Bentrovati amici dell'Avventura! Dopo una lunga attesa, torniamo nei meandri cavernosi di Infocom e di Zork per leggere la storia della nascita dei leggendari InvisiClues, ad opera di quell'irriducibile manipolo di nerd dello Zorks Users Group, guidati dal solito Mike Dornbrook. In un'epoca in cui le avventure testuali erano crudelmente sleali, al limite della violazione dei diritti umani (e i primi due Zork non rappresentavano certo un'eccezione), gli avventurieri avrebbero pagato montagne di zorkmid sonanti per poter sbirciare in rete le soluzioni agli enigmi più ostici, e sfuggire così all'insonnia. Peccato che il World Wide Web non esistesse ancora nel 1982! Fu così che i geniali (e costosi) InvisiClues divennero l'ultima speranza per gli insonni giocatori di Zork... e un affare notevole per lo Zork Users Group e la rampante Infocom. Non vi servirà alcun evidenziatore speciale per godere della lista degli articoli del ciclo Infocom: – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Buona lettura e ... occhio agli indizi invisibili! Festuceto |
Ero a una festa nella mia città natale con alcuni amici del liceo. Uno di loro aveva frequentato farmacia alla University of Wisconsin. Gli stavo descrivendo i miei tentativi di creare questi libretti, nel tentativo di trovare una soluzione al problema, quando lui mi disse: “perché non usi l’inchiostro simpatico?” |
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Salutiamo l'anno vecchio e accogliamo il nuovo decennio, intrepidi avventurieri, dalle profondità del Regno Sotterraneo di Zork! E quale luogo migliore per celebrare le nostre avventurose festività? (qualcuno ha detto Marmellata d'Avventura 2019?) Brindiamo allora con gli gnomi e con i troll nelle viscere della terra, con le tasche ricolme di gioielli ... sempre che si riesca a sbucare dal diabolico labirinto! Ma, niente paura, a guidarci verso la salvezza vi sarà l'onnisciente Antiquario Digitale. Ed ecco la stupefacente lista degli articoli del ciclo Infocom: – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Conservate le briciole del panettone per segnare la via ... si torna in superficie! Festuceto |
>SE CYCLOPS ROOM THIS ROOM HAS AN EXIT ON THE NORTHWEST, AND A STAIRCASE LEADING UP. A CYCLOPS, WHO LOOKS PREPARED TO EAT HORSES (MUCH LESS MERE ADVENTURERS), BLOCKS THE STAIRCASE. FROM HIS STATE OF HEALTH, AND THE BLOODSTAINS ON THE WALLS, YOU GATHER THAT HE IS NOT VERY FRIENDLY, THOUGH HE LIKES PEOPLE. |
>ODYSSEUS THE CYCLOPS, HEARING THE NAME OF HIS FATHER'S DEADLY NEMESIS, FLEES THE ROOM BY KNOCKING DOWN THE WALL ON THE EAST OF THE ROOM. |
>EXAMINE BOOK COMMANDMENT #12592 OH YE WHO GO ABOUT SAYING UNTO EACH: "HELLO SAILOR": DOST THOU KNOW THE MAGNITUDE OF THY SIN BEFORE THE GODS? YEA, VERILY, THOU SHALT BE GROUND BETWEEN TWO STONES. SHALL THE ANGRY GODS CAST THY BODY INTO THE WHIRLPOOL? SURELY, THY EYE SHALL BE PUT OUT WITH A SHARP STICK! EVEN UNTO THE ENDS OF THE EARTH SHALT THOU WANDER AND UNTO THE LAND OF THE DEAD SHALT THOU BE SENT AT LAST. SURELY THOU SHALT REPENT OF THY CUNNING. |
>U YOU HEAR A SCREAM OF ANGUISH AS YOU VIOLATE THE ROBBER'S HIDEAWAY. USING PASSAGES UNKNOWN TO YOU, HE RUSHES TO ITS DEFENSE. THE THIEF GESTURES MYSTERIOUSLY, AND THE TREASURES IN THE ROOM SUDDENLY VANISH. TREASURE ROOM THIS IS A LARGE ROOM, WHOSE EAST WALL IS SOLID GRANITE. A NUMBER OF DISCARDED BAGS, WHICH CRUMBLE AT YOUR TOUCH, ARE SCATTERED ABOUT ON THE FLOOR. THERE IS AN EXIT DOWN A STAIRCASE. THERE IS A SUSPICIOUS-LOOKING INDIVIDUAL, HOLDING A BAG, LEANING AGAINST ONE WALL. HE IS ARMED WITH A VICIOUS-LOOKING STILETTO. THERE IS A SILVER CHALICE, INTRICATELY ENGRAVED, HERE. THE THIEF RAMS THE HAFT OF HIS BLADE INTO YOUR STOMACH, LEAVING YOU OUT OF BREATH. >KILL THIEF WITH AXE YOU ARE STILL RECOVERING FROM THAT LAST BLOW, SO YOUR ATTACK IS INEFFECTIVE. YOU PARRY A LIGHTNING THRUST, AND THE THIEF SALUTES YOU WITH A GRIM NOD. >KILL THIEF WITH AXE THE THIEF IS STRUCK ON THE ARM, BLOOD BEGINS TO TRICKLE DOWN. THE THIEF STABS NONCHALANTLY WITH HIS STILETTO AND MISSES. >AGAIN THE BLOW LANDS, MAKING A SHALLOW GASH IN THE THIEF'S ARM! THE THIEF TRIES TO SNEAK PAST YOUR GUARD, BUT YOU TWIST AWAY. >AGAIN THE BLOW LANDS, MAKING A SHALLOW GASH IN THE THIEF'S ARM! THE THIEF SLOWLY APPROACHES, STRIKES LIKE A SNAKE, AND LEAVES YOU WOUNDED. >AGAIN THE THIEF IS STRUCK ON THE ARM, BLOOD BEGINS TO TRICKLE DOWN. THE THIEF STABS NONCHALANTLY WITH HIS STILETTO AND MISSES. >AGAIN YOU CHARGE, BUT THE THIEF JUMPS NIMBLY ASIDE. THE THIEF STABS NONCHALANTLY WITH HIS STILETTO AND MISSES. >AGAIN THE FATAL BLOW STRIKES THE THIEF SQUARE IN THE HEART: HE DIES. |
"Molte persone in rete avevano finito ormai da tempo il gioco, ma vi tornavano regolarmente per risolvere eventuali nuovi enigmi che fossero stati introdotti; uno di loro aveva giocato a D&D con Dave e lo chiamò il giorno dopo che era stata annunciata l’introduzione dell’uovo: ‘Mi sono fatto aprire l’uovo, ma scommetto che voi loser avete inserito qualcosa senza senso da fare con il canarino e con l’uccello canterino!’ Dave, che sapeva il fatto suo, rispose: ‘Coff, coff... ehm... ovviamente!" e corse ad aggiungere il gingillo d’ottone." |
>SW STONE BARROW YOU ARE STANDING IN FRONT OF A MASSIVE BARROW OF STONE. IN THE EAST FACE IS A HUGE STONE DOOR WHICH IS OPEN. YOU CANNOT SEE INTO THE DARK OF THE TOMB. >W AS YOU ENTER THE BARROW, THE DOOR CLOSES INEXORABLY BEHIND YOU. AROUND YOU IT IS DARK, BUT AHEAD IS AN ENORMOUS CAVERN, BRIGHTLY LIT. THROUGH ITS CENTER RUNS A WIDE STREAM. SPANNING THE STREAM IS A SMALL WOODEN FOOTBRIDGE, AND BEYOND A PATH LEADS INTO A DARK TUNNEL. ABOVE THE BRIDGE, FLOATING IN THE AIR, IS A LARGE SIGN. IT READS: ALL YE WHO STAND BEFORE THIS BRIDGE HAVE COMPLETED A GREAT AND PERILOUS ADVENTURE WHICH HAS TESTED YOUR WIT AND COURAGE. YOU HAVE GAINED THE MASTERY OF THE FIRST PART OF THE GREAT UNDERGROUND EMPIRE. THOSE WHO PASS OVER THIS BRIDGE MUST BE PREPARED TO UNDERTAKE AN EVEN GREATER ADVENTURE THAT WILL SEVERELY TEST YOUR SKILL AND BRAVERY! PLAY "ZORK: THE GREAT UNDERGROUND EMPIRE, PART II". YOUR SCORE WOULD BE 350 (TOTAL OF 350 POINTS), IN 1313 MOVES. THIS SCORE GIVES YOU THE RANK OF MASTER ADVENTURER. |
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Bentrovati prodi avventurieri! Lo so, siete già tutti in trincea pronti per il tragico cenone della Vigilia, ma non è il momento di gozzovigliare... scintillanti tesori vi attendono nei perigliosi labirinti del magico Regno Sotterraneo di Zork. E a guidarci sarà, come sempre, il sapiente Antiquario Digitale. Armatevi di coraggio compagni, entriamo finalmente nel vivo dell'esplorazione di Zork! Ma prima la lista degli articoli del ciclo Infocom: – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Posate la forchetta e afferrate la lanterna... inizia la discesa! Festuceto |
>EXAMINE PAPER CONGRATULATIONS! YOU ARE THE PRIVILEGED OWNER OF A GENUINE ZORK GREAT UNDERGROUND EMPIRE (PART I), A SELF CONTAINED AND SELF MAINTAINING UNIVERSE. IF USED AND MAINTAINED IN ACCORDANCE WITH NORMAL OPERATING PRACTICES FOR SMALL UNIVERSES, ZORK WILL PROVIDE MANY MONTHS OF TROUBLE-FREE OPERATION. PLEASE CHECK WITH YOUR DEALER FOR PART II AND OTHER ALTERNATE UNIVERSES. |
>N THE TROLL ROOM THIS IS A SMALL ROOM WITH PASSAGES TO THE EAST AND SOUTH AND A FORBIDDING HOLE LEADING WEST. BLOODSTAINS AND DEEP SCRATCHES (PERHAPS MADE BY AN AXE) MAR THE WALLS. A NASTY-LOOKING TROLL, BRANDISHING A BLOODY AXE, BLOCKS ALL PASSAGES OUT OF THE ROOM. A SEEDY-LOOKING INDIVIDUAL WITH A LARGE BAG JUST WANDERED THROUGH THE ROOM. ON THE WAY THROUGH, HE QUIETLY ABSTRACTED ALL VALUABLES FROM THE ROOM AND FROM YOUR POSSESSION, MUMBLING SOMETHING ABOUT "DOING UNTO OTHERS BEFORE.." THE TROLL'S MIGHTY BLOW DROPS YOU TO YOUR KNEES. THE THIEF SLOWLY APPROACHES, STRIKES LIKE A SNAKE, AND LEAVES YOU WOUNDED. >KILL TROLL WITH SWORD I CAN'T SEE ANY SWORD HERE. >KILL TROLL WITH KNIFE A GOOD STROKE, BUT IT'S TOO SLOW, THE TROLL DODGES. THE TROLL'S AXE REMOVES YOUR HEAD. IT APPEARS THAT THAT LAST BLOW WAS TOO MUCH FOR YOU. I'M AFRAID YOU ARE DEAD. **** YOU HAVE DIED **** |
Dave, giocatore di Dungeons and Dragons di lunga data, non apprezzava il modo completamente prevedibile con cui si uccidevano le creature. Nel gioco originale, per esempio, si poteva uccidere il troll semplicemente lanciandogli il coltello: lui lo raccoglieva e lo mangiava di gusto (come qualunque altra cosa che gli viene tirata), ma in conseguenza di ciò moriva di emorragia. In sostanza, Dave aggiunse tutta la complessità di un combattimento in stile D&D, con efficacie diverse per le armi, con le ferite, con gli stati di incoscienza e la morte. Ogni creatura ha i suoi messaggi e quindi un combattimento con il ladro (che usa uno stiletto) risulta molto diverso da un combattimento contro il troll e la sua ascia. |
>EXAMINE GUIDEBOOK "FLOOD CONTROL DAM #3 FCD#3 WAS CONSTRUCTED IN YEAR 783 OF THE GREAT UNDERGROUND EMPIRE TO HARNESS THE MIGHTY FRIGID RIVER. THIS WORK WAS SUPPORTED BY A GRANT OF 37 MILLION ZORKMIDS FROM YOUR OMNIPOTENT LOCAL TYRANT LORD DIMWIT FLATHEAD THE EXCESSIVE. THIS IMPRESSIVE STRUCTURE IS COMPOSED OF 370,000 CUBIC FEET OF CONCRETE, IS 256 FEET TALL AT THE CENTER, AND 193 FEET WIDE AT THE TOP. THE LAKE CREATED BEHIND THE DAM HAS A VOLUME OF 1.7 BILLION CUBIC FEET, AN AREA OF 12 MILLION SQUARE FEET, AND A SHORE LINE OF 36 THOUSAND FEET. WE WILL NOW POINT OUT SOME OF THE MORE INTERESTING FEATURES OF FCD#3 AS WE CONDUCT YOU ON A GUIDED TOUR OF THE FACILITIES: 1) YOU START YOUR TOUR HERE IN THE DAM LOBBY. YOU WILL NOTICE ON YOUR RIGHT THAT ......... |
>N MAINTENANCE ROOM THIS IS WHAT APPEARS TO HAVE BEEN THE MAINTENANCE ROOM FOR FLOOD CONTROL DAM #3. APPARENTLY, THIS ROOM HAS BEEN RANSACKED RECENTLY, FOR MOST OF THE VALUABLE EQUIPMENT IS GONE. ON THE WALL IN FRONT OF YOU IS A GROUP OF BUTTONS, WHICH ARE LABELLED IN EBCDIC. HOWEVER, THEY ARE OF DIFFERENT COLORS: BLUE, YELLOW, BROWN, AND RED. THE DOORS TO THIS ROOM ARE IN THE WEST AND SOUTH ENDS. THERE IS A GROUP OF TOOL CHESTS HERE. THERE IS A WRENCH HERE. THERE IS AN OBJECT WHICH LOOKS LIKE A TUBE OF TOOTHPASTE HERE. THERE IS A SCREWDRIVER HERE. |
>WAVE SCEPTRE SUDDENLY, THE RAINBOW APPEARS TO BECOME SOLID AND, I VENTURE, WALKABLE (I THINK THE GIVEAWAY WAS THE STAIRS AND BANNISTER). >E ON THE RAINBOW YOU ARE ON TOP OF A RAINBOW (I BET YOU NEVER THOUGHT YOU WOULD WALK ON A RAINBOW), WITH A MAGNIFICENT VIEW OF THE FALLS. THE RAINBOW TRAVELS EAST-WEST HERE. |
>D ENTRANCE TO HADES YOU ARE OUTSIDE A LARGE GATEWAY, ON WHICH IS INSCRIBED "ABANDON EVERY HOPE, ALL YE WHO ENTER HERE." THE GATE IS OPEN; THROUGH IT YOU CAN SEE A DESOLATION, WITH A PILE OF MANGLED BODIES IN ONE CORNER. THOUSANDS OF VOICES, LAMENTING SOME HIDEOUS FATE, CAN BE HEARD. THE WAY THROUGH THE GATE IS BARRED BY EVIL SPIRITS, WHO JEER AT YOUR ATTEMPTS TO PASS. |
Nel gioco originale c’erano delle stanze, degli oggetti, e un giocatore; il giocatore esisteva sempre all’interno di una stanza. I veicoli erano degli oggetti che, a tutti gli effetti, erano delle stanze mobili. Questo richiese dei cambiamenti nelle interazioni (sempre delicatissime) fra i verbi, gli oggetti, e le stanze (dovevamo infatti trovare un modo per far fare a "cammina" qualcosa di accettabile mentre il giocatore era nella barca). In più, gli intraprendenti giocatori di Zork provarono a usare la barca in tutti i posti dove credevano di poterlo fare. Il codice della barca non era però pensato per funzionare al di fuori della sezione del fiume, ma non c’era niente che impediva al giocatore di trasportare l’imbarcazione gonfiabile fino alla riserva idrica per tentare di attraversarla. Alla fine si consentì di usare la barca nella riserva idrica, ma restava il problema generale: tutto quel che cambia il mondo che si sta modellando, in pratica, cambia anche tutto ciò che si trova all’interno del mondo che si sta modellando. Anche se Zork allora aveva solo un mese di vita, riusciva già a sorprendere i suoi autori. L’imbarcazione, per come era stata implementata, si trasformò in una sorta di "borsa conservante": in pratica i giocatori potevano metterci dentro di tutto e portarselo in giro, anche se il peso degli oggetti ivi contenuti eccedeva di molto la capacità del giocatore di trasportarli. La barca era due oggetti distinti: l’oggetto "barca gonfia" conteneva gli oggetti, ma il giocatore trasportava con sé l’oggetto “barca sgonfia”. Noi eravamo all’oscuro di questo aspetto, finché qualcuno alla fine non lo segnalò come bug. Per quanto ne so, il bug c’è ancora. |
Sono riuscito a riprodurre senza problemi il bug della "borsa conservante" nella release 15. Si deve raggruppare una serie di cose tutte insieme in un unico posto, più di quelle che si possono trasportare contemporaneamente. Poi se ne mette un po’ nella zattera, si sgonfia, quindi si raccoglie l’ammasso di plastica e il resto della propria roba. Ricordatevi però di non mettere per sbaglio la pompa nella zattera; a me è successo la prima volta! Se ricordo bene, si deve anche evitare di metterci dentro qualcosa che possa forare la zattera, come la spada o la torcia. |
>D LOUD ROOM THIS IS A LARGE ROOM WITH A CEILING WHICH CANNOT BE DETECTED FROM THE GROUND. THERE IS A NARROW PASSAGE FROM EAST TO WEST AND A STONE STAIRWAY LEADING UPWARD. THE ROOM IS DEAFENINGLY LOUD WITH AN UNDETERMINED RUSHING SOUND. THE SOUND SEEMS TO REVERBERATE FROM ALL OF THE WALLS, MAKING IT DIFFICULT EVEN TO THINK. ON THE GROUND IS A LARGE PLATINUM BAR. >GET BAR BAR BAR ... >BAR BAR BAR BAR ... >GET BAR BAR BAR BAR ... >L L L ... >LOOK LOOK LOOK ... |
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Rieccoci fedeli lettori al nostro appuntamento settimanale con l'Avventura (con la "A" maiuscola). E dopo aver esplorato gli aspetti tecnici dello sviluppo di Zork e della sua incredibile conversione per le umili piattaforme casalinghe dell'epoca, il sapiente Antiquario ci racconterà di quando la neonata Infocom impegnò tutte le risorse di cui disponeva per presentare la propria creatura al grande pubblico. Nel 1980 il mercato videoludico era praticamente agli albori e le avventure testuali in circolazione erano, più o meno, quelle di Scott Adams pubblicate dalla Adventure International e poco altro...niente a che vedere con Zork! Ma prima, l'imperdibile lista degli articoli del ciclo Infocom: – Come Vendettero Zork – Giochi col Parser – Esplorando Zork, Parte 1 – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Buona lettura avventurieri... e raccogliete tanti zorkmid! Festuceto |
Scott e Marc dimostrarono che Zork I poteva vivere al suo interno, avviando il gioco e riuscendo a fare dei punti con l’incantamento “N.E.OPEN.IN.” (che di certo non sono meno memorabili del “Come here, Mr. Watson; I want you!” di Alexander Graham Bell). |
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Ormai persino i lettori più distratti avranno capito cosa bolle in pentola, quale segreto si annida tra le pagine polverose di OldGamesItalia. Dopo la gloriosa traduzione di Zork I - The Great Undreground Empire, è in cantiere la localizzazione del secondo capitolo della fortunata trilogia di Infocom. E quale modo migliore di celebrarne la pubblicazione che pubblicare gli articoli del nostro Antiquario Digitale dedicati proprio alla genesi di Zork e di Infocom? Ed è per l'appunto dell'effettiva nascita di questa mitica azienda di videogiochi, agli albori dell'era dei microcomputer, che tratterà l'articolo di oggi. Ma prima, l'immancabile indice degli articoli del ciclo Infocom: – La Nascita della Infocom – ZIL e la Z-Machine – Come Vendemmo Zork – Giochi a Parser – Esplorando Zork, Parte 1 – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Buona lettura avventurieri... e portate le lanterne! Festuceto |
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Continua il ciclo di articoli dedicato alla nascita di Infocom e ai primi tre capitoli della celebre serie di Zork. Sì avete letto bene: nel corso del nostro viaggio analizzeremo i primi tre capitoli di Zork. Contrariamente a quanto annunciato nell'ultimo editoriale, non ci limiteremo ai primi due titoli della leggendaria serie Infocom, ma chiuderemo la trilogia originale, com'è giusto che sia. Pertanto considerate l'indice riportato di seguito, soltanto parziale. Sarà nostra premura completarlo non appena sarà possibile, e se proprio non potete resistere, cliccate in fondo all'articolo per fiondarvi nel blog originale del "The Digital Antiquarian" ... ma non vorrete rovinarvi la sorpresa, vero? A proposito, nel caso vi steste ancora chiedendo perché Zork sia così attuale qui su OldGamesItalia, vi consiglio di visitare attentamente la sezione "traduzioni" del nostro forum... Ecco il solito indice degli articoli: – Zork sul PDP-10 – La Nascita della Infocom – ZIL e la Z-Machine – Come Vendemmo Zork – Giochi a Parser – Esplorando Zork, Parte 1 – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 Buona lettura esploratori e ... attenti ai grue! Festuceto |
West of House This is an open field west of a white house, with a boarded front door. There is a small mailbox here. A rubber mat saying 'Welcome to Zork!' lies by the door. |
<ROOM "WHOUS" "This is an open field west of a white house, with a boarded front door." "West of House" <EXIT "NORTH" "NHOUS" "SOUTH" "SHOUS" "WEST" "FORE1" "EAST" #NEXIT "The door is locked, and there is evidently no key."> (<GET-OBJ "FDOOR"> <GET-OBJ "MAILB"> <GET-OBJ "MAT">) <> <+ ,RLANDBIT ,RLIGHTBIT ,RNWALLBIT ,RSACREDBIT> (RGLOBAL ,HOUSEBIT)>< |
1 1 YOU ARE STANDING AT THE END OF A ROAD BEFORE A SMALL BRICK BUILDING. 1 AROUND YOU IS A FOREST. A SMALL STREAM FLOWS OUT OF THE BUILDING AND 1 DOWN A GULLY. |
1 YOU'RE AT END OF ROAD AGAIN. |
1 2 2 44 29 1 3 3 12 19 43 1 4 5 13 14 46 30 1 5 6 45 43 1 8 63 |
[La sicurezza] fu infine battuta da un hacker del sistema della Digital: usando un’arcaica (non che ne sia mai esistita una diversa) documentazione dell’Incompatible Timesharing System, riuscì a capire come modificare il sistema operativo. Sapendo il fatto suo, riuscì anche a capire come funzionava la nostra modifica per proteggere la cartella del codice sorgente. A quel punto era solo questione di decriptare i sorgenti, il che ben presto si ridusse a intuire la chiave che avevamo usato. Ted non ebbe difficoltà a procurarsi il tempo che gli serviva sulla macchina: aveva appena trovato una macchina TOPS-20 che era sottoposta agli ultimi test e vi avviò un programma che tentava ogni chiave finché una non gli restituì qualcosa che aveva le sembianze di un testo. Dopo meno di un giorno di lavoro, aveva una copia leggibile del sorgente. Dovemmo ammettere che, chiunque si fosse preso la briga di fare tutto ciò, di certo se lo meritava... Tutto questo produsse altre conseguenze in seguito. |
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Per dimostrarvi quanto sono pessimo a vendere la mia mercanzia, per il mio primo post dopo il ritorno dalla pausa per la breve vacanza che mi sono concesso, intendo occuparmi di un tema astratto ed esoterico; vi parlerò di una questione assolutamente scottante: le date esatte degli eventi agli albori della carriera di Richard Garriott come game designer. Ovviamente ci sono dei motivi ben precisi se mi dedico a queste pignolerie. Il primo e più egoistico è che intendo iniziare a seguire il vecchio Richard, che probabilmente conoscerete col soprannome di Lord British, come prossimo tema principale del blog e voglio difendermi preventivamente dalle orde di fan di Ultima pronti a contestare la mia datazione degli eventi. L'altro motivo è che questo piccolo racconto che mi appresto a scrivere dovrebbe rivelarsi una buona dimostrazione del processo tramite il quale arrivo alla (mia versione della) verità storica, oltre che dei vantaggi e degli svantaggi di avere varie fonti diverse a cui attingere. Se sei uno storico, un reporter, un ricercatore, probabilmente sei già fin troppo familiare con le difficoltà di riconciliare fra loro prove credibili che si contraddicono l'un l'altra. Se non lo sei, magari, sarai comunque interessato a scoprire le fatiche a cui è sottoposto un moderno “digital antiquarian”.
La vita e la carriera di Garriott sono documentati meglio di quasi ogni altro game designer, con l'eccezione forse di una manciata di pochi altri. Oltre a un numero infinito di riviste e di biografie su internet, gran parte del libro Dungeons and Dreamers è dedicato a lui e le varie edizioni di The Official Book of Ultima di Shay Addams adulano a profusione sia lui che la sua storia. È per questo che sono rimasto così sorpreso nel non poter datare con certezza il primo gioco di Garriott, Akalabeth.
La storia di Akalabeth è stata raccontata innumerevoli volte: se ancora non la conoscete, attendete il mio prossimo post, dove tornerò a occuparmi della narrativa storica e vi rivelerò tutto nei dettagli. Per adesso però vi basterà sapere che Garriott lo scrisse sul suo Apple II nell'estate del 1979, mentre lavorava in un negozio di ComputerLand a Austin (in Texas), fra la scuola superiore (che aveva terminato quell'anno) e l'inizio dell'Università in Texas. Il suo capo vide il gioco e gli suggerì di impacchettarlo e di venderlo in negozio, cosa che Garriott fece. Nel giro di un po' di giorni una copia arrivò (probabilmente grazie alla magia della pirateria) alla California Pacific, uno dei primi principali publisher di software. Misero il giovane Richard su un aereo per la California per fargli firmare un accordo di distribuzione e così Akalabeth divenne un grande successo, vendendo 30.000 copie e fruttando a Garriott qualcosa come 150.000 dollari: un bel gruzzoletto per un ragazzo che stava per iniziare il college. Questa è la storia riportata nei due libri di cui sopra e che Garriott stesso ha ripetuto in innumerevoli interviste che risalgono letteralmente fino a decadi fa. Essendo la persona al centro di questi eventi, Garriott deve saperlo per forza. Però, appena iniziamo a scavare in altre fonti primarie, ecco che le acque iniziano a intorbidirsi.
Il metodo di gran lunga migliore che conosco per tenere traccia su base mensile di ciò che la primissima industria dei computer faceva è utilizzare le riviste di settore. Tramite quelle possiamo osservare l'introduzione dei prodotti e l'apparizione e sparizione delle varie tendenze, il tutto con delle date certe indelebilmente impresse sulle copertine. E a volte -come in questo caso- ciò che scopriamo per questa strada può stravolgere delle cronologie che ormai avevamo dato come appurate.
La rivista Softalk è una delle fonti migliori del primissimo mercato dell'Apple II. Ed è quindi sorprendente che Akalabeth non vi appaia fino al numero di Gennaio 1981. Quando vi appare, però, lo fa in grande, con una menzione centrale in un articolo dedicato alla California Pacific, una recensione, una menzione come 23° titolo più venduto nella top 30 dell'Apple II e il lancio di un concorso per dedurre la vera identità del creatore di Akalabeth, Lord British (e cioè Garriott). Anche considerando i tempi tecnici di due mesi, tipici delle riviste cartacee, tutto sembra indicare che Akalabeth alla fine del 1980 fosse ancora un prodotto nuovo (almeno a livello nazionale), oltre un anno dopo il momento in cui Gariott, secondo la letteratura ufficiale, l'avrebbe scritto. Se accettiamo questo fatto, ci restano due possibilità, entrambe le quali, in un certo senso, contraddicono la versione di Garriott. O Akalabeth non è stato pubblicato dalla California Pacific fino a un anno dopo la sua creazione (languendo nel frattempo nell'oscurità, mentre Garriott era impegnato col suo college), oppure non è stato creato nell'estate del 1979, dopo l'ultimo anno delle superiori, bensì nell'estate del 1980, dopo il suo primo anno di università. Di recente Howard Feldman ha digitalizzato una copia dell'originale Akalabeth della ComputerLand per il suo superbo Museum of Computer Adventure Game History. Tale edizione riporta un copyright del 1980, il che mi dà abbastanza sicurezza da affermare che il secondo scenario sia quello corretto: Garriott in persona, al pari delle tradizionali cronologie, sbaglia di un anno intero. In più mi trovo anche a dubitare delle vendite dichiarate da Garriott. Un articolo nel numero di Settembre/Ottobre 1982 di Computer Gaming World afferma che The Wizard and the Princess (un gioco che è stato costantemente nella top 10 di Softalk dalla fine del 1980 e per tutto il 1981, fino alla metà del 1982) aveva venduto solo 25.000 copie. È difficile immaginare che Akalabeth, che nello stesso periodo era apparso solo qualche volta in fondo alla top 30, avesse venduto quanto dichiarato.
Il che ovviamente mi spinge a chiedermi perché Garriott per così tanti anni abbia dichiarato cose che, sono quasi certo, non siano vere. E se uno che se ne va in giro chiamandosi “Lord British”, senza la minima apparente traccia di ironia, non sia certo un tipo modesto, non ho nessun elemento per dire che Garriott sia un disonesto. Anzi, in ogni intervista che ho visto, appare sempre molto affidabile ed equilibrato. E del resto fatico a trovare un motivo per cui egli dovrebbe consapevolmente falsificare le date della sua storia professionale. Se anche datare l'uscita di Akalabeth nel 1979, invece che nel 1980, lo renda ancora un po' più pioniere dell'industria, la lista dei traguardi raggiunti da Garriott è talmente lunga che non ha certo bisogno di barare. Né una pubblicazione precoce gli dà diritto a qualche particolare primato; anche se fosse uscito nel 1979, Akalabeth è comunque lontano dall'essere il primo GdR per computer e non è nemmeno così significativo se paragonato ad altri giochi tipo Temple of Apshai (un titolo molto più ambizioso e sofisticato che era stato pubblicato già nell'estate del 1979). Per quanto riguarda i dati di vendita... beh, i titoli successivi di Garriott avrebbero venduto in numeri tali che di certo non aveva bisogno di gonfiare quelli di Akalabeth per darsi maggior importanza.
Quindi, no, io non credo che Garriott ci stia volontariamente dicendo una bugia. Credo però che la memoria umana sia ingannevole. Per quanto questa moda passeggera per le neuroscienze mi infastidisca, ho trovato questo episodio di Radiolab sul funzionamento della memoria particolarmente affascinante. Descrive il ricordo come un atto di creazione immaginifica piuttosto che un mero recupero di informazioni immagazzinate e si spinge ad affermare contro-intuitivamente che più ricordiamo qualcosa, più ci rimuginiamo, più tale ricordo può farsi distorto e inaccurato. È per questo che ricorro in modo parsimonioso alle interviste dirette (l'altra ragione, ovviamente, è che la gente ha comunque di meglio da fare che parlare con me...). È molto facile per chiunque iniziare a credere alla propria leggenda, che essa abbia avuto origine nei suoi primissimi comunicati stampa oppure altrove e inserire tale versione degli eventi nella propria memoria al posto della realtà. Ironicamente ho notato che i personaggi meno osannati (come Lance Micklus) offrono solitamente i resoconti più veritieri, poiché le loro versioni del passato non sono state distorte da anni di continue ripetizioni delle medesime storie ormai profondamente radicate in essi.
In ogni caso tutto questo è comunque un esempio del processo che seguo quando cerco di arrivare alla verità storica, bilanciando le fonti l'una con l'altra e cercando di ricostruire la versione più credibile del passato. I casi più frustranti sono quelli per cui non riesco a raccogliere abbastanza prove, come nel caso della cronologia di Eamon, dove ho un creatore che si rifiuta di parlare della sua creazione, una persona di spicco (John Nelson) assolutamente certa della propria cronologia degli eventi, un singolo articolo di una rivista che sembrerebbe suggerire un'altra cronologia, ma che non lo fa in modo troppo convincente e, a parte questo, il vuoto più completo di informazioni attendibili. È in casi come questo che devo solo alzare le mani e ammettere che, semplicemente, non posso fare di meglio, il che è frustrante, perché se non posso documentare qualcosa significa che forse non potrà mai esserlo fatto.
Questo solleva una buona domanda: “e allora?”. A conti fatti non è poi di capitale importanza sapere se un game designer ha pubblicato la sua prima creazione nel 1979 o nel 1980, né se ne ha vendute 30.000 copie o solo 3.000. D'altro canto per me è però importante essere certo di queste cose e non solo per la vecchia massima, un po' abusata, secondo cui ogni cosa che merita di essere fatta, merita anche di essere fatta bene. Ormai è chiaro che “l'interactive entertainment” sarà il media che definirà il 21esimo secolo e quindi è un qualcosa che merita certamente di essere studiato approfonditamente. Coloro che scrivono di videogiochi generalmente non hanno fatto molto per questo genere: il che è un altro aspetto di un medium che sembra avere difficoltà a maturare e a comprendere fino in fondo il proprio potenziale. Qualunque sia la vostra opinione dei libri di liste, non posso fare a meno di confrontare “1001 film. I grandi capolavori del cinema”, oppure “1001 album. I capolavori della musica pop-rock internazionale”, con “1001 videogiochi da non perdere”. I primi sono ponderati, costruiti intorno ad un canone di grandi film e di grande musica che, senza pretendere di essere assoluto, è certamente difendibile; l'ultimo invece è un guazzabuglio di titoli apparentemente presi dal niente, con dei commenti che sembrano copiati direttamente dalle scatole dei giochi. Personalmente non sono nemmeno sicuro che ci siano 1001 videogiochi che “devono” essere giocati, ma di certo negli ultimi 35 anni sono state prodotte abbastanza opere buone da permetterci di rendere un po' più di giustizia al genere. Non voglio che questo post si trasformi in una filippica contro lo stato del giornalismo ludico, quindi mi limiterò a dire che penso che si possa fare di meglio nel raccontare la storia di questo medium, e che questo blog vuole essere il mio umile contributo a questa ambiziosa causa.
E poi è davvero emozionante scavare nel passato e rinvenire cose che non ci si sarebbe aspettati di trovare. Mi è già accaduto altre volte in questi mesi in cui ho condotto ricerche per questo blog, come quando ho scoperto che Scott Adams aveva scritto otto titoli della sua “classica dozzina di avventure” prima ancora della fine degli anni '70, o che il TRS-80 nei suoi primi due anni di vita aveva venduto così bene da lasciare alle altre piattaforme (incluso il leggendario Apple II) solo le briciole del mercato PC.
In altre parole: le fonti primarie hanno il sopravvento sulle altre.
E, del resto, se questo genere di cose non vi interessassero, non sareste mai arrivati a leggere fin qui e, probabilmente, non sareste nemmeno mai arrivati al mio blog. Che ne dite, quindi, se continuiamo a crogiolarci insieme in queste quisquilie?
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Non si può enfatizzare abbastanza quanto i war games e i giochi di ruolo da tavolo (e in particolare, ovviamente, Dungeons and Dragons della TSR) abbiano influenzato le prime narrative ludiche su computer. A volte tale influenza è del tutto palese, come nel caso di giochi tipo Eamon che cercavano esplicitamente di trasportare su computer l'esperienza del D&D. Altre volte però tale influenza è meno apparente.
A differenza dei tipici giochi da tavolo, o perfino dei war game, il D&D e i suoi contemporanei non erano commercializzati come prodotti singoli, ma come delle vere e proprie raccolte di esperienze, quasi uno stile di vita. Solo per iniziare a giocare con la punta di diamante, l'Advanced Dungones & Dragons, si dovevano acquistare tre grandi volumi dalla copertina rigida (Monster Manual, Players Handbook, e Dungeon Masters Guide), a cui si aggiunsero presto molti altri volumi, che descrivevano nuovi mostri, nuovi tesori, nuovi dei, nuove classi di personaggio, e nuove regole sempre più complesse per nuotare, per creare oggetti, per muoversi nelle ombre, per rubare, e -ovviamente- per combattere. Ma, soprattutto, c'erano i moduli d'avventura: avventure preconfezionate, vere e proprie narrative ludiche che potevano essere messe in scena utilizzando il sistema di gioco di D&D. Ne uscivano a dozzine, meticolosamente catalogate con un sistema alfanumerico che permetteva ai collezionisti compulsivi di tenerne traccia; una trilogia di moduli dedicati ai giganti fu etichettata da “G1” a “G3”, una serie di moduli creata nel Regno Unito fu etichettata “UK” [che sta per “United Kingdom”; ndAncient]. A parte i vari vantaggi ludici, questo sistema era indubbiamente il sogno di ogni addetto alle vendite. Perché limitarsi a vendere un solo gioco ai tuoi clienti, quando puoi incatenarli a un intero universo in continua espansione di prodotti?
La strategia di marketing della TSR (basata sulla filosofia di “un solo gioco / molti prodotti”) e il suo zelo per la catalogazione possono essere ritrovati anche fra quei primi sviluppatori di giochi per computer che non stavano provando esplicitamente ad adattare le regole del D&D ai loro mondi digitali. Scott Adams, per esempio, numerò tutte le sue avventure, arrivando così a una dozzina di giochi canonici (altre avventure, presumibilmente non scritte di proprio pugno dal maestro, furono invece pubblicate dalla Adventure International come delle specie di opere apocrife ufficiali sotto l'etichetta “OtherVentures”). I giocatori venivano incoraggiati a giocarle in ordine, visto che aumentavano gradualmente di difficoltà; in questo modo il giocatore principiante poteva affilarsi i denti con opere relativamente “forgiving” tipo Adventureland e Pirate Adventure, per poi gettarsi nei giochi successivi assurdamente difficili tipo Ghost Town e Savage Island. La On-Line Systems adottò un modello simile, sottotitolando retroattivamente Mystery House in Hi-Res Adventure #1 dopo aver pubblicato la Hi-Res Adventure #2 (The Wizard and the Princess). Il gioco successivo Mission: Asteroid, apparso all'inizio nel 1981, fu battezzato Hi-Res Adventure #0 (nonostante la cronologia delle uscite) perché era stato pensato come gioco per principianti, con un po' meno assurdità ed enigmi iniqui del solito. A tutti gli effetti queste similitudini con l'approccio del D&D erano qualcosa di più di un semplice fenomeno di marketing. Del resto entrambe le linee di giochi erano basate su motori riutilizzabili. Nello stesso modo in cui un gruppo di giocatori viveva intorno al tavolo molte avventure diverse usando le regole alla base del D&D, così le linee di avventure di Scott Adams o le Hi-Res Adventures erano essenzialmente delle regole base (il motore di gioco) applicate a molte narrative ludiche diverse.
Tuttavia, fra gli sviluppatori che abbiamo esaminato fin qui, quelli che imitavano in modo più palese il modello del D&D erano -logicamente- quelli che provenivano direttamente dalla cultura del D&D: Donald Brown con il sistema di Eamon, e le Automated Simulations, gli sviluppatori della linea DunjonQuest che era iniziata con Temple of Apshai. J.W. Connelley, il principale sviluppatore del motore dell'Automated Simulations, aveva progettato per Temple of Apshai un motore riutilizzabile che leggeva i file di dati che rappresentavano i livelli del dungeon che si esplorava. Proprio come accadde per Scott Adams e per la On-Line Systems, questo approccio da un lato rese il gioco più facile da convertire (e infatti le versioni per tutte le principali macchine del 1979 -TRS-80, Apple II, Commodore PET- furono pubblicate quello stesso anno), e dall'altro lato velocizzò lo sviluppo di nuove iterazioni del medesimo concept. Tali iterazioni furono etichettate come un set unico di esperienze, che prese il nome di DunjonQuest. Il pittoresco appellativo dalla dizione medievale fu probabilmente scelto per evitare conflitti con la litigiosissima TSR, che, oltre alle regole del D&D, stava commercializzando anche un gioco da tavolo chiamato semplicemente Dungeon!
E la Automated Systems non fece certo mancare tali iterazioni! Altri due titoli della collana DunjonQuest apparvero lo stesso anno di Temple of Apshai. Sia Datestones of Ryn che Morloc’s Tower facevano parte di quelle che la Automated Simulations chiamò MicroQuests, nelle quali gli elementi di costruzione del personaggio erano completamente assenti. Al loro posto il giocatore doveva guidare un personaggio pregenerato attraverso un ambiente molto più piccolo. Ci si aspettava che il giocatore affrontasse più volte l'avventura, cercando di conseguire risultati sempre migliori. Nel 1980 la Automated Simulations pubblicò invece il “vero” seguito di Temple of Apshai, Hellfire Warrior, che conteneva i livelli dal quinto all'ottavo del labirinto iniziato col gioco precedente. Sempre quell'anno pubblicarono anche due titoli più modesti, Rescue at Rigel e Star Warrior, le prime e uniche uscite di una nuova serie, StarQuest, che catapultava il sistema DunjonQuest nello spazio.
Almeno secondo una prospettiva moderna, c'è una sorta di dissonanza cognitiva in queste serie, se le esaminiamo nel loro complesso. I manuali spingevano molto sull'aspetto sperimentale di questi giochi, come ben dimostrato da questo estratto del manuale di Hellfire Warrior:
Quali che siano il tuo background e le tue esperienze precedenti, ti invitiamo a proiettare nel “dunjon” non solo il tuo personaggio, ma anche tutto te stesso. Ti invitiamo a perderti nel labirinto. A sentire la polvere sotto i tuoi piedi. Ad ascoltare il suono di passi non umani che si avvicinano o il lamento di un'anima persa. Lascia che l'odore di zolfo assalga le tue narici. Brucia al caldo delle fiamme dell'inferno, e gela sopra un ponte di ghiaccio. Passa le dita in un cumulo di monete d'oro e immergiti in una pozza d'acqua magica. Entra nel mondo di DunjonQuest. |
Nonostante tutto questo, nessuno di questi giochi aveva la benché minima trama. Temple of Apshai e Hellfire Warrior non hanno nemmeno una fine vera e propria, ma solo dei dungeon che si rigenerano all'infinito da esplorare e un personaggio giocante da migliorare in eterno. Mentre le MicroQuests ricompensano i giocatori solo con un insoddisfacente punteggio finale al posto di un epilogo vero e proprio. Sebbene il background narrativo del suo manuale sia ideato con un'attenzione insolita, Datestones of Ryn ha un limite temporale di soli 20 minuti, che gli dà più un feeling da gioco d'azione, giocabile all'infinito e quasi privo di contesto, piuttosto che da gioco di ruolo per computer. Invece il gameplay della serie nel suo complesso, oggi, ci balza all'occhio per le sue similitudini con i roguelike, dei dungeon crawl senza storia (o, almeno, con pochissima storia) attraverso labirinti generati casualmente. Questa però sarebbe una lettura anacronistica: Rogue, il capostipite del genere, in realtà è uscito un anno dopo Temple of Apshai.
Credo che tutte queste stranezze possano essere spiegate se comprendiamo che Jon Freeman, il principale designer dietro il sistema, stava puntando a creare un tipo di narrativa ludica diverso da quella delle avventure testuali di Scott Adams e da quella tipica della On-Line Systems. Lui sperava che, dati un background, una descrizione degli ambienti, un set di regole per controllare ciò che vi accadeva, e una buona dosa di immaginazione da parte del giocatore, dal gioco emergesse autonomamente una narrativa ludica. In altre parole, usando un termine che appartiene ad un'era molto successiva, stava tentando di creare una narrativa emergente. Per comprendere meglio il suo approccio, ho pensato di dare una breve occhiata da vicino a uno dei suoi giochi, Rescue at Rigel.
Rescue at Rigel trae ispirazione dalla classica space opera, un genere che è stato recentemente riportato in vita dal fenomenale successo dei primi due film di Star Wars [l'articolo è stato scritto nel 2011, quindi l'autore si riferisce alla seconda trilogia di Guerre Stellari; ndAncient].
Nell'arena della vostra immaginazione, non tutti i nostri eroi (o le nostre eroine!) indossano armature nere o di uno scintillante argento, né prendono a mazzate dei barbari nemici su dei moli sferzati dal vento, né affrontano dei macabri destini per mano di depravati adepti le cui arti nere erano già vecchie quando il mondo era giovane. La fantascienza ci fa viaggiare su navi stellari con nomi come Enterprise, Hooligan, Little Giant, Millenium Falcon, Nemesis, Nostromo, Sisu, Skylark, e Solar Queen. Navi che viaggiano su mari stellati, che non sono percorsi da tempeste o infestati da demoni, ma che non per questo sono meno spaventosi. Navi che ci fanno approdare su nuovi mondi impavidi le cui forme, i cui panorami e i cui suoni sono più plausibili (ma non meno sbalorditivi) di quelli sperimentati da Sinbad. |
In questo titolo il giocatore assume il ruolo di Sudden Smith, un classico ed energico eroe pulp. Sta per teletrasportarsi nella base di una razza di alieni insettoidi conosciuti col nome di Tollah, che hanno catturato un gruppo di scienziati per le loro “ricerche” e fra questi c'è anche la fidanzata di Sudden. I Tollah sono uno dei pochissimi accenni ad eventi di un mondo più ampio che troverete nei primissimi videogiochi, al di là delle opere di fantasy e science-fiction. La casta che comanda i Tollah sono gli “High Tollah”, un chiaro riferimento allo Ayatollah Khomeyni, che a quel tempo aveva recentemente preso il potere in Iran e che teneva in ostaggio 52 Americani [“High Tollah”, cioé “Alto Tollah”, si pronuncia infatti in modo molto simile a Ayatollah; ndAncient]. Gli “High Tollah” ci dice il manuale, “sono altezzosi, autoritari, intolleranti, ottusi, privi di immaginazione e inflessibili.” Alla luce di tutto questo, è palese quale sia stata l'ispirazione per questo scenario di salvataggio degli scienziati.
Il gameplay si sviluppa intorno all'esplorazione della base dei Tollah, convenientemente strutturata come un labirinto, respingendo i Tollah e i robot della sicurezza, mentre cerchiamo i dieci scienziati che vi sono tenuti in ostaggio. Si tratta sostanzialmente, come in tanti altri giochi di ruolo per computer, di un gioco di gestione delle risorse: Sudden ha un numero limitato di medikit, di munizioni, e soprattutto una riserva limitata di energia all'interno del suo zaino che deve essere usata per tutto (dallo sparare agli Tollah, fino al teletrasportare gli scienziati al sicuro). Quel che è peggio è che Sudden ha soltanto 60 minuti di tempo reale per salvare il maggior numero possibile di scienziati e teletrasportarsi al sicuro. Freeman fa di tutto per rendere il gioco un motore di eccitante narrativa emergente. Ad esempio, se Sudden finisce completamente l'energia, ha comunque un'ultima possibile via di fuga: se riesce a tornare nei 60 minuti al punto in cui lo ha depositato il teletrasporto, un altro teletrasporto automatico lo riporterà in salvo. È facile immaginarsi una situazione disperata, che pare uscita direttamente da una storia di Guerre Stellari o di Dominic Flandry, con il giocatore che torna sui suoi passi, in mezzo al fuoco dei laser, mentre il tempo scorre e i Tollah gli sono alle calcagna. Di certo ci possiamo immaginare che Freeman si fosse immaginato tutto questo.
Ma per vivere queste storie è necessaria una notevole dedizione e una fervida immaginazione da parte del giocatore, come potrà probabilmente convenire chiunque abbia osservato l'orrendo screenshot di cui sopra. Effettivamente i giochi della serie DunjonQuest sembrano proprio una sorta di ibrido fra l'esperienza di un gdr da tavolo e di uno digitale, in cui ciò che emerge direttamente dall'immaginazione del giocatore è importante quanto quello offerto dal gioco stesso. È per questo che probabilmente è stata una mossa saggia per la Automated Simulations quella di usare come target del marketing di DunjonQuest proprio i giocatori di ruolo cartaceo. Del resto loro sono abituati a rimboccarsi le maniche e a usare la loro immaginazione per inventare delle narrative soddisfacenti. La Automated Simulations pubblicizzò ampiamente DunjonQuest sulla rivista Dragon Magazine della TSR, e (con una mossa che non potrebbe essere più indicativa della tipologia di pubblico che pensavano potesse apprezzare DunjonQuest) arrivarono persino a regalare il gioco da tavolo strategico chiamato Sticks and Stones con ogni acquisto di un gioco della serie DunjonQuest.
Negli ultimi mesi del 1980 la Automated Simulations cambiò il suo nome nel meno prosaico Epyx, adottando il motto: “Computer games thinkers play” [traducibile all'incirca come “Videogiochi a cui giocano le persone che pensano”; ndAncient]. I giochi della serie DunjonQuest continuarono comunque a uscire per altri due anni. Fra le ultime pubblicazioni ci furono anche un paio di espansioni per Temple of Apshai e Hellfire Warrior, che credo siano i primi esempi del genere tra i giochi commerciali per computer. Invece l'utilizzo più strano e creativo dell'engine di DunjonQuest arrivò nel 1981 con Crush, Crumble, and Chomp!: The Great Movie Monster Game, nel quale il giocatore assumeva il controllo di Godzilla (anzi, no, di Goshzilla!), o di qualche altro mostro famoso lanciato nella distruzione di una città. Per un esame dettagliato di tutta la serie di DunjonQuest, che alla fine si compose di una dozzina di titoli, potete leggere questo articolo di Hardcore Gaming 101.
Crush, Crumble, and Chomp! fu l'ultimo lavoro di Freeman per la Epyx. Alla West Coast Computer Faire of 1980 incontrò infatti una collega programmatrice chiamata Anne Westfall e di lì a poco i due iniziarono a frequentarsi. Westfall si unì alla Epyx per un po', andando a lavorare come programmatrice su alcuni degli ultimi giochi di DunjonQuest. Lei e Freeman però ben presto si stufarono del disinteresse di Connelley nel miglioramento dell'engine di DunjonQuest. Scritto in BASIC sull'ormai vetusto TRS-80 Model I, tale engine era sempre stato tremendamente lento e ormai iniziava a sembrare davvero datato nei porting per le piattaforme più moderne e capaci. In più Freeman, un designer irrequieto e creativo, si stava annoiando delle continue iterazioni del solito concept di DunjonQuest; perfino creare Crush, Crumble, and Chomp! aveva richiesto una dura battaglia da parte sua... Alla fine del 1981 Freeman e Westfall lasciarono la Epyx per creare una casa di sviluppo indipendente, la Free Fall Associates, della quale avrò molto altro da dire in futuro. E, dopo un paio di ultime pubblicazioni per DunjonQuest, la Epyx si trasformò da “Computer games thinkers play” in qualcosa di molto diverso, e anche di questo avrò molto da dire in futuro. Con incassi buoni, ma mai enormi, neppure al massimo del proprio splendore, i giochi della serie DunjonQuest sfiguravano abbastanza nel confronto con la nuova generazione di giochi di ruolo per computer, dei quali -come avrete immaginato- avrò molto altro da dire in futuro.
Se volete sperimentare l'esperienza di DunjonQuest, posso fornirvi un pacchetto con un immagine per Apple II che include Temple of Apshai, Rescue at Rigel, Morloc’s Tower, e Datestones of Ryn, oltre ai relativi manuali.
La prossima volta inizieremo a esplorare un'opera con una profondità tematica senza precedenti, che fa già drizzare tutte le mie antenne di studioso di letteratura.
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Dopo che Roberta lo aveva convinto della bontà del progetto Mystery House , Ken -come era tipico di lui- vi si buttò a testa bassa. In un solo mese (durante il quale Ken mantenne il suo lavoro a tempo pieno) i due implementarono Mystery House nella sua interezza, inclusi il design, la scrittura, le illustrazioni, e la programmazione (fatta al 100% in linguaggio assembly per avere massima velocità ed efficienza, in un'era in cui perfino la maggior parte del software commerciale era ancora sfrontatamente programmato in BASIC). Adesso non gli restava che decidere che farsene.
Quando Scott Adams aveva creato Adventureland quasi due anni prima, praticamente tutto il software per i microcomputer veniva commercializzato direttamente dai programmatori/imprenditori che lo avevano creato, attraverso annunci pubblicitari fatti da loro stessi e collocati nei negozi di computer, nei gruppi degli utenti, e nelle riviste, oppure attraverso organizzazioni semi-professionali tipo il TRS-80 Software Exchange. Adams all'epoca ebbe ben poca scelta, se non arrangiare una confezione con biglietti da visita e buste del latte in polvere, e... accontentarsi. A quel tempo invece i publisher (non ultima anche la Adventure International dello stesso Adams) stavano già rendendo più professionale l'industria del software per microcomputer. L'industria era ancora piccola, ma cresceva rapidamente, garantendo molte più opzioni agli sviluppatori che -come Ken e Roberta- avevano dei nuovi prodotti da commercializzare. Il publisher più grande degli albori del mercato dell'Apple II si chiamava Programma International (uno degli aspetti più ironici di questi primissimi publisher era la loro passione per quell'ambizioso “International”, nonostante la loro industria esistesse ancora praticamente solo all'interno degli U.S.A.). Oltre a una interessante raccolta di strumenti per la programmazione e la produttività, Programma International pubblicava anche un gran numero di giochi. Capirono subito il potenziale di Mystery House, appena Ken e Roberta glielo ebbero mostrato. Offrirono loro delle royalty del 25%, promettendo ai due che col gioco avrebbero potuto facilmente guadagnare 9.000 dollari entro la fine dell'anno.
Ken e Roberta dissero "no grazie". Per capire il perché, dovete ricordarvi che tipo di persona fosse Ken: ambizioso, determinato, e sfrontatamente concentrato sui... risultati di bilancio. Aveva già registrato una società chiamata On-Line Systems quando aveva iniziato a progettare il suo compilatore FORTRAN; perché non vendere il gioco direttamente, tenendosi tutta la torta? A rendere l'idea ancora più allettante, c'era anche un suo amico che aveva un semplicistico gioco di sparo chiamato Skeet Shoot che avrebbe lasciato commercializzare a Ken. Con due prodotti pronti da vendere, la On-Line Systems vide i natali all'inizio del Maggio del 1980. Immaginando che quel che andava bene per rapitori e assassini sarebbe andato bene anche per loro, Ken e Roberta realizzarono dei volantini ritagliando lettere e parole dalle riviste, incollandole su un cartoncino, e fotocopiando il tutto. Con 100 dischetti vuoti, dei sacchetti Ziploc come confezione, e un paio di annunci sulle riviste... erano già in affari!
Qualche mese fa ho preso un po' in giro Scott Adams per essersi preso il merito sul suo sito di aver “avviato l'intera industria multimiliardaria dei giochi per computer”. La cosa buffa è che in un certo senso Ken e Roberta potrebbero affermare la stessa identica cosa e a maggior diritto. Lasciate che vi spieghi.
Avendo deciso di procedere autonomamente, la prima strategia di vendita di Ken e Roberta fu quella di recarsi in tutti i negozi di computer locali che conoscevano per mostrare personalmente i loro prodotti. Per fortuna ce ne erano un bel po' (all'epoca Ken e Roberta vivevano nella Simi Valley in California, vicino alla piana di Los Angeles). Ken chiese al suo fratello più piccolo, John dell'Univesità dell'Illinois, di fare lo stesso. John non ne sapeva niente di computer e rimase molto sorpreso nello scoprire che il nuovo prodotto di Ken era un gioco, perché considerava Ken uno “stacanovista cronico” che “non si era mai divertito un solo minuto in tutta la sua vita”. Come ha raccontato nel numero del decimo anniversario della rivista aziendale della Sierra, John ben presto si ritrovò a fare il venditore ambulante dei prodotti della On-Line Systems in tutti i negozi di computer della nazione:
Quando visitavo un negozio di computer, che fosse a Peoria in llinois o a New Orleans in Louisiana, il gioco era sempre un successo. E non aveva nessuna importanza il fatto che fossi costretto a dare il dischetto al negoziante a cui stavo cercando di venderlo, perché non sapevo nemmeno come avviare un gioco in BASIC... Uscivo dal negozio sempre e comunque con un ordine. La sensazione è che Roberta e Ken avessero scritto un gioco che tutti i proprietari di un Apple (e noi sapevamo che ce ne erano almeno 50.000) volevano assolutamente giocare. |
Al tempo erano nate, o stavano nascendo, decine di publisher e c'erano qualcosa come 1.200 negozi di computer in attività nella nazione, desiderosi di avere nuovi programmi da vendere ai loro clienti. Quel che mancava era un modo per connettere i due gruppi – mancavano i distributori. Le società di software come la Adventure International erano costrette ad accettare ordini direttamente da centinaia di rivenditori singoli. Il profilo online del distributore di software Merisel descrive i problemi che ciò creò:
Nel 1980 l'industria del software per computer era ancora nella sua infanzia. I programmi venivano scritti principalmente da appassionati di computer all'interno di negozi gestiti da un solo esercente, e ciò veniva fatto più per amore che per denaro. Far arrivare questi software ai circa 1.200 gestori di negozi di computer era, a dir poco, una questione di... caso. Ad esempio, se chi aveva scritto il software andava in vacanza, la “fabbrica” chiudeva e le spedizioni si fermavano. E decidere quale software comprare era ancora più complicato. Circa il 95% del software per personal computer veniva venduto in negozio, ma ben pochi di questi negozianti erano in grado di provare e selezionare ciò che vendevano dall'immensa quantità di programmi disponibili. |
Ken, indiscutibilmente una mente astuta, intrecciò rapporti con Adams e con molti altri publisher per iniziare a distribuire i loro giochi (fra l'altro credo che sia proprio questa la fonte della strana affermazione rilasciata da Adams nel corso dell'intervista per l'eccellente documentario Get Lamp di Jason Scott -e ripetuta anche da Jason stesso in un suo vecchio commento su questo blog- secondo cui Ken Williams in un certo senso avrebbe iniziato la sua carriera come “venditore” [“salesman”] per conto della Adventure International). Sopraffatto dal dover operare contemporaneamente come publisher, come distributore, e come sviluppatore, dopo pochi mesi Ken vendette il ramo della distribuzione a Robert Leff (un collega che conosceva da quando faceva il programmatore su commissione) per la cifra insolitamente bassa di 1.300 dollari. Dal canto suo Leff trasformò quel ramo nella SoftSel, un colosso che arrivò a dominare da dietro le quinte il mercato della vendita al dettaglio del software, capace di innalzare o distruggere un publisher (se non perfino un'intera piattaforma) sulla base dei titoli che sceglieva e dell'impegno che intendeva mettere nella loro commercializzazione. Leff, un nome che anche all'epoca ben pochi conoscevano al di fuori del mondo dell'industria del software, divenne una delle figure più potenti del mondo dei computer degli anni '80. La SoftSel cambiò nome nel 1990, diventando la Merisel di cui sopra.
In questi sviluppi c'è però un retrogusto amaro. Creando la SoftSel, Ken e Leff in sostanza hanno fatto sì che nessun hacker in futuro potesse realisticamente più fare quello che Ken e Roberta, Scott Adams, Lance Micklus, e tanti altri insieme a loro, avevano fatto: creare delle aziende sane partendo dalla cucina di casa o dal garage, e basandosi unicamente su delle nuove idee e sul proprio talento per la programmazione. Alla lunga la stretta sull'industria di distributori come la SoftSel, e i giganteschi publisher conservatori (che essi aiutavano e foraggiavano), sarebbe stata accusata di mancanza di innovazione e dell'adolescenza, apparentemente perpetua, di tutto il settore dei computer e dei videogiochi; una situazione che solo recentemente [l'articolo è del 2011] ha iniziato a essere corretta con la crescita della distribuzione online. Allo stesso tempo, tuttavia, l'industria del software del 1980, in rapida espansione, semplicemente aveva bisogno di una SoftSel, per portare efficacemente il software nelle mani dei sempre più numerosi consumatori, in quei tempi di modem a 300-baud e di telecomunicazioni primitive. Nel comprendere questo, e nel compiere dei passi in questa direzione, Ken probabilmente ha plasmato di più il futuro di quanto non avrebbe fatto in tutti i suoi successivi sforzi con la On-Line Systems (che, come tutti sanno, sarebbe stata presto ribattezzata Sierra). Possiamo segnare questo come l'ultimo gigantesco passo verso la professionalizzazione del software, con tutto ciò che di bene e di male esso comporta.
Ma possiamo segnarlo anche come un ulteriore esempio della sagacia di Ken. Al di là di Bill Gates, non conosco nessun altro esponente degli albori del mondo PC che combinasse in sé un tale acume tecnico con un tale istinto per gli affari. La sua influenza è tanto più significativa se pensiamo quanto in ritardo è partito rispetto agli altri, essendo entrato a far parte della partita solo nel 1980. E, credetemi, c'è molta altra roba significativa che porta l'impronta di Ken... solo che ancora non ci siamo arrivati!
Ma torniamo a Mystery House, che se la cavava davvero bene. Steven Levy scrive: “Ken e Roberta fecero undicimila dollari quel Maggio. A Giugno ne fecero ventimila. A Luglio, trentamila.” (senza dimenticarci che si parla di dollari del 1980!). Fu allora che Ken lasciò il suo lavoro e che i Williams iniziarono a prepararsi a fare le valigie e realizzare il sogno di una vita: vivere in campagna (e in particolare nella piccola cittadina di Coarsegold, non lontano dallo Yosemite National Park). Nel frattempo, avendo incluso il loro numero di telefono con Mystery House, entrambi passavano ore al telefono distribuendo suggerimenti e consigli ai giocatori frustrati.
Nel mezzo di tutta questa frenetica attività, Ken e Roberta stavano lavorando sodo anche su un nuovo gioco, che consolidasse la posizione della On-Line Systems nell'industria. Mystery House, con le sue immagini, aveva cambiato tutto, ma -diciamocelo sinceramente- quelle immagini non erano poi così belle. Il loro prossimo gioco avrebbe rimediato, aggiungendo i colori all'equazione.
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
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Mystery House è, secondo il canone, la "prima avventura grafica". Per capire se questa affermazione è corretta, il primo passo è stabilire cos'è un'avventura grafica.
Oggi il termine è generalmente utilizzato per riferirsi ai giochi controllati tramite mouse, nei quali l'utente manipola l'ambiente cliccando sugli "hotspot" di un'immagine (che rappresenta il luogo in cui si trova il suo avatar). Questa però è più un'impostazione di base del genere che una vera e propria definizione; e infatti ricadono generalmente nella categoria anche altri tipi di interazioni. Urge quindi fare di meglio. E, soprattutto, dobbiamo stare particolarmente attenti nel decidere dove collocare il confine fra avventura grafica e avventura testuale. Infatti, qualche anno dopo il punto in cui siamo arrivati con questo blog (1980), sarebbero uscite molte avventure testuali che accompagnavano le proprie descrizioni testuali con delle immagini. Queste immagini non erano però interattive, tanto è vero che spesso erano anche completamente opzionali: il purista poteva semplicemente disattivarle e giocare in modalità completamente testuale, senza alcuna conseguenza. Giochi di questo tipo tuttavia sono meglio definiti come avventure testuali illustrate piuttosto che come avventure grafiche. Quest'ultimo termine implica infatti che la grafica sia essenziale per l'esperienza di gioco, e non una semplice aggiunta ausiliaria. Già questo, a ben vedere, può essere un buon inizio di definizione. A questo aggiungiamo che la grafica dovrebbe essere interattiva, oggetto cioè di manipolazione da parte del giocatore e non delle semplici illustrazioni “da libro delle fiabe”.
Proviamo così:
Un'avventura grafica è una forma di narrativa ludica che ha molte similitudini con l'avventura testuale (anche detta interactive fiction), e all'azione basata sui riflessi favorisce gli enigmi e lo sviluppo della storia. Tuttavia il giocatore e il programma comunicano fra loro principalmente attraverso immagini, invece che attraverso il testo. Queste immagini sono tendenzialmente interattive -sono cioè oggetto di manipolazione da parte del giocatore- e essenziali all'esperienza dell'opera.
Dati questi requisiti, il mio primo istinto dopo averlo ripreso in mano dopo tanti anni è stato quello di scartare al volo l'idea che Mystery House potesse essere la prima avventura grafica. Era evidente -pensavo- che fosse la prima avventura testuale illustrata (il che di per sé sarebbe stata comunque un'evoluzione significativa!), il cui nucleo principale era però ancora quello di una “semplice” avventura testuale. Cavolo, se mi sbagliavo! Mystery House salta a piè pari il passo logicamente successivo del genere (l'avventura testuale illustrata, appunto) per fare qualcosa di molto più audace: gran parte del nucleo dell'esperienza si gioca infatti non a livello testuale ma a livello grafico.
Lasciate che vi faccia vedere cosa intendo. Qui siamo all'inizio del gioco, appena entrati nel salone d'ingresso della magione.
Sei in un salone d'ingresso. Alcune porte conducono a est, ovest e sud. Una scalinata sale verso l'alto. |
Quella nota in basso a sinistra (molto convenientemente etichettata “NOTA” a caratteri giganti) non viene descritta da nessuna parte nel testo: sappiamo che esiste solo attraverso l'immagine.E adesso osservate cosa accade quando la raccogliamo.
Sparisce! Queste non sono semplici immagini statiche, ma è vera grafica interattiva. E, quando leggiamo la nota, ancora una volta le conseguenze non appaiono nel testo, ma nella parte di schermo dedicata alla grafica.
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E poi, se portiamo la nota altrove e ce la lasciamo, essa appare immediatamente nella scena in cui la lasciamo.
Per quanto oggi ci venga da ridere di fronte alle immagini stilizzate che sembrano scarabocchi di bambini, questa era roba notevole, davvero notevole all'epoca. Qui i Williams stavano sviluppano il prototipo di un nuovissimo paradigma dei giochi d'avventura, quando le avventure testuali erano ancora nella loro infanzia! La sola novità tecnologica poteva vendere molte migliaia di copie!
Il che è una vera fortuna, perché il gioco vero e proprio non è niente di più di quello che ci possiamo aspettare, considerando l'inesperienza di Roberta. È una specie di giallo, ma un giallo stranamente statico; appena abbandoniamo il salone d''ingresso, cinque delle sette persone che vi abbiamo incontrato vengono immediatamente sparse per la casa sotto forma di cadaveri, senza darci alcuna possibilità di evitarne la morte. Possiamo solo ispezionare tutto spostandoci attraverso i passaggi segreti e i labirinti tipici dei giochi d'avventura, finché non ci ritroviamo allo scontro finale con l'assassino (la cui identità è sempre stata palese): non c'è nessun giallo da risolvere, a meno che contare chi è vivo e constatare chi (all'apice dell'avventura) sta cercando di ucciderci non significhi risolvere un giallo. The Count, che all'epoca era ancora il paradigma della narrativa ludica dinamica, non aveva assolutamente nulla da temere. E infatti, quasi che lei stessa avesse dei dubbi sul genere scelto, Roberta ci infila dentro anche la sotto-trama della caccia al tesoro attraverso l'indizio della nota di cui sopra, riportandoci così sul terreno delle avventure più tradizionali. L'effetto finale rende Mystery House un piccolo gioco spietato e un po' macabro, che nella sua assurdità esibisce un certo humour nero: ce ne andiamo in giro scoprendo un cadavere dietro l'altro, ma (in pieno stile da vero protagonista di un gioco d'avventura) non ci lasciamo minimamente distrarre da tutto ciò nella nostra caccia ai gioielli.
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La grafica a volte crea dei problemi perfino peggiori di quelli tipici del periodo, fra cui anche quello che forse è uno dei labirinti più crudeli mai visti in un gioco d'avventura. Perfino la navigazione “normale” è una lotta continua: le istruzioni del gioco ci dicono che il nord è tipicamente nella parte alta dello schermo, il sud in basso, ecc., ma poi il gioco stesso viola queste linee guida da subito (anzi, letteralmente dalla prima schermata!). Il risultato è che non siamo mai veramente sicuri di quale sia la direzione verso cui siamo voltati e quindi non è mai possibile orientarsi correttamente. Non che questo ci potesse essere particolarmente utile: questo è un gioco d'avventura classico, in cui nessuna location è allineata correttamente con le altre, nemmeno fosse la creazione di un architetto Vittoriano con una passione per M.C. Escher!
In particolare la sala da pranzo è un'autentica sala degli orrori da esaminare in dettaglio.
L'oggetto sul tavolo è una candela, disegnata in modo un po' rozzo ma tutto sommato identificabile. Quella... cosa... triangolare sulla parete in fondo dovrebbe rappresentare un foro nella parete che, senza nessuna ragione apparente, dovrebbe contenere una chiave essenziale per proseguire. Se proviamo a interagire con il foro mentre trasportiamo la candela o i fiammiferi accessi, inciampiamo immediatamente, incendiando il tappeto e morendo, a meno che non si abbia con noi una brocca d'acqua e che non si azzecchi, in un singolo turno, la sintassi necessaria per usarla sul fuoco.
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Dimenticavo: stavolta il nord è a sinistra e il sud è a destra, ma ovviamente l'unico modo per scoprirlo è provando e sbagliando.
Uno degli “enigmi” principali consiste nello spostare (con il comando TO MOVE) un armadietto in cucina, senza che ci sia nessuna ragione apparente per farlo e nonostante il gioco fino a quel momento avesse cocciutamente negato di conoscere quel verbo.
Dietro, la parete è stata chiusa con dei mattoni. |
Dopo essersi aperti la strada oltre l'apertura murata che abbiamo appena scoperto, nel vecchio passaggio segreto in disuso, troviamo (in modo del tutto illogico) una vittima appena assassinata. E la mimesi va a farsi benedire.
In conclusione: no, Mystery House non è un grande gioco... Anzi, a tratti ci appare come un'esilarante collezione dei peggiori cliché dei giochi d'avventura. Tuttavia, alla luce della sua genealogia e delle sue innovazioni formali molto concrete, probabilmente mi sono già dilungato fin troppo sui suoi numerosi errori. La maggior parte dei suoi contemporanei non erano poi molto meglio, e non stavano nemmeno inventando un paradigma di giochi di avventura completamente nuovo (certo, dall'altro lato però potrei rimproverare a Roberta il fatto di aver continuato a progettare enigmi altrettanto pessimi per molto tempo ancora, quando ormai avrebbe dovuto aver imparato a fare di meglio – ma questo è materiale per post futuri...).
Se volete provare di persona Mystery House, vi suggerisco assolutamente di considerarlo un pezzo di storia, piuttosto che una vera e propria esperienza di gioco o di narrativa. In altre parole: usate una soluzione, che vi permetterà di ridere (invece che di piangere) di fronte alle sue assurdità.
Il modo migliore di giocarci è tramite Java sul Virtual Apple II website.
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto
Articoli precedenti:
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Ci sono due tipi di "professionisti del computer". Innanzitutto ci sono gli hacker puri, che si tuffano in abissi di circuiti, sistemi operativi e linguaggi di programmazione come fossero esploratori di terre incognite; non era certo un caso che lontano dai computer Will Crowther fosse uno speleologo, né che oggi passi il suo tempo facendo immersioni di profondità. Per gli hacker puri la ricompensa di ciò che fanno è la cosa in sé: imparare a capire e a navigare in questo mondo delle meraviglie binarie per poi un giorno fare (o contribuire a fare) qualcosa di davvero nuovo e figo. L'altro gruppo invece è composto da coloro che ambiscono a fare carriera. Queste persone finiscono a lavorare nel settore per una serie motivi anche molto diversi fra loro: c'è chi è in cerca di un buon stipendio per mantenere la famiglia (e non c'è nulla di cui vergognarsi); c'è chi ha sentito dire che i computer sono “cool” e che saranno la “next big thing” (ciao, bolla di internet!); c'è chi ha una visione di una società in cui i computer agiscono da facilitatori delle nostre azioni (ciao, Steve Jobs!), c'è chi vuole semplicemente diventare molto, molto ricco (ehi, che ci fa Steve nascosto in un angolo sperando di non essere visto? Ciao!). Una sola cosa tiene unito questo gruppo così eterogeneo di persone: essi non sono attratti verso i computer da un interesse intrinseco per le macchine, quanto piuttosto da fattori esterni, da una visione di ciò che quelle macchine possono fare per loro o per gli altri. I due gruppi ci appaiono spesso (e loro stessi credono di esserlo) in contrasto fra loro, ma la verità è che ognuno dei due ha bisogno dell'altro. Prendete per esempio il dinamico duo di Woz e Jobs che ha costruito l'Apple II e lo ha portato alle masse. O prendete Ken e Roberta Williams, la coppia che negli anni '80 dominava il mondo dei giochi d'avventura.
Ken e Roberta si sono sposati nel 1972. Lui all'epoca aveva solo 18 anni; lei 19. Lui stava frequentando la California Polytechnic Pomona University, per un diploma in fisica che non riusciva a conseguire; lei passava le giornate in casa senza fare niente di particolare. Contrariamente a quello che forse state pensando, Ken non aveva avuto bisogno di usare il fucile: lui semplicemente voleva Roberta nella sua vita ed era pronto a tutto per tenercela, per sempre. Steven Levy riporta che le parole che lui le aveva detto erano state molto semplici: “Sposiamoci e via”. Lei “non si era opposta”. E questo dovrebbe già rivelarci molto sulla personalità dei due.
A un anno circa dal loro matrimonio Ken (che all'epoca era un giovanotto irrequieto, motivato, e un po' aggressivo, che -con la sua visione del mondo gerarchica e le sue teorie astratte- non aveva nessun vero rispetto o interesse per un'educazione di livello superiore) capì che non si sarebbe mai laureato in fisica, e men che mai sarebbe stato un fisico. Nel frattempo Roberta aspettava già un figlio. Ken doveva trovarsi un lavoro, e in fretta anche.
All'inizio degli anni '70 l'industria dei computer istituzionali si stava avvicinando al suo picco, fornendo migliaia di mainframe e di minicomputer al mondo delle imprese, delle università, delle scuole pubbliche e private, dell'amministrazione pubblica e dei dipartimenti di ricerca. Ci siamo già imbattuti in numerose delle principali società dell'epoca (IBM, DEC, HP), ognuna delle quali serviva un suo settore strategico di questo immenso mercato, competendo poi con le altre ai margini. Un'altra di queste società era la Control Data Corporation. Fondata nel 1957 da un gruppo di ex dipendenti di una società ancora più vecchia, la Sperry, la CDC agli inizi degli anni '70 si era costruita una reputazione come produttore di prestigiosi e costosi super-computer, di quelli usati in quegli ambiti scientifici che richiedevano la massima potenza di calcolo. Il mercato dei super-computer però era decisamente piccolo e quindi il grosso del giro d'affari della CDC proveniva comunque dalla sua linea di mainframe più comuni, che erano in competizione diretta con la IBM nel settore “corporate business”. Per ritagliarsi un posto all'ombra del ben più potente rivale, la CDC si affidò alla “regola del 10%”, secondo cui ognuno dei loro sistemi sarebbe dovuto essere il 10% più veloce e il 10% meno costoso dell'equivalente modello della IBM. Per un certo numero di anni questo approccio si rivelò molto buono per la CDC, al punto che la società aprì una piccola scuola aziendale per formare i futuri custodi dei propri sistemi. Armato di un prestito per studenti da 1.500 dollari, ottenuto grazie alla garanzia di un suocero molto preoccupato, Ken entrò al Control Data Institute. Nel farlo confermò uno stereotipo valido ancora oggi nell'industria dei computer: gli hacker puri vanno all'università e conseguono lauree in informatica; chi invece ambisce solo a far carriera frequenta le scuole aziendali e consegue certificati in qualcosa di "pratico”.
C'è da dire che l'atmosfera del CDI non assomigliava nemmeno lontanamente a quella di spensierata esplorazione intellettuale che dominava i laboratori di informatica del MIT o di Berkley. L'enfasi era tutta posta sull'inculcare negli studenti le procedure e i compiti ripetitivi necessari per mantenere e gestire i grandi mainframe “da batch-processing” della CDC installati nelle banche e nelle altre grandi entità burocratiche. Il che andava bene a Ken, affamato com'era di un carriera nel mondo degli affari... più che bene. Dove un hacker del MIT avrebbe visto solo un lavoro intollerabilmente noioso e ripetitivo, lui vedeva soldi da guadagnare. E quando scoprì che era anche piuttosto bravo con questa roba informatica (e che, entro certi limiti, ci si divertiva pure) la cosa non fece che accrescere il potenziale guadagno.
Una volta terminato il suo lavoro alla CDI, Ken passò il resto degli anni '70 vivendo una vita che oggi associamo tipicamente alla decade successiva: saltando da una società all'altra in cerca di stipendi sempre più alti e destreggiandosi al contempo fra due o tre lavoretti autonomi di consulenza. Con i computer che erano ancora degli oggetti misteriosi, quasi occulti, per la maggior parte delle persone, un giovanotto energico, ambizioso, e con una buona parlantina come Ken poteva andare lontano anche con quel poco di conoscenze che aveva appreso alla CDI. E, mentre le sue conoscenze crescevano e diventava un programmatore e un risolutore di problemi informatici sempre più bravo grazie alla migliore di tutte le insegnanti (l'esperienza diretta), Ken sembrava sempre di più uno che faceva i miracoli e così si ritrovò a essere sempre più richiesto. In altre parole Ken stava diventando un hacker dannatamente bravo, nonostante il punto da cui era partito. Ma lui ha sempre voluto di più: un nuovo idromassaggio, una casa più grande, una macchina più bella, una casa in campagna – il tutto senza mai smettere di sognare di ritirarsi da giovane, lasciando una fortuna ai suoi figli (e c'è da dire che tutto questo effettivamente accadrà davvero, anche se non nel modo in cui Ken se lo poteva immaginare negli anni '70). Ken non si vergognava del suo materialismo. “Credo che la cupidigia” ebbe a dire in seguito a Levy “mi descriva meglio di ogni altro termine. Io voglio sempre di più.”
Quando nel 1975 apparvero i primi computer da assemblare tramite kit, che potevano essere costruiti in casa dall'utente finale, Ken quasi non se ne accorse. Con quelli non c'era da guadagnare -credeva-, a differenza dei suoi mainframe grandi e noiosi. Quando la trinità del 1977 segnò l'arrivo di un PC che non doveva essere saldato per poter essere assemblato, Ken continuò a non prestare attenzione. Fu solo un paio di anni dopo che, con l'avvio di un vero mercato pagante per software aziendale professionale (rappresentato da applicazioni pionieristiche come VisiCalc e WordStar), Ken iniziò a prestare attenzione a quelle piccole macchine “giocattolo”. E quando finalmente nel Gennaio del 1980 acquistò un Apple II, lo fece per un motivo molto specifico.
All'epoca chi volesse programmare sull'Apple poteva scegliere fra due soli veri linguaggi: si poteva usare il BASIC, che era facile da imparare e da iniziare ad utilizzare, ma che rapidamente diventava un incubo se si cercava di strutturare programmi grandi e complessi; oppure si poteva usare il linguaggio assembly, che garantiva il massimo controllo sull'hardware, ma che era anche quasi impenetrabile per i principianti, tedioso a causa del grande lavoro di supervisione complessiva che richiedeva, e non meno privo di struttura del BASIC. Ken intravide uno spazio per un linguaggio di alto livello, più sofisticato, che potesse essere utilizzato da veri programmatori per creare software complesso. E, in particolare, voleva portare sul piccolo Apple II il FORTRAN, che era anche il linguaggio in cui era stato implementato l'originale Adventure (non che Ken, con ogni probabilità, lo sapesse o gliene fregasse qualcosa). Con questo scopo in mente, registrò una società tutta sua, scegliendo di chiamarla On-Line Systems, un esempio abbastanza tipico dei nomi vagamente futuristici, vagamente composti da parole diverse, ma anche essenzialmente senza alcun significato (vedi Microsoft...) che andavano tanto di moda in quegli anni.
Ma Roberta cosa faceva in quegli anni? Beh, stava crescendo i due eredi dei Williams e stava felicemente (almeno agli occhi di un osservatore esterno) rivestendo il ruolo della casalinga. Del resto aveva sempre avuto una personalità tremendamente timida e passiva, che per sua stessa ammissione “a stento le consentiva di fare una telefonata”. Se Ken sembrava già vivere nei frenetici anni '80 invece che nei pacati '70, Roberta sembrava molto più adatta agli anni '50: una moglie affettuosa che si prende cura dei pargoli e si assicura che tutti in famiglia abbiano una buona colazione, un buon pranzo, e una buona cena, rimettendo docilmente tutte le grandi decisioni e l'onere del sostentamento all'uomo di casa. Il che rende ciò che accadrà subito dopo doppiamente sorprendente!Poco prima che Ken ebbe comprato il suo primo Apple, mentre il secondogenito dei Williams aveva solo otto mesi, Ken si ritrovò con un terminale remoto in casa per uno dei suoi lavoretti secondari. Il mainframe al quale si connetteva aveva sopra una copia di Adventure, che ormai a quei tempi era già stato convertito per una grande varietà di piattaforme oltre il PDP-10. Ken chiamò Roberta per farle vedere quella che lui considerava poco più che una curiosità. Roberta però ne fu immediatamente colpita. “Iniziai a giocarci e continuai a giocarci. All'epoca avevo un figlio piccolo, Chris, di appena 8 mesi; lo ignoravo completamente. Non volevo intralci. Non volevo smettere nemmeno per preparare la cena.” Mentre Ken si chiedeva cosa fosse successo alla sua diligente moglie, Roberta stava alzata quasi tutta la notte a giocare, per poi restare sveglia a letto per lavorare di fantasia sugli enigmi. Fu un sollievo per tutti quando, dopo un mese di sforzi, finalmente finì il gioco.
Ma il sollievo non durò molto. Dopo che Ken ebbe portato l'Apple II a casa, non ci volle molto perché Roberta scoprisse le opere di Scott Adams. Ben presto riprese a giocare in modo ossessivo. Ma poi un altro pensiero si sovrappose ai rompicapo dei giochi: e se scrivesse un'avventura testuale tutta sua? Con questa domanda Roberta stava svoltando l'angolo della più grande ispirazione che può cogliere un individuo: immaginarsi come creatore piuttosto che come semplice consumatore passivo. Ispirata prevalentemente dal romanzo di Agatha Christie Dieci Piccoli Indiani e dal gioco da tavolo Cluedo, iniziò a buttare giù delle idee per un'avventura testuale che fosse un classico giallo, un genere ancora inesplorato dalla forma. Quando ebbe le idee abbastanza chiare, fece un profondo respiro e le presentò a Ken.
Il concept della storia era certamente innovativo, ma non era il tipo di innovazione che poteva attrarre all'istante un tipo come Ken, ben poco interessato alle astrazioni del game design. A impressionarlo erano piuttosto i prodotti che potevano essere venduti, operando allora intuitivamente secondo quella regola che successivamente (per il meglio e forse, a volte, per il peggio) avrebbe codificato e soventemente ripetuto: “I giochi devono avere un 'fattore WOW'. Se non dici 'wow' quando il gioco ti viene presentato, o se non lo riconosci come tale da 3 metri di distanza, allora il gioco non deve essere messo sul mercato". Perso dietro al suo software FORTRAN e influenzato dalla sua precedente esperienza lavorativa (dove i computer erano solo dei seri strumenti d'affari), Ken fu inizialmente sprezzante nei confronti del piccolo progetto di Roberta. Ma poiché lei insisteva, e poiché iniziò a notare che delle società come la Adventure International stavano crescendo rapidamente e stavano facendo dei soldi veri proprio come le software house “serie”, Ken iniziò a ripensarci. Ma, nonostante questo, gli serviva ancora qualcosa di speciale, un qualcosa che aiutasse i loro piccoli giochi a distinguersi dai prodotti simili presenti nella linea ormai affermata dei giochi di Scott Adams.
Iniziò a pensare all'Apple II, con i suoi relativamente enormi 48 kB di RAM, i suoi floppy disk veloci e affidabili, e la sua capacità di grafica bitmap. E se avessero progettato il loro gioco intorno alle capacità uniche di quella macchina, piuttosto che seguire l'approccio da “minimo comune denominatore” (che consentiva la massima portabilità) tipico di Adams? E così si passò alla fase di brainstorming: avrebbe potuto usare la modalità hi-res dell'Apple per includere delle immagini insieme al testo. Questo sì che avrebbe distinto i loro giochi. Ben presto si dimenticò del FORTRAN e senza indugi iniziarono i lavori su Mystery House (il primo titolo della linea “Hi-Res Adventures” della On-Line Systems). Il team marito-moglie non era poi troppo diverso da quello di Woz e Jobs. Qui Roberta progettava la cosa per la sua intrinseca fascinazione verso la cosa stessa, mentre Ken dava concretezza ai suoi sforzi, fornendo gli strumenti e il supporto necessari per dare vita alla visione della moglie e -in poco tempo- trovando dei modi per vendere quella visione alle masse.
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
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Detectiveland è un'avventura testuale classica, vincitrice dell'IFComp 2016 (e con una media decisamente alta). Il suo autore, Robin Johnson, ha scritto anche The Xylophoniad, Draculaland, e numerosi altri titoli interessanti di narrativa interattiva.
Detectiveland si fa notare innanzitutto per la sua bellissima interfaccia touch, che permette di giocare senza utilizzare la tastiera. Ottimizzata anche per i dispositivi mobili, rende benissimo sui tablet più grandi (perfetto su iOS).
Come i più attenti avranno già notato, l'interfaccia proprietaria è un'evoluzione di quella introdotta con Draculaland.
Il look dell'interfaccia è perfino troppo "stiloso", e a volte quasi distrae dal testo. Ma è un ottimo biglietto da visita, capace di rendere il titolo accessibile anche ai novizi del genere. Completa il tutto l'azzeccatissimo effetto sonoro della vecchia macchina da scrivere, che ci accompagnerà per tutto il gioco, facendoci calare nell'atmosfera anni '20 del gioco.
All'interfaccia si aggiunge un comparto musicale di tutto rispetto, capace di accompagnare il giocatore senza stufare.
La trama strizza vistosamente l'occhio ai cliché della detective story, a tratti un po' hard boiled, ma con assai frequenti sfumature umoristiche. Proprio queste sfumature umoristiche mi hanno talvolta fatto disaffezionare al gioco: troppi i PNG sopra le righe e troppe le situazioni un po' al limite.
Devo però precisare che alle volte il gioco riesce anche a far sorridere e che, più in generale, il suo humor è stato molto apprezzato all'estero.
In fatto di umorismo, si sa, dipende sempre dai gusti di chi gioca...
La narrazione si sviluppa su tre casi distinti, che possono essere affrontati contemporaneamente. A questi si aggiunge un breve quarto caso finale, che funge da epilogo della nostra vicenda.
Non mancano i colpi di scena, anche se in generale non sono riuscito a farmi catturare fino in fondo dalla trama e dall'atmosfera. L'umorismo spinto di alcune situazioni non aiuta l'immedesimazione e il fatto che le vicende siano spalmate su tre casi diversi costringe l'autore ad adottare archi narrativi piuttosto semplici.
Anche l'epilogo, per quanto completo, mi è sembrato un po' sbrigativo e non mi ha ripagato fino in fondo delle fatiche fatte.
Gli enigmi sono di stampo classico, tutti razionali e ben ideati; sono uno dei punti di forza dell'esperienza. L'autore dice di essersi ispirato ai classici di Scott Adams, e in parte è probabilmente vero.
I tre casi da affrontare contemporaneamente ricordano ovviamente l'impianto base di tante avventure grafiche (basti pensare alle tre prove di Guybrush Threepwood); ed è ovviamente una cosa positiva, perché garantiscono al giocatore obbiettivi multipli su cui lavorare. Fra tutti vale la pena segnalare il maxi-enigma che ci vede impegnati ad infiltrarci in una villa (che è stato nominato anche come Best Individual Puzzle agli IF Awards 2016)
Vale poi la pena di segnalare i numerosi enigmi con soluzioni multiple, testimoni della grande cura che è stata riposta in questo titolo. Ad esempio, per avere accesso a un particolare edificio possiamo camuffarci, oppure arrampicarci su un palo.
Per finire non mancano nemmeno le quest secondarie e i tanti piccoli tocchi di classe a livello di implementazione, che donano realismo e interattività al mondo di gioco. Ad esempio la pipa che dopo qualche boccata si spenge da sola; piccoli dettagli che fanno la differenza.
In generale Detectiveland è un gioco abbastanza lungo, ampio e complesso. Non si gioca "da solo" (ed è un grande pregio) e sicuramente vi terrà impegnati ben oltre le due ore tipiche dei giochi dell'IFComp.
La mappa di gioco è molto grande, con una struttura aperta basata sulle strade della città, che ovviamente ci ricorda A Mind Forever Voyaging. E, come nel classico della Infocom, sono tante le location sostanzialmente inutili ai fini del gioco (ma che arricchiscono con successo l'ambientazione). In Detectiveland però è stata introdotta la possibilità di spostarsi velocemente con il taxi; un possibilità che ha anche una ripercussione interessante sul gameplay, perché introduce la meccanica del denaro (un po' come accadeva in Zak McKracken con i voli aerei).
Detectiveland è un buon gioco, implementato in modo perfetto e con un'interfaccia che rappresenta davvero un valore aggiunto.
Enigmi e gameplay di buon livello.
Personalmente ho qualche riserva sulla storia e sull'ambientazione, ma nel complesso è un gioco che merita la pena di essere provato.
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