Come Vendettero Zork
The Digital Antiquarian (la traduzione ufficiale italiana)



Rieccoci fedeli lettori al nostro appuntamento settimanale con l'Avventura (con la "A" maiuscola). E dopo aver esplorato gli aspetti tecnici dello sviluppo di Zork e della sua incredibile conversione per le umili piattaforme casalinghe dell'epoca, il sapiente Antiquario ci racconterà di quando la neonata Infocom impegnò tutte le risorse di cui disponeva per presentare la propria creatura al grande pubblico.
Nel 1980 il mercato videoludico era praticamente agli albori
 e le avventure testuali in circolazione erano, più o meno, quelle di Scott Adams pubblicate dalla Adventure International e poco altro...niente a che vedere con Zork!
 
Ma prima, l'imperdibile lista degli articoli del ciclo Infocom:
 
– Come Vendettero Zork
– Giochi col Parser
– Esplorando Zork, Parte 1
– Esplorando Zork, Parte 2
– Esplorando Zork, Parte 3
– Infocom: Come Cavarsela da Soli
– Zork II, Parte 1
– Zork II, Parte 2
– Lo Zork User Group
– Zork III, Parte 1
– Zork III, Parte 2
 
Buona lettura avventurieri... e raccogliete tanti zorkmid!
 
Festuceto
 
Quando ci siamo lasciati, era la fine dell'estate del 1979 e sette dei nove soci della Infocom vivevano a Boston, ognuno col proprio lavoro a tempo pieno, discutendo -quando il tempo lo permetteva- di quello che avrebbe dovuto fare la loro società nuova di zecca. Nel frattempo gli altri due soci, Marc Blank e Joel Berez vivevano a Pittsburgh e stavano affrontando il problema in modo più pratico, progettando (per ora interamente su carta) un sistema che permettesse di convertire Zork (o almeno una buona metà di Zork) dal PDP-10 ai microcomputer. Mentre Blank e Berez continuavano il proprio lavoro in quell'autunno, si convincevano sempre di più che, sì, la loro idea avrebbe potuto funzionare e così iniziarono a fare pressioni sugli altri di Boston per fare in modo che Zork diventasse il primo progetto della Infocom. Il loro piano era così allettante che alla fine persino il riluttante Al Vezza accettò.
 
In quel periodo Berez era stato ammesso a un programma di economia post-laurea alla Sloan School of Management del MIT; così quel Novembre rientrò a Boston per frequentare – e per assumere la carica di Presidente di una Infocom ancora esistente principalmente sulla carta. Dinanzi alla prospettiva di restare intrappolato da solo a Pittsburgh mentre i suoi amici implementavano il suo progetto, Blank prese la decisione -importantissima sul piano personale- di lasciare l’internato medico e trasferirsi a Boston. Così, all’alba dell’anno 1980, la proverbiale banda era di nuovo riunita e i lavori sul nuovo Zork procedevano di buona lena.
 
Con i loro rapporti al MIT e alla DEC, del tempo su un PDP-10 non era poi difficile da recuperare, anche se tutti quelli della Infocom avevano ormai ufficialmente lasciato il MIT. Nonostante il loro scopo finale fosse quello di vendere Zork sui microcomputer, in questa fase la Infocom continuava a lavorare interamente sul PDP-10; probabilmente il vecchio motto “Noi odiamo i micro!” non era ancora  completamente passato di moda. Blank e Lebling scrissero sul PDP-10 l’intero sistema di sviluppo ZIL, incluso il compilatore, nonché (per poter fare delle prove) la prima versione funzionante della macchina virtuale Z-Machine. Sorprendentemente, il progetto astratto che Blank e Berez avevano ideato su dei tovagliolini e su dei pezzi di carta usata, si rivelò perfettamente funzionante nella realtà. Come dicevo nel mio ultimo post, implementare di nuovo il gioco in ZIL diede loro l’opportunità di migliorare ancora da diversi punti di vista l’originale Zork.
 
Perfino quando arrivò il momento di abbandonare il PDP-10, le preferenze della Infocom restarono evidenti: la seconda implementazione della Z-Machine non era né per la macchina della Radio Shack, né per quella della Apple, bensì per un DEC PDP-11. Se il PDP-10 era l’ammiraglia della DEC (tanto grande e potente che forse si meriterebbe di essere etichettato come mainframe piuttosto che come minicomputer), il PDP-11 era un modello più piccolo, più economico, pensato per “portare il pane a casa”. Si stima che la DEC ne avesse venduti più di 170.000 nei soli anni ‘70. Relativamente trasportabile (se la possibilità di trasportare un computer con un singolo camioncino lo rende “trasportabile”) e senza che necessiti di un pavimento sopraelevato o di altre macchinazioni da "data-center", i PDP-11 erano ovunque: nelle fabbriche, nei laboratori, nei centri di controllo del traffico aereo, e… nella camera da letto di Joel Berez (!!!). In un certo senso il PDP-11 aveva già il suo Zork, essendo stata la prima piattaforma su cui fu creato il porting in FORTRAN di Dungeon, ma ciò non fermò la Infocom dal rendere lo Zork per PDP-11 il suo primo prodotto commerciale. Nonostante la diffusione del PDP-11, il suo mercato non era esattamente una roccaforte del gaming: è riportato che Zork su quella piattaforma vendette meno di 100 copie (una delle quali di recente è apparsa su eBay: sul sito di "Get Lamp" di Jason Scott trovate una scansione del suo manuale, sorprendentemente completa, seppur battuta a macchina e ciclostilata [Il link originale è stato rimosso, ma potete trovare una copia del manuale qui, ndFestuceto]). Era del tutto evidente che la Infocom doveva convertire Zork per i microcomputer.
 
In questo spirito, la Infocom comprò un sistema TRS-80 e Scott Cutler (uno dei pochi soci che avesse avuto una qualche esperienza con i microcomputer) si mise al lavoro, con l’aiuto di Blank, per  costruire un’ apposita Z-Machine. Il momento della verità era arrivato:
 
Scott e Marc dimostrarono che Zork I poteva vivere al suo interno, avviando il gioco e riuscendo a fare dei punti con l’incantamento “N.E.OPEN.IN.” (che di certo non sono meno memorabili del “Come here, Mr. Watson; I want you!” di Alexander Graham Bell). 
 
È sempre un momento teso quando un progetto finalmente prende vita e mostra qualcosa di concreto. Ricordo ancora quanto fossi eccitato quando il mio personalissimo interprete di Z-Machine, Filfre, visualizzò il testo d’apertura del primo gioco con cui avevo deciso di provarlo, Infidel. Posso solo immaginare l’eccitazione di Blank e Cutler, quando tutto questo era così nuovo e la posta in gioco era così tanto più alta. Quel che conta però è che l’idea della Z-Machine funzionò. Quando il giocò fu completamente giocabile, la Infocom (erede di una lunga tradizione di informatica istituzionale che faceva le cose come dovevano essere fatte) fece qualcosa di virtualmente senza precedenti per un gioco per microcomputer: sottopose il proprio gioco a una fase di betatesting rigorosa e ripetuta. Il suo tester principale fu uno studente del MIT chiamato Mike Dornbrook, che si era innamorato del gioco al punto di diventarne oltremodo ossessionato, tracciando delle bellissime mappe dettagliate della sua geografia e lavorando sodo per affinare non solo i problemi tecnici ma anche gli enigmi peggiori e le difficoltà del parser (se solo in quei primi tempi la On-Line Systems, Scott Adams, e gli altri sviluppatori avessero avuto una pazienza simile e altrettanta dedizione alla qualità...)
 
Se si esclude il betatest che era ancora in corso, la Infocom a quel punto aveva un vero prodotto da commercializzare. Ora dovevano solo decidere come lo avrebbero venduto. Un’opzione era quella di fare ciò che Ken Williams stava decidendo di fare più o meno proprio in quel periodo: provarci da soli. Tuttavia, data la poca esperienza e la scarsa conoscenza della giovane industria dei microcomputer, ciò sembrò rischioso e nessuno dei soci era poi così eccitato all’idea di inventarsi un packaging e di duplicare migliaia (questa, almeno, era la speranza) di dischi. Iniziarono quindi a proporre Zork a vari publisher. Un tentativo con Microsoft fu respinto dal dipartimento di marketing: avevano già la loro avventura testuale (niente di meno che Adventure in persona) e evidentemente credevano che una fosse più che sufficiente per un singolo publisher. In seguito Bill Gates (che era stato un fan di Zork sul PDP-10) seppe dell’offerta e provò a riaprire la trattativa, ma a quel punto la Infocom stava già trattando con Dan Fylstra della Personal Software, facendo dello Zork della Microsoft un qualcosa di affascinante che sarebbe potuto essere ma non è mai stato.
 
Personal Software oggi è stata quasi completamente dimenticata, ma all’epoca era la stella più luminosa della giovane industria, in grado di eclissare facilmente anche la Microsoft. Fondata da  Peter R. Jennings e Dan Fylstra, fondatori della seminale rivista Byte, la Personal Software trovò la sua miniera d’oro nel 1979, quando raggiunse un accordo con Dan Bricklin e Bob Frankston per la pubblicazione del loro VisiCalc per l’Apple II. Col supporto di un’intelligente campagna promozionale da parte della Personal Software (che enfatizzava opportunamente la natura rivoluzionaria di questo prodotto autenticamente rivoluzionario), al tempo in cui la Infocom si presentò a bussare alla porta del publisher, VisiCalc era sulla bocca di tutto il mondo degli affari, diventando la hit della giovane industria dei microcomputer e arrivando così a vendere centinaia di migliaia di copie. VisiCalc non solo fece della Personal Software il più grande publisher del pianeta, nonché l’oggetto di articoli su riviste come il Time, ma gli conferì anche un enorme potere all’interno del settore. Questo potere si estendeva perfino sulla Apple stessa: un numero infinito di clienti metteva il carro davanti ai buoi, e comprava gli Apple II solo per avere un computer su cui far girare la loro nuova copia di VisiCalc. Fu, insomma, la prima “killer application” dell’era dei PC, e come tale vendette tutti gli Apple II che ciò comportava. Con così tanti soldi e con un tale potere, la Personal Software non sembrò alla Infocom una brutta strada per far uscire il loro nuovo gioco. Fylstra aveva frequentato la scuola di economia al MIT, dove aveva conosciuto sia Vezza che la versione PDP-10 del gioco. Non fu quindi troppo difficile per Berez e Vezza chiudere la trattativa, che incluse anche un anticipo sulle future royalty, aspetto questo per loro assolutamente indispensabile, giacché la Infocom aveva sostanzialmente già speso i suoi 11.500 $ iniziali in hardware, betatester, e tempo sul PDP-10.
 
Nel mezzo dei rispettivi compiti, gli altri soci scrissero anche un paio di articoli per le riviste, che servissero per stimolare un po’ l’attenzione. “Come far entrare un programma grande in una macchina piccola”, una spiegazione un po’ evanescente dei concetti di virtual machine e di virtual memory, apparso nel numero di Luglio di Creative Computing; e “Zork e il futuro delle simulazioni fantasy su computer”, un articolo più teorico sulla nascente arte delle avventure testuali, apparso nel grande numero dedicato alle avventure di Byte di dicembre. Non avendo ancora adottato l’elegante nome di “interactive fiction”, in questo secondo articolo Lebling affibbiò a Zork e ai suoi simili l’etichetta (alquanto scomoda) di “computerized fantasy simulations” (“CFS”). La versione per TRS-80 di Zork stava ormai per sbarcare sul mercato sotto l’ombrello della Personal Software.
 
Le vendite iniziali non furono eccezionali: la versione TRS-80 vendette circa 1.500 copie nei suoi primi nove mesi. Questi numeri possono forse essere in parte spiegati con il marketing poco convinto e privo di immaginazione della Personal Software, che (alla luce del colosso VisiCalc) era sempre meno convinta di voler essere coinvolta nel mercato videoludico. È altresì vero che il mercato del software per TRS-80 non ha mai prosperato nel modo che ci si potrebbe aspettare se lo paragoniamo alle vendite del rispettivo hardware. Uno dei colpevoli principali era da ricercarsi nelle politiche di Radio Shack. Radio Shack insisteva infatti nel voler vendere nei propri negozi solo il software pubblicato sotto la propria etichetta. E al tempo stesso offriva agli sviluppatori delle royalty davvero modeste se confrontate col resto dell’industria, rifiutandosi perfino di attribuirgli adeguatamente la paternità del prodotto sul software stesso, preferendo promuovere l’immagine di una caritatevole Tandy Corporation che apparentemente generava immacolate creazioni software direttamente dal suo didietro. Nel frattempo i proprietari dei negozi di computer (come quelli di ComputerLand, che stavano esplodendo in tutta la nazione) lasciarono Radio Shack da sola a vendere e a occuparsi delle proprie macchine, concentrandosi piuttosto su altre piattaforme. È probabile che lo Zork per TRS-80 fosse finito, almeno in parte, in questa specie di buco nero distributivo, che stava già trasformando il TRS-80 in uno sconfitto, in contrasto con il nuovo gioiellino dell’industria dei microcomputer, l’Apple II. Infatti, quello stesso dicembre la Apple si quotò in borsa, facendo seduta stante dei suoi fondatori e di altre 300 persone, dei miliardari: la prima grande Offerta Pubblica Iniziale del mercato tech, il segno che presto “l’industria dei microcomputer” sarebbe diventata semplicemente “l’industria dei computer”.
 
A proposito dell’Apple II, Bruce Daniels (l’unico membro del team originale di Zork che all’epoca non si era associato alla Infocom) aveva accettato un posto alla Apple, trasferendosi in California dopo la laurea. Accettò di creare sotto contratto la Z-Machine per l’Apple II. Lo Zork dell’Apple II fu così pubblicato nel Febbraio del 1981 e fece molto meglio della versione per TRS-80, vendendo costantemente circa 1.000 copie al mese. Adesso la Infocom aveva finalmente un flusso costante di introiti, oltre all’infrastruttura tecnologica di base (lo ZIL e la Z-Machine) che avrebbe caratterizzato la società per il resto della sua vita. Le cose iniziavano ad andare per il verso giusto, ma dei risvolti imprevisti erano già all’orizzonte.
 
Ve ne parlerò molto presto, ma la prossima volta voglio lasciare da parte la realtà storica in favore di quella virtuale. Ebbene sì, faremo un piccolo viaggio nel Grande Impero Sotterraneo di Zork.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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Jobs e Woz
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Mentre sto scrivendo queste righe [09 Settembre 2011; ndAncient], sui media e sui blog di settore si sta appena attenuando l’orgia di commenti e retrospettive scatenate da uno Steve Jobs palesemente malato che si dimette dal suo ruolo di CEO della Apple. L’evento segna la fine di un’era. Con Bill Gates che si è ritirato dalla gestione quotidiana della Microsoft alcuni anni fa, i due grandi sopravvissuti degli albori dei computer alla fine degli anni ‘70 e all'inizio degli ’80 non gestiscono più le due iconiche compagnie che iniziarono a costruire così tanti anni fa.

Per molti Bill e Steve rappresentano due approcci sostanzialmente opposti alla tecnologia. Da un lato c’era Gates, l’ambizioso goffo e tradizionalista, che nemmeno da multi-miliardario è mai sembrato pienamente a suo agio nei propri panni, con i suoi fogli di calcolo e i database, costantemente ossessionato dall'andamento finanziario della Microsoft. Dall’altro lato c’era Jobs, il paradigma del fighetto della California, che non ha mai incontrato nessuno che non fosse riuscito ad ammaliare, con la sua vena artistica e i software per la produzione di musica, che parlava incessantemente di come la tecnologia ci avrebbe permesso di vivere vite migliori e più eleganti. Questi modi di essere erano rispecchiati anche dai prodotti delle loro rispettive compagnie. In "In the Beginning... Was the Command Line" Neil Stephenson ha confrontato il Macintosh con un'elegante berlina europea, mentre Windows con una station wagon “con l’appeal estetico di un condominio da operai sovietici, che perde olio, che ha la marmitta sfondata, e che [ovviamente] ha un successo enorme.” Questi contrasti (o dovremmo dire caricature?) avevano radici profonde. E di certo li aveva ben presenti la Apple quando fece la sua serie di pubblicità, ormai classica, “I’m a Mac / I’m a PC” per sancire il suo grande ritorno nel nuovo millennio con Jobs al comando.

Già alla fine degli anni ’70, quando era ancora giovane, Jobs sapeva percepire intuitivamente come la tecnologia avrebbe dovuto funzionare e aveva un senso estetico che semplicemente mancava a tutti i nerd e a tutti gli hacker che componevano il resto della primissima industria dei microcomputer. Quasi unico fra i suoi contemporanei, Jobs aveva una visione di dove questa roba poteva andare, una visione di un futuro tecnologico che avrebbe attratto non solo il tizio del PC delle pubblicità di cui sopra, ma anche il tizio del Mac. L’industria aveva disperatamente bisogno di un tipo come Jobs (di bell’aspetto, loquace, con una parlantina sciolta, e con un senso innato dell’estetica e del design), che facesse da ambasciatore fra gli hacker e la gente comune. Job era il tipo d’uomo che poteva andare a cena a casa di una ragazza e uscirne con un assegno del padre per fondare la sua startup e una torta fatta in casa dalla madre. Faceva sembrare tutti quegli hacker con i loro codici binari e i loro strumenti da saldatore quasi normali e quasi (anche se solo per trasposizione)... fighi.

C’è un modo di dire che ricorre costantemente fra quelli di quei tempi là, che si ricordano di persona quei giorni e le storie che sono state scritte al riguardo: che quelli erano tempi fondamentalmente innocenti, in cui gli hacker hackeravano per il semplice piacere di farlo e che per quella via hanno accidentalmente creato il mondo moderno. Nel "Triumph of the Nerds", il socio di Jobs nella fondazione della Apple, Steve Wozniak, ha dichiarato:

Era solo una piccola società di hobbisti, come tante altre, senza nessun particolare progetto. Non è che pensavamo che sarebbe durata molto. Pensavamo che lo stavamo facendo per divertimento, ma ci fu una breve finestra di tempo in cui una persona, che sapeva sedersi e fare dei bei progetti puliti, poteva trasformare il tutto in qualcosa di gigantesco, come l’Apple II.

Io credo a Wozniak, un vero hacker, se mai ce n’è stato uno. Tuttavia immaginare che una sorta di beata armonia nei principi degli hacker unisse coloro che erano alla guida delle società che crearono la prima industria dei computer sarebbe un grave errore. Come è reso più che evidente dal gran numero di società e di modelli di computer che erano apparsi e già spariti nel 1982, l’industria dei PC era un luogo di tagliagole iper-competitivi.

Nello stesso video, Jobs racconta di quei giorni che:

Io valevo oltre un milione di dollari quando avevo 23 anni, e oltre dieci milioni quando ne avevo 24, e oltre 100 milioni quanto ne avevo 25, e non era poi così importante, perché comunque non l’ho mai fatto per i soldi.

A differenza dei commenti di Wozniak, c’è qualcosa che stona con l’apparente ingenuità di questa affermazione. Per essere uno che si cura così poco delle proprie finanze, sembra un po' strano che Jobs abbia un ricordo così preciso di quanto valeva in ogni esatto momento della sua vita; qualcosa mi dice che Wozniak avrebbe delle difficoltà a produrre dei numeri simili su di sé. Ho già scritto in precedenza su questo blog di come Jobs avesse fregato al suo miglior amico Wozniak i 5.000 dollari del premio per il progetto di Breakout per la Atari. Ovviamente all’epoca Jobs era molto giovane e ognuno di noi ha sicuramente qualcosa che vorrebbe cancellare dalla propria giovinezza, ma questo specifico episodio personalmente mi ha sempre colpito come uno di quei segni indicativi di una personalità; uno di quei segni che dicono qualcosa sulla vera natura di una persona. Successivamente Wozniak avrebbe sminuito quell’incidente nella sua autobiografia, dicendo: “Dopotutto, eravamo solo ragazzi”, ma anche qui non riesco a credere che lui avrebbe fatto lo stesso con Jobs. Un altro segno indicativo di una personalità potrebbe essere questo: Wozniak era così onesto che, dopo aver progettato il computer che sarebbe poi diventato l’Apple I e aver fondato con Jobs la società che doveva venderlo, si ricordò improvvisamente del contratto di lavoro che aveva firmato con la Hewlett Packard (che diceva che tutte le sue opere ingegneristiche appartenevano all’HP per tutta la durata del rapporto di lavoro, che fossero state create a casa o sul luogo di lavoro) e quindi provò a consegnare il suo progetto alla HP. Con gran sollievo di Jobs, l’HP lo guardò divertita e gli disse che era liberissimo di provare (inutilmente) a venderlo da solo.

Nel caso di Jobs, se scaviamo oltre la patina del “cool” Californiano e del “trendy” Buddista, troviamo un uomo competitivo in modo ossessivo, esattamente come Gates; entrambi da giovani erano i capi più esigenti, che umiliavano i subordinati e fomentavano deliberatamente i malumori per spingere tutti a dare il massimo attraverso un ambiente altamente competitivo. Gates però non aveva lo charme e la scaltrezza comunicativa che ha permesso a Jobs di restare per sempre il ragazzino d’oro della tecnologia. Anche quando era molto giovane, la gente già parlava del campo di distorsione della realtà che circondava Jobs e che sembrava consentirgli di convincere le altre persone a vedere le cose dal suo punto di vista e a fare come voleva lui.

E se Jobs non è esattamente quell’Uomo Nuovo illuminato che appare dall’immagine che si è abilmente costruito, una simile subdola dissonanza cognitiva è presente anche nella sua società. I prodotti contemporanei della Apple [l’articolo è del 2011; ndAncient] sono innegabilmente belli sotto l’aspetto ingegneristico e, effettivamente, a loro modo sono proprio “empowering”, ma... la cosa si ferma lì. Se torniamo ancora una volta a Stephenson, queste macchine così eleganti hanno “il loro interno sigillato ermeticamente, e quindi il loro vero funzionamento resta un mistero”. Saranno anche “empowering”, ma solo nella logica della Apple. Da un altro punto di vista, esse generano dipendenza (dipendenza dalla Apple), piuttosto che indipendenza. E poi, ovviamente, tutta quella bellezza ed eleganza ha un costo altissimo, al punto tale da farli diventare degli status symbol. L’idea di uno strumento informatico, per quanto costoso, che diventa uno status symbol in un posto che non è una community di nerd era ovviamente un’idea inconcepibile nel 1980 - quindi sì, c’è stato un notevole progresso da questo punto di vista e in gran parte grazie all’influenza di Jobs. Tuttavia a volte viene da confrontare “l’inconoscibilità sigillata” dei prodotti Apple con i PC mercificati che avevano quasi permesso al “malvagio” Bill Gates di conquistare l’intero mondo informatico. Un PC basato su Windows sarà anche potuto essere una station wagon domestica o (secondo un’altra popolare analogia) un pickup, ma proprio come quei veicoli era a buon mercato praticamente per tutti ed era facile aprire il cofano e aggiustarlo. Le creazioni di Apple invece richiedono un viaggio dal metaforico rivenditore di auto esotiche anche solo per cambiare l’olio. Un Macintosh potrà anche scatenare l’artista che è in voi e impressionare tutti quelli che avete intorno al caffè dove state lavorando, ma un PC può essere acquistato per pochi spiccioli -o può essere assemblato con parti di scarto- e facilmente utilizzato nella savana per controllare quelle pompe che portano l’acqua potabile al villaggio. Ci sarebbe molto altro da dire sull’hardware economico, largamente diffuso, e tragicamente “uncool”; e ci sarebbe molto da dire sull’idea (per usare le parole di un altro dei pionieri dei microcomputer) dei “computer per le masse, e non per le classi”.

Ecco che a questo punto potrebbe sembrare opportuno un accenno a Linux, oltre che una più attenta distinzione fra i concetti di hardware e software, ma le metafore che ho usato stanno già scricchiolando sotto tutto il peso di questo discorso. Cercherò quindi di riportare la discussione su Jobs e Woz, la più strana delle coppie.

Wozniak era il classico hacker “old-school”. Anche alle superiori alla fine degli anni ’60 fantasticava sui computer nello stesso modo in cui i tipici adolescenti sono ossessionati dalle ragazze e dalle macchine. Il suo concetto di divertimento era scrivere laboriosamente dei programmi su taccuino (per i quali non aveva nessun computer su cui farli girare) e quindi immaginarli all’opera. Mentre gli altri ragazzi accumulavano riviste con foto di ragazze, Woz (come tutti lo chiamavano) collezionava manuali per ogni computer sul mercato - a volte per poterli riprogettare migliori e più efficienti nella sua immaginazione.

Nel 1970, durante un periodo sabbatico in cui lavorava, il ventenne Woz incontrò il quindicenne Jobs. Nonostante la differenza di età, divennero rapidamente amici, uniti da un comune amore per la tecnologica, la musica e le burle. Ma presto scoprirono un’altra comune ossessione: il “phone phreaking”, l’hacking del servizio telefonico per poter fare telefonate a lunga distanza gratuite. La loro prima “joint business venture” (istigata -come sempre, quando si trattava di queste cose- da Jobs) consisteva nella vendita di “scatole blu” fatte in casa che potevano generare i toni necessari per comandare la commutazione delle comunicazioni a lunga distanza.

Jobs invece non era… il classico hacker “old-school”. Esternamente, almeno, era il classico hippy con una passione per la filosofia orientale e per Bob Dylan, un estroverso con ben poca pazienza per la programmazione o l’ingegneria. Nonostante questo, il suo campo di distorsione della realtà gli consentì di guadagnarsi a parole un posto come tecnico presso l’emergente produttore di cabinati Atari. Convinse perfino Atari a concedergli un’estate libera e un volo aereo per l’India finalizzato a una “ricerca spirituale”. Nonostante tutto questo, tuttavia, l'apparentemente incapace Jobs continuava a fare ciò che ci si aspettava da lui. E ci riusciva, ovviamente, grazie a Woz, che all’epoca già lavorava a tempo pieno per Hewlett Packard di giorno e che di notte faceva il lavoro di Jobs. Il dinamico duo raggiunse il proprio apice all’Atari con il cabinato di Breakout. In quella che, almeno dall’esterno, ha tutti i segni di una classica relazione di codipendenza, al povero Woz fu detto che avevano solo quattro giorni per completare il progetto; in verità Jobs voleva semplicemente finire prima perché voleva partecipare alla raccolta delle mele in una comune agricola dell'Oregon (lo so, si stenta a crederci…). Woz rispettò la scadenza, rinunciando a dormire per quattro giorni consecutivi, e ci riuscì usando un numero di chip talmente ridotto che il tutto risultò non producibile. Al riguardo, l’ingegnere dell’Atari Al Alcorn

Ironicamente il progetto era così minimizzato che i comuni mortali non riuscivano a comprenderlo. Per andare in produzione dovemmo farlo testare ai tecnici, affinché lo potessero capire. Se una sola parte non avesse funzionato, l’intero progetto sarebbe andato a pezzi. E poiché Jobs non lo comprendeva davvero e al tempo stesso non voleva che noi sapessimo che non l’aveva fatto lui, finimmo col doverlo riprogettare tutto prima di poterlo consegnare.

Ma Jobs andò al festival delle mele ed ebbe anche il bonus da 5.000 $ (di cui non disse mai niente a Woz) da spendere là. Nel 1984 Woz credeva ancora che lui e Jobs avessero guadagnato solo 700$ per un progetto che era diventato il grande successo arcade del 1976.

Possiamo solo fare speculazioni su cosa spingesse Woz a sopportare un trattamento del genere; ma le speculazioni sono divertenti e quindi eccole qua! Woz era uno di quei tipi dal cuore tenero, a cui piacciono gli altri e a cui piace piacere agli altri, ma che (a causa di una scarsa empatia, o forse perché voleva piacere a tutti i costi) appare invece sempre fuori luogo nei contesti sociali, facendo sembrare tutto un po' imbarazzante. Woz rideva sempre un po' troppo forte o un po' troppo a lungo, sembrava che non sapesse mai quando era il momento di smettere di raccontare la sua ampia gamma di barzellette sui polacchi, oppure quando i suoi infiniti scherzetti stavano superando il confine fra innocui e crudeli. Per una persona così l'opportunità di frequentare un animale spiccatamente sociale come Jobs doveva essere una tentazione durissima a cui resistere, per quanto il loro rapporto apparisse iniquo.

Non era però un rapporto a senso unico; non completamente, almeno. Quando Woz stava lavorando al progetto che sarebbe poi diventato l'Apple I, bramava un nuovo tipo di chip di RAM dinamica, che i due non potevano permettersi. Jobs allora chiamò il produttore e applicò il suo campo di distorsione della realtà per convincerlo a mandargli dei “campioni”. Jobs era il facilitatore di Woz, nel senso migliore del termine; aveva una dote naturale per far sì che le cose venissero fatte. Infatti, in un quadro più generale, possiamo sicuramente dire che è Woz a essere in debito con Jobs. È infatti palese che Jobs avrebbe lasciato il segno nell'emergente industria dei microcomputer anche se non avesse mai incontrato Woz, tale era la sua determinazione. Per dirla chiaramente: Jobs avrebbe trovato sicuramente un altro Woz. Senza Jobs, invece, Woz si sarebbe eclissato (felicemente, badate bene!) in qualche oscuro laboratorio ingegneristico, a tessere in silenzio la sua miniaturizzata magia di silicio, per poi andare probabilmente in pensione con una manciata di oscuri brevetti a cui affidare il proprio nome per i posteri. 

Non sorprende quindi, dati i loro background e i loro interessi, che Woz e Jobs fossero entrambi membri del famoso Homebrew Computer Club; Woz fin dal primissimo incontro del 05 Marzo 1975. Là la gerarchia sociale era invertita: era Woz (con la sua profonda conoscenza dei computer) a essere la star, mentre Jobs era l'outsider leggermente a disagio.

Woz progettò la macchina che divenne l'Apple I per divertimento. Era praticamente unica all'interno dell'Homebrew Computer Club, perché usava la nuova CPU MOS 6502, invece dell'Intel 8080 dell'Altair originale, per la più che buona ragione che Woz non aveva tutti quei soldi da spendere e il 6502 costava 25 dollari contro i 175 dollari dell'8080. L'intero processo di creazione fu realizzato quasi collettivamente; Woz (che aveva il raro e prezioso dono di non avere un ego quando si trattava di progettazione) portava il suo “work-in-progress” ad ogni riunione bi-settimanale dell'Homebrew Computer Club, spiegando quel che aveva fatto, descrivendo dove incontrava dei problemi, e chiedendo consigli e critiche. Il risultato fu decisamente impressionante. La macchina poteva interfacciarsi con un televisore (ben altra cosa rispetto alle luci lampeggianti dell'Altair), utilizzava una tastiera (e non degli interruttori), e poteva far funzionare un semplice interprete BASIC programmato da Woz in persona. Woz ha dichiarato che: “ho progettato l'Apple I perché volevo darlo gratuitamente ad altre persone. Distribuii gli schemi per costruire il mio computer alla prima riunione a cui partecipai”.

Steve Jobs mise subito un freno a queste pericolose tendenze. Si intromise per convincere Woz a fare quello che da solo non avrebbe mai fatto: trasformare il suo progetto di hacker in un vero prodotto fornito da una vera società. Woz vendette quindi il suo prezioso calcolatore HP e Jobs il suo furgoncino Volkswagen (chi è che aveva detto che il bello degli stereotipi è che molto spesso sono veri?) per creare la Apple Computer; era il 01 Aprile 1976. L'Apple I non era un computer già assemblato come la “trinità del 1977”, ma era comunque un passo intermedio fra quelli e l'Altair. Invece che uno scatolone di chip sciolti, ti veniva consegnata una motherboard, finita e completamente saldata, da montare con il tuo case, la tua fonte di alimentazione, la tua tastiera e il tuo monitor. Il proprietario del The Byte Shop (un importante negozio di computer, fra i primi al mondo a essere aperto) ne volle comprare immediatamente 50. Il problema era che Jobs e Woz non avevano i soldi per comprare le parti necessarie per costruirli tutti. Nessun problema: Jobs impiegò il suo campo di distorsione della realtà per convincere un'azienda di elettrodomestici all'ingrosso a dare a questi due hippy diecimila dollari di hardware in cambio della promessa di pagarli entro un mese. Fu così che la Apple vendette 175 Apple I nel corso dell'anno successivo, ognuno dei quali assemblato nel garage dei genitori di Jobs, per mano di Jobs, di Woz, di un altro amico, e di un familiare o due.

E, mentre succedeva tutto questo, Woz progettò il suo capolavoro: l'Apple II.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto

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Microsoft Adventure - Parte 2
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

 
 
Come la stessa Microsoft affermava nel manuale d'istruzione: "Con Microsoft Adventure avete la versione completa dell'originale Adventure. Della versione originale per DEC non è rimasto fuori niente."
A questo punto vi starete chiedendo quale è il trucco... Vi ricorderete infatti che Scott Adams (anche lui un programmatore d'esperienza) non aveva neppure provato a fare un porting diretto, scegliendo invece di sviluppare da zero Adventureland, un gioco assai più piccolo. E quindi, come diavolo ci era riuscito Letwin?
 
Per prima cosa Letwin si avvantaggiò dell'interfaccia d'espansione di Radio Shack, che consentiva agli utenti di espandere la memoria oltre i 16 K e di sostituire le cassette con i floppy disk. Fu in un certo senso una scelta coraggiosa, che limitava in modo drastico il numero di potenziali acquirenti del suo gioco; nel numero di Settembre 1979, SoftSide riportava che "ben pochi" dei suoi lettori avevano comprato il disk drive da 500 dollari di Radio Shack. Eppure senza di esso il porting di Adventure non sarebbe mai stato possibile.
 
I benefici dell'espansione di memoria erano evidenti, consentendo programmi più lunghi e più complessi; quelli del floppy disk erano invece in parte ovvi e in parte meno ovvi. Quelli ovvi erano che il floppy era superiore alle cassette da tutti i punti di vista, consentendo agli utenti di immagazzinare molti più dati su un singolo supporto, e di salvarli e recuperarli molte volte più velocemente e in modo molto più affidabile. Ma è un altro l'attributo del floppy che si rivelerà essenziale per l'implementazione dei giochi più grandi come Adventure, considerato che anche i 32 K di memoria restano pur ancora un quantitativo minuscolo. A differenza delle cassette, il floppy era un device a "random-access", cioé con il floppy il TRS-80 poteva essere programmato per caricare in memoria -mentre il programma girava- dei blocchi di dati presi da qualunque punto del disco. All'opposto la lettura da cassetta richiedeva che l'utente posizionasse manualmente la cassetta nella giusta posizione, usando l'apposito contagiri, e che poi premesse "play"... per poi, ovviamente, aspettare fino a 20 minuti anche per caricare una delle semplici avventure di Scott Adams. Con l'ausilio di un disk drive invece Letwin ha potuto lasciare tutto il testo (che anche nell'originale di Crowther e Woods era contenuto in file esterno) sul disco, andando a caricare solo i singoli pezzi di cui di volta in volta aveva bisogno. E così nei suoi 32 K ha dovuto infilare solo il codice del gioco - non che questa fosse una cosa di poco conto, visto che Letwin ha dovuto convertire il codice originale in FORTRAN in linguaggio assembly Z80, ottimizzando ovunque fosse possibile per migliorare velocità e dimensioni.
Il pionieristico uso fatto da Letwin del disk drive, trasformato in una sorta di memoria ausiliare, sarebbe presto stato usato ovunque, rifinito quasi fosse una forma d'arte da società come la Infocom. Un numero sterminato di classici sarebbero stati semplicemente impossibili senza questo espediente. 
 
L'arrivo dei disk drive ha portato con sé anche un'altra innovazione meno gradita: la protezione contro le copie abusive. Ogni computer ha un formato standard con cui dispone i dati sui propri dischi. Per semplificare in modo estremo: ogni punto di un disco è spezzettato in tracce e settori, con una "master directory" (collocata da qualche parte in un punto standard del disco) che registra tutti i file archiviati sul disco con le rispettive collocazioni, assegnando loro una traccia e un settore. Questo permette al computer di individuare e recuperare i file che gli vengono richiesti. La maggior parte dei primi programmi per copiare dischi presupponeva che i dischi copiati rispettassero questo formato standard e si limitava semplicemente a tentare di copiare sul nuovo disco ogni file che trovava nella "master directory", uno ad uno. Tuttavia per un programma come Adventure era abbastanza semplice andare a sostituire il formato standard  con uno alternativo di propria ideazione; cioè uno che il programma stesso avrebbe saputo leggere ma che al tempo stesso avrebbe completamente confuso qualunque altro programma tarato sul formato standard. Visto con gli occhi di oggi, la protezione contro le copie pirata di Adventure era relativamente semplice, poiché si limitava a ridisporre lo schema numerico utilizzato per identificare i diversi settori del disco. Ed era anche relativamente gentile, perché consentiva agli utenti con due disk drive di farsi una singola copia di backup, immettendo un comando speciale all'interno del programma. Le protezioni successive sarebbero ben presto diventate molto più sofisticate e molto meno... gentili.
 
Microsoft Adventure guardava al futuro anche con la sua confezione. Veniva spedito in un vero scatolato con un vero artwork professionale e un manuale patinato a più pagine scritto da Dottie Hall. Mettetelo a confronto con le confezioni dei primi giochi di Scott Adams, fatte con la busta in plastica dei sandwich, un biglietto da visita e il rivestimento in plastica tipico del latte artificiale [???]. Nel 1979 la Microsoft era una delle poche software house con le risorse per offrire ai propri prodotti una presentazione professionale. Tuttavia col tempo l'industria dei giochi divenne più professionale (e più remunerativa), e il confezionamento dei giochi divenne una parte essenziale dell'esperienza dei giochi d'avventura, raggiungendo la sua gloriosa (ma alcuni direbbero assurda) vetta con artwork sgargianti, manuali interminabili con annessi racconti (se non veri e propri romanzi), mappe elaborate (a volte su stoffa o pergamena), e attrezzature sceniche evocative (i celebri "feelies").
 
 
Microsoft Adventure ha dato il via anche ad un'altra tendenza correlata, che è diventata quasi altrettanto diffusa: il suo artwork non ha quasi niente a che vedere con il gioco vero e proprio che dovrebbe invece rappresentare.
Di certo non mi sarei mai immaginato che la scherzosa risposta a "UCCIDI DRAGO" ("CONGRATULAZIONI! HAI APPENA SCONFITTO UN DRAGO A MANI NUDE!") si svolgesse in quel modo. Però... forse... con una buona dose di immaginazione...
 
Essendomi occupato a lungo della versione originale per DEC, non ho molto da dire sull'esperienza di gioco vera e propria della versione di Adventure sviluppata da Letwin. Era esattamente ciò che Microsoft affermava che fosse: un porting pedissequamente fedele dell'originale, escluse solo alcune delle chicche PDP-centriche tipo le "cave hours". Immagino che la maggior parte del testo in-game sia letteralmente lo stesso dell'originale per PDP, poiché il file dati esterno del gioco originale è stato semplicemente copiato direttamente sul floppy del TRS-80. È comunque interessante notare che Letwin ha fatto uno sforzo per semplificare alcuni degli enigmi più illogici dell'originale. Nell'originale, per esempio, si poteva guadagnare quel "last lousy point" solo gettando la rivista Spelunker Today nel Witt’s End (azione del tutto immotivata); nella versione di Letwin, leggendo la rivista (che ora è stata ribattezzata per qualche motivo LWPI - qualcuno ha idea di quale sia il significato della sigla?) si ottiene un indizio vitale secondo cui: "È INDIRIZZATA A WITTS END!".
Ancora meglio, la locazione "Breath-Taking View" -riccamente descritta ma precedentemente inutile- ora ha una sua funzione, perché Letwin vi ha aggiunto una singola riga che ci viene d'aiuto in un altro enigma tristemente celebre: "PAROLE DI FUOCO, COME APPESE NELL'ARIA, RECITANO 'PLOVER'". Un grande!
 
 
Se si escludono questi dettagli, Letwin ha fatto solo una singola aggiunta: la "Software Den" ["tana del software"]:
 
SEI IN UNA STRANA STANZA IL CUI INGRESSO ERA NASCOSTO DIETRO LE TENDE. IL PAVIMENTO È COPERTO DI TAPPETI, LE PARETI SONO DI GOMMA, LA STANZA È SOMMERSA DI CARTE, LISTATI, LIBRI, E BOTTIGLIE MEZZE VUOTE DI DR. PEPPER. LA PORTA NELLA PARETE A SUD È QUASI COMPLETAMENTE RICOPERTA DA UN GRANDE POSTER A COLORI DI UN SUPERCOMPUTER CRAY-1 NUDO.
 
UN CARTELLO ALLA PARETE RECITA: "SOFTWARE DEN" 
 
LO STREGONE DEL SOFTWARE NON SI VEDE DA NESSUNA PARTE.
 
QUI CI SONO MOLTI COMPUTER: MICRO, MINI, E MAXI.
 
Ecco quello che accade se si interagisce con i computer:
 
APPENA TI AVVICINI A QUELLE DELIZIE ELETTRONICHE, UN PROGRAMMATORE BARBUTO E INFURIATO SALTA FUORI DA DOVE ERA NASCOSTO. "AHA!" ESCLAMA, "HO BECCATO QUEL 'SOB' CHE MI RUBA L'ATTREZZATURA! TI SEI FORSE DIMENTICATO CHE SONO I MIEI INCANTESIMI A TENERE INSIEME QUESTA GROTTA? PER PRIMA COSA QUINDI RIMUOVO' ALCUNI DEI TUOI TESORI:

DESTROY (TESORI);

POI REVOCO ALCUNE DELLE PAROLE MAGICHE:
 
REVOKE (PAROLEMAGICHE);
 
E PER FINIRE TI MANDO CON UN CALCIO NEL MEZZO DEL LABIRINTO!"
 
YOURLOC = MEZZO.DEL.LABIRINTO;
 
SEI IN UN LABIRINTO DI PICCOLI PASSAGGI TORTUOSI, TUTTI DIVERSI.
 
 
[Notate che nel testo c'è un gioco di parole intraducibile fra "sob" ("figlio di puttana") e "S.O.B." (abbreviazione di "Subtract and Branch")]
 
Chi ha parlato di megalomania...?
 
 
Ma ora occupiamoci della questione che ha destato più scalpore: i riconoscimenti. Da nessuna parte in Microsoft Adventure, o nella documentazione a corredo, appaiono i nomi di Crowther e Woods. Ci viene solo detto che "originariamente Adventure è stato scritto in FORTRAN per il DEC PDP-10", quasi un'immacolata concezione software. Inutile aggiungere che Crowther e Woods non sono mai stati contattati dalla Microsoft e non hanno mai ricevuto alcuna royalty per quello che sembrerebbe essersi rivelato un discreto campione di incassi per la società; successivamente fu convertito anche per Apple II, e fu uno di quei programmi che la IBM volle fosse disponibile al Day One per il lancio del suo nuovo PC nel 1981. Poiché Crowther e Woods, immersi come erano nella cultura hacker old-school, non hanno mai considerato l'ipotesi di rivendicare la proprietà della loro creazione, in tutto questo, Microsoft non ha violato alcuna legge. Tuttavia l'aver clonato il gioco di un altro, riprendendo letteralmente ogni singola parola, e arrivando perfino a proteggerlo dalla copia (l'ironia!), per poi venderlo... beh, non credo che possa essere definito nemmeno "eticamente dubbio": siamo ben al di là dell'etica. Nella sua celebre "Open Letter to Hobbyists" del 1976, Gates affermava il diritto morale degli autori di software ad avere il pieno controllo delle proprie creazioni. Come conciliare questa affermazione con il suo successivo Microsoft Adventure? Sono stati proprio incidenti di "cooptazione commerciale" come questi che hanno portato alla creazione di licenze come la GNU, ideate per garantire che il software gratuito resti tale. Se vi siete chiesti almeno una volta perché nelle community dell'open-source si sia così ossessionati da ogni minimo aspetto di una licenza, forse questa storia potrebbe offrirvi una buona spiegazione.
 
Sia come sia, oggi Gates sembra deciso a fare il bene del mondo e a elargire i suoi soldi non meno di quanto una volta era dedito a schiacciare la concorrenza e ad ammassare la sua fortuna; il che si merita un grande urrà. Sono convinto che salvare anche un singolo bambino faccia abbondantemente pari con tutti gli aspetti dubbi della vicenda di Microsoft Adventure.
Nel frattempo Gordon Letwin è rimasto per molti anni alla Microsoft, guidando lo sfortunato progetto dell'OS/2 prima di andare in pensione nel 1993 forte della sua quota societaria. Adesso anche lui si dedica alla carità e in particolare alle cause ambientaliste. E anche qui ci sta bene un secondo urrà.
 
 
Ironicamente, Microsoft Adventure è talmente fedele all'originale da essere oggi la scelta ideale per chi voglia sperimentare l'originale nella forma più autentica possibile senza dover mettere su un PDP-10 virtuale. Ho reso disponibile un'immagine del disco del TRS-80, che resterà on-line finché gli avvocati della Microsoft non verranno a cercarmi per aver piratato il software che loro stessi rubarono 32 anni fa e per aver parlato male del loro "presidente non esecutivo". Ma, per semplificarvi ulteriormente le cose, potreste anche cercare la versione IBM PC su qualche sito abandonware. Se invece scegliete la versione TRS-80, per giocarla dovrete utilizzare l'emulatore SDLTRS, invece che la versione MESS, perché a causa della protezione contro la copia presente sul disco, ho dovuto salvare l'immagine nel formato "DMK" - un formato che sfortunatamente il MESS non legge. Mi dispiace molto! 
 
Presto mi occuperò delle avventure testuali del 1980, un anno particolarmente eccitante. Ma prima voglio fare una piccola divagazione teorica e poi voglio occuparmi di un altro genere di giochi particolarmente orientati alla narrazione.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Microsoft Adventure
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Probabilmente anche voi avrete ricevuto almeno un paio di volte negli ultimi quindici anni una mail con questa fotografia e una frase irriverente tipo: "E tu, avresti investito su di loro?". L'immagine ritrae undici dei tredici dipendenti della Microsoft il 7 Dicembre 1978, proprio prima che la società lasciasse la sua prima casa ad Albuquerque in New Mexico (sede che fu scelta perché era anche la sede del primo cliente della Microsoft, quella MITS [Micro Instrumentation and Telemetry Systems, Inc.] che ogni giorno diventava più irrilevante nel giro di affari complessivo della Microsoft) per un radioso futuro a Seattle. L'adolescente in basso a sinistra è ovviamente Bill Gates in persona... e -liberi di non crederci- in quella foto aveva già 23 anni.
 
Che dire di Bill, che non sia già stato detto? Immagino che non si diventi multi-miliardiari senza lasciarsi alle spalle qualche ego ferito, ma il buon vecchio Bill ha sempre avuto un talento speciale per restare sulle scatole alla gente e, più in generale, per interpretare il ruolo del Dart Fener dell'industria dei computer. 
 
A dire il vero non sono poi così sicuro che Gates fosse tanto più malvagio di molti dei suoi colleghi dell'epoca. Infatti già ai tempi di questa foto l'utopismo digitale della People’s Computer Company e di Creative Computing stava subendo delle brutte batoste per mano degli aspiranti giganti dell'industria, che cercavano di accaparrarsi una fetta della nuova torta dei microcomputer. 
Penso a gente come Jack Tramiel (il capo della Commodore) che aveva dichiarato che "gli affari sono una guerra" e che si meravigliava per lo stupore dei suoi partner commerciali e dei suoi dipendenti dinanzi alle sue bugie e ai suoi tradimenti. Oppure penso a gente come Steve Jobs che, prima di aver co-fondato la Apple, fregava al suo miglior amico (che oltretutto aveva fatto il lavoro al posto suo...) un bonus di 5.000 Dollari, mentre ipocritamente elogiava a vanvera la solidarietà hippie e la filosofia orientale. Forse i più morali di tutti erano i dirigenti della Tandy, talmente privi di immaginazione e talmente isolati dai loro competitor, da non aver tempo da perdere per tentare attivamente di fargli dei torti. 
 
 
La vera differenza di Gates era che lui era dannatamente bravo nel suo essere malvagio. E se nel lungo periodo tutti i suoi avversari sono stati ripagati con la loro stessa moneta, Gates invece ha prosperato ininterrottamente. Non era immorale, quanto piuttosto amorale. A differenza di Tramiel (che sembrava trarre piacere dalle proprie azioni malvagie) o di Jobs (che voleva disperatamente apparire come il buono, indipendentemente dai brutti scherzi che giocava agli altri), Gates sembrava del tutto indifferente alla sua immagine e completamente disinteressato alle "sottigliezze" che separano il giusto dallo sbagliato. A livello personale si dice che ispirasse un misto fra l'indifferenza e il completo disgusto in tutti coloro che non erano sulla sua busta paga (o, forse, più probabilmente questi ultimi non potevano esprimersi al riguardo). Ciò non dipendeva però solo dalla sua igiene personale, che lasciava a desiderare almeno quanto le sue abilità relazionali. Né dipendeva dal fatto che egli esibiva tutta l'arroganza di chi era al tempo stesso sia un programmatore brillante che il rampollo, con tanto di laurea ad Harvard, di una ricca famiglia (e del resto era effettivamente entrambe le cose). No, a renderlo così profondamente fastidioso per tante persone era il suo smisurato bisogno di sconfiggere e dominare tutti coloro che lo circondavano. 
Se Gates non riusciva a vincere equamente, state certi che avrebbe barato. E -diamine!- se poteva vincere equamente ma sarebbe stato più facile vincere barando, probabilmente avrebbe scelto questa seconda condotta. Ma la verità resta una soltanto: Gates sapeva barare in modo intelligente. L'etica per lui non significava nulla, ma conosceva invece bene il diritto, e si è sempre curato (anche nelle azioni più torbide) di essere dal lato giusto della riga (certo, come sappiamo, divenne sempre meno bravo in questo nel corso degli anni '90, ma questa è una storia di cui parleremo un'altra volta...). 
Vi ricordate dei nerd un po' ottusi del MIT contro cui si era scagliato Joseph Weizenbaum in Computers and Human Reason? Beh, il giovane Gates combacia perfettamente con quello stereotipo, con in più però una montagna di spietatezza a sangue freddo. No, la sua personalità non gli avrebbe fatto fare molte amicizie. Ma quanto alle opportunità di investimento...
 
La storia di Microsoft Adventure ci fornisce una buona raffigurazione sia del vero acume tecnico e di marketing della società di Gates, sia del suo autentico genio nell'ignorare le considerazioni etiche pur restando dal lato giusto della legge. Ci fornisce uno dei primi esempi di quello che già allora stava diventando il modus operandi della società; un modus operandi destinato tanto a far infuriare gli hacker idealisti, quanto a far felici gli investitori finanziari. E poi -e non è certo un caso- rappresenta anche un momento molto importante nella costante evoluzione dei giochi di avventura. 
 
Nel 1979, cioè due anni pieni prima che il genio di Gates si manifestasse nella partnership con IBM per l'originale IBM PC, la Microsoft era già un pesce molto grande nello stagno ancora relativamente piccolo dell'industria dei microcomputer dell'epoca, avendo sviluppato un ampio giro d'affari a partire da quel primo Altair BASIC di cui abbiamo già parlato. Microsoft era per antonomasia la società a cui rivolgersi per le implementazioni del BASIC sui microcomputer; infatti non si limitava a fornire il TRS-80 Level 2 BASIC, ma anche i BASIC del Commodore PET e del nuovo Apple II Plus. In più si era anche già espansa in altri linguaggi di programmazione di alto livello, grazie alle prime implementazioni di FORTRAN e COBOL per i microcomputer. 
Microsoft Adventure faceva invece parte di una nuova iniziativa del 1979, la Microsoft Consumer Products Division, che intendeva pubblicare giochi, e altri applicativi meno esoterici, destinati ai clienti comuni. Nel complesso era un ramo notevolmente avanti coi tempi, anche se nel lungo periodo non avrà il successo sperato (la Microsoft infatti chiuderà questa divisione pochi anni dopo, per concentrarsi quasi esclusivamente su prodotti tecnici o per il mercato "business", e -se escludiamo la longeva mosca bianca di Flight Simulator- non pubblicherà più giochi e applicazioni destinati agli utenti domestici fino agli anni '90). Tuttavia nel 1979 la Consumer Products era considerata una parte importante della futura Microsoft. Con i giochi di avventura diventati così popolari sul TRS-80, quando un dipendente di nome Gordon Letwin affermò di poter portare l'Adventure originale di Crowther e Woods (una sorta di leggendario Sacro Graal per gli avventurieri dei microcomputer) sulle piccole macchine casalinghe, gli fu subito dato il via.
 
 
Gordon Letwin, nella foto sopra, è il tizio con i capelli neri all'estrema destra della seconda fila. Nato nel 1952, e quindi tre anni più vecchio di Bill Gates, la sua personalità e le sue origini non sono poi tanto diverse da quelle degli altri hacker che abbiamo già incontrato su questo blog. Personalità introversa, non verbale al punto di essere quasi inquietante, Letwin aveva letto dozzine e dozzine di libri di saggistica nel corso di tutta la sua infanzia e l'adolescenza. Entrato alla Purdue University per una laurea in fisica (la stessa scelta da Will Crowther dieci anni prima), Letwin trovò la sua vera vocazione nel centro computer dell'università. Dopo l'università trovò lavoro presso la Heath Company, rinomata fra gli hobbisti dell'elettronica per i loro "Heathkits", dei kit di assemblaggio che permettevano di costruirsi da soli i propri attrezzi per test, radio e televisioni. Nel 1977 la linea fu allargata per includere anche un computer, l'H8, per il quale Letwin aveva progettato un semplice sistema operativo chiamato H-DOS. Aveva anche scritto un suo BASIC, ma un giovane e aggressivo Gates era piombato alla Heat durante il suo giro fra i produttori di microcomputer per cercare di convincerli (non senza una certa umiliazione per Letwin...) ad acquistare la versione di Microsoft. In quell'occasione Letwin fece qualcosa di interessante, qualcosa che pochi altri hanno mai fatto: si oppose a Gates. Citando lo stesso Gates:
 
"Ci sono molti modi diversi per fare questa roba. Il suo aveva dei vantaggi che lui mi stava indicando. Finimmo così in una discussione fra tecnici. Nella stanza c'erano almeno 15 persone e nessuno era in grado di seguirci. Parlavamo in termini di "data structure", "single representations", "double scan", e roba del genere... Per esempio, se uno scriveva una linea sbagliata, il suo controllava immediatamente la sintassi, il mio no. Il che era uno dei punti negativi del nostro progetto. In ogni caso lui era estremamente sarcastico al riguardo, facendomi notare quanto il nostro approccio fosse stupido."
 
 
Poiché l'adagio secondo cui nessuno è mai stato licenziato per aver comprato Microsoft era vero perfino nel 1977, i dirigenti della Heath scelsero di sostituire il progetto interno di Letwin con il BASIC della Microsoft. Questo fece arrabbiare moltissimo Letwin. Gates, che al di là di tutti i suoi difetti sapeva riconoscere un talento quando ce l'aveva davanti, riuscì a portarlo alla Microsoft circa nove mesi dopo; poco prima che quella foto venisse scattata. 
 
Anche se Letwin e sua moglie continuarono a vivere molto modestamente anche dopo molti anni che la Microsoft li aveva resi ricchi, lui -più di molti altri hacker- conosceva il valore dei soldi e prendeva volentieri tutto ciò che gli arrivava. Un suo profilo sul Seattle Times, datato 1988, afferma che fu lui uno dei principali motivi che spinsero Gates e Paul Allen a trasformare la Microsoft da una "partnership" in una "corporation" nel 1981, concedendo a lui e ad altri dipendenti della prima ora quelle quote che li avrebbero resi molto ricchi di lì a una decina di anni. Ho accennato a questo fatto, perché potrebbe essere utile per spiegare una particolarità legata a Microsoft Adventure: fu pubblicata da Microsoft, ma fu ufficialmente sviluppata da un'entità chiamata Softwin Associates, una società apparentemente composta dal solo Letwin. Si direbbe quasi che Letwin avesse sviluppato Adventure come una specie di secondo lavoro a nero, e che poi ne abbia venduto la licenza al suo datore di lavoro. Perché mai organizzare così questa operazione? Perché facendo così Letwin avrebbe potuto raccogliere le royalties sulle vendite in qualità di collaboratore esterno ["outside contractor"], superando quindi i limiti del suo normale stipendio di dipendente. Il fatto che Gates, sempre attento agli aspetti economici e finanziari, abbia accettato una tale strategia probabilmente la dice lunga su quale fosse il suo valore percepito all'interno della società. 
 
 

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