La Macchina del Tempo - Novembre 1987 (Multipiattaforma): Parte III

Bentornati alla Macchina del Tempo, amati follower.
 
Terza puntata dedicata al Novembre 1987, terzo giro nell'elenco dei giochi pubblicati per almeno due computer in questo mese.
 
"Multipiattaforma" un tempo significava qualcosa di molto diverso rispetto ad ora: ogni macchina aveva caratteristiche molto peculiari e riconoscibili, ed ogni versione di ciascun gioco era una storia a sé. Ciononostante, le software house non si esimevano dal portare i propri titoli su molti sistemi, pur perdendo i vantaggi del design per un hardware unico. 
 
La varietà non manca nemmeno questa volta, tant'è che troviamo pure un'avventura testuale in tedesco, per giunta mediocre, come ultimo stadio del retrogaming estremo.
XOR è un'interessante prova di game design nell'ambito dei puzzle game, Yogi Bear un prodotto inevitabilmente ambito dai ragazzini, Super Sprint una più che soddisfacente conversione di un coin-op di successo.
 
E poi altro ancora di un mercato che non aveva paura di sperimentare!
 

Gianluca "Musehead" Santilio, youtuber raffinato che trasmette dalla campagna senese, esperto di retrogame, avventure grafiche e birre. Voce nota anche per le varie partecipazioni a podcast come Archeologia Videoludica e Calavera Cafè, per chi desidera seguirlo ricordiamo, oltre al suo canale YouTube dell'Archivio del Sig. Santilio, anche il suo blog, dove approfondisce i propri video e la pagina Patreon, dove chi vuole può sostenerlo con una donazione mensile.

DunjonQuest
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Non si può enfatizzare abbastanza quanto i war games e i giochi di ruolo da tavolo (e in particolare, ovviamente, Dungeons and Dragons della TSR) abbiano influenzato le prime narrative ludiche su computer. A volte tale influenza è del tutto palese, come nel caso di giochi tipo Eamon che cercavano esplicitamente di trasportare su computer l'esperienza del D&D. Altre volte però tale influenza è meno apparente.

A differenza dei tipici giochi da tavolo, o perfino dei war game, il D&D e i suoi contemporanei non erano commercializzati come prodotti singoli, ma come delle vere e proprie raccolte di esperienze, quasi uno stile di vita. Solo per iniziare a giocare con la punta di diamante, l'Advanced Dungones & Dragons, si dovevano acquistare tre grandi volumi dalla copertina rigida (Monster Manual, Players Handbook, e Dungeon Masters Guide), a cui si aggiunsero presto molti altri volumi, che descrivevano nuovi mostri, nuovi tesori, nuovi dei, nuove classi di personaggio, e nuove regole sempre più complesse per nuotare, per creare oggetti, per muoversi nelle ombre, per rubare, e -ovviamente- per combattere. Ma, soprattutto, c'erano i moduli d'avventura: avventure preconfezionate, vere e proprie narrative ludiche che potevano essere messe in scena utilizzando il sistema di gioco di D&D. Ne uscivano a dozzine, meticolosamente catalogate con un sistema alfanumerico che permetteva ai collezionisti compulsivi di tenerne traccia; una trilogia di moduli dedicati ai giganti fu etichettata da “G1” a “G3”, una serie di moduli creata nel Regno Unito fu etichettata “UK” [che sta per “United Kingdom”; ndAncient]. A parte i vari vantaggi ludici, questo sistema era indubbiamente il sogno di ogni addetto alle vendite. Perché limitarsi a vendere un solo gioco ai tuoi clienti, quando puoi incatenarli a un intero universo in continua espansione di prodotti?

La strategia di marketing della TSR (basata sulla filosofia di “un solo gioco / molti prodotti”) e il suo zelo per la catalogazione possono essere ritrovati anche fra quei primi sviluppatori di giochi per computer che non stavano provando esplicitamente ad adattare le regole del D&D ai loro mondi digitali. Scott Adams, per esempio, numerò tutte le sue avventure, arrivando così a una dozzina di giochi canonici (altre avventure, presumibilmente non scritte di proprio pugno dal maestro, furono invece pubblicate dalla Adventure International come delle specie di opere apocrife ufficiali sotto l'etichetta “OtherVentures”). I giocatori venivano incoraggiati a giocarle in ordine, visto che aumentavano gradualmente di difficoltà; in questo modo il giocatore principiante poteva affilarsi i denti con opere relativamente “forgiving” tipo Adventureland e Pirate Adventure, per poi gettarsi nei giochi successivi assurdamente difficili tipo Ghost Town e Savage Island. La On-Line Systems adottò un modello simile, sottotitolando retroattivamente Mystery House in Hi-Res Adventure #1 dopo aver pubblicato la Hi-Res Adventure #2 (The Wizard and the Princess). Il gioco successivo Mission: Asteroid, apparso all'inizio nel 1981, fu battezzato Hi-Res Adventure #0 (nonostante la cronologia delle uscite) perché era stato pensato come gioco per principianti, con un po' meno assurdità ed enigmi iniqui del solito. A tutti gli effetti queste similitudini con l'approccio del D&D erano qualcosa di più di un semplice fenomeno di marketing. Del resto entrambe le linee di giochi erano basate su motori riutilizzabili. Nello stesso modo in cui un gruppo di giocatori viveva intorno al tavolo molte avventure diverse usando le regole alla base del D&D, così le linee di avventure di Scott Adams o le Hi-Res Adventures erano essenzialmente delle regole base (il motore di gioco) applicate a molte narrative ludiche diverse.

Tuttavia, fra gli sviluppatori che abbiamo esaminato fin qui, quelli che imitavano in modo più palese il modello del D&D erano -logicamente- quelli che provenivano direttamente dalla cultura del D&D: Donald Brown con il sistema di Eamon, e le Automated Simulations, gli sviluppatori della linea DunjonQuest che era iniziata con Temple of Apshai. J.W. Connelley, il principale sviluppatore del motore dell'Automated Simulations, aveva progettato per Temple of Apshai un motore riutilizzabile che leggeva i file di dati che rappresentavano i livelli del dungeon che si esplorava. Proprio come accadde per Scott Adams e per la On-Line Systems, questo approccio da un lato rese il gioco più facile da convertire (e infatti le versioni per tutte le principali macchine del 1979 -TRS-80, Apple II, Commodore PET- furono pubblicate quello stesso anno), e dall'altro lato velocizzò lo sviluppo di nuove iterazioni del medesimo concept. Tali iterazioni furono etichettate come un set unico di esperienze, che prese il nome di DunjonQuest. Il pittoresco appellativo dalla dizione medievale fu probabilmente scelto per evitare conflitti con la litigiosissima TSR, che, oltre alle regole del D&D, stava commercializzando anche un gioco da tavolo chiamato semplicemente Dungeon!

E la Automated Systems non fece certo mancare tali iterazioni! Altri due titoli della collana DunjonQuest apparvero lo stesso anno di Temple of Apshai. Sia Datestones of Ryn che Morloc’s Tower facevano parte di quelle che la Automated Simulations chiamò MicroQuests, nelle quali gli elementi di costruzione del personaggio erano completamente assenti. Al loro posto il giocatore doveva guidare un personaggio pregenerato attraverso un ambiente molto più piccolo. Ci si aspettava che il giocatore affrontasse più volte l'avventura, cercando di conseguire risultati sempre migliori. Nel 1980 la Automated Simulations pubblicò invece il “vero” seguito di Temple of Apshai, Hellfire Warrior, che conteneva i livelli dal quinto all'ottavo del labirinto iniziato col gioco precedente. Sempre quell'anno pubblicarono anche due titoli più modesti, Rescue at Rigel e Star Warrior, le prime e uniche uscite di una nuova serie, StarQuest, che catapultava il sistema DunjonQuest nello spazio.

Almeno secondo una prospettiva moderna, c'è una sorta di dissonanza cognitiva in queste serie, se le esaminiamo nel loro complesso. I manuali spingevano molto sull'aspetto sperimentale di questi giochi, come ben dimostrato da questo estratto del manuale di Hellfire Warrior:

Quali che siano il tuo background e le tue esperienze precedenti, ti invitiamo a proiettare nel “dunjon” non solo il tuo personaggio, ma anche tutto te stesso. Ti invitiamo a perderti nel labirinto. A sentire la polvere sotto i tuoi piedi. Ad ascoltare il suono di passi non umani che si avvicinano o il lamento di un'anima persa. Lascia che l'odore di zolfo assalga le tue narici. Brucia al caldo delle fiamme dell'inferno, e gela sopra un ponte di ghiaccio. Passa le dita in un cumulo di monete d'oro e immergiti in una pozza d'acqua magica.
Entra nel mondo di DunjonQuest.

Nonostante tutto questo, nessuno di questi giochi aveva la benché minima trama. Temple of Apshai e Hellfire Warrior non hanno nemmeno una fine vera e propria, ma solo dei dungeon che si rigenerano all'infinito da esplorare e un personaggio giocante da migliorare in eterno. Mentre le MicroQuests ricompensano i giocatori solo con un insoddisfacente punteggio finale al posto di un epilogo vero e proprio. Sebbene il background narrativo del suo manuale sia ideato con un'attenzione insolita, Datestones of Ryn ha un limite temporale di soli 20 minuti, che gli dà più un feeling da gioco d'azione, giocabile all'infinito e quasi privo di contesto, piuttosto che da gioco di ruolo per computer. Invece il gameplay della serie nel suo complesso, oggi, ci balza all'occhio per le sue similitudini con i roguelike, dei dungeon crawl senza storia (o, almeno, con pochissima storia) attraverso labirinti generati casualmente. Questa però sarebbe una lettura anacronistica: Rogue, il capostipite del genere, in realtà è uscito un anno dopo Temple of Apshai.

Credo che tutte queste stranezze possano essere spiegate se comprendiamo che Jon Freeman, il principale designer dietro il sistema, stava puntando a creare un tipo di narrativa ludica diverso da quella delle avventure testuali di Scott Adams e da quella tipica della On-Line Systems. Lui sperava che, dati un background, una descrizione degli ambienti, un set di regole per controllare ciò che vi accadeva, e una buona dosa di immaginazione da parte del giocatore, dal gioco emergesse autonomamente una narrativa ludica. In altre parole, usando un termine che appartiene ad un'era molto successiva, stava tentando di creare una narrativa emergente. Per comprendere meglio il suo approccio, ho pensato di dare una breve occhiata da vicino a uno dei suoi giochi, Rescue at Rigel

Rescue at Rigel trae ispirazione dalla classica space opera, un genere che è stato recentemente riportato in vita dal fenomenale successo dei primi due film di Star Wars [l'articolo è stato scritto nel 2011, quindi l'autore si riferisce alla seconda trilogia di Guerre Stellari; ndAncient].

Nell'arena della vostra immaginazione, non tutti i nostri eroi (o le nostre eroine!) indossano armature nere o di uno scintillante argento, né prendono a mazzate dei barbari nemici su dei moli sferzati dal vento, né affrontano dei macabri destini per mano di depravati adepti le cui arti nere erano già vecchie quando il mondo era giovane. La fantascienza ci fa viaggiare su navi stellari con nomi come Enterprise, Hooligan, Little Giant, Millenium Falcon, Nemesis, Nostromo, Sisu, Skylark, e Solar Queen. Navi che viaggiano su mari stellati, che non sono percorsi da tempeste o infestati da demoni, ma che non per questo sono meno spaventosi. Navi che ci fanno approdare su nuovi mondi impavidi le cui forme, i cui panorami e i cui suoni sono più plausibili (ma non meno sbalorditivi) di quelli sperimentati da Sinbad.

In questo titolo il giocatore assume il ruolo di Sudden Smith, un classico ed energico eroe pulp. Sta per teletrasportarsi nella base di una razza di alieni insettoidi conosciuti col nome di Tollah, che hanno catturato un gruppo di scienziati per le loro “ricerche” e fra questi c'è anche la fidanzata di Sudden. I Tollah sono uno dei pochissimi accenni ad eventi di un mondo più ampio che troverete nei primissimi videogiochi, al di là delle opere di fantasy e science-fiction. La casta che comanda i Tollah sono gli “High Tollah”, un chiaro riferimento allo Ayatollah Khomeyni, che a quel tempo aveva recentemente preso il potere in Iran e che teneva in ostaggio 52 Americani [“High Tollah”, cioé “Alto Tollah”, si pronuncia infatti in modo molto simile a Ayatollah; ndAncient]. Gli “High Tollah” ci dice il manuale, “sono altezzosi, autoritari, intolleranti, ottusi, privi di immaginazione e inflessibili.” Alla luce di tutto questo, è palese quale sia stata l'ispirazione per questo scenario di salvataggio degli scienziati.

Il gameplay si sviluppa intorno all'esplorazione della base dei Tollah, convenientemente strutturata come un labirinto, respingendo i Tollah e i robot della sicurezza, mentre cerchiamo i dieci scienziati che vi sono tenuti in ostaggio. Si tratta sostanzialmente, come in tanti altri giochi di ruolo per computer, di un gioco di gestione delle risorse: Sudden ha un numero limitato di medikit, di munizioni, e soprattutto una riserva limitata di energia all'interno del suo zaino che deve essere usata per tutto (dallo sparare agli Tollah, fino al teletrasportare gli scienziati al sicuro). Quel che è peggio è che Sudden ha soltanto 60 minuti di tempo reale per salvare il maggior numero possibile di scienziati e teletrasportarsi al sicuro. Freeman fa di tutto per rendere il gioco un motore di eccitante narrativa emergente. Ad esempio, se Sudden finisce completamente l'energia, ha comunque un'ultima possibile via di fuga: se riesce a tornare nei 60 minuti al punto in cui lo ha depositato il teletrasporto, un altro teletrasporto automatico lo riporterà in salvo. È facile immaginarsi una situazione disperata, che pare uscita direttamente da una storia di Guerre Stellari o di Dominic Flandry, con il giocatore che torna sui suoi passi, in mezzo al fuoco dei laser, mentre il tempo scorre e i Tollah gli sono alle calcagna. Di certo ci possiamo immaginare che Freeman si fosse immaginato tutto questo.

Ma per vivere queste storie è necessaria una notevole dedizione e una fervida immaginazione da parte del giocatore, come potrà probabilmente convenire chiunque abbia osservato l'orrendo screenshot di cui sopra. Effettivamente i giochi della serie DunjonQuest sembrano proprio una sorta di ibrido fra l'esperienza di un gdr da tavolo e di uno digitale, in cui ciò che emerge direttamente dall'immaginazione del giocatore è importante quanto quello offerto dal gioco stesso. È per questo che probabilmente è stata una mossa saggia per la Automated Simulations quella di usare come target del marketing di DunjonQuest proprio i giocatori di ruolo cartaceo. Del resto loro sono abituati a rimboccarsi le maniche e a usare la loro immaginazione per inventare delle narrative soddisfacenti. La Automated Simulations pubblicizzò ampiamente DunjonQuest sulla rivista Dragon Magazine della TSR, e (con una mossa che non potrebbe essere più indicativa della tipologia di pubblico che pensavano potesse apprezzare DunjonQuest) arrivarono persino a regalare il gioco da tavolo strategico chiamato Sticks and Stones con ogni acquisto di un gioco della serie DunjonQuest.

Negli ultimi mesi del 1980 la Automated Simulations cambiò il suo nome nel meno prosaico Epyx, adottando il motto: “Computer games thinkers play” [traducibile all'incirca come “Videogiochi a cui giocano le persone che pensano”; ndAncient]. I giochi della serie DunjonQuest continuarono comunque a uscire per altri due anni. Fra le ultime pubblicazioni ci furono anche un paio di espansioni per Temple of Apshai e Hellfire Warrior, che credo siano i primi esempi del genere tra i giochi commerciali per computer. Invece l'utilizzo più strano e creativo dell'engine di DunjonQuest arrivò nel 1981 con Crush, Crumble, and Chomp!: The Great Movie Monster Game, nel quale il giocatore assumeva il controllo di Godzilla (anzi, no, di Goshzilla!), o di qualche altro mostro famoso lanciato nella distruzione di una città. Per un esame dettagliato di tutta la serie di DunjonQuest, che alla fine si compose di una dozzina di titoli, potete leggere questo articolo di Hardcore Gaming 101.

Crush, Crumble, and Chomp! fu l'ultimo lavoro di Freeman per la Epyx. Alla West Coast Computer Faire of 1980 incontrò infatti una collega programmatrice chiamata Anne Westfall e di lì a poco i due iniziarono a frequentarsi. Westfall si unì alla Epyx per un po', andando a lavorare come programmatrice su alcuni degli ultimi giochi di DunjonQuest. Lei e Freeman però ben presto si stufarono del disinteresse di Connelley nel miglioramento dell'engine di DunjonQuest. Scritto in BASIC sull'ormai vetusto TRS-80 Model I, tale engine era sempre stato tremendamente lento e ormai iniziava a sembrare davvero datato nei porting per le piattaforme più moderne e capaci. In più Freeman, un designer irrequieto e creativo, si stava annoiando delle continue iterazioni del solito concept di DunjonQuest; perfino creare Crush, Crumble, and Chomp! aveva richiesto una dura battaglia da parte sua... Alla fine del 1981 Freeman e Westfall lasciarono la Epyx per creare una casa di sviluppo indipendente, la Free Fall Associates, della quale avrò molto altro da dire in futuro. E, dopo un paio di ultime pubblicazioni per DunjonQuest, la Epyx si trasformò da “Computer games thinkers play” in qualcosa di molto diverso, e anche di questo avrò molto da dire in futuro. Con incassi buoni, ma mai enormi, neppure al massimo del proprio splendore, i giochi della serie DunjonQuest sfiguravano abbastanza nel confronto con la nuova generazione di giochi di ruolo per computer, dei quali -come avrete immaginato- avrò molto altro da dire in futuro.

Se volete sperimentare l'esperienza di DunjonQuest, posso fornirvi un pacchetto con un immagine per Apple II che include Temple of Apshai, Rescue at Rigel, Morloc’s Tower, e Datestones of Ryn, oltre ai relativi manuali.

La prossima volta inizieremo a esplorare un'opera con una profondità tematica senza precedenti, che fa già drizzare tutte le mie antenne di studioso di letteratura.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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Starquest: Rescue at Rigel

Si tratta di uno dei primi RPG esistenti (lo scopo della recensione è principalmente farlo conoscere per il valore storico, il gioco non è un granchè). Assieme al più famoso (e meglio realizzato) Rogue, Rescue at Rigel è uno dei primi giochi di dungeon crawl esistenti. La meccanica è molto semplice: dovete liberare 10 umani catturati da un'astronave aliena (è il primo gioco roguelike di ambientazione fantascientifica) in un'ora (!) e dovete combattere vari tipi di mostri che vorranno farvi la pelle. Gli elementi di RPG sono molto scarni: si tratta essenzialmente di combattere i nemici e procurarsi equipaggiamento migliore.

La difficoltà non è molto alta come il tempo massimo a disposizione fa pensare: il gioco può essere finito tranquillamente in 40-50 minuti. C'è poi da dire che questo gioco non regge bene il tempo come invece acade per Rogue: dopo poco diventa ripetitivo e non è molto divertente da giocare, sia per la grafica scarnissima che il gameplay poco vario. Ha dalla sua parte un alto valore storico e il fatto di essere uno dei primi RPG, ma questo non gli fa comunque guadagnare una sufficienza

 

Impossible Mission

Prefazione:

Ok, lo ammetto, io sono il rappresentante ideale del target al quale puntava la nuova System 3 quando ha deciso di rimettere in vendita Impossible Mission: non solo lo avevo originale (anche se in una compilation..) per il C64, non solo ho sempre adorato l'atmosfera, le animazioni, il gracchiante parlato campionato (!!!), ma soprattutto non l'ho mai finito e quindi mai dimenticato...

E così non ho avuto alcuna chance...


La schermata iniziale dell'originale per C64

Un tuffo nel passato
Impossible Mission è un classico dei più classici sin dalla sua prima edizione: nel 1984 il gioco della Epyx oltre ad essere un super-concentrato di atmosfera e giocabilità presentava animazioni fluidissime e parlato campionato, molto rari per quell'epoca, e tanto bastò a spararlo direttamente nel Gotha dei capolavori per il piccolo di mamma Commodore;
Ad ogni modo per chi proprio non lo conoscesse diciamo che nel gioco in questione ci troviamo nei panni di un agente segreto infiltrato nel bunker-laboratorio del malvagio dottor Elvin Atombender, deciso a lanciare da qui una testata nucleare in grado di sterminare il genere umano.

La nostra missione (qualora decidessimo di accettarla...) sarà trovare 36 pezzi di schede traforate e combinarli tra loro stile puzzle al fine di ottenere la password finale e con essa l'accesso al laboratorio del caro nonnetto bombarolo.
E la cosa non sarebbe questo gran problema se non fosse che i pezzi si trovano nascosti nell'arredamento delle molte stanze (ridisposte ad ogni nuova partita) del bunker, ognuna delle quali rappresenta un piccolo enigma da risolvere:
Ogni stanza è infatti dotata di piattaforme, elevatori e soprattutto di mortali robot che seguendo pattern comportamentali differenti cercheranno di impedirci di rovistare nel mobilio friggendoci appena dovessimo essere a portata;
Il tutto poi è peggiorato dal fatto che l'unica arma a nostra disposizione oltra alla materia grigia è un atletico salto mortale con cui cercare di evitare gli automi e le loro letali scosse elettriche, ma anche i baratri senza fondo che spesso ci separeranno da questo o quel mobile, contenente sicuramente l'unico pezzo che ci manca per completare l'ultimo puzzle.


Il minigioco musicale, ieri come oggi fonte inesauribile di "snooze" e "lift reset".

In nostro aiuto vengono i computer del laboratorio, che utilizzando alcune password trovate durante il nostro perquisire o carpite grazie ad un minigame musicale, ci permetteranno di resettare le posizioni degli elevatori o di disattivare temporaneamente i robot della stanza in cui ci troviamo, ed una sorta di PDA che ci portiamo dietro e che oltre a permetterci di riassemblare i vari puzzle, ci permetterà anche di ottenere piccoli aiuti riguardo la risoluzione questi ultimi, anche se non proprio gratis...

Infine ad aumentare ulteriormente la tensione concorre il limite di 6 ore (reali), passate le quali Elvin lancerà il suo ordigno e che diventano malapena sufficienti se si pensa che ogni vita persa comporta la perdita di 10 minuti, e di vite se ne perdono parecchie...


I vari pezzi vanno rigirati e ricolorati per far sì che si incastrino a gruppi di 4,
a formare le 9 schede che ci servono per arrivare da Elvin, l'arzillo psicopatico...

Quando il prima sarà adesso?
Ecco, considerate che questo concept risale al 1984 e che in 23 anni non ha perso un briciolo del suo fascino su di me, e avrete un'idea di come mi sentivo caricando il gioco sul mio DS.

Il gioco parte, e dopo qualche schermo di presentazione mi trovo di fronte la schermata di selezione (ovviamente assente nell'originale) che mi preannuncia un inedito sistema di salvataggio e la possibilità di scegliere fra due livelli di difficoltà;
Ad ogni modo seleziono "Nuova Partita" e passo ad un'altra selezione, stavolta fra una versione nuova e "moderna", quella classica scarna ed essenziale ed una versione "mista", con gli sfondi rinnovati ma il nostro agente in tuta grigia e pixel bianchi come un tempo.


"Merged"?? E che senso ha?
Ce l'ha, ce l'ha...

Tradendo forse per un attimo il mio spirito di oldgamer decido di optare per la grafica aggiornata, per vedere cos'ha da offrire...altra schermata di selezione, stavolta devo decidere se impersonare un simil-Prescelto di Matrixiana memoria in giacca, cravatta e occhiali scuri, la sua controparte femminile bionda o un robot che sembra un incrocio fra Ciclope degli X-Men ed un T-1000 con la maschera da saldatore...
"Quale sarà la differenza?"
Seleziono lo pseudo-Neo ed entro nel bunker...


Tre personaggi in cerca d'autore...

Devo dire che dopo un iniziale spiazzamento mi sono trovato subito bene, infatti si tratta esattamente dello stesso gioco semplicemente con grafica aggiornata: stesse stanze, stessi robot, stesse piattaforme, tutto perfettamente identico ma ridisegnato, devo dire in modo anche piacevole ma nettamente troppo confusionario, forse anche a causa delle piccole dimensioni del display.
Anche la voce di Atombender è stata aggiornata, questa però ha guadagnato in definizione ma perso in fascino, all'opposto della grafica.


Prima e dopo l'intervento...si stava meglio quando si stava peggio?

Comunque muovo i primi passi e capisco il perchè della modalità "mista": infatti la versione aggiornata del protagonista (quale che sia, visto che la scelta tra Neo, la svampita ed il T-1000 è totalmente ininfluente, cambia solo lo sprite!) rende i movimenti pixel perfect richiesti dal gioco nettamente più difficili, non saprei dire se per il fatto che Mr.Anderson tenda a confondersi un pelo con il fondale o se gli manchi qualche frame di animazione...e così dopo qualche salto nel vuoto ed un pò di puzza di agente arrosto torno mestamente sui miei passi (leggi: al menù iniziale) e riprendo la sfida che avevo abbandonato 15 anni fa...

Finalmente a casa...o no?
Questa volta Atombender mi accoglie con la sua voce originale e tutto sembra al suo posto...beh, quasi tutto, infatti a fronte di una grafica molto simile (anche se non perfettamente identica) a quella dell'originale, la System 3 è incredibilmente riuscita a rovinare anche la versione "classica" con alcuni bug (il più imbarazzante dei quali riguardante la sfera nera che ci insegue stile "Il Prigioniero") di cui francamente non si sentiva la mancanza;
Inoltre sono state aggiunte due sequenze finali, che nell'originale in pratica non c'erano (se non per una contrariata espressione di Elvin una volta terminata con successo la missione) e che qui mostrano con brevi filmati tridimensionali l'esito del nostro operato.


Elvin non t'arrabbiare, che hai la pressione alta! (versione C64)

Postfazione:
A conti fatti posso dire che la System 3 ha pienamente fallito la sua opera di rinnovamento di Impossible Mission:
L'unica cosa buona di questo remake infatti è proprio il gioco originale, che anche se con qualche nuovo bug non perde un grammo del suo valore storico e si dimostra perfettamente giocabile anche oggi;
La nuova grafica, i nuovi personaggi ed un paio di sequenze animate non valgono però i soldi (circa 30€ per la versione DS) che ci vengono richiesti per poter rigiocare questo capolavoro.

Detto questo, l'originale resta un titolo imperdibile per qualunque oldgamer.