell'IF, ci indica che deve esserci altro. Possiamo forse intuire cosa sia, se osserviamo come è stata accolta inizialmente Eliza dal pubblico e come l'ha accolta lo stesso Joseph Weizenbaum.
Probabilmente la prima persona a interagire a fondo con Eliza è stata la segretaria di Weizenbaum: "La mia segretaria, che mi aveva osservato lavorare per molti mesi al programma e che quindi sicuramente sapeva che era solo un programma per il computer, iniziò a conversare con Eliza. Dopo solo pochi scambi di battute, mi chiese di uscire dalla stanza."
La sua reazione non era inusuale; Eliza fece grande scalpore al MIT e nelle altre università in cui si diffuse, facendo di Weizenbaum un'inattesa celebrità. La maggior parte delle persone volevano semplicemente parlare con Eliza, per sperimentare personalmente quello che all'epoca era un raro esempio di divertimento alla portata di tutti, in quel mondo dell'informatica della metà degli anni '60 che tendenzialmente era tutto "Affari" (IBM) o "Bizzarro Esoterismo" (gli hacker della DEC).
Ci fu chi invece trattò il programma con una serietà che oggi appare incomprensibile. Si arrivò perfino a suggerire che sarebbe potuto essere utilizzato nella psicoterapia vera e propria. Carl Sagan, che successivamente diverrà famoso per il programma televisivo Cosmo, era un grande sostenitore di questa raggelante idea, che un gruppo di psicologi riuscì perfino a far pubblicare in un vero e proprio articolo scientifico sul The Journal of Nervous and Mental Diseases:
La reazione di Weizenbaum a tutto questo è diventata celebre quasi quanto Eliza.
Quando vide le persone impegnarsi in lunghe conversazioni a cuore aperto con Eliza, lui... si spaventò terribilmente! Il fenomeno che Weizenbaum stava osservando fu successivamente ribattezzato da Sherry Turkle come "effetto Eliza", che fu definito come la tendenza a "proiettare i nostri sentimenti su oggetti fisici e a trattare le cose come se fossero persone." Nella scienza informatica e negli ambienti dei nuovi media, l'effetto Eliza è diventato sinonimo della tendenza di un utente a presumere (basandosi sulle sue caratteristiche apparenti) che un programma sia molto più sofisticato e intelligente di quanto non sia in realtà. Weizenbaum giunse alla conclusione che questo fenomeno non solo era inquietante, ma anche pericoloso per il nostro tessuto sociale; si trattava di un fenomeno che minaccia i legami che ci tengono insieme e, potenzialmente, l'intera umanità. Il punto di vista di Weizenbaum, in netto contrasto con quello di persone come Marvin Minsky e John McCarthy dell'Artificial Intelligence Laboratory del MIT, era che l'intelligenza umana (con le sue qualità affettive e intuitive) non sarebbe mai potuta essere duplicata da una macchina - e che quindi chi ci avesse provato l'avrebbe fatto a suo rischio e pericolo.
A distanza di dieci anni dalla creazione di Eliza, Weizenbaum espresse queste idee nella sua opera magna, Computer Power and Human Reason, un'aspra critica contro l'utopismo digitale che in quegli anni dominava gli ambienti dell'informatica.
In quel testo Weizenbaum ha descritto i suoi studenti al MIT, che ovviamente era un'istituzione incentrata sulla scienza e la tecnologia, affermando che essi "hanno ormai rifiutato ogni modo di interpretare il mondo che non sia quello scientifico, e sono alla ricerca esclusivamente di un indottrinamento sempre più profondo e più dogmatico in tale fede (anche se questa parola non fa più parte dei loro vocabolari)."
Di certo non si deve essere fatto tanti amici fra gli hacker quando li ha descritti con queste parole:
"Vedo dei giovani brillanti dall'aspetto trasandato, spesso con luminosi occhi incavati, seduti ai computer con le braccia tese in attesa di far fuoco con le loro dita, già pronte a colpire quei tasti su cui la loro attenzione è fissa, in modo non dissimile da quella dello scommettitore al tavolo dei dadi. Quando non sono paralizzati in questa posa, siedono spesso intorno a tavoli coperti di stampati, che leggono con somma attenzione, come fossero studenti indemoniati di un qualche testo cabalistico. Lavorano fino allo svenimento: venti, trenta ore consecutive. Il loro cibo, quando si curano di mangiare, gli viene portato: caffè, cola, sandwich. Se possibile dormono su delle brandine accanto agli stampati. I loro abiti sgualciti, i loro volti non lavati e non rasati, e i loro capelli arruffati sono lì a testimoniare che hanno perso il senso del loro corpo e del mondo in cui si muovono."
Anche se Weizenbaum ha affermato di aver basato almeno in parte questa descrizione sulla sua personale esperienza di persona troppo ossessionata dal lavoro, possiamo dedurre che la sua antipatia per gli hackers "hardcore" del MIT esisteva già prima che scrivesse Eliza. Vale poi la pena di notare che Weizenbaum scelse di scrivere Eliza non sull'amato DEC degli hacker, ma piuttosto sul grande mainframe IBM 7094, collocato in un'altra parte del campus del MIT; secondo Steven Levy, Weizenbaum aveva "interagito solo sporadicamente" con il contingente dei hacker "hardcore" del MIT.
Tuttavia, per quanto mi riguarda, condivido in buona parte il punto di vista di Weizenbaum. Avendo osservato con i suoi occhi la sfilata di giovani studenti alle sue lezioni, studenti che potevano recitare a memoria ogni "assembler opcode" del PDP, ma che non avevano alcun rispetto o comprensione per l'estetica, la storia, o la semplice sincera fratellanza di due buoni amici davanti a una bottiglia di vino, Weizenbaum non fa altro che chiedere a gran voce un maggior equilibrio, a favore di un mondo dove coloro che hanno la conoscenza per creare e adoperare la tecnologia, ne abbiano anche l'umanità e la saggezza. È un qualcosa che ci farebbe molto comodo anche oggi, in questo mondo di "amici" su Facebook e di "conversazioni" su Twitter. Mi sento come Weizenbaum ogni volta che capito su Slashdot e incontro le sue migliaia di SLN ("Soulless Little Nerds" - Piccoli Nerd Senza Anima), i cui interessi culturali al di fuori dei videogiochi non vanno oltre Tolkien e i supereroi, e che pensano che la persecuzione da parte di Sony di un hacker della Playstation sia la violazione dei diritti umani del secolo. Probabilmente è proprio per questo che all'università ho scelto di studiare scienze umanistiche invece che informatica: gli studenti di quella facoltà erano semplicemente... molto più simpatici. Il che mi ricorda la descrizione iniziale che Watson fa di Sherlock Holmes, il suo nuovo compagno di stanza, in Uno Studio In Rosso:
Non c'è da meravigliarsi che Watson se ne sia andato e che Arthur Conan Doyle abbia iniziato a ritoccare quasi subito la personalità del suo eroe. Chi mai vorrebbe vivere con un tipo così?
A parte questo, io tuttavia credo anche che Weizenbaum (almeno per quel che riguarda la sua forte reazione dinanzi all'effetto Eliza) stesse trascurando un aspetto assai rilevante. Egli era convinto che il suo programma, pur basato su un "gioco di prestigio", avesse indotto un "potente pensiero allucinatorio ["delusional thinking"] in persone abbastanza normali". Il che è abbastanza assurdo, non vi pare? Davvero la sua segretaria che -come lui stesso aveva osservato- lo "aveva visto lavorare al programma per molti mesi", poteva pensare che Weizenbaum in quei mesi avesse creato tutto da solo una mente pensante? Scommetto che la segretaria fosse perfettamente consapevole che Eliza non fosse altro che una specie di "gioco di prestigio" e che semplicemente fosse disposta ad accettare consapevolmente e di propria volontà la finzione di una sessione di psicoterapia. Non è una scoperta che gli esseri umani sono immanentemente capaci di "credere" contemporaneamente a due cose contraddittorie e che ci sottoponiamo volontariamente a dei mondi immaginari che ben sappiamo essere finti. È esattamente questa la vera natura delle storie, ed è esattamente quello che facciamo ogni volta che leggiamo un racconto, che guardiamo un film, o che giochiamo a un videogame. Non è un caso se le diffusioni dei romanzi e dei film siano state accolte con le medesime preoccupazioni che Weizenbaum ha espresso riguardo a Eliza.
Partendo da qui, ci sono un milione di luoghi filosofici in cui potremmo spingerci con queste premesse, attingendo da McLuhan, da Baudrillard, e da cento altri ancora, ma non è nostra intenzione deviare il corso di questa piccola serie di articoli sulla storia dei videogiochi, dico bene? Concentriamoci quindi su Eliza e andiamo a vedere cosa Sherry Turkle ha scritto in merito alle reazioni degli utenti a questo "racconto" di una seduta di psicoterapia:
Se quindi diamo per scontato che coloro che interagivano con Eliza lo facevano sospendendo volontariamente la loro incredulità e agendo attivamente per mantenere in piedi la finzione di una sessione di psicoterapia, le implicazioni di ciò sono abbastanza profonde, perché questo significa che a metà degli anni '60 c'erano già delle persone seriamente impegnate in una "narrazione interattiva" digitale. Abbiamo cioè un primo concreto esempio del potenziale e dell'attrattiva del computer come medium di vero e proprio "storytelling", e non solo come strumento per creare storie di pura fantasia. Gli interlocutori di Eliza erano coinvolti in un pezzo di arte narrativa generata da un artista assolutamente umano, Weizenbaum in persona (non che lui si sarebbe mai descritto in questi termini, ovviamente). Cioè proprio ciò che gli scrittori e i lettori di narrativa hanno sempre fatto.
A differenza di ciò che fece Weizenbaum, io però avrei considerato l'accoglienza ricevuta da Eliza non come causa di preoccupazioni, ma come motivo di eccitazione e di grandi aspettative. "Se pensi che Eliza sia emozionante," potremmo dire a quella segretaria, "aspetta solo che arrivi la roba davvero buona e vedrai..."
Cielo, al solo pensarci mi coglie un fremito retroattivo.
Ed è proprio questo fremito che mi ha convinto a parlarvi di Eliza.
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Per poter comprendere al meglio ciò che Eliza fa e non fa, ho pensato di analizzare nel dettaglio una vera conversazione con il programma.
Quella che segue è una versione solo leggermente modificata della conversazione d'esempio che fu inclusa nel numero di Luglio/Agosto 1977 di Creative Computing, dove fu pubblicata la versione BASIC di Eliza (in particolare ho cambiato il riferimento al IMSAI 8080 con quello al Tandy, per restare fedele al tema attuale di questo blog).
Come potete vedere si tratta di un esempio molto meno riuscito della famosa trascrizione di cui vi ho parlato nel mio precedente post, in parte per la nota inferiorità di questa versione di Eliza e in parte per la scelta fatta da Creative Computing di interagire col software nel modo in cui un utente ci interagirebbe tipicamente: cercando di farsi beffe del programma e giocando con la relazione psicologo/paziente. Da questo punto di vista, questa trascrizione mi sembra una raffigurazione più onesta delle vere capacità e dei veri limiti di Eliza, oltre a rappresentare meglio quella che con ogni probabilità è l'esperienza media di un utente.
Al cuore del programma c'è una routine che cerca delle specifiche sequenze di testo all'interno di ogni input immesso dall'utente.
Queste sequenze di testo sono, in ordine di priorità:
1. "CAN YOU”
2. "CAN I”
3. "YOU ARE”
4. "YOU’RE”
5. "I DON’T”
6. "I FEEL”
7. "WHY DON’T YOU”
8. "WHY CAN’T I”
9. "ARE YOU”
10. "I CAN’T”
11. "I AM”
12. "I’M ”
13. "YOU ”
14. "I WANT”
15. "WHAT”
16. "HOW”
17. "WHO”
18. "WHERE”
19. "WHEN”
20. "WHY”
21. "NAME”
22. "CAUSE”
23. "SORRY”
24. "DREAM”
25. "HELLO”
26. "HI ”
27. "MAYBE”
28. ” NO”
29. "YOUR”
30. "ALWAYS”
31. "THINK”
32. "ALIKE”
33. "YES”
34. "FRIEND”
35. "COMPUTER”
[Ho ritenuto fuorviante tradurre i termini di cui sopra; il senso generale è comunque chiaro e verranno comunque tradotti nel seguito di questo post. NdTraduttore]
Non appena il programma trova una di queste sequenze, essa viene considerata la sequenza chiave di tutto ciò che ha scritto l'utente e il programma non fa ulteriori ricerche.
In altre parole, l'input "COMPUTER" può essere preso come sequenza chiave solo se il testo inserito dall'utente non contiene nessuna delle 34 precedenti sequenze.
RUN
CIAO! SOLO ELIZA. QUALE È IL TUO PROBLMEA?
? SONO UN IBM 370
SEI VENUTO DA ME PERCHE' SEI UN IBM 370
Quando Eliza trova una sequenza chiave, risponde con una sua specifica sequenza.
In questo caso il programma si è agganciato alla sequenza "I AM" presente nel testo inserito dall'utente. In ragione di ciò, il programma ha scartato automaticamente tutto il resto del testo fino a quel punto, prendendo solo "UN IBM 370".
A questo punto cerca uno schema di risposta appropriato, che in questo caso è: "SEI VENUTO DA ME PERCHE' SEI...", a cui fa seguire il resto del testo inserito dall'utente.
(Ah, solo per essere sicuri che tutti capiscano l'ironia di questa trascrizione: un IBM 370 era un mainframe di quell'epoca, estremamente grande e potente; è per questo che si rivolge più volte con aria di superiorità al piccolo microcompuer di Radio Shack)
? SI', VOGLIO UNA NUOVA STAMPANTE PARALLELA
COSA SIGNIFICHEREBBE PER TE AVERE UNA NUOVA STAMPANTE PARALLELA
Stavolta ci sono due possibili riscontri: "YES" e "I WANT".
Tuttavia "I WANT" ha una priorità più alta e quindi Eliza scarta tutto il testo fino a quel punto, che per l'appunto contiene anche "YES".
La risposta standard a "I WANT" è "COSA SIGNIFICHEREBBE PER TE AVERE...", seguito dal resto dell'input.
? CIRCA 1.800 LINEE AL MINUTO
DIMMI, HAI DEI PROBLEMI PSICOLOGICI?
Qui non abbiamo dato a Eliza niente a cui agganciarsi; nessuna sequenza rientra nel suo elenco. Per questo il programma utilizza una risposta generica, pensata proprio per situzioni del genere.
? CHE NE VUOI SAPERE TE, IO SONO UN 370 E TU SEI UN TANDY
COSA TI FA PENSARE CHE IO SIA UN TANDY
Questa volta ci sono più corrispondenze, ma la priorità più alta ce l'ha "TU SEI", e così Eliza scarta tutto fino a quel punto e incolla ciò che resta della frase alla risposta appropriata ("COSA TI FA PENSARE CHE IO SIA...")
? C'È SCRITTO SUL TUO PANNELLO FRONTALE
PERCHE' TI PREOCCUPI DEL MIO PANNELLO FRONTALE
Chiave: "TUO"
Risultato: "PERCHE' TI PREOCCUPI DEL MIO..." + "PANNELLO FRONTALE"
? BEH, SEI TU CHE HAI SOLLEVATO L'ARGOMENTO
STAVAMO PARLANDO DI TE, NON DI ME.
Non tutte le risposte previste contengono una parte del testo inserito dall'utente. In questo caso la parola chiave "TU" produce sempre la risposta "STAVAMO PARLANDO DI TE, NON DI ME."
? COME DICE LA CANZONE: I'M FIXING A HOLE... IO STO RISOLVENDO UN PROBLEMA.
SEI VENUTO QUI PERCHE' STAI RISOLVENDO UN PROBLEMA...
La sequenza chiave stavolta è "IO STO" [indistintamente "I'M" o "I AM" in Inglese ndTraduttore].
? MI DISPIACE, È UN BUG VECCHIO DI DIECI ANNI
NON DEVI SCUSARTI
Parola chiave: "MI DISPIACE"
Risultato: "NON DEVI SCUSARTI"
(Oltre che un'ovvia citazione dei Beatles, immagino che questa sia una battuta che abbia a che fare con l'IBM 370. Se qualche lettore sa di cosa si tratta, è pregato di rivelarcelo)
? IO SONO SEMPRE IN DIFETTO
DA QUANTO TEMPO SEI SEMPRE IN DIFETTO
Ancora una volta la seguenza chiave è "IO SONO".
Notate però che la risposta questa volta non è la stessa. Per la maggior parte delle sequenze chiave, Eliza ha a disposizione una gamma di risposte, fra le quale ne seleziona una a rotazione, nella speranza di nascondere almeno in parte la natura automatizzata dell'intero processo. Nel caso di "I AM", ci sono quattro possibili risposte diverse (e, a causa di un'idiosicrasia nel codice, i sinonimi come "I AM" e "I'M" hanno ognuno un proprio ciclo separato di risposte, seppur entrami attingano dalla stessa lista).
? DALLA MIA PRIMA ACCENSIONE A FREDDO
E QUESTO COSA TI FA PENSARE?
Ancora una volta non abbiamo dato a Eliza niente a cui aggrapparsi e quindi il programma ha scelto la seconda delle sette possibili "risposte evasive" a sua disposizione.
? SEI TU LO STRIZZACERVELLI
TI FA PIACERE CREDERE CHE IO SIA UNO STRIZZACERVELLI
Il nostro secondo uso di "YOU'RE" ha prodotto la seconda delle quattro possibili risposte a quella specifica sequenza.
? MA COME, TU NON LO SAI?
OH, NON LO SO?
Qui il nostro secondo uso di "TU" produce la seconda delle tre possibili risposte a quella sequenza.
? INIZIO A FARMI DELLE DOMANDE SU DI TE
CREDI CHE SIA NORMALE INIZIARE A FARSI DELLE DOMANDE SU DI IO
Qui abbiamo il primo vero errore di Eliza, che è anche un errore molto significativo. Eliza trova il nostro terzo uso di "I AM" e quindi ricorre alla sua terza risposta: "CREDI CHE SIA NORMALE..."
Da quello che abbiamo visto fin qui, ci saremmo dovuti aspettare che la risposta fosse stata: "CREDI CHE SIA NORMALE INIZIARE A FARSI DELLE DOMANDE SU DI TE"; che sarebbe evidentemente una risposta completamente sbagliata. Proprio per evitare queste situazioni, Eliza tenta sempre di modificare i frammenti del testo inserito dall'utente prima di riutilizzarli, cambiando la prima persona singolare in seconda persona singolare (e viceversa), e cercando di coniugare di conseguenza i verbi (seppur in modo molto semplicistico).
Per essere più precisi, Eliza esegue sistematicamente le seguenti sostituzioni:
" AM " <--> " ARE "
"WAS " <--> "WERE "
" I " <--> " YOU "
" MY " <--> " YOUR "
" I’VE " <--> " YOU’VE "
" I’M " <--> " YOU’RE "
Eliza è dall'inizio della trascrizione che esamina sistematicamente il testo alla ricerca di queste sequenze da modificare, ma fin qui non ne aveva trovate.
Adesso che lo ha fatto, però, ha sbagliato malamente, perché in inglese il pronome della seconda persona singolare è lo stesso sia al nominativo che all'accusativo, mentre il pronome della prima persona singolare è diverso. Poiché Eliza non ha alcuna comprensione di tipo strutturale della lingua inglese, tutto ciò che può fare è sostituire delle sequenze di caratteri con altre sequenze di caratteri, e quindi in questo caso sostituisce erroneamente "YOU" con "I", invece che con "ME".
[la frase inglese originale infatti è:
? I AM BEGINNING TO WONDER ABOUT YOU
DO YOU BELIEVE IT IS NORMAL TO BE BEGINNING TO WONDER ABOUT I
NdTraduttore]
? AH AH AH TU NON SAI NEMMENO PARLARE
NON STARAI PARLANDO DI ME, VERO?
Chiave: "TU"
Risultato: "NON STARAI PARLANDO DI ME, VERO?" (risposta 3 di 3)
? CHI ALTRO C'E' NELLA STANZA
CAPISCO
Chiave: Nessuna
Risultato: Risposta evasiva 3 di 7.
? I COMPUTER NON HANNO OCCHI
SICURO?
Qui abbiamo un altro "fallimento", che però per puro caso stavolta produce un testo coerente con il dialogo. Eliza infatti ha preso come chiave la seguenza "YES" (che accidentalmente è una parte della parola "EYES") e ha utilizzato la prima delle sue tre risposte a disposizione per quella sequenza. Considerando le tante risposte illogiche che avrebbe potuto dare, questa volta a Eliza è andata piuttosto bene suo malgrado.
[La frase inglese originale è:
? COMPUTERS DON'T HAVE EYES
ARE YOU SURE?
ndTraduttore]
? DEI COMPUTER?
I COMPUTER TI PREOCCUPANO?
Chiave: "COMPUTER"
Risultato: "I COMPUTER TI PREOCCUPANO?" (risposta 1 di 7)
? DOVREBBERO? IN FIN DEI CONTI IO SONO UN 370
TI PIACE ESSERE UN 370
Chiave: "I AM"
Risultato: "TI PIACE ESSERE" + "UN 370" (risposta 4 di 4)
... e così via.
Sono certo che ormai avete capito come funziona. Avendo ormai pestato l'acqua nel mortaio più che a sufficienza, la prossima volta tirerò le conclusioni, parlando di ciò che Eliza significa per me, per Joseph Weizenbaum, e forse anche per voi.
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
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- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
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- Eliza
Nel 1965 un professore del MIT, Joseph Weizenbaum, creò un simulatore computerizzato di conversazione, chiamato ELIZA. La trascrizione più famosa di una conversazione con ELIZA fu pubblicata poco dopo in un articolo che Weizenbaum scrisse per il volume di Gennaio 1966 delle Communications of the ACM [la rivista della Association for Computing Machinery; ndTraduttore]. La trascrizione registra una conversazione avvenuta fra il programma e una giovane donna.
Le riposte date del programma sono in maiuscolo.
Di solito si dà per scontato che "Eliza" sia semplicemente il nome di una psicoterapeuta con cui il "paziente" umano conversa, ma non è così. ELIZA in realtà è un sistema di conversazione generalista ideato da Weizenbaum, il cui nome è una citazione di un personaggio della classe operaia tratto dall'opera Pigmalione di George Bernard Shaw. Nell'opera questo personaggio impara a parlare con la dizione tipica delle classi alte, a discapito delle sue umili origini. La metafora consiste nel fatto che -grazie al software ELIZA- il computer è passato dalla dizione inflessibile tipica dei linguaggi di programmazione al linguaggio naturale parlato tutti i giorni.
ELIZA supporta "copioni" diversi, ognuno dei quali rappresenta un diverso personaggio. Il primo "copione" a essere stato sviluppato (nonché quello che ha generato la trascrizione di cui sopra e quello che tutti ci ricordiamo ancora oggi) era chiamato semplicemente "Dottore".
Nel film Rebel at Work, Weizenbaum descrive come arrivò a fare questa brillante scelta:
"E poi, di colpo, mi venne l'idea: lo psichiatra. Lo psichiatra infatti pone domande sulla base di ciò che dice il paziente. Possono anche essere domande parzialmente o totalmente irrilevanti, ma il paziente le interpreterà comunque sulla base della propria cornice mentale. Il paziente presuppone che lo psichiatra sappia qualcosa, che lui lo capisca, che ci sia sempre e comunque un qualche senso recondito nelle sue parole. 'Ancora non so cosa sia, ma di certo non sono parole prive di senso'. Ecco come è iniziato tutto - poi arrivò ELIZA.
'Beh," dice lo psichiatra, 'forse... Questo invece cosa ti ricorda?
'Mhm, molto arguto!' pensa il paziente. 'Questo psichiatra capisce davvero ciò che provo. Continuerò a venire alle sue sedute.'"
Come lo stesso Weizenbaum ha avuto cura di specificare nel suo articolo, ELIZA non comprende un bel niente, da nessun punto di vista, di ciò che dice il suo interlocutore. È semplicemente un elaborato motore di generazione di testo, che va alla ricerca di schemi fra le parole che l'utente ha inserito, per poi utilizzarli come aggangi da manipolare e ricombinare in una risposta sensata. L'idea geniale del "copione del Dottore" è che questo è esattamente ciò che fa uno psicoterapeuta durante una sessione (almeno dal punto di vista dell'uomo comune).Weizenbaum preparò anche qualche altro copione, ad esempio quello dello schizzofrenico paranoico (tanto per restare in tema di sanità mentale...), ma questi non avevano la stessa magia e oggi sono in buona parte dimenticati.
AGGIORNAMENTO: A dire il vero, come Nick ci ha fatto notare nei commenti sul blog, non abbiamo nessuna prova che Weisenbaum abbia scritto altri copioni oltre a quello del "Dottore".
Anche limitandoci al "Dottore", la famosa trascrizione che ho riportato è in realtà una specie di scenario ottimale. Weizenbaum, che di solito ha un atteggiamento piuttosto misurato quando si tratta di queste cose, ha distorto un po' la verità nel definirla una "conversazione tipica". In ogni sessione di una certa lunghezza arriva infatti inevitabilmente un momento in cui il programma dice qualcosa che ci rivela con chiarezza che in realtà si tratta solo di un elaborato trucco di prestigio. Questi fallimenti di ELIZA sono frequenti almeno quanto le numerose risposte appropriate che vengono riportate nella trascrizione di cui sopra. Weizenbaum ha programmato ELIZA in Lisp, un linguaggio di programmazione sviluppato al MIT per applicazioni di intelligenza artificiale e di elaborazione del linguaggio naturale.
AGGIORNAMENTO: In realtà il linguaggio di programmazione si chiamava MAD-SLIP, ideato in origine all'Università del Michigan. Al riguardo vi invito a leggere i commenti di Nick nel blog.
Tuttavia il suo dettagliato articolo per la Association for Computing Machinery svolse la stessa funzione che dieci anni dopo ebbe il codice sorgente di Adventure meticolosamente commentato da Don Woods, rendendo la conversione di ELIZA per altre piattaforme e altri linguaggi un compito relativamente semplice.
Nel frattempo l'idea originale di Weizenbaum di creare un engine per conversazioni generalistiche fu dimenticata, e "il sistema ELIZA" divenne "Eliza, la psicoteraputa". Creative Computing pubblicò una versione in BASIC convertita da Jeff Shrager e Steve North nel numero di Luglio/agosto 1977. North ci riferisce che: "Anche se il programma è una imitazione di qualità inferiore all'originale, funziona." Le sue limitazioni, rispetto all'originale di Weizenbaum, derivano dal fatto di essere scritto in BASIC e dalla necessità di farlo funzionare con soli 16 K di RAM. Nonostante questo resta comunque un risultato impressionante, che per tutto il decennio successivo si è rivelato un trampolino di lancio per un numero infinito di seguiti e di altri titoli derivativi.
È come se, negli anni '70 e '80, uno non potesse possedere un microcomputer senza avere una qualche variante di Eliza da qualche parte nella sua raccolta di software.
Se volete provare questa versione di Eliza su un TRS-80 virtuale, potete farlo usando l'emulatore SDLTRS e questo file di stato.
1. Assicuratevi che il file della ROM Level 2 e il NewDOS boot disk siano nella root directory dell'emulatore e che il file di stato sia in una cartella a voi nota.
2. Avviate l'emulatore.
3. Mettete il blocco alle maiuscole.
4. Premente ALT-L per caricare il file di stato.
5. Navigate fino alla cartella con il file di stato e caricatelo.
Vi ritroverete al prompt READY del BASIC, da cui potrete fare il LIST del programma, da cui lo potrete editare, oppure lanciare con RUN. (Ebbene sì, è molto, molto lento. Ma del resto così era la vita quando si doveva fare un sacco di "string processing" in BASIC su una macchina a 1,78 MHz...)
Digitate "SHUT" al prompt per chiudere il programma e ricordate: dovete avere il blocco maiuscole perché vi "comprenda".
Per finire, per coloro che sanno di cosa sto parlando, ho preparato anche il file "tokenized" di Eliza per il BASIC del TRS-80.
Quindi, avendovi parlato di ciò che è ELIZA, ora possiamo occuparci delle domande più interessanti: come funziona e cosa ha significato - e perché mi sono sentito in dovere di tornare così indietro nel tempo per parlarvene.
Postscriptum (17 Giugno 2011):
Sono rimasto deluso dall'emulatore SDLTRS e da qui in poi ho deciso di usare quello incluso nel progetto MESS. Questo è un file di stato da usare con quell'emulatore. Leggete il mio recente post su come emulare il TRS-80 per maggiori informazioni su come far funzionare un TRS-80 virtuale sotto il MESS.
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Vi lasciamo quindi alla lettura del primo ciclo di cinque articoli, che pubblicheremo a scadenza settimanale, dedicato alla rivalutazione storica di The Oregon Trail.
Di recente ho preso una copia di 1001 Videogiochi Da Non Perdere. Come libro non è un granché, per una serie di motivi abbastanza interessanti che spero di poter approfondire quanto prima in un post dedicato. Ora però voglio parlarvi di The Oregon Trail, il primo titolo di cui si occupa quel libro, perché il capitolo che gli è dedicato mi ha fatto sprofondare in un mare di pensieri dal quale sono appena riemerso con nuove idee sulla storia della narrativa interattiva.
Se anche voi avete una certa età e una certa nazionalità (come le mie), quasi certamente conoscerete già The Oregon Trail. Dagli inizi degli anni'80 fino ai '90 inoltrati praticamente ogni scuola pubblica d'America aveva in un cantuccio qualche Apple II e sicuramente su quegli Apple II girava questo piccolo titolo didattico, che calava il giocatore nei panni di un aspirante colono in partenza per un lungo viaggio dal Missouri all'Oregon (lungo la cosìdetta Pista dell'Oregon). Quelle prime versioni del gioco erano prevalentemente testuali, seppur vivacizzate da un sacco di grafica colorata che le rendevano sufficientemente attraenti da fargli conquistare il favore degli studenti di allora, tanto da essere ricordate ancora oggi con nostalgia da milioni di persone. Non deve sorprendere, quindi, se ho appena scoperto che esiste perfino una app di Facebook dedicata al gioco (a cui hanno fatto seguito anche le versioni iOS e Android).
Ciò che invece spesso si ignora è che The Oregon Trail, quando arrivò per la prima volta sull'Apple II, era già un gioco molto datato. Non a caso è il primo titolo in ordine cronologico dei 1001 Videogiochi (anche se la sua corretta datazione in quel libro è di per sé abbastanza sorprendente, considerato quante altre date sono sbagliate; ma ho promesso di non lagnarmi, almeno per il momento...). The Oregon Trail infatti è stato scritto per la prima volta nel 1971 da tre insegnanti del Carleton College, un piccolo istituto d'arti liberali del Northfield (Minnesota). Don Rawitsch, Bill Heinemann (che non deve però essere confuso con il “Burger Bill” Heineman che, fra tanti giochi, lavorò anche alla serie di The Bard’s Tale) e Paul Dillenberger lo programmarono in BASIC su un minicomputer della serie HP-2100.
Nella mia storia dell'IF ho citato due titoli come i predecessori più significativi di Adventure (1976-77), vera pietra miliare del genere: Eliza di Joseph Weizenbaum (1966), che per primo ha posto le basi del sistema d'interazione tipico dell'IF (seppur all'interno di un elaborato "gioco di prestigio", invece che di un gioco vero e proprio) e Hunt the Wumpus di Gregory Yob, un gioco semplice in cui il giocatore si sposta di stanza in stanza all'interno di un labirinto, nel tentativo di evitare e infine di uccidere quel Wumpus che dà il titolo al gioco.
The Oregon Trail mi fa pensare che debba esserci un terzo titolo in quella lista.
Consideriamo lo stato in cui versava la narrativa interattiva (in senso lato) nel 1971. Anche se c'erano già stati esperimenti di narrazione interattiva del genere "mystery", ne erano ben pochi gli esempi in circolazione.
Edward Packard aveva già tentato di farsi pubblicare i primi libri di quella che sarebbe poi diventata la collana "Choose Your Own Adventure" (quelli che in Italia saranno conosciuti come "librogame" ndTraduttore), ma era stato rifiutato da tutti gli editori a cui si era rivolto e avrebbe dovuto aspettare ancora molti anni prima di vedere la sua idea stampata su carta.
Un gruppo di trasandati wargamer del Wisconsin stavano già giocando con quel sistema che un giorno sarebbe divenuto Dungeons and Dragons, ma anche in questo caso erano ancora ben lontani dalla sua reale pubblicazione. Indubbiamente i wargame e gli altri giochi simulativi avevano una componente empirica che implicitamente spingeva i giocatori a immaginarsi nella propria testa gli eventi che stavano simulando, ma tali eventi venivano ancora inquadrati dal punto di vista di un dio nel cielo e non da quello di un personaggio immerso nel mondo di gioco.
Nel mondo dei computer i ricercatori nel campo dell'intelligenza artificiale erano al lavoro sulla narrativa generata dal computer, ma non si trattava ancora di vera e propria narrativa interattiva, quanto piuttosto di storie autosufficienti, generate in anticipo dal computer sulla base dei dati immessi dall'utente, per poi essere riprodotte a vantaggio degli spettatori.
The Oregon Trail invece si apre dicendoci che: "La tua famiglia, composta da cinque persone, coprirà le 2.040 miglia del Cammino dell'Oregon in 5-6 mesi - se arriverete vivi. Avete messo da parte 900 dollari per il viaggio e ne avete appena spesi 200 per il carro". Ci immerge immediatamente in un'ambientazione con una propria storia e ci invita ad assumere un ruolo e a decidere cosa accadrà dopo. Era mai esistito prima di allora un programma che volesse così esplicitamente scrivere una storia CON noi (invece che PER noi)?
Se è esistito, io non ne sono a conoscenza.
Mi sono così imbarcato in una missione donchisciottesca, volta a sperimentare in prima persona The Oregon Trail nella forma il più simile possibile a quella originale. Ma di questo vi dirò di più la prossima volta.
Sulle tracce di The Oregon Trail:
- Parte 1
- Parte 2
- Parte 3
- Parte 4
- Parte 5
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