La Nascita di Infocom
The Digital Antiquarian (la traduzione ufficiale italiana)

Ormai persino i lettori più distratti avranno capito cosa bolle in pentola, quale segreto si annida tra le pagine polverose di OldGamesItalia. Dopo la gloriosa traduzione di Zork I - The Great Undreground Empire, è in cantiere la localizzazione del secondo capitolo della fortunata trilogia di Infocom.
E quale modo migliore di celebrarne la pubblicazione che pubblicare gli articoli del nostro Antiquario Digitale dedicati proprio alla genesi di Zork e di Infocom? Ed è per l'appunto dell'effettiva nascita di questa mitica azienda di videogiochi, agli albori dell'era dei microcomputer, che tratterà l'articolo di oggi.
 
Ma prima, l'immancabile indice degli articoli del ciclo Infocom:
 
La Nascita della Infocom
ZIL e la Z-Machine
Come Vendemmo Zork
Giochi a Parser
Esplorando Zork, Parte 1
Esplorando Zork, Parte 2
Esplorando Zork, Parte 3
Infocom: Come Cavarsela da Soli
Zork II, Parte 1
Zork II, Parte 2
Lo Zork User Group
Zork III, Parte 1
Zork III, Parte 2
 
Buona lettura avventurieri... e portate le lanterne!
 
Festuceto
 
Mentre il Dynamic Modeling Group completava gli ultimi ritocchi su Zork e finalmente se ne congedava, al MIT si iniziava ad avvertire la fine di un’era. Marc Blank stava per laurearsi in medicina e stava per iniziare il suo internato a Pittsburgh, cosa che avrebbe reso impossibile continuare la sua opera di "hackeraggio" intensivo al MIT, nonostante le sue capacità apparentemente sovrumane. Altri ancora stavano ultimando i loro programmi di laurea al MIT, oppure (a forza di attardarsi all'università) stavano esaurendo le giustificazioni per ritardare ancora l'inizio delle loro “vere” carriere, con dei veri stipendi. Stava insomma per iniziare un esodo generazionale, non solo dal Dynamic Modeling Group ma proprio dal Laboratory for Computer e dall'AI Lab del MIT in generale. Le pressioni del mondo esterno avevano infine fatto breccia nell'utopia hacker del MIT, pressioni che negli anni immediatamente successivi, l'avrebbero cambiato per sempre. Gran parte di questo cambiamento originò però dall'invenzione dei microcomputer.
 
La maggior parte di coloro che frequentava gli ambienti dell’hacking istituzionale, tipo il MIT, all’inizio non era particolarmente entusiasta di quella che veniva chiamata la rivoluzione dei PC. Il che non deve sorprenderci. Quei primi microcomputer erano delle macchine con limiti assurdi. Gli “hacker casalinghi” che le comprarono (spesso costruendosele da soli) erano eccitati dalla semplice idea di avere accesso illimitato a un qualcosa che, almeno lontanamente, rispondesse alla definizione di “computer”. Invece i privilegiati che occupavano un posto in un’istituzione tipo il MIT, non solo avevano accesso illimitato (o quasi) ai suoi sistemi, ma tali sistemi erano anche abbastanza potenti da poter farci davvero qualcosa. Che fascino poteva avere un Altair o anche un TRS-80 in confronto ai sofisticati sistemi operativi come il TOPS-10 o il TOPS-20 o l’Incompatible Timesharing System, con linguaggi di programmazione ben strutturati come il LISP e l’MDL, con ricerche nei campi dell’intelligenza artificiale e del linguaggio naturale, e che avevano perfino dei giochi in rete come Maze, Trivia [il gioco a quiz di cui abbiamo già parlato; ndAncient] e, ovviamente, Zork? Il mondo dei microcomputer ai loro occhi doveva sembrare irrimediabilmente privo di cultura e di educazione, privo di quella vera tradizione di hacking che ormai affondava le sue radici in oltre venti anni di esperienza. Come si poteva pensare di scrivere dei programmi complessi usando il BASIC? Quando molti degli hacker istituzionali si degnarono di accorgersi delle nuove macchine, fu con atteggiamento sprezzante; Stu Galley decretò che il motto non ufficiale del Dynamic Modeling Group diventasse: “Noi odiamo i micro!”. Consideravano i microcomputer come poco più che dei giocattoli, che del resto era grossomodo la reazione avuta da gran parte della popolazione.
 
Già nella primavera del 1979, tuttavia, stava diventando via via più chiaro, a tutti coloro che volevano vederlo, che quelle piccole macchine avevano i loro usi. WordStar, il primo word processor per microcomputer davvero utilizzabile, era disponibile già da un anno, e stava portando sempre più macchine basate sul CP/M negli uffici e perfino negli studi degli scrittori. Alla West Coast Computer Faire di quel maggio, Dan Bricklin mostrò pubblicamente per la prima volta VisiCalc, il primo foglio elettronico del mondo, che avrebbe rivoluzionato la contabilità e la progettazione finanziaria. “Come hai potuto fare senza?”, chiedeva la prima pubblicità che ne anticipava la pubblicazione, con un'iperbole che (fu subito chiaro) si sarebbe rivelata assai preveggente; qualche anno più tardi, milioni di persone si chiederanno esattamente la stessa cosa. A differenza di WordStar e perfino di AdventureLand di Scott Adams, VisiCalc non era una versione più limitata di un concept sviluppato sui computer istituzionali e poi implementato sull’hardware dei microcomputer. Esso era stato concepito, progettato, e implementato interamente sull’Apple II; la prima idea autenticamente nuova nata su un microcomputer, il simbolo di un imminente cambio della guardia.
 
I microcomputer portarono molti, molti più utenti nel mondo dei computer di quanti non ce ne fossero mai stati. Il che portò molti più investimenti privati nel settore, guidati da una nuova realtà: con questa roba si potevano fare soldi veri. E questa consapevolezza portò dei grandi cambiamenti al MIT e nelle altre istituzioni di hacking “puro”. È (tristemente) famosa la spaccatura in due che avvenne durante l’inverno e la primavera del 1979 all’interno dell’AI Lab in seguito alla disputa fra Richard Greenblatt (che sostanzialmente all’interno del MIT era il decano della tradizionale etica degli hacker) e un più pragmatico amministratore di nome Russell Noftsker. Insieme a un piccolo team di altri hacker e di ingegneri informatici, Greenblatt aveva sviluppato un piccolo computer a utente singolo, una sorta di “boutique micro”, il primo di quelle che sarebbero poi state chiamate “workstation”, ottimizzato per far girare il LISP. Credendo che il progetto potesse avere un vero potenziale commerciale, Noftsker avvicinò Greenblatt con la proposta di creare una società che lo producesse. Greenblatt inizialmente si disse d’accordo, ma ben presto si dimostrò (almeno dal punto di vista di Noftsker)  indisponibile a sacrificare anche il più piccolo dei principi degli hacker dinanzi alla realtà degli affari. I due si lasciarono in malo modo, con Noftsker che portò con sé gran parte dell’AI Lab per implementare il concept originale di Greenblatt attraverso la Symbolics, Inc. Sentendosi disilluso e tradito, alla fine anche Greenblatt se ne andò, per formare una sua società, di minor successo, la Lisp Machines.
 
Non è che nessuno del MIT, prima di allora, avesse mai fondato una società, né che il commercio non si sia mai mischiato con l’idealismo di quegli hacker. Gli stessi fondatori della DEC, Ken Olson e Harlan Anderson, erano stati due allievi del MIT, che nella metà degli anni ‘50 si erano occupati, come studenti, del progetto di base di quella che sarebbe poi diventata la prima macchina della DEC, il PDP-1. Da allora il MIT ha sempre mantenuto una relazione privilegiata con la DEC, testando il loro hardware e, cosa ancora più importante, sviluppando del software estremamente essenziale per le macchine della società; una relazione che era (a seconda di come la si guarda) o una miniera d’oro per gli hacker che dava loro continuo accesso alle ultime tecnologie, oppure un brillante piano della DEC per mettere al proprio servizio alcune delle menti migliori dell’informatica di quella generazione senza pagare loro un centesimo. Nonostante questo, ciò che stava accadendo al MIT nel 1979 sembrava qualitativamente diverso. Questi hacker erano quasi tutti programmatori di software, dopotutto, e il mercato dei microcomputer stava dimostrando che adesso era possibile vendere autonomamente il software, in opere preconfezionate, proprio come avviene con un disco o con un libro. Un uomo saggio una volta ha detto: “il denaro cambia tutto”. Molti hacker del MIT erano eccitati all’idea del possibile lucro, come risulta evidente dal fatto che i più scelsero di seguire Noftsker fuori dall’università, piuttosto che l’idealistico Greenblatt. Solo una manciata di loro, come Marvin Minsky e il cocciutissimo Richard Stallman, restarono indietro e continuarono a seguire fedelmente la vecchia etica degli hacker.
 
I fondatori della Infocom non erano fra gli irriducibili. Come si intuisce già dal loro gesto di aggiungere una protezione (oggi suona quasi ridicolo scriverlo) all’Incompatible Timesharing System per proteggere il codice sorgente del loro Zork (una cosa che avrebbe fatto innalzare le urla di protesta di Stallman almeno su due diversi livelli), la loro devozione all’etica degli hacker era quantomeno negoziabile. E infatti Al Vezza e il Dynamic Modeling Group stavano rimuginando su possibili applicazioni commerciali per le creazioni del gruppo già dal 1976. Alla fine del semestre primaverile del 1979, tuttavia, sembrò palese che se questa versione del Dynamic Modeling Group (sul punto di sparpagliarsi ai proverbiali quattro venti) voleva fare qualcosa di commerciale, quello era il momento giusto per iniziare. E del resto molti altri al MIT stavano facendo la stessa identica cosa, no? Non aveva senso restare da soli in un laboratorio vuoto, come accadde letteralmente al povero Richard Stallman. In ogni caso, era così che Al Vezza vedeva la situazione e i colleghi da lui diretti (ansiosi di restare connessi e tutt’altro che contrari all’idea di aumentare i propri modesti stipendi universitari) accettarono di buon grado.
 
E così la Infocom venne ufficialmente fondata il 22 Giugno 1979, con dieci azionisti. Fra questi c’erano tre dei quattro hacker che avevano lavorato a Zork:  Tim Anderson, Dave Lebling, e Marc Blank (appena diventato dottore e già pendolare dal suo internato medico a Pittsburgh). Insieme a loro c’erano anche altri cinque membri (attuali o passati) del Dynamic Modeling Group: Mike Broos, Scott Cutler, Stu Galley, Joel Berez, Chris Reeve. E poi c’era lo stesso Vezza e anche Licklider, che accettò di unirsi al gruppo in una sorta di ruolo di consigliere, lo stesso che aveva rivestito al Dynamic Modeling Group del MIT. Oguno di loro raggranellò ogni finanziamento che poteva ottenere, da 400 $ fino a 2.000 $, e in cambio ricevette una proporzionale quota di azioni della nuova società. I fondi iniziali ammontavano a 11.500 $. Il nome della società era inevitabilmente vago, tanto più se consideriamo che nessuno sapeva cosa avrebbe prodotto quella società (se mai avesse prodotto qualcosa). Le parole composte da due termini troncati e vagamente futuristici erano estremamente in voga fra le società tecnologiche dell’epoca (Microsoft, CompuWare, EduWare) e la Infocom seguì la tendenza, scegliendo il nome su cui “tutti avevano meno obiezioni”.
 
 
Come dovrebbe essere chiaro da quanto sopra, non si può certo dire che la Infocom iniziò sotto i migliori auspici. La definirei una “startup da garage”, se non fosse che loro non avevano nemmeno un garage. Per alcuni mesi la Infocom esistette più come una società astratta sospesa in un limbo, che come una vera impresa in affari. Non ebbe nemmeno il suo primo indirizzo postale (una cassetta postale) fino al Marzo del 1980. Inutile dire che nei mesi successivi nessuno dei soci stava lasciando il proprio lavoro, mentre, di tanto in tanto, si incontravano per discutere il da farsi. Ad agosto, Mike Broos si era già stancato dell’andazzo e uscì dal progetto, lasciando quindi nove soci. Tutti furono concordi sul fatto che avevano bisogno di qualcosa da pubblicare in modo relativamente veloce, per far decollare la società. Solo allora sarebbero potuti seguire dei progetti più ambiziosi. Il problema era cosa avrebbero potuto fare per quel loro primo progetto.
 
Gli hacker passarono in rassegna i loro vecchi progetti del MIT, in cerca di idee. Continuavano a tornare sui giochi. C’era quel gioco a quiz, ma sarebbe stato difficile inserire abbastanza domande su un singolo floppy disk per dare un senso alla cosa. Più intrigante era il gioco chiamato Maze. I giochi arcade erano esplosi in quegli anni. Se la Infocom avesse potuto creare una versione di Maze per i cabinati, avrebbero avuto un qualcosa di unico, senza precedenti. Per farlo però sarebbe stato necessario un progetto ingegneristico enorme, sul lato hardware oltre che su quello software. I soci della Infocom erano tutti in gamba, ma erano tutti hacker di software e non di hardware, e di soldi ce n’erano ben pochi. E poi, ovviamente, c’era Zork… ma non c’era nessun modo di infilare un gioco d’avventura da 1 MB in un microcomputer da 32 K o 48 K. E poi ad Al Vezza non piaceva affatto l’idea di entrare nel settore dei giochi, perché temeva che ciò avrebbe potuto compromettere il nome della compagnia, anche se si fosse trattato solo di accumulare dei fondi iniziali per avviare le attività. E così ci furono abbondanti discussioni su altre idee, più legate al mondo degli affari, sempre tratte dalla storia dei progetti del Dynamic Modeling Group: un sistema di indicizzazione dei documenti, un sistema di email, un sistema di elaborazione testi.
 
Nel frattempo, Blank viveva a Pittsburgh ed era piuttosto scontento di ritrovarsi tagliato fuori dai vecchi tempi dell’hacking al MIT. Per fortuna aveva almeno una vecchia connessione con il MIT: Joel Berez, che prima della laurea nel 1977 aveva lavorato al Dynamic Modeling Group. Egli aveva trascorso gli ultimi due anni a Pittsburgh, lavorando nella ditta di famiglia (esperienza che forse convinse gli altri a nominarlo Presidente della Infocom nel 1979). Blank e Berez presero l’abitudine di ritrovarsi insieme per mangiare cinese (alimento alla base della dieta di ogni hacker) e per rimembrare i vecchi tempi. E tutte quelle loro conversazioni continuavano a ritornare su Zork. Era davvero impossibile immaginarsi di portare il gioco su microcomputer? In poco tempo le conversazioni passarono dal nostalgico al tecnico. Ma, come iniziarono a parlare delle questioni tecniche, si affacciarono altre sfide, anche al di là della mera capacità computazionale dei microcomputer.
 
Se anche avessero potuto in qualche modo portare Zork su microcomputer, quale avrebbero scelto? Il TRS-80 era di gran lunga quello più venduto, ma l’Apple II (la Cadillac della trinità del 1977) stava iniziando a guadagnare terreno, grazie all’aiuto del nuovo modello II Plus e di VisiCalc. Ma l’anno prossimo, e quello dopo ancora… chi poteva dirlo? E poi tutte queste macchine erano irrimediabilmente incompatibili l’una con le altre, il che significava che per raggiungere le diverse piattaforme sarebbe stato necessario implementare Zork (e ogni altro futuro gioco d’avventura si decidesse di sviluppare) di nuovo, ogni volta, su ciascuna di tali macchine. Blank e Berez si misero alla ricerca di un linguaggio di alto livello, che fosse abbastanza portabile e adeguato per implementare un nuovo Zork, ma non ne trovarono. Il BASIC era... beh, era il BASIC, e non era nemmeno particolarmente uniforme da microcomputer a microcomputer. All’orizzonte c’era una nuova, promettente implementazione di un più portabile Pascal per Apple II, ma non si parlava di nulla di simile per le altre piattaforme.
 
E così, se volevano essere in grado di vendere il proprio gioco a tutto il mercato dei microcomputer, anziché solo a una fetta dello stesso, si sarebbero dovuti inventare un sistema di gestione dei dati che fosse facilmente portabile, che potesse essere fatto funzionare su differenti microcomputer attraverso un interprete appositamente scritto per ogni modello. Ovviamente creare ogni singolo interprete sarebbe stato impegnativo, ma sarebbe comunque stato uno sforzo più modesto e, qualora la Infocom avesse deciso di fare altri giochi dopo Zork, il risparmio di energie sarebbe rapidamente diventato estremamente significativo. Nel giungere a questa conclusione, avevano sostanzialmente seguito una linea di pensiero già abbondantemente battuta da Scott Adams e dalla Automated Simulations.
 
Ma c’era un altro problema ancora: attualmente Zork esisteva solo su MDL, un linguaggio che ovviamente non era implementato sui microcomputer. Se non volevano riscrivere da zero l’intero gioco (del resto l’obbiettivo di tutto questo non era esattamente quello di tirar fuori un prodotto rapidamente e con una certa facilità?), dovevano anche trovare un modo per far girare quel codice sui microcomputer.
 
Quelli che avevano fra le mani erano un bel po’ di problemi. La prossima volta vedremo come li risolsero (in modo assolutamente brillante).

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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DunjonQuest
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Non si può enfatizzare abbastanza quanto i war games e i giochi di ruolo da tavolo (e in particolare, ovviamente, Dungeons and Dragons della TSR) abbiano influenzato le prime narrative ludiche su computer. A volte tale influenza è del tutto palese, come nel caso di giochi tipo Eamon che cercavano esplicitamente di trasportare su computer l'esperienza del D&D. Altre volte però tale influenza è meno apparente.

A differenza dei tipici giochi da tavolo, o perfino dei war game, il D&D e i suoi contemporanei non erano commercializzati come prodotti singoli, ma come delle vere e proprie raccolte di esperienze, quasi uno stile di vita. Solo per iniziare a giocare con la punta di diamante, l'Advanced Dungones & Dragons, si dovevano acquistare tre grandi volumi dalla copertina rigida (Monster Manual, Players Handbook, e Dungeon Masters Guide), a cui si aggiunsero presto molti altri volumi, che descrivevano nuovi mostri, nuovi tesori, nuovi dei, nuove classi di personaggio, e nuove regole sempre più complesse per nuotare, per creare oggetti, per muoversi nelle ombre, per rubare, e -ovviamente- per combattere. Ma, soprattutto, c'erano i moduli d'avventura: avventure preconfezionate, vere e proprie narrative ludiche che potevano essere messe in scena utilizzando il sistema di gioco di D&D. Ne uscivano a dozzine, meticolosamente catalogate con un sistema alfanumerico che permetteva ai collezionisti compulsivi di tenerne traccia; una trilogia di moduli dedicati ai giganti fu etichettata da “G1” a “G3”, una serie di moduli creata nel Regno Unito fu etichettata “UK” [che sta per “United Kingdom”; ndAncient]. A parte i vari vantaggi ludici, questo sistema era indubbiamente il sogno di ogni addetto alle vendite. Perché limitarsi a vendere un solo gioco ai tuoi clienti, quando puoi incatenarli a un intero universo in continua espansione di prodotti?

La strategia di marketing della TSR (basata sulla filosofia di “un solo gioco / molti prodotti”) e il suo zelo per la catalogazione possono essere ritrovati anche fra quei primi sviluppatori di giochi per computer che non stavano provando esplicitamente ad adattare le regole del D&D ai loro mondi digitali. Scott Adams, per esempio, numerò tutte le sue avventure, arrivando così a una dozzina di giochi canonici (altre avventure, presumibilmente non scritte di proprio pugno dal maestro, furono invece pubblicate dalla Adventure International come delle specie di opere apocrife ufficiali sotto l'etichetta “OtherVentures”). I giocatori venivano incoraggiati a giocarle in ordine, visto che aumentavano gradualmente di difficoltà; in questo modo il giocatore principiante poteva affilarsi i denti con opere relativamente “forgiving” tipo Adventureland e Pirate Adventure, per poi gettarsi nei giochi successivi assurdamente difficili tipo Ghost Town e Savage Island. La On-Line Systems adottò un modello simile, sottotitolando retroattivamente Mystery House in Hi-Res Adventure #1 dopo aver pubblicato la Hi-Res Adventure #2 (The Wizard and the Princess). Il gioco successivo Mission: Asteroid, apparso all'inizio nel 1981, fu battezzato Hi-Res Adventure #0 (nonostante la cronologia delle uscite) perché era stato pensato come gioco per principianti, con un po' meno assurdità ed enigmi iniqui del solito. A tutti gli effetti queste similitudini con l'approccio del D&D erano qualcosa di più di un semplice fenomeno di marketing. Del resto entrambe le linee di giochi erano basate su motori riutilizzabili. Nello stesso modo in cui un gruppo di giocatori viveva intorno al tavolo molte avventure diverse usando le regole alla base del D&D, così le linee di avventure di Scott Adams o le Hi-Res Adventures erano essenzialmente delle regole base (il motore di gioco) applicate a molte narrative ludiche diverse.

Tuttavia, fra gli sviluppatori che abbiamo esaminato fin qui, quelli che imitavano in modo più palese il modello del D&D erano -logicamente- quelli che provenivano direttamente dalla cultura del D&D: Donald Brown con il sistema di Eamon, e le Automated Simulations, gli sviluppatori della linea DunjonQuest che era iniziata con Temple of Apshai. J.W. Connelley, il principale sviluppatore del motore dell'Automated Simulations, aveva progettato per Temple of Apshai un motore riutilizzabile che leggeva i file di dati che rappresentavano i livelli del dungeon che si esplorava. Proprio come accadde per Scott Adams e per la On-Line Systems, questo approccio da un lato rese il gioco più facile da convertire (e infatti le versioni per tutte le principali macchine del 1979 -TRS-80, Apple II, Commodore PET- furono pubblicate quello stesso anno), e dall'altro lato velocizzò lo sviluppo di nuove iterazioni del medesimo concept. Tali iterazioni furono etichettate come un set unico di esperienze, che prese il nome di DunjonQuest. Il pittoresco appellativo dalla dizione medievale fu probabilmente scelto per evitare conflitti con la litigiosissima TSR, che, oltre alle regole del D&D, stava commercializzando anche un gioco da tavolo chiamato semplicemente Dungeon!

E la Automated Systems non fece certo mancare tali iterazioni! Altri due titoli della collana DunjonQuest apparvero lo stesso anno di Temple of Apshai. Sia Datestones of Ryn che Morloc’s Tower facevano parte di quelle che la Automated Simulations chiamò MicroQuests, nelle quali gli elementi di costruzione del personaggio erano completamente assenti. Al loro posto il giocatore doveva guidare un personaggio pregenerato attraverso un ambiente molto più piccolo. Ci si aspettava che il giocatore affrontasse più volte l'avventura, cercando di conseguire risultati sempre migliori. Nel 1980 la Automated Simulations pubblicò invece il “vero” seguito di Temple of Apshai, Hellfire Warrior, che conteneva i livelli dal quinto all'ottavo del labirinto iniziato col gioco precedente. Sempre quell'anno pubblicarono anche due titoli più modesti, Rescue at Rigel e Star Warrior, le prime e uniche uscite di una nuova serie, StarQuest, che catapultava il sistema DunjonQuest nello spazio.

Almeno secondo una prospettiva moderna, c'è una sorta di dissonanza cognitiva in queste serie, se le esaminiamo nel loro complesso. I manuali spingevano molto sull'aspetto sperimentale di questi giochi, come ben dimostrato da questo estratto del manuale di Hellfire Warrior:

Quali che siano il tuo background e le tue esperienze precedenti, ti invitiamo a proiettare nel “dunjon” non solo il tuo personaggio, ma anche tutto te stesso. Ti invitiamo a perderti nel labirinto. A sentire la polvere sotto i tuoi piedi. Ad ascoltare il suono di passi non umani che si avvicinano o il lamento di un'anima persa. Lascia che l'odore di zolfo assalga le tue narici. Brucia al caldo delle fiamme dell'inferno, e gela sopra un ponte di ghiaccio. Passa le dita in un cumulo di monete d'oro e immergiti in una pozza d'acqua magica.
Entra nel mondo di DunjonQuest.

Nonostante tutto questo, nessuno di questi giochi aveva la benché minima trama. Temple of Apshai e Hellfire Warrior non hanno nemmeno una fine vera e propria, ma solo dei dungeon che si rigenerano all'infinito da esplorare e un personaggio giocante da migliorare in eterno. Mentre le MicroQuests ricompensano i giocatori solo con un insoddisfacente punteggio finale al posto di un epilogo vero e proprio. Sebbene il background narrativo del suo manuale sia ideato con un'attenzione insolita, Datestones of Ryn ha un limite temporale di soli 20 minuti, che gli dà più un feeling da gioco d'azione, giocabile all'infinito e quasi privo di contesto, piuttosto che da gioco di ruolo per computer. Invece il gameplay della serie nel suo complesso, oggi, ci balza all'occhio per le sue similitudini con i roguelike, dei dungeon crawl senza storia (o, almeno, con pochissima storia) attraverso labirinti generati casualmente. Questa però sarebbe una lettura anacronistica: Rogue, il capostipite del genere, in realtà è uscito un anno dopo Temple of Apshai.

Credo che tutte queste stranezze possano essere spiegate se comprendiamo che Jon Freeman, il principale designer dietro il sistema, stava puntando a creare un tipo di narrativa ludica diverso da quella delle avventure testuali di Scott Adams e da quella tipica della On-Line Systems. Lui sperava che, dati un background, una descrizione degli ambienti, un set di regole per controllare ciò che vi accadeva, e una buona dosa di immaginazione da parte del giocatore, dal gioco emergesse autonomamente una narrativa ludica. In altre parole, usando un termine che appartiene ad un'era molto successiva, stava tentando di creare una narrativa emergente. Per comprendere meglio il suo approccio, ho pensato di dare una breve occhiata da vicino a uno dei suoi giochi, Rescue at Rigel

Rescue at Rigel trae ispirazione dalla classica space opera, un genere che è stato recentemente riportato in vita dal fenomenale successo dei primi due film di Star Wars [l'articolo è stato scritto nel 2011, quindi l'autore si riferisce alla seconda trilogia di Guerre Stellari; ndAncient].

Nell'arena della vostra immaginazione, non tutti i nostri eroi (o le nostre eroine!) indossano armature nere o di uno scintillante argento, né prendono a mazzate dei barbari nemici su dei moli sferzati dal vento, né affrontano dei macabri destini per mano di depravati adepti le cui arti nere erano già vecchie quando il mondo era giovane. La fantascienza ci fa viaggiare su navi stellari con nomi come Enterprise, Hooligan, Little Giant, Millenium Falcon, Nemesis, Nostromo, Sisu, Skylark, e Solar Queen. Navi che viaggiano su mari stellati, che non sono percorsi da tempeste o infestati da demoni, ma che non per questo sono meno spaventosi. Navi che ci fanno approdare su nuovi mondi impavidi le cui forme, i cui panorami e i cui suoni sono più plausibili (ma non meno sbalorditivi) di quelli sperimentati da Sinbad.

In questo titolo il giocatore assume il ruolo di Sudden Smith, un classico ed energico eroe pulp. Sta per teletrasportarsi nella base di una razza di alieni insettoidi conosciuti col nome di Tollah, che hanno catturato un gruppo di scienziati per le loro “ricerche” e fra questi c'è anche la fidanzata di Sudden. I Tollah sono uno dei pochissimi accenni ad eventi di un mondo più ampio che troverete nei primissimi videogiochi, al di là delle opere di fantasy e science-fiction. La casta che comanda i Tollah sono gli “High Tollah”, un chiaro riferimento allo Ayatollah Khomeyni, che a quel tempo aveva recentemente preso il potere in Iran e che teneva in ostaggio 52 Americani [“High Tollah”, cioé “Alto Tollah”, si pronuncia infatti in modo molto simile a Ayatollah; ndAncient]. Gli “High Tollah” ci dice il manuale, “sono altezzosi, autoritari, intolleranti, ottusi, privi di immaginazione e inflessibili.” Alla luce di tutto questo, è palese quale sia stata l'ispirazione per questo scenario di salvataggio degli scienziati.

Il gameplay si sviluppa intorno all'esplorazione della base dei Tollah, convenientemente strutturata come un labirinto, respingendo i Tollah e i robot della sicurezza, mentre cerchiamo i dieci scienziati che vi sono tenuti in ostaggio. Si tratta sostanzialmente, come in tanti altri giochi di ruolo per computer, di un gioco di gestione delle risorse: Sudden ha un numero limitato di medikit, di munizioni, e soprattutto una riserva limitata di energia all'interno del suo zaino che deve essere usata per tutto (dallo sparare agli Tollah, fino al teletrasportare gli scienziati al sicuro). Quel che è peggio è che Sudden ha soltanto 60 minuti di tempo reale per salvare il maggior numero possibile di scienziati e teletrasportarsi al sicuro. Freeman fa di tutto per rendere il gioco un motore di eccitante narrativa emergente. Ad esempio, se Sudden finisce completamente l'energia, ha comunque un'ultima possibile via di fuga: se riesce a tornare nei 60 minuti al punto in cui lo ha depositato il teletrasporto, un altro teletrasporto automatico lo riporterà in salvo. È facile immaginarsi una situazione disperata, che pare uscita direttamente da una storia di Guerre Stellari o di Dominic Flandry, con il giocatore che torna sui suoi passi, in mezzo al fuoco dei laser, mentre il tempo scorre e i Tollah gli sono alle calcagna. Di certo ci possiamo immaginare che Freeman si fosse immaginato tutto questo.

Ma per vivere queste storie è necessaria una notevole dedizione e una fervida immaginazione da parte del giocatore, come potrà probabilmente convenire chiunque abbia osservato l'orrendo screenshot di cui sopra. Effettivamente i giochi della serie DunjonQuest sembrano proprio una sorta di ibrido fra l'esperienza di un gdr da tavolo e di uno digitale, in cui ciò che emerge direttamente dall'immaginazione del giocatore è importante quanto quello offerto dal gioco stesso. È per questo che probabilmente è stata una mossa saggia per la Automated Simulations quella di usare come target del marketing di DunjonQuest proprio i giocatori di ruolo cartaceo. Del resto loro sono abituati a rimboccarsi le maniche e a usare la loro immaginazione per inventare delle narrative soddisfacenti. La Automated Simulations pubblicizzò ampiamente DunjonQuest sulla rivista Dragon Magazine della TSR, e (con una mossa che non potrebbe essere più indicativa della tipologia di pubblico che pensavano potesse apprezzare DunjonQuest) arrivarono persino a regalare il gioco da tavolo strategico chiamato Sticks and Stones con ogni acquisto di un gioco della serie DunjonQuest.

Negli ultimi mesi del 1980 la Automated Simulations cambiò il suo nome nel meno prosaico Epyx, adottando il motto: “Computer games thinkers play” [traducibile all'incirca come “Videogiochi a cui giocano le persone che pensano”; ndAncient]. I giochi della serie DunjonQuest continuarono comunque a uscire per altri due anni. Fra le ultime pubblicazioni ci furono anche un paio di espansioni per Temple of Apshai e Hellfire Warrior, che credo siano i primi esempi del genere tra i giochi commerciali per computer. Invece l'utilizzo più strano e creativo dell'engine di DunjonQuest arrivò nel 1981 con Crush, Crumble, and Chomp!: The Great Movie Monster Game, nel quale il giocatore assumeva il controllo di Godzilla (anzi, no, di Goshzilla!), o di qualche altro mostro famoso lanciato nella distruzione di una città. Per un esame dettagliato di tutta la serie di DunjonQuest, che alla fine si compose di una dozzina di titoli, potete leggere questo articolo di Hardcore Gaming 101.

Crush, Crumble, and Chomp! fu l'ultimo lavoro di Freeman per la Epyx. Alla West Coast Computer Faire of 1980 incontrò infatti una collega programmatrice chiamata Anne Westfall e di lì a poco i due iniziarono a frequentarsi. Westfall si unì alla Epyx per un po', andando a lavorare come programmatrice su alcuni degli ultimi giochi di DunjonQuest. Lei e Freeman però ben presto si stufarono del disinteresse di Connelley nel miglioramento dell'engine di DunjonQuest. Scritto in BASIC sull'ormai vetusto TRS-80 Model I, tale engine era sempre stato tremendamente lento e ormai iniziava a sembrare davvero datato nei porting per le piattaforme più moderne e capaci. In più Freeman, un designer irrequieto e creativo, si stava annoiando delle continue iterazioni del solito concept di DunjonQuest; perfino creare Crush, Crumble, and Chomp! aveva richiesto una dura battaglia da parte sua... Alla fine del 1981 Freeman e Westfall lasciarono la Epyx per creare una casa di sviluppo indipendente, la Free Fall Associates, della quale avrò molto altro da dire in futuro. E, dopo un paio di ultime pubblicazioni per DunjonQuest, la Epyx si trasformò da “Computer games thinkers play” in qualcosa di molto diverso, e anche di questo avrò molto da dire in futuro. Con incassi buoni, ma mai enormi, neppure al massimo del proprio splendore, i giochi della serie DunjonQuest sfiguravano abbastanza nel confronto con la nuova generazione di giochi di ruolo per computer, dei quali -come avrete immaginato- avrò molto altro da dire in futuro.

Se volete sperimentare l'esperienza di DunjonQuest, posso fornirvi un pacchetto con un immagine per Apple II che include Temple of Apshai, Rescue at Rigel, Morloc’s Tower, e Datestones of Ryn, oltre ai relativi manuali.

La prossima volta inizieremo a esplorare un'opera con una profondità tematica senza precedenti, che fa già drizzare tutte le mie antenne di studioso di letteratura.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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È nata la On-Line Systems
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Dopo che Roberta lo aveva convinto della bontà del progetto Mystery House , Ken -come era tipico di lui- vi si buttò a testa bassa. In un solo mese (durante il quale Ken mantenne il suo lavoro a tempo pieno) i due implementarono Mystery House nella sua interezza, inclusi il design, la scrittura, le illustrazioni, e la programmazione (fatta al 100% in linguaggio assembly per avere massima velocità ed efficienza, in un'era in cui perfino la maggior parte del software commerciale era ancora sfrontatamente programmato in BASIC). Adesso non gli restava che decidere che farsene.

Quando Scott Adams aveva creato Adventureland quasi due anni prima, praticamente tutto il software per i microcomputer veniva commercializzato direttamente dai programmatori/imprenditori che lo avevano creato, attraverso annunci pubblicitari fatti da loro stessi e collocati nei negozi di computer, nei gruppi degli utenti, e nelle riviste, oppure attraverso organizzazioni semi-professionali tipo il TRS-80 Software Exchange. Adams all'epoca ebbe ben poca scelta, se non arrangiare una confezione con biglietti da visita e buste del latte in polvere, e... accontentarsi. A quel tempo invece i publisher (non ultima anche la Adventure International dello stesso Adams) stavano già rendendo più professionale l'industria del software per microcomputer. L'industria era ancora piccola, ma cresceva rapidamente, garantendo molte più opzioni agli sviluppatori che -come Ken e Roberta- avevano dei nuovi prodotti da commercializzare. Il publisher più grande degli albori del mercato dell'Apple II si chiamava Programma International (uno degli aspetti più ironici di questi primissimi publisher era la loro passione per quell'ambizioso “International”, nonostante la loro industria esistesse ancora praticamente solo all'interno degli U.S.A.). Oltre a una interessante raccolta di strumenti per la programmazione e la produttività, Programma International pubblicava anche un gran numero di giochi. Capirono subito il potenziale di Mystery House, appena Ken e Roberta glielo ebbero mostrato. Offrirono loro delle royalty del 25%, promettendo ai due che col gioco avrebbero potuto facilmente guadagnare 9.000 dollari entro la fine dell'anno.

Ken e Roberta dissero "no grazie". Per capire il perché, dovete ricordarvi che tipo di persona fosse Ken: ambizioso, determinato, e sfrontatamente concentrato sui... risultati di bilancio. Aveva già registrato una società chiamata  On-Line Systems quando aveva iniziato a progettare il suo compilatore FORTRAN; perché non vendere il gioco direttamente, tenendosi tutta la torta? A rendere l'idea ancora più allettante, c'era anche un suo amico che aveva un semplicistico gioco di sparo chiamato Skeet Shoot che avrebbe lasciato commercializzare a Ken. Con due prodotti pronti da vendere, la On-Line Systems vide i natali all'inizio del Maggio del 1980. Immaginando che quel che andava bene per rapitori e assassini sarebbe andato bene anche per loro, Ken e Roberta realizzarono dei volantini ritagliando lettere e parole dalle riviste, incollandole su un cartoncino, e fotocopiando il tutto. Con 100 dischetti vuoti, dei sacchetti Ziploc come confezione, e un paio di annunci sulle riviste... erano già in affari!

Qualche mese fa ho preso un po' in giro Scott Adams per essersi preso il merito sul suo sito di aver “avviato l'intera industria multimiliardaria dei giochi per computer”.  La cosa buffa è che in un certo senso Ken e Roberta potrebbero affermare la stessa identica cosa e a maggior diritto. Lasciate che vi spieghi.

Avendo deciso di procedere autonomamente, la prima strategia di vendita di Ken e Roberta fu quella di recarsi in tutti i negozi di computer locali che conoscevano per mostrare personalmente i loro prodotti. Per fortuna ce ne erano un bel po' (all'epoca Ken e Roberta vivevano nella Simi Valley in California, vicino alla piana di Los Angeles). Ken chiese al suo fratello più piccolo, John dell'Univesità dell'Illinois, di fare lo stesso. John non ne sapeva niente di computer e rimase molto sorpreso nello scoprire che il nuovo prodotto di Ken era un gioco, perché considerava Ken uno “stacanovista cronico” che “non si era mai divertito un solo minuto in tutta la sua vita”. Come ha raccontato nel numero del decimo anniversario della rivista aziendale della Sierra, John ben presto si ritrovò a fare il venditore ambulante dei prodotti della  On-Line Systems in tutti i negozi di computer della nazione:

Quando visitavo un negozio di computer, che fosse a Peoria in llinois o a New Orleans in Louisiana, il gioco era sempre un successo. E non aveva nessuna importanza il fatto che fossi costretto a dare il dischetto al negoziante a cui stavo cercando di venderlo, perché non sapevo nemmeno come avviare un gioco in BASIC... Uscivo dal negozio sempre e comunque con un ordine. La sensazione è che Roberta e Ken avessero scritto un gioco che tutti i proprietari di un Apple (e noi sapevamo che ce ne erano almeno 50.000) volevano assolutamente giocare.

Al tempo erano nate, o stavano nascendo, decine di publisher e c'erano qualcosa come 1.200 negozi di computer in attività nella nazione, desiderosi di avere nuovi programmi da vendere ai loro clienti. Quel che mancava era un modo per connettere i due gruppi – mancavano i distributori. Le società di software come la Adventure International erano costrette ad accettare ordini direttamente da centinaia di rivenditori singoli. Il profilo online del distributore di software Merisel descrive i problemi che ciò creò:

Nel 1980 l'industria del software per computer era ancora nella sua infanzia. I programmi venivano scritti principalmente da appassionati di computer all'interno di negozi gestiti da un solo esercente, e ciò veniva fatto più per amore che per denaro. Far arrivare questi software ai circa 1.200 gestori di negozi di computer era, a dir poco, una questione di... caso. Ad esempio, se chi aveva scritto il software andava in vacanza, la “fabbrica” chiudeva e le spedizioni si fermavano. E decidere quale software comprare era ancora più complicato. Circa il 95% del software per personal computer veniva venduto in negozio, ma ben pochi di questi negozianti erano in grado di provare e selezionare ciò che vendevano dall'immensa quantità di programmi disponibili.

Ken, indiscutibilmente una mente astuta, intrecciò rapporti con Adams e con molti altri publisher per iniziare a distribuire i loro giochi (fra l'altro credo che sia proprio questa la fonte della strana affermazione rilasciata da Adams nel corso dell'intervista per l'eccellente documentario Get Lamp di Jason Scott -e ripetuta anche da Jason stesso in un suo vecchio commento su questo blog- secondo cui Ken Williams in un certo senso avrebbe iniziato la sua carriera come “venditore” [“salesman”] per conto della Adventure International). Sopraffatto dal dover operare contemporaneamente come publisher, come distributore, e come sviluppatore, dopo pochi mesi Ken vendette il ramo della distribuzione a Robert Leff (un collega che conosceva da quando faceva il programmatore su commissione) per la cifra insolitamente bassa di 1.300 dollari. Dal canto suo Leff trasformò quel ramo nella SoftSel, un colosso che arrivò a dominare da dietro le quinte il mercato della vendita al dettaglio del software, capace di innalzare o distruggere un publisher (se non perfino un'intera piattaforma) sulla base dei titoli che sceglieva e dell'impegno che intendeva mettere nella loro commercializzazione. Leff, un nome che anche all'epoca ben pochi conoscevano al di fuori del mondo dell'industria del software, divenne una delle figure più potenti del mondo dei computer degli anni '80. La SoftSel cambiò nome nel 1990, diventando la Merisel di cui sopra.

In questi sviluppi c'è però un retrogusto amaro. Creando la SoftSel, Ken e Leff in sostanza hanno fatto sì che nessun hacker in futuro potesse realisticamente più fare quello che Ken e Roberta, Scott Adams, Lance Micklus, e tanti altri insieme a loro, avevano fatto: creare delle aziende sane partendo dalla cucina di casa o dal garage, e basandosi unicamente su delle nuove idee e sul proprio talento per la programmazione. Alla lunga la stretta sull'industria di distributori come la SoftSel, e i giganteschi publisher conservatori (che essi aiutavano e foraggiavano), sarebbe stata accusata di mancanza di innovazione e dell'adolescenza, apparentemente perpetua, di tutto il settore dei computer e dei videogiochi; una situazione che solo recentemente [l'articolo è del 2011] ha iniziato a essere corretta con la crescita della distribuzione online. Allo stesso tempo, tuttavia, l'industria del software del 1980, in rapida espansione, semplicemente aveva bisogno di una SoftSel, per portare efficacemente il software nelle mani dei sempre più numerosi consumatori, in quei tempi di modem a 300-baud e di telecomunicazioni primitive. Nel comprendere questo, e nel compiere dei passi in questa direzione, Ken probabilmente ha plasmato di più il futuro di quanto non avrebbe fatto in tutti i suoi successivi sforzi con la On-Line Systems (che, come tutti sanno, sarebbe stata presto ribattezzata Sierra). Possiamo segnare questo come l'ultimo gigantesco passo verso la professionalizzazione del software, con tutto ciò che di bene e di male esso comporta.

Ma possiamo segnarlo anche come un ulteriore esempio della sagacia di Ken. Al di là di Bill Gates, non conosco nessun altro esponente degli albori del mondo PC che combinasse in sé un tale acume tecnico con un tale istinto per gli affari. La sua influenza è tanto più significativa se pensiamo quanto in ritardo è partito rispetto agli altri, essendo entrato a far parte della partita solo nel 1980. E, credetemi, c'è molta altra roba significativa che porta l'impronta di Ken... solo che ancora non ci siamo arrivati!

Ma torniamo a Mystery House, che se la cavava davvero bene. Steven Levy scrive: “Ken e Roberta fecero undicimila dollari quel Maggio. A Giugno ne fecero ventimila. A Luglio, trentamila.” (senza dimenticarci che si parla di dollari del 1980!). Fu allora che Ken lasciò il suo lavoro e che i Williams iniziarono a prepararsi a fare le valigie e realizzare il sogno di una vita: vivere in campagna (e in particolare nella piccola cittadina di Coarsegold, non lontano dallo Yosemite National Park). Nel frattempo, avendo incluso il loro numero di telefono con Mystery House, entrambi passavano ore al telefono distribuendo suggerimenti e consigli ai giocatori frustrati.

Nel mezzo di tutta questa frenetica attività, Ken e Roberta stavano lavorando sodo anche su un nuovo gioco, che consolidasse la posizione della On-Line Systems nell'industria. Mystery House, con le sue immagini, aveva cambiato tutto, ma -diciamocelo sinceramente- quelle immagini non erano poi così belle. Il loro prossimo gioco avrebbe rimediato, aggiungendo i colori all'equazione.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto

Articoli precedenti:

Sulle tracce di The Oregon Trail
In difesa del BASIC
A Caccia del Wumpus
L'Avventura di Crowther
TOPS-10 in a Box
L'Avventura completata
Tutto il TRaSh del TRS-80
Eliza
Adventureland
Dog Star Adventure
Qualche domanda per Lance Micklus
Un 1979 indaffarato
The Count

Due diverse culture di avventurieri
Microsoft Adventure
La Narrativa Ludica già nota come Storygame
L'Ascesa dei Giochi Esperienziali
Dungeons And Dragons
Una Definizione per i Giochi di Ruolo per Computer
Dal Tavolo al Computer
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- Temple of Apshai
- Un 1980 Indaffarato
- L'Interactive Fiction di Robert Lafore
- Cestinando il Trash del TRS-80
- Jobs e Woz
- L'Apple II
- Eamon, Parte 1
- Un Viaggio nel Fantastico Mondo di Eamon
- Eamon, Parte 2
- Il mio Problema con Eamon
- Ken e Roberta
- Mystery House - Parte 1
- Mystery House - Parte 2



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Il mio Problema con Eamon
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Avviso: il seguente post è parzialmente autoreferenziale. 
Scrivo quanto segue con due scopi. Il primo è piuttosto semplice da conseguire: devo segnalarvi che ho corretto i miei precedenti articoli dedicati alla storia di Eamon per adattarli a quella che ritengo essere la cronologia più attendibile, secondo cui il sistema sarebbe apparso alla fine del 1979 [la nostra traduzione italiana ha da subito implementato queste correzioni; ndAncient]. Il resto di questo post descrive invece il percorso che mi ha portato a queste conclusioni. Effettivamente è un po' come cercare il pelo nell'uovo, ma coloro fra voi che vogliono diventare dei novelli “digital antiquarian” potrebbero trovare interessante questo spaccato della mia povera esistenza ossessionata dai dettagli.
 
Tradizionalmente la data di pubblicazione di Eamon è fissata al 1980, presumibilmente perché il primo articolo mai pubblicato che ne parla (un pezzo scritto dallo stesso Don Brown per Recreational Computing) è apparso proprio l'estate di quell'anno. Inizialmente non avevo nessun motivo per mettere in dubbio questa data. Ma poi ho contattato John Nelson, il fondatore del National Eamon Users Club. Fu lui a sganciare la bomba, affermando di aver giocato per la prima volta a Eamon nel 1978, e sostenendo che a quell'epoca c'erano già altri quattro scenari aggiuntivi disponibili. Essendo la persona che probabilmente ha contribuito più di ogni altra a Eamon (persino più del suo creatore), è piuttosto difficile dubitare delle sue parole. Per questo motivo per scrivere quei post mi sono basato in gran parte sulla sua cronologia, anche se non ne sono mai stato sicuro fino in fondo, e infatti quei post erano rimasti quelli dei quali ero meno soddisfatto. Talmente insoddisfatto che di recente mi sono messo a scavare di nuovo in tutti i primi dischetti di Eamon, in cerca di qualcosa che mi permettesse di datarne in modo definitivo almeno uno, per poi poterlo usare come punto di partenza per la definizione di una nuova cronologia. Ebbene... ho trovato quel che cercavo, e questo mi ha spinto a rivedere i precedenti articoli e a scrivere questo post! Prima di dirvi quel che ho trovato, però, lasciate che vi elenchi i dubbi che mi hanno spinto ad approfondire di nuovo l'argomento.
 
L'Apple II aveva due versioni del linguaggio BASIC. La macchina originale aveva nella sua ROM una versione del linguaggio particolarmente ridotta all'osso, assemblata in fretta e furia dallo stesso Steve Wozniak. Questa versione venne quasi subito ribattezzata “Integer BASIC” perché non supportava i numeri in virgola mobile (es. i decimali), ma solo i numeri interi [“integer”]. Poiché la virgola mobile è molto importante per certi tipi di applicazioni, la Apple si rese rapidamente conto della necessità di avere un'implementazione migliore e più completa del BASIC. Ne acquistarono una dalla Microsoft e investirono molte energie nel personalizzarla appositamente per l'Apple II. Fu pubblicata nel 1978 col nome di Applesoft BASIC. Tuttavia inizialmente l'Applesoft BASIC non fu molto usato, perché la sua prima incarnazione era decisamente buggata e perché veniva distribuita su cassetta o su disco (e non nella ROM), il che costringeva l'utente, per poterla usare, a doverla caricare in RAM; con la maggior parte delle macchine ancora equipaggiate con 16 K di memoria, l'Applesoft BASIC (che da solo consumava 10 K) era una soluzione impraticabile per la maggior parte degli utenti. Iniziò ad essere maggiormente usato dal Maggio 1979, quando la Apple iniziò a distribuire l'Apple II Plus con l'Applesoft BASIC nella ROM. Questo però significava che, per poter lanciare sull'Apple II Plus un programma scritto in Integer BASIC, si doveva invece caricare da dischetto l'Integer BASIC.
 
Eppure Eamon è scritto in Applesoft BASIC... E c'è dell'altro: la versione standard di Eamon richiede praticamente tutti i 48 K di memoria dell'Apple II (non a caso il dischetto principale in origine conteneva una speciale versione ridotta del programma, pensata per le macchine con 32 K). Non credo che fosse possibile caricare l'Applesoft BASIC dal dischetto e avere ancora abbastanza spazio per Eamon. E, se anche fosse stato possibile, una macchina a 48 K sarebbe comunque stata una macchina insolitamente potente per il 1978. Però, dopo che era iniziata la distribuzione dell'Apple II Plus a 48 K, le memorie più ampie divennero rapidamente lo standard di fatto.
 
E poi c'è il problema della cronologia della avventure testuali. Scott Adams aveva pubblicato per la prima volta Adventureland e Pirate Adventure durante la seconda metà del 1978 per il TRS-80. Questi due giochi non sono apparsi sull'Apple II fino all'inizio dell'anno successivo, dove sono comunemente considerate le prime avventure testuali disponibili per quella piattaforma. Per aver sviluppato Eamon nel 1978, Brown dovrebbe: 
1) o aver conosciuto abbastanza il mondo del TRS-80 da aver giocato i giochi di Adams e da aver deciso di implementare una simile interfaccia a parser per l'Apple II; 
2) o aver giocato all'Adventure di Crowther e Woods, o ad uno dei titoli da esso derivati sui grandi computer istituzionali;
3) oppure aver inventato autonomamente da zero il concetto di interfaccia per avventure testuali. 
Nessuna di queste tre opzioni pare impossibile, ma nessuna appare nemmeno probabile. Senza dimenticare poi che, in base a quando riteniamo che possa essere stato pubblicato Eamon nel 1978, ci sarebbe anche la sconvolgente possibilità che sia stato Brown (e non Scott Adams) a portare le avventure testuali sui microcomputer. Il che pure non mi convince nemmeno un po'.  
 
E poi c'è quell'articolo su Recreational Computing, in cui Brown scrive: “So dell'esistenza di altri cinque dischetti contenenti avventure aggiuntive”. Dall'altro lato Nelson crede che nel 1980 fossero già disponibili “circa 20” avventure. Nelson mi ha suggerito che forse Brown con quella frase intendeva riferirsi alle avventure non scritte direttamente da lui, ma personalmente fatico a leggere questo significato in quel passaggio. E anche l'altro suggerimento di Nelson (e cioè che l'articolo sia rimasto a prendere polvere per molti mesi prima di essere stampato) mi sembra una forzatura. Se ci fosse stato almeno qualche altro indizio in quella direzione, forse avrei anche potuto accettare un tale ragionamento, ma alla luce di tutte le altre domande mi rimane molto difficile farlo.
Ma poi ho trovato quel che cercavo.
Eamon #3,The Cave of the Mind, di Jim Jacobson and Red Varnum, fu la prima avventura non scritta da Brown. All'inizio di uno dei suoi programmi c'è un'istruzione REM [cioè un commento all'interno del codice; ndAncient] con una data vera e propria: 30 Gennaio 1980.
Il che è sufficiente per riportarci a un lasso temporale molto più vicino alla cronologia tradizionale, con Brown che avrebbe sviluppato il sistema nella seconda metà del 1979 alla luce dell'uscita dell'Apple II Plus. Certo -anche se non lo dice esplicitamente- la data nel codice di The Cave of the Mind potrebbe anche riferirsi a una modifica successiva, o alla data di fine sviluppo o di pubblicazione. Ma, se soppesiamo la cosa alla luce di tutte le altre prove, mi sento di affermare che per Eamon è molto più probabile una data successiva, piuttosto che una antecedente.
 
Ovviamente con questo non intendo criticare John Nelson, che ha generosamente condiviso i suoi ricordi con me. È solo che 30 anni sono un lungo lasso di tempo. E poi potrebbe anche essere che Nelson abbia provato un primissimo prototipo di Eamon, magari scritto in Integer BASIC per un Apple II con molta meno memoria, che successivamente Brown ha ripreso ed espanso nell'Eamon che conosciamo oggi. Tuttavia, a meno che non appaia una qualche vera prova documentale o che improvvisamente Brown non si metta a parlare, tutto ciò resta una semplice speculazione.
Questo significa che anche gli attuali articoli di Eamon continuano a essere solo un'ipotesi, e che io continuo a non essere completamente soddisfatto di loro. Ma credo anche che oggi essa sia un'ipotesi migliore di quella che avevo avanzato la prima volta, quando li ho scritti.
In ogni caso, in attesa di nuovi indizi, dovremo accontentarci di questo.
 
[Nota di The Ancient One: i primi tre articoli dedicati a Eamon sono stati scritti nel Settembre 2011. Questo ultimo post invece è datato Aprile 2012; nella nostra traduzione italiana lo anticipiamo rispetto all'ordine cronologico del blog, per completare immediatamente il quadro dedicato alla storia di Eamon].

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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- Eamon, Parte 2



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Due diverse culture di avventurieri
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Quando Adventureland compì il suo primo anniversario, i giochi d'avventura sul TRS-80 erano già fra i software più popolari di quella piattaforma. E avevano iniziato ad apparire anche sugli altri microcomputer, grazie all'engine estremamente convertibile di Scott Adams e al fatto che praticamente tutte le avventure di altri autori erano ancora programmate in un BASIC relativamente standard. Era ormai nata una nuova forma d'arte.

Già nel numero del Giugno 1979, SoftSide pubblicò un "avviso di fidanzamento" fra il TRS-80 e il "Fantasy":

La redazione di SoftSide è lieta di annunciare la nascita, da questa unione, di una nuova forma d'arte. Crediamo che una delle più creative forme d'arte del futuro sarà il romanzo partecipato ["the participation novel" nel testo originale, ndTraduttore], nel quale assumerete il ruolo di un personaggio e con le vostre azioni potrete alterare il corso della storia, anziché limitarvi a leggere passivamente ciò che l'autore principale ha ideato e scritto.

Già adesso gli autori, che fin qui si sono dedicati ad elaborati giochi di simulazione, sono al lavoro sui loro adattamenti per computer. I loro progressi sono eccitanti, con grandi novità all'orizzonte! Nel nostro numero di Dicembre vi abbiamo presentato Santa Paravia en Fiumaccio, che ha infranto nuove barriere nelle simulazioni su computer [scritto dal Reverendo George Blank, Santa Paravia en Fiumaccio era un adattamento / espansione di Hamurabi, un gioco di strategia e gestione delle risorse che risaliva al 1968 e che era stato convertito in BASIC da David Ahl, il fondatore della rivista Creative Computing. Essendo stato il primo gioco per computer che chiedeva al giocatore di calarsi nei panni di un personaggio dentro una specie di vero e proprio "storyworld", già Hamurabi da solo riveste un ruolo di grande interesse storico e teorico]. A Maggio vi abbiamo presentato Dog Star, che ci ha portato un passo più vicini al romanzo elettronico. E già intravediamo all'orizzonte i giorni in cui elaborate simulazioni elettroniche di alta qualità artistica e letteraria sapranno riempire le nostre ore di svago, proprio come oggi fa la televisione; proprio come la televisione solo ieri ha sostituito i radiodrammi, e come i radiodrammi avevano contribuito al declino della lettura come svago.

A Marzo, SoftSide è stata contattata dall'editore di The Dungeoneer e di Judges Guild Journal, due riviste specializzate nel gioco di simulazione Dungeons and Dragons. In una copia di The Dungeoneer abbiamo scoperto, con una certa sorpresa, una lista di sessantuno altre riviste specializzate in giochi fantasy, di guerra e di simulazione. E abbiamo altresì scoperto che molte di queste persone stanno iniziando a usare il TRS-80
[presto esplorerò io stesso questo collegamento fra la nascente industria dei videogiochi e il mondo in rapida espansione dei giochi di ruolo da tavolo; ndDigitalAntiquarian]. Quando il lavoro altamente creativo che queste persone stanno facendo sarà adeguatamente coniugato con il computer, allora nascerà il romanzo elettronico! Siamo certi che quel giorno non è lontano e noi intendiamo farne parte!

Poco dopo SoftSide iniziò ad usare il bizzarro termine "compunovels" [contrazione di "computer" + "novel", cioè "computer" + "romanzo", nd Traduttore] per riferirsi a queste opere, il primo di tanti tentativi di scrittori, commentatori e giocatori di andare oltre la limitante etichetta di "giochi d'avventura" o (come furono chiamati qualche tempo dopo) di "avventure testuali", nella speranza di coniare un termine che riflettesse meglio le ambizioni letterarie del genere.



Ovviamente il concetto di "compunovel" era più un'aspirazione che una realtà nel 1979, quando la regola nel campo delle avventure erano i giochi dal lessico infantile di Scott Adams, "la grammatica stranamente errante" (per usare le parole di Graham Nelson), e trame meramente abbozzate. E per molti contemporanei queste aspirazioni di grandezza letteraria devono essere sembrate pura follia, considerata la magra realtà del tempo. Dobbiamo quindi rendere merito agli scrittori di SoftSide di aver intuito il potenziale di questa nuova forma, una volta liberata dai limiti tecnici che i 16 K di memoria e l'archiviazione su cassetta imponevano a quei programmatori che in quegli anni stavano lentamente cercando di diventare scrittori.

Tuttavia esisteva anche un'altra cultura che all'epoca era già in gran parte libera quanto meno dal primo di questi due limiti: la cultura dell'hacking sui computer istituzionali, a cui già spettava anche il merito della nascita del genere. Nel 1979 le grandi macchine istituzionali ospitavano già una varietà di titoli: Zork (al MIT); Stuga (allo Stockholm Computer Central, la prima avventura creata fuori dagli Stati Uniti e la prima non in inglese); Acheton (alla Cambridge University in Inghilterra); Mystery Mansion (hostato -fra i tanti posti- al Naval Warfare Engineering Station di Keyport, Washington).
Nel frattempo altri autori (liberi dalle considerazioni di natura commerciale che stavano già iniziando a dominare il mercato del software dei microcomputer) iniziarono a migliorare ed espandere l'Adventure originale di Crowther e Woods, creando un numero sorprendente di varianti che vennero identificate in base al punteggio massimo che era possibile raggiungere in ognuna di esse. L'originale, che offriva un potenziale di 350 punti, è così saltuariamente chiamato Adventure 350, mentre fra i suoi successori ci sono: Adventure 366, Adventure 500, e molti altri, fino ad arrivare molti anni dopo all'inevitabile Adventure 1000. Perfino lo stesso Woods creò una versione espansa a 440 punti, prima di abbandonare definitivamente la creazione di avventure.



La prima caratteristica che oggi ci colpisce di più in tutti questi giochi apparsi sui grandi computer istituzionali è la loro considerevole dimensione; molte rimangono ancora oggi fra le avventure più grandi mai costruite; se non come profondità di gioco, sicuramente come ampiezza, con centinaia di stanze ciascuna.
Le loro dimensioni erano una conseguenza naturale della cultura che le aveva create. Nella cultura degli hacker nessun programma poteva mai essere davvero considerato finito: c'era sempre spazio per aggiustare qualcosa, per aggiungere altro, per... altro. Poiché questi giochi non erano destinati alla commercializzazione, non c'era nessuna necessità di dichiararli finiti e di consegnarli al pubblico una volta per tutte. Per questo restavano spesso, letteralmente per anni, in una sorta di stadio di sviluppo in cui erano comunque giocabili, crescendo a singhiozzi sulla base dell'interesse del momento di chi vi contribuiva. E infatti un'altra cosa che contraddistingueva questi giochi dalle loro controparti per i microcomputer (e perfino dalla maggior parte delle opere di narrativa interattiva di oggi) era il fatto che esse erano il frutto di un lavoro di squadra. Zork, per esempio, è apparso la prima volta su un sistema del MIT nel Maggio del 1977 sulla scia del fenomeno Adventure, ma non fu terminato prima del Febbraio del 1979. E, anche a quel punto, il gioco non era davvero completato da un punto di vista tematico o di design. Semplicemente i suoi creatori erano riusciti a riempire perfino il cavernoso megabyte di memoria del loro DEC, e quindi erano fisicamente impossibilitati ad aggiungere altre stanze ancora.

Se state pensando che un tale modello di sviluppo fosse limitante per le possibilità narrative degli autori, non meno degli assurdi limiti hardware dei primi home computer... beh, avete ragione. Il team che creò Zork, per esempio, conteneva degli scrittori autenticamente dotati, forse i più dotati del mondo delle avventure del 1979. Nonostante questo i loro sforzi erano continuamente disfatti dalla presenza di "troppi cuochi in cucina", con delle descrizioni frutto di vera immaginazione ed eleganza troppo spesso affiancate da altre di una concisione degna di Scott Adams. In modo analogo, il design è confuso e privo di focus, con delle ottime idee sommerse da altre meno brillanti, in maniera apparentemente del tutto casuale. Zork, e molti altri giochi ancora più grandi (come Acheton), sono vasti e caotici al punto da risultare quasi incomprensibili. Da questo punto di vista i limiti tecnici dei microcomputer, che costringevano gli autori a creare dei giochi ben pensati e con un design strutturato al posto di divagazioni casuali, non erano poi un gran male. O, per dirlo in un'altra maniera: più grande in questo caso non significa necessariamente meglio. Vale la pena far notare che nessuno di questi giochi aveva un arco narrativo che fosse lontanamente conciso e coerente come quello di The Count.



Detto questo, non possiamo non perdonare i possessori di TRS-80 (che all'epoca si avventuravano per i limitati ambienti di Adventureland, di Dog Star Adventure, e di The Count) per aver gettato degli sguardi invidiosi su tutte quelle stanze, tutti quegli oggetti, tutto quello spazio per il testo. Fu quindi un grande evento l'arrivo sul TRS-80 del padre di tutti gli sfarzi dei computer istituzionali: Adventure.
Infatti, se Adventure poteva girare su un TRS-80, allora era ragionevole sperare che presto sui microcomputer sarebbero stati possibili anche altri giochi più grandi e più ambiziosi - il che, ovviamente, avvenne puntualmente. E, di lì a qualche anno, lo sviluppo dei giochi d'avventura sulle grandi macchine si esaurì del tutto.

Il nome della società che per prima portò Adventure nelle case delle persone comuni tramite il TRS-80 probabilmente vi sorprenderà. Ma su questo mi dilungherò la prossima volta.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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The Count
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

The Count si apre con un title screen destinato a diventare iconico e longevo in modo quasi bizzarro, apparendo non solo su tutti i giochi del TRS-80 della serie classica di Scott Adams, ma anche su tutte le piattaforme su cui sarebbe sbarcata la linea. Questa schermata del titolo resterà sostanzialmente immutata perfino nel suo porting illustrato.

* ADVENTURE * (Versione: 8.2) Adventure number: 5 (Versione: 1.15)
Copyright Adams 1979. Casella postale 3435 Longwood FL Phone 1-305-862-6917
Questo programma vi permetterà di vivere una "Adventure" senza alzarvi dalla vostra sedia! Vi troverete in uno strano mondo nuovo. Potrete GUARDARE, RACCOGLIERE e MANIPOLARE in vari modi gli oggetti che troverete. Potrete anche VIAGGIARE da una locazione all'altra. Io sarò la vostra marionetta in questa Avventura. Potrete comandarmi con frasi in inglese di 2 parole. Ho un vocabolario di 120 termini, quindi se una parola non funziona, provatene un'altra!
Alcuni dei comandi che conosco: AIUTO, SALVA, PUNTEGGIO, INVENTARIO, ESCI.
L'Autore ha lavorato più di un anno su questo programma ed è attualmente al lavoro su molte altre nuove avventure. Quindi PER FAVORE: NON COPIATE E NON ACCETTATE COPIE "PIRATATE" DELL'AVVENTURA.

Un paio di cose ci colpiscono immediatamente a colpo d'occhio.
La prima è l'indelebile stile svogliatamente entusiastico che caratterizza tutti i suoi giochi come una firma d'autore. Da quel che si può vedere, l'interprete si chiama semplicemente ADVENTURE ed è già (!) alla versione 8.2, mentre il The Count vero e proprio ("Adventure Number 5") è alla versione 1.15. La supplica, con cui si conclude il messaggio, ci mostra invece come la pirateria informatica fosse già un problema rilevante nel 1979, e non un mero spauracchio del solo Bill Gates. Col passare del tempo sarebbe diventata -come sappiamo bene-  una questione ben più ampia, mano a mano che i pirati si dotavano di sofisticati network di distribuzione e nasceva una intera sottocultura (affascinante quanto immorale); ma di questo parlerò più profusamente quando ci arriveremo. Dal canto suo Adams si era forse fatto prendere un po' troppo la mano pur di spiegare il suo punto di vista: non aveva chiaramente speso "più di un anno" a sviluppare The Count, anche considerando che nel solo 1979 aveva pubblicato ben altri cinque giochi (che si stesse forse riferendo allo sviluppo del sistema ADVENTURE nel suo complesso?).

Ma -vi starete chiedendo- perché il testo ha un aspetto così buffo? Forse vi ricorderete di quando ho spiegato che il TRS-80 base non era equipaggiato per supportare i caratteri minuscoli. In un certo senso questo è solo parzialmente vero. La ROM dei caratteri, che conteneva i glifi di tutti i caratteri visualizzabili, aveva al suo interno anche i glifi per tutte le minuscole, oltre che per le maiuscole. Immagino che, come avveniva per molte delle componenti del TRS-80, anche questa era una parte esistente che era più facile ignorare che modificare per rimuovere i glifi extra. Quello che veramente mancava al TRS-80 era un modo per inserire le lettere minuscole. Il mercato secondario, sempre molto inventivo, risolse rapidamente questo problema con vari kit di modifica, uno dei quali fu evidentemente acquistato da Adams all'inizio del 1979. Tuttavia, anche con un kit del genere, il display del TRS-80 (essendo stato progettato con in mente le sole maiuscole) non possedeva ancora il concetto dei tratti discendenti. Quindi i caratteri come "y", "p", e "g" sono disegnati sopra il rigo, invece che scenderne al di sotto, generando così quell'aspetto strano che vedete nell'immagine sopra. E poi, si sa... a quel che non ammazza, ci si abitua.

Ma ora lasciate che vi parli specificatamente di The Count e di cosa lo rende un pezzo unico e interessante nella produzione di Adams. Se Mission Impossible aveva introdotto l'uso del tempo come elemento a servizio della trama sotto forma di una ticchettante (letteralmente) bomba ad orologeria, The Count si spinge oltre, molto oltre.
All'inizio ci svegliamo in una camera da letto di una casa infestata da Dracula in persona. Siamo stati portati lì dagli abitanti impauriti del villaggio, con le precise istruzioni di uccidere Dracula o di morire (o, meglio, di diventare vampiri a nostra volta) provandoci. Ovviamente (grazie ai testi ridotti ai minimi termini, all'assenza di ogni documentazione aggiuntiva, e al design old-school), tutto questo lo possiamo solo intuire quando abbandoniamo l'edificio e veniamo uccisi da una folla infuriata - il che oltretutto ci fa legittimamente chiedere se sia più malvagio Dracula o la folla degli abitanti del villaggio... ma chiuderemo un occhio su questo aspetto.
La trama si svolge su tre (o, al massimo, quattro) pomeriggi, e altrettante sere, durante le quali dovremo organizzare tutti i dettagli per raggiungere il nostro scopo: piantare l'obbligatorio paletto nel cuore del vampiro, ponendo così fine al regno di Dracula.

Sono in una cucina. Oggetti visibili:
Forno. Montavivande.
Uscite evidenti: EST
<-------------------------------------------------------------------------------------------
-------> Dimmi cosa fare? GUARDA OROLOGIO
Strano orologio dice
50 mosse prima del tramonto.
-------> Dimmi cosa fare?

Non solo il tempo scorre attraverso questi giorni, con i pomeriggi che diventano notti (con gli effetti conseguenti sull'illuminazione generale), ma ci sono anche eventi della trama che accadono all'interno dell'universo di gioco in momenti specifici, e in particolare vanno segnalate due consegne postali che avvengono il primo e il secondo pomeriggio.

Sono all'esterno del castello. Oggetti visibili:
Cartolina. Corda della campanella.
Uscite evidenti: EST OVEST
<-------------------------------------------------------------------------------------------
Lenzuola. Cuscino. Blasone. PALETTO della tenda. Orologio da taschino.
Da qualche parte risuona una campanella: "DING-DONG".
-------> Dimmi cosa fare? PRENDI CARTOLINA

Al solito non voglio esagerare l'importanza di tutto questo; siamo ancora molto lontani da una storia seria e articolata; The Count è ancora pienamente inchiodato al solito stile scherzoso di Scott Adams.

Sono in un bagno. Oggetti visibili:
Specchio. Toilette.
Uscite evidenti: SUD
<-------------------------------------------------------------------------------------------
-------> Dimmi cosa fare? GUARDA TOILETTE
C'è qualcosa là dentro, forse dovrei provare ad andarci?
-------> Dimmi cosa fare? VAI TOILETTE
OK
Ah, ora va molto meglio!
-------> Dimmi cosa fare?

Sono in una cripta. Oggetti visibili:
Cumulo di sigarette spente. BARA di pietra.
Bara è chiusa. Grossa lima per unghie temprata. Sfiato.
Cartello dice: "ASSOLUTAMENTE VIETATO FUMARE!" firmato Dracula.

 
Uscite evidenti: SUD
<-------------------------------------------------------------------------------------------
-------> Dimmi cosa fare? FUMA SIGARETTE
Nella stanza si sente tossire (sic)
[questo è un gioco di parole fra COFFIN (bara) e COUGHIN' (tossire), che hanno quasi la stessa pronuncia. ndTraduttore]
-------> Dimmi cosa fare?

Quello che abbiamo qui, però, è un universo che, almeno da alcuni punti di vista, è molto più dinamico di qualunque cosa si fosse mai vista prima. Per quanto Adventure poteva vantarsi dei suoi nani e dei suoi pirati capaci di movimento autonomo (che, a modo loro, erano incredibilmente sofisticati), il suo mondo restava completamente statico fino all'attivazione della scena finale e assolutamente privo di ogni percezione del tempo (se si esclude la lanterna che si esaurisce). Non a caso, The Count inserisce il verbo ASPETTA (un comando che nei giochi precedenti sarebbe stato del tutto superfluo), giacché il giocatore deve pianificare le proprie azione anche in base all'orario del giorno e a quei due fondamentali pacchi che devono essere consegnati.

Nel suo complesso il gioco non è altro che un nuovo tipo di meta-enigma sistemico, con il giocatore intento a mappare mentalmente il modo in cui gli eventi si dipanano e il funzionamento di ogni singolo elemento (morendo un numero infinito di volte nel frattempo...), al fine di mettere a punto il piano che lo porterà alla vittoria finale. The Count, in un certo senso, introduce quindi un nuovo paradigma di gameplay per le avventure testuali: uno non più basato sull'esplorazione geografica (anzi, per l'epoca la sua mappa è molto piccola e facile da gestire), ma su un modo di pensare dinamico e sistemico, che ce lo fa apparire molto più vicino ad un'esperienza narrativa. Il sistema è addirittura abbastanza sofisticato da prevedere un buon numero di percorsi diversi per arrivare alla vittoria finale; praticamente tutte le soluzioni del gioco che ho trovato avevano un approccio diverso.

Nonostante questo, a volte il confine fra il sistema della narrazione e il sistema del programma è un po' fumoso, e si rimane con la sensazione di giocare al programma piuttosto che alla storia.
Per esempio, nel gioco ci si sposta fra i piani della casa usando un montavivande (tralasceremo di parlare della mancanza di una scalinata interna, che è uno di quei crimini contro la mimesi che ci sentiamo di poter perdonare in un gioco tanto vecchio e primitivo). Dovete sapere che, se si perdono i sensi e si viene messi a letto per la notte (presumibilmente dallo stesso Dracula...) su un piano diverso da quello che contiene la camera, tale montavivande resta al piano dove lo abbiamo lasciato, impedendoci così di finire il gioco! Questo non ha alcun senso all'interno dell'universo narrativo (dove si è mai sentito di un montavivande che sale o scende solo con un passeggero all'interno?!?), ma è invece solo un limite del programma.
È per ragioni come questa che la risoluzione del gioco si rivela più noiosa che divertente; del resto neppure la Infocom nei suoi giochi più dinamici, con un'impostazione simile a The Count, riuscirà a risolvere fino in fondo questa "sindrome dell'imparare morendo". Sono proprio i tanti fattori di frustrazione come questo che fanno di The Count un gioco meno divertente di quanto non sia invece interessante come tecnologia e come concept.

E non si può dire nemmeno che il finale risollevi le sorti del gioco...

Sono in una grande BARA. Oggetti visibili:
Coperchio della bara è aperto. Chiusura rotta.
Vecchio scheletro ammuffito con paletto nella cassa toracica.
Uscite evidenti: SU
<-------------------------------------------------------------------------------------------
-------> Dimmi cosa fare? UCCIDI DRACULA
Infilo il paletto nel suo CUORE. Gli abitanti del villaggio vengono e mi portano via in trionfo!
(Non preoccuparti, gli ho spiegato che è tutto merito tuo!!!)
L'avvenutra è finita. Vuoi provare di nuovo questa avventura?

Dobbiamo aggiungere che in seguito Adams non ha mai fatto molto per sviluppare queste idee, rifugiandosi di lì in poi prevalentemente negli schemi della caccia al tesoro e in simili gameplay statici, e lasciando questo approccio più dinamico alla Infocom che tre anni dopo svilupperà il rivoluzionario Deadline. Ma, come dico sempre, di questo parleremo in seguito.

Se volete giocare The Count nella sua forma originale, ecco un file CMD che potete caricare nell'emulatore MESS usando "Device –> Quickload" dal menù dell'emulatore.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato
- The Count


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Un 1979 indaffarato
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Dire che il 1979 di Scott Adams fu molto produttivo è dir poco... Basti citare il fatto che in quell'anno pubblicò la bellezza di sei nuovi giochi completi: Mission Impossible, Voodoo Castle, The Count, Strange Odyssey, Mystery Fun House, e Pyramid of Doom.
E, fra questi sei, ben quattro erano scritti di suo solo pugno!

Voodoo Castle è attribuito ufficialmente anche a Alexis, la moglie d'allora di Adams. Tuttavia il ruolo che ha avuto non è molto chiaro, visto che nelle ultime interviste Adams ne ha sminuito il contributo, affermando che le sono attribuibili solo le linee guida della trama, mentre sarebbe stato lui a occuparsi quasi interamente della scrittura dei testi e completamente della programmazione. Purtroppo, con il passaggio degli anni e i risentimenti che inevitabilmente accompagnano ogni divorzio, non sapremo probabilmente mai se Alexis Adams può essere legittimamente considerata la prima donna game designer di avventure (battendo quindi sul tempo Roberta Williams di oltre un anno).

Ben più chiaro è invece il contribuito che Alvin Files ha dato a Pyramid of Doom. Lavorando in modo autonomo (senza aver accesso al codice sorgente o ai progetti originali), Files fece il reverse-engineering del motore di Adams, creando per quella via un gioco tutto suo, per poi spedire il risultato definitivo ad Adams, che lo aggiustò un po' e lo pubblicò come l'Adventure #8, riconoscendo a Files il "90 percento" del merito. Pyramid of Doom fu pubblicato intorno all'Ottobre del 1979, ma un primo segno dell'amicizia fra i due risale già a quell'estate con The Count, che è ufficialmente "dedicato ad Alvin Files".

Nel costruire questa cronologia tramite riviste e documenti dell'epoca, sono rimasto sorpreso nel constatare che quasi due terzi di quella, che sarebbe poi diventata (in modo un po' arbitrario) la dozzina di avventure che compongono il canone di Scott Adams, è stata creata prima della Adventure International, la società di Adams. Essa fu infatti fondata prima della fine dell'anno, quando Adams era già impegnato in un altro importante passo: il porting del suo engine su altri microcomputer.
La prima piattaforma canditata per il porting fu inevitabilmente l'Apple II, la seconda macchina più popolare del 1979. Tuttavia nel giro di pochi anni l'esplosione di macchine incompatibili fra loro, unita alla dedizione di Adams a supportarne il più possibile, avrebbe portato i suoi giochi su oltre una dozzina di piattaforme diverse.
E, se anche il 1979 non fu ancora l'anno dell'esplosione dei giochi d'avventura, fu comunque l'anno in cui Adams pose le basi perché ciò accadesse. L'avvento del nuovo anno lo vide infatti armato di una società appena fondata, di un engine per avventure che poteva essere facilmente oggetto di porting verso nuove piattaforme, e con un catalogo di tutto rispetto di giochi già pronti che spaziavano in un'ampia varietà di generi diversi. Aveva perfino creato una versione "dimostrativa", semplificata, di Adventureland per chi volesse conoscere meglio il nuovo genere.

Adams apportò dei notevoli miglioramenti tecnici al suo engine anche per il buon vecchio TRS-80. A cavallo fra la pubblicazione di Mission Impossible nella primavera del 1979 e di Voodoo Castle e The Count in quell'estate, Adams (apparentemente incitato a farlo da Lance Micklus) riscrisse il suo interprete -originariamente scritto in BASIC- in linguaggio assembly, con conseguenti giganteschi incrementi di velocità. Implementò anche una nuova impostazione della schermata di gioco, che successivamente sarebbe diventata una sorta di suo marchio di fabbrica, con la descrizione della stanza in cui ci si trova e i relativi contenuti sempre in mostra in una "finestra" separata, senza scrolling, collocata nella metà superiore dello schermo.

   

Considerando il display a 64 caratteri per 16 linee del TRS-80 e l'aspettativa degli utenti ad avere una buona fluidità nelle parti di maggiore interesse, questo rappresentò un grosso passo in avanti. Il nuovo interprete supportava perfino i caratteri minuscoli, anche se la prosa, la grammatica e anche gli errori ortografici non divennero mai una priorità... Con questi miglioramenti il nuovo sistema, per il quale vennero rapidamente riadattati anche i primi tre giochi, rese l'andare in cerca d'avventura sul TRS-80 un'esperienza assai più piacevole.

E che dire del contenuto di questi giochi? Beh, l'engine limitato e il ritmo infuocato con cui Adams li sfornava hanno rappresentato un inevitabile limite alle loro potenzialità; tuttavia in questi nuovi titoli ci sono dei nuovi sviluppi di cui vale la pena parlare.
Il primo di questi sviluppi è rappresentato dal fattore tempo. Sia l'Adventure originale che Adventureland richiedevano, come è noto, un'attenzione particolare alla gestione del tempo per far fronte alle fonti di luce che si esaurivono; Mission: Impossible invece si spinge un po' oltre, legando maggiormente il fattore tempo alla trama sotto forma di una ticchettante bomba a orologeria che minaccia di distruggere un impianto nucleare.
A distanza di due soli giochi da questo, abbiamo invece The Count, il gioco che rappresenta l'apice dell'ambizione concettuale di Adams, nonché un significativo passo in avanti per le avventure testuali intese come mezzo per raccontare una storia. La prossima volta esaminerò quindi in maggior dettaglio The Count, di gran lunga il più interessante di queste sei fatiche di Scott Adams.

    

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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato

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Qualche domanda per Lance Micklus
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Recentemente ho potuto inoltrare qualche domanda a Lance Micklus, l'autore di Dog Star Adventure, e ho pensato che a qualcuno di voi potrebbero interessare le sue risposte.

 

Jimmy: Scott Adams in un paio di occasioni ha raccontato che tu lo hai convinto a riscrivere in linguaggio assembly il suo engine per avventure testuali (originariamente scritto in BASIC). Ti ricordi come è avvenuto?

Lance: Non ricordo di aver mai parlato con Scott di questa cosa, ma in generale mi sembra un buon consiglio. Il BASIC avrebbe reso i suoi  programmi molto portabili (cioé sarebbe stato facile convertirli da un sistema ad un altro). Ma il linguaggio assembly avrebbe dato loro velocità ed efficienza (cioé li avrebbe resi un'esperienza complessivamente migliore).



Jimmy: Cambiando argomento, ogni dettaglio sulla creazione di Dog Star Adventure sarebbe immensamente utile. Essendo una delle prime avventure testuali pubblicate dopo che Scott Adams aveva dimostrato che era possibile crearne per il TRS-80, nonché la prima il cui codice è apparso su una rivista, Dog Star Adventure ha un'importanza storica indiscutibilmente notevole. Ci ho giocato proprio ieri e sto per dedicargli un pezzo sul mio blog.

Lance: A metà degli anni '70 lavoravo per la televisione pubblica del Vermont come tecnico del suono ["studio engineer", ndTraduttore]. In più facevo anche un po' di programmazione per la nostra stazione radio. Poiché la stazione era parte della University of Vermont, avevamo libero accesso ai loro computer. Su uno di questi c'era installato la primissima avventura testuale. Credo che si chiamasse Get Lamp [in realtà era Adventure, ovviamente] e che fosse stata scritta in Fortran intorno al 1972 [l'esperimento originale di Crowther era del 1976, mentre il gioco definitivo era del 1977]. Divenne molto popolare fra gli studenti. Iniziai a giocarci nel tempo libero, anche se non mi sono mai spinto troppo avanti.

Però, quando l'università aggiornò i suoi computer, non avemmo più accesso a "Get Lamp". Fu più o meno in quel periodo che ebbi il mio primo personal computer, il TRS-80. Iniziai così a scrivere programmi che sostituissero quelli con cui mi divertivo sui computer della University of Vermont. Dog Star Adventure fu il mio tentativo di sostituire "Get Lamp".

La trama di Dog Star era influenzata da Guerre Stellari. La storia si svolgeva su un qualcosa di molto simile alla Morte Nera. Guerre Stellari aveva una "Princess Leia", mentre in Dog Star c'era una "Princess Leya".

Una delle influenze di "Get Lamp" che sono finite in Dog Star è stato l'uso di uno strumento narrativo che chiamavamo "ticchettio della bomba". In "Get Lamp" le batterie della torcia finivano dopo un tot di tempo di gioco, rendendo così impossibile terminare il gioco. In Dog Star questo ruolo era ricoperto da un cheeseburger che si freddava.

Una delle tecniche che usai per scrivere Dog Star fu quella di dare delle proprietà agli oggetti. C'erano delle azioni e c'erano degli oggetti su cui eseguirle. Mangiare un cheeseburger era un'azione che faceva accadere qualcosa: dopo che lo avevi mangiato, il cheeseburger spariva. Un'altra possibilità era parlare con il cheeseburger, ma questa non faceva niente.



Jimmy: Qui la risposta è ancora più aperta, ma mi chiedevo se ci potevi parlare di cosa ti ha spinto ad acquistare quasi subito un microcomputer e poi -in particolare- come è che hai iniziato a produrre una quantità tanto vasta di software. Sulla tua pagina web ho letto che prima del TRS-80 lavoravi alla radio e alla televisione. Che tipo di conoscenza avevi dei computer (se ne avevi)?

Lance: Il mio interesse per i computer risale al 1953, quando avevo 8 anni. Uno dei miei programmi TV preferiti era Superman con George Reeves. Uno degli episodi della seconda stagione si chiamava "The Machine That Could Plot Crimes". Parlava di una macchina chiamata Mr. Kelso che veniva utilizzata con l'inganno dal cattivo di turno per progettare delle rapine in banca perfette. Quella macchina mi affascinava. Dopo aver visto quell'episodio chiesi a mia madre se esistessero davvero delle macchine del genere. Quando mi rispose che esistevano davvero, decisi che ne avrei dovuta avere una.

Il computer di Mr. Kelso in "The Machine That Could Plot Crimes"

Durante l'estate del 1964 lavorai come operatore di computer presso la IBM a Poughkeepsie. Questo mi permise di mettere le mani su un computer IBM 1401 in linguaggio assembly. Tuttavia, anche se i computer mi affascinavano -e mi affascinano ancora oggi-, avevo anche intenzione di perseguire una carriera nelle telecomunicazioni. Ho passato gran parte della mia vita a fare avanti e indietro fra queste due diverse professioni.

L'acquisto del TRS-80 alla fine del 1977 fu il compimento del sogno che avevo a otto anni: avere un computer tutto mio. Mi divertivo a scrivere programmi e lo facevo semplicemente per divertimento. Iniziai a pubblicare le mie opere innanzitutto come un modo per condividere le mie creazioni.



Come è ormai una costante di questo blog, questa intervista smentisce un paio delle mie osservazioni del mio post precedente. E in particolare quella secondo cui Lance non aveva mai visto l'originale Adventure (anche se in realtà lo aveva fatto, apparentemente, solo in una ristrettissima finestra temporale che andava dal periodo di massima diffusione di Adventure nella primavera del 1977 alla pubblicazione del TRS-80 a fine di quell'anno. Nonostante questo Dog Star è talmente simile ai primi lavori di Scott Adams, che non posso credere che una tale similitudine sia solo una coincidenza.
E poi c'è la conoscenza dei computer da parte di Lance, che era un po' più estesa di come io l'avevo descritta.
Beh, poco male per queste inesattezze, del resto vivere e imparare sono una parte essenziale di ciò che è questo blog, no?


Tanto per curiosità, ecco un'immagine di Lance ai gloriosi tempi del TRS-80 (1980 circa):

E questo è lui oggi con la sua adorabile moglie Dianne (2011):

Attualmente [2011, ndTraduttore] Lance sta cercando di produrre un film a tema religioso, basato sulla leggenda di Santa Claus. È un uomo molto, molto cordiale.

Nel prossimo post tornerò a parlare di Scott Adams e, fra le varie cose, mi occuperò di quel passaggio al linguaggio assembly di cui poco sopra ho chiesto informazioni anche a Lance.

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Giochiamo con Leonardo ad Adventureland

Recuperiamo il Let's Play di Leonardo Boselli della settimana scorsa, di Adventureland, mitica avventura di Scott Adams del 1978, per l'occasione tradotta in italiano.

Abbiamo già parlato di Adventureland nella serie scritta dal Digital Antiquarian e tradotta dal buon Ancient, che potete trovare a questo link. Sopra, invece, potete rivedere il bellissimo gameplay di Leonardo!

Dog Star Adventure
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Sfogliando i primi numeri della rivista SoftSide, non si può non notare come ci siano una serie di personaggi che sono praticamente ovunque; ad un ritmo impressionante sfornano giochi, strumenti, applicazioni, e perfino articoli di approfondimento!
Fra questi c'è ovviamente Scott Adams, che oltre alle sue avventure aveva già scritto dei semplici giochi di strategia e una ampia gamma di adattamenti di giochi di carte o da tavolo.
C'è poi il Reverendo George Blank che, oltre ad occuparsi della rivista e ad aver scritto un gran numero di giochi e utility varie, aveva anche firmato un articolo in cui immaginava il futuro del gioco su computer:

Per ora sono stati scritti ben pochi giochi di qualità. Di questi, alcuni sono degli adattamenti di giochi come gli scacchi o Othello [noto anche come Reversi], che esistevano già in altre forme. Questi giochi sono interessanti se aggiungono una nuova dimensione alla versione originale (come ad esempio la possibilità di giocare da soli) e se lo fanno con una forma esteticamente piacevole. La mia opinione personale è che tali adattamenti giocheranno un ruolo essenziale nel futuro dei giochi per computer e che i migliori saranno quelli che riusciranno a sfruttare al meglio le capacità delle macchine.

E poi c'era l'autore di Dog Star Adventure, uscito sul numero di Maggio 1979 di SoftSide: Lance Micklus. Prima di Dog Star Adventure, Lance aveva già scritto e venduto: Concentration (un adattamento di un classico spettacolo televisivo); Robot (un maze game); Mastermind I e II (adattamenti dell'omonimo gioco da tavolo); Breakaway (un flipper); Treasure Hunt (un esercizio di mappatura, sullo stile di Hunt the Wumpus); Renumber (un utility per programmatori); KVP Extender (una utility per la tastiera); e Personal Finance and Advanced Personal Finance (un software per la gestione delle finanze personali). Ma, più di tutto, Lance era diventato famoso per aver scritto Star Trek III.3 (porting di un celebre gioco spaziale di strategia nato sull'HP Time-Shared BASIC) e un software di emulazione di terminale (che permetteva al TRS-80 di comunicare con le grandi macchine istituzionali tramite modem). Un curriculum di tutto rispetto, specie se si considera che Lance non era certo un programmatore esperto quando arrivò al TRS-80, avendo fino a quel punto lavorato come ingegnere elettronico per la televisione per la radio.

Del resto il TRS-80 era probabilmente la piattaforma ideale per far emergere dei geni simili. Poiché le sue capacità grafiche erano pressoché nulle, gli asset grafici non erano un gran problema. Le sue capacità audio erano completamente inesistenti, e quindi anche il sonoro poteva essere serenamente depennato dalla lista. A tutto questo va aggiunto che i suoi 16 K di RAM costituivano un grosso limite anche per i più ambiziosi, e quindi praticamente qualunque programma che fosse virtualmente concepibile per un'implementazione sul TRS-80 era assolutamente fattibile -e anche relativamente in poco tempo- da un singolo programmatore di talento. E in questo c'era qualcosa di bellissimo.

Un altro aspetto interessante di questo periodo "dell'innocenza della programmazione" era la gioiosa inconsapevolezza degli altrui diritti di proprietà intellettuale. Di sicuro nessuno dei tanti che adattarono dei giochi da tavolo coperti da diritto d'autore (per non parlare del gioco di Star Trek che divenne anche immensamente famoso) aveva firmato dei contratti con i rispettivi proprietari.
Dog Star Adventure era "ispirata" all'atto centrale della prima trilogia di Guerre Stellari, quando il Millennium Falcon è intrappolato sulla Morte Nera e deve liberare la Principessa Leila e fuggire. Tuttavia si direbbe che in questo caso qualcuno deve essersi un po' impaurito e quindi la "Death Star" è diventata la "Dog Star", "Princess Leia" è diventata "Princess Leya", "Darth Vader" è diventato "General Doom", e... avete capito.

Appena si avvia il gioco, è subito evidente il suo debito nei confronti di Scott Adams. Qui vediamo in azione quella "funzione di ponte" svolta dai primi giochi di Adams: Dog Star Adventure è ispirato dall'opera di Adams, poiché chi lo ha scritto non aveva mai visto il gioco che a sua volta aveva ispirato Adams (e cioé l'originale Adventure).
(AGGIORNAMENTO: Uhm... non è del tutto esatto. Vi rimando alla mia prossima intervista a Lance per approfondire le influenze dietro la creazione di Dog Star).

Notate le "Obvious Exits", che erano ormai diventate uno standard, nonché il passaggio dalla narrazione in seconda persona a quella in prima persona iniziata da Adams con Adventureland:

SONO NELL'ABITACOLO DELLA MIA NAVE SPAZIALE.
UN GROSSO PULSANTE ROSSO DICE >> PREMI PER LANCIARE <<
USCITE EVIDENTI: SUD
COSA DEVO FARE? _

Il gioco è un po' più facile di Adventureland, con meno enigmi vergognosamente iniqui, ma anche qui non mancano i passaggi più spinosi come il magazzino pieno di "ogni genere di roba".

SONO NEL MAGAZZINO DELLE SCORTE
INTORNO A ME VEDO:

OGNI GENERE DI COSA
USCITE EVIDENTI: SUD
COSA DEVO FARE? PRENDI BLASTER
O.K.
COSA DEVO FARE? PRENDI ARMATURA
NON SO COSA SIA UNA "ARMATURA"
COSA DEVO FARE? PUNTEGGIO
DI UN MASSIMO DI 215 PUNTI, ADESSO NE HAI 0
NON VA POI COSI' BENE
COSA DEVO FARE? _

Sì, un po' di quella roba vi serve. E sì, dovete proprio indovinare cosa e come il gioco vuole che voi lo chiamiate. Non so decidermi se è qualcosa che amo o che odio; c'è un qualcosa di estremamente arguto in questo "enigma" (immaginate la mia soddisfazione quando ho digitato GET BLASTER e ha funzionato...!)

Nel complesso in cui è ambientato il gioco vagano anche dei gruppi di stormtrooper. Per fortuna potete usare il suddetto blaster per sbarazzarvi di loro.

SONO IN UN CORRIDOIO
UNA GROSSA FRECCIA INDICA VERSO EST E DICE: >> ALLA CAMERA BLINDATA <<
USCITE EVIDENTI: NORD, EST, SUD, OVEST.
PER LA MISERIA! È APPENA ENTRATA UNA GUARDIA.
CHE DEVO FARE? SPARA GUARDIA
ZZZAP! FINE DELLA GUARDIA.
CHE DEVO FARE? _

Sfortunatamente (ma inevitabilmente), il blaster ha un quantitativo limitato di munizioni, e potete PRENDERE MUNIZIONI una sola volta (e sempre nel suddetto magazzino). Sappiate quindi che vedrete molte volte questa schermata:

A I U T O ! ! !
I SOLDATI SONO OVUNQUE. MI HANNO CATTURATO.
ORA SONO PRIGIONIERO. POVERO ME...
VUOI GIOCARE DI NUOVO (SI' O NO)? _
 

Il nostro scopo in Dog Star Adventure è superficialmente lo stesso di Adventureland: portare tutti i tesori in una certa location (che in questo caso è la stiva della nostra nave spaziale).
Al riguardo non possiamo esimerci dal rimproverare il Sig. Micklus di essersi distratto durante la Rivoluzione Sessuale, perché la Principessa è stata implementata come... l'ennesimo tesoro da raccogliere.

SONO IN UNA CELLA
INTORNO A ME VEDO:
PRINCIPESSA LEYA
USCITE EVIDENTI: NORD
CHE DEVO FARE? PRENDI PRINCIPESSA
STO TRASPORTANDO TROPPE COSE.
SUGGERIMENTO: LASCIA QUALCOSA
CHE DEVO FARE? LASCIA CHIAVI
O.K.

CHE DEVO FARE? PRENDI PRINCIPESSA
O.K.
CHE DEVO FARE? _
 

Se però prestiamo maggiore attenzione, ci accorgiamo che sotto sotto c'è qualcosa di più. Questi tesori non sono "fini a sé stessi", ma hanno tutti (inclusa la principessa) una loro logica all'interno della trama. Dovremo infatti raccogliere: il carburante per la nostra nave spaziale, la collana della Principessa (che contiene un chip nascosto che custodisce "l'ubicazione e la forza della Freedom Fighting Force") e i piani di battaglia del Generale Doom (che sono stati registrati su una cassetta del TRS-80 - qualcuno gli avrà consigliato di farne diversi backup?!?).
A questo va aggiunto il fatto che il gioco non finisce immediatamente dopo aver raccolto tutti i tesori; a quel punto si dovrà infatti trovare un modo per far aprire le porte dell'hangar della stazione spaziale e lanciare nello spazio la nostra nave.
Non lo si può certo definire un finale originale, ma possiamo ben dire che c'è almeno lo scheletro di un arco narrativo vero e proprio, che ha il suo climax nel trionfo dell'Alleanza Ribelle... ehm, volevo dire delle "Forces of Freedom".

SU UN MASSIMO DI 215 PUNTI, NE HAI 215.
SIAMO DEGLI EROI.
LE FORZA DELLA PRINCIPESSA LEYA SCONFIGGERANNO I SOLDATI DEL MALE
E LA LIBERTA' PREVARRA' IN TUTTA LA GALASSIA.
VUOI GIOCARE DI NUOVO (SI' O NO)? _

Oltre a essere disponibile su cassetta tramite il The TRS-80 Software Exchange per la bassissima cifra di 9,95 dollari, il listato BASIC completo di Dogstar Adventure fu pubblicato per i più oculati (o masochistici) nel numero di Maggio 1979 di SoftSide. Uno degli aspetti di quest'epoca che oggi ci appaiono più bizzarri è proprio la grande quantità di software che veniva acqistato in questa forma così tormentosamente non user-friendly ben oltre l'inizio degli anni '80. Questi listati non erano solo il cuore delle riviste, ma riempivano anche gli scaffali delle librerie.
Quando ci lamentiamo degli enigmi illogici e dei problemi di "guess-the-verb" che affliggono praticamente tutti questi primi giochi, non dobbiamo dimenticarci che chiunque avesse anche solo una minima base di programmazione poteva cercare da solo la soluzione del gioco semplicemente digitando il comando LIST del BASIC.
Io, per esempio, quando il parser di Dog Star ha iniziato ad apparirmi frustrante, ho cercato queste linee:

Per 30650 VB$(1)="GO":VB$(2)="GET":VB$(3)="LOOK"
30700 VB$(4)="INVEN":VB$(5)="SCORE":VB$(6)="DROP"
30750 VB$(7)="HELP":VB$(8)="SAVE":VB$(9)="LOAD":VB$(10)="QUIT"
30800 VB$(11)="PRESS":VB$(12)="SHOOT":VB$(13)="SAY"
30850 VB$(14)="READ":VB$(15)="EAT":VB$(16)="CSAVE"
30900 VB$(17)="SHOW":VB$(18)="OPEN":VB$(19)="FEED"
30950 VB$(20)="HIT":VB$(21)="KILL"

Ecco trovati i 21 verbi compresi dal gioco. È bene quindi precisare che le ricerche nel codice sorgente non solo non si potevano impedire, ma anzi gli autori le prevedevano e... ci facevano affidamento. Alla luce di questo, certe scelte di game design non sono poi così crudeli e bizzarre come potrebbero inizialmente apparire.

Per dirla tutta, giocando a Dogstar per preparare questo post ho ripreso anche troppa confidenza con le tribolazioni del BASIC. A un certo punto c'è un robot della sicurezza che ci impedisce di evadere da una cella con la Principessa Leya. A questo robot piacciono gli hamburger del McDonald (fossimo stati in un'altra epoca avrei sospettato che ci fosse sotto un accordo pubblicitario, ma in questo caso posso solo commentare che quel robot ha davvero dei pessimi gusti in fatto di hamburger...). Per fortuna c'è un hamburger proprio nella sala comune della stazione spaziale. Studiando il codice sorgente in BASIC ero certo di aver scoperto la sintassi giusta per darlo al robot, ma il gioco continuava a non accettarmi il comando. Ho così scoperto che la versione del gioco che stavo usando aveva un minuscolo errore di battitura in questa riga:

7350 X=22:GOSUB21450IFY<>-1PRINTM6$:GOTO2125

che invece sarebbe dovuta essere così:

7350 X=22:GOSUB21450:IFY<>-1PRINTM6$:GOTO2125

Ecco quali danni può fare un semplice carattere in meno, perso mentre si inseriscono a mano centinaia di linee di codice BASIC. Una volta corretto l'errore, ho potuto finalmente dare da mangiare al robot affamato.

SONO NELLA STANZA DELLA SECURITY
A NORD C'È UN ASCENSORE.
INTORNO A ME VEDO:
ROBOT DA COMBATTIMENTO
DIREZIONI EVIDENTI: NORD, EST.
CHE DEVO FARE? SFAMA ROBOT
IL ROBOT DA COMBATTIMENTO MANGIA L'HAMBURGER E SPARISCE
CHE DEVO FARE? _

Ebbene sì, il codice sorgente originale è tutto ingarbugliato in questo modo. L'interprete BASIC del TRS-80 non ha assolutamente bisogno di spazi per separare gli elementi del codice; del resto gli spazi usano memoria - e quindi via, insieme a ogni altra comodità (commenti inclusi). Leggibile Dog Star Adventure non è.

Questo rende tanto più sorprendente il ruolo che questo gioco svolse nella storia della narrativa interattiva. Vi ricordate tutti quegli hobbisti desiderosi di creare le loro avventure testuali? Beh, Dog Star dette loro un modello da seguire, essendo un gioco "bell'e che pronto", creato da mani competenti e comodamente distribuito su carta (non ci dimentichiamo che le stampanti in quegli anni erano ancora una rarità). Anche le avventure di Scott Adams erano programmate in BASIC, ma il loro codice non fu pubblicato sulle riviste prima del 1980; senza dimenticare poi che la loro struttura interprete/data-file le rendeva più difficili da scomporre rispetto alla approccio "tutto in uno" (seppur meno flessibile) di Dog Star.

Lance Micklus col tempo fu sempre più assorbito dai suoi prodotti legati allo scambio di dati fra piattaforme diverse, fino a quando -a fine 1979- non fondò una società tutta sua per commercializzarli. Non scrisse mai più un'avventura testuale. Tuttavia troviamo le sue orme ovunque nella storia delle prime avventure testuali, perché un numero sconfinato di programmatori amatoriali crearono i proprio giochi  nelle loro camere da letto basandosi proprio sullo scheletro da lui ideato. È questa, prima ancora che gli accenni a una trama vera e propria, a essere la più grande eredità lasciata da Dog Star Adventure.

Prossimamente torneremo a parlare di Scott Adams, che -proprio come Lance Micklus- visse un 1979 particolarmente indaffarato.
Nel frattempo, se volete provare Dog Star Adventure, non vi costringerò a trascriverlo da zero. Ecco qua uno stato salvato per il MESS TRS-80 Level 2 emulator - e in questa versione funziona bene anche il robot mangia-hamburger!

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure

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Adventureland - Parte 2
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Nel 1978 l'idea di un programma per computer come merce vendibile (acquistabile come fosse un libro o un album musicale) era ancora abbastanza nuova. Nel mondo dei grandi computer istituzionali, il software commerciale si limitava per lo più ai sistemi operativi e alle applicazioni più essenziali e complicate (come i compilatori), e veniva quindi creato e venduto da quelle stesse compagnie che producevano l'hardware su cui girava. Il TOPS-10 era un prodotto della stessa DEC, il Time-Shared BASIC era un prodotto della Hewlett-Packard, e così via.
Questi programmi venivano venduti non come prodotti individuali con un prezzo fisso, ma piuttosto erano parte di contratti complessi, che includevano anche l'hardware per farli funzionare e il personale umano per il supporto. Il software creato dagli utenti finali di queste macchine era spesso talmente specializzato da risultare inutilizzabile al di fuori del contesto dove era stato creato e, se anche fosse stato fruibile al di fuori di quel contesto, veniva comunque distribuito gratuitamente. Non esistendo un vero mercato per il software, non c'era nemmeno alcun incentivo a fare le cose diversamente. 
 
Tutto questo iniziò a cambiare con l'avvento dei microcomputer. Il primo pezzo di software commerciale per microcomputer, venduto separatamente dall'hardware, fu creato dalla società che (nel bene o nel male) è poi diventata il sinonimo del modello di distribuzione commerciale "closed-source": la Microsoft.
Il primo prodotto di quella compagnia, creato nel 1975 (quando Bill Gates e Paul Allen erano ancora solo dei trasandati studenti universitari) era una versione del BASIC venduta su nastro perforato per il kit dell'Altair 8800. Il 3 Febbraio 1976 Gates spedì una "lettera aperta  agli hobbisti" destinata a diventare celebre, nella quale egli si faceva beffe della diffusa pratica di copiare il software della Microsoft, notando che, nonostante ogni possessore di Altair stesse usando il BASIC, meno del 10% di tali utenti l'aveva acquistato, affermando che il ritorno economico suo e di Allen per il tempo speso a svilupparlo era inferiore a due dollari l'ora.
Gli hobbisti reagirono a quella lettera con sorpresa e con un certo sdegno. Credo si possa affermare che la sola idea di un software che non fosse liberamente distribuibile (e quindi anche l'idea stessa di "pirateria") non li avesse mai sfiorati, tanto era antitetica all'etica della condivisione e del libero scambio di informazioni di posti come il celebre Homebrew Computer Club.
Un certo Jim Warren gli rispose così:

Esiste una valida alternativa per i problemi sollevati da Bill Gates nella sua irritata lettera rivolta agli hobbisti in merito al "furto" del suo software. Quando il software sarà libero (o così poco costoso da essere più facile acquistarlo che copiarlo), non verrà più "rubato".

Notate le virgolette intorno a "furto" e "rubato", come se tali concetti fossero inapplicabili al software. Il dibattito acceso da Gates e Warren infuria tutt'oggi. Ed è una palude in cui ho imparato a non infangarmi. Qui basterà far notare che con il BASIC dell'Altair ormai il dado era tratto e la distribuzione del software era cambiata per sempre.

Come avevo fatto notare in un post precedente, Radio Shack fu abbastanza saggia da comprendere che un buon supporto software era fondamentale per il successo del suo nuovo computer (un fatto ovvio, che però la Commodore -fra gli altri- non sembra aver mai compreso fino in fondo).
Poiché quasi tutti i TRS-80 venivano venduti nei negozi di Radio Shack, la società aveva la grande opportunità di creare in prima persona tale supporto, incoraggiando l'invio di software da parte degli hobbisti, per poi vendere i prodotti migliori fianco a fianco ai computer. Suona quindi quasi strano che i migliori programmi per TRS-80 non siano stati pubblicati da Radio Shack. Posso solo immaginare che gli svantaggi di dover interagire con l'ufficio acquisizioni di una gigantesca azienda senza volto fossero maggiori dei conseguenti vantaggi distributivi.
 
In quell'epoca il principale fattore di facilitazione della distribuzione del software erano (abbastanza sorprendentemente) le riviste. Prima dell'arrivo del TRS-80 e dei suoi competitor, la Creative Computing stava come sappiamo già pubblicando da anni listati di programmi in BASIC, e ovviamente continuò a farlo ancora a lungo.
Invece nell'Ottobre del 1978 la rivista SoftSide (la prima rivista specifica per il TRS-80, nonché -credo- la prima rivista dedicata ad una piattaforma specifica) aprì le pubblicazioni con questa mission:

La nostra intenzione è pubblicare il software - tanto software, tutto da trascrivere gratuitamente. Ogni mese offriremo programmi per gli affari, giochi, programmi per la gestione familiare, e anche programmi educativi per i più piccoli, che faranno del vostro home computer quel supporto educativo che avete sempre desiderato che fosse. I nostri contenuti saranno unici e sempre diversi, così come lo saranno anche i programmatori che collaboreranno con noi.

Inutile dire che la "trascrizione" dei listati era una vera sofferenza; digitare con fatica le centinaia di linee di codice di alcuni dei programmi eccezionalmente complessi che SoftSide pubblicò era l'antitesi del divertimento, indipendentemente da quanto si potesse essere innamorati del proprio nuovo computer. Senza dimenticare poi i subdoli bug che potevano essere introdotti semplicemente sbagliando un carattere o un numero qua e là. È per questo che SoftSide veniva venduta a scelta anche con una cassetta contenente tutti i programmi pubblicati in quel numero.
 
Ma questo era solo l'inizio. Già prima della nascita della rivista, gli editori di SoftSide avevano creato The TRS-80 Software Exchange, un organo di distribuzione del software commerciale a pagamento. I più cinici adesso penseranno che SoftSide fosse stata creata principalmente per promuovere il TSE: in ogni numero infatti veniva dedicato un numero considerevole di pagine all'elenco dei titoli del catalogo del TSE, con quelli commercialmente più promettenti a cui veniva accordata anche una mezza pagina o una pagina intera.
In un certo senso il TSE fu uno dei primi publisher di software - ma solo in un certo senso. Pubblicare un'opera con il TSE portava però con sé un vantaggio per cui oggi gli sviluppatori potrebbero uccidere:

Manterrai tutti i diritti sul programma sul quale hai tanto faticato. Se il tuo programma non vende, non fai soldi, e quindi perché mai dovresti incatenare il tuo software a un contratto di esclusiva? Con SoftSide resti libero di commercializzare il tuo programma con noi e, al tempo stesso, di venderlo privatamente o attraverso altri accordi non in esclusiva. Noi crediamo che siano solo i nostri risultati l'unico "vero legame" che ci serve.

 

Che affare, eh? Non c'è da meravigliarsi se moltissimi hobbisti, desiderosi di far arrivare i propri programmi nelle mani delle masse (e magari, contemporaneamente, di guadagnarci qualcosa), si affrettarono a spedire le proprie creazioni.
Fra loro c'era anche Scott Adams. Egli, ancora prima di aver scritto Adventureland, aveva pubblicato tramite il TSE un "gioco del tris 3D" e un gioco del backgammon. E, come molti altri, approfittò dei generosi termini contrattuali del TSE per pubblicare anche con Creative Computing Software (un organo molto simile al TSE, creato dall'omonima rivista), e per vendere in prima persona quello che poté (se volete leggere qualche aneddoto divertente al riguardo, vi consiglio questa intervista di Matt Barton ad Adams).
Tutto questo avvenne abbondantemente un anno prima della fondazione da parte di Adams della sua Adventure International, un vero e proprio publisher di sua proprietà. Adventureland apparve per la prima volta nel numero di Gennaio 1979 di SoftSide, venduto a 24,95 dollari insieme a una seconda avventura (che Scott aveva già scritto con la sua moglie di allora, Alexis). Chiamato Pirate Adventure, questo secondo titolo è più ricordato dalla maggior parte dei giocatori di quanto non fosse Adventureland.

Oggi ci appare strano osservare quanto fosse goffo e ingenuo il primo mercato dei giochi commerciali. Adams e il TSE non riuscivano nemmeno a mettersi d'accordo sul nome da dare ai giochi. Oltre al suo (presunto) nome vero, Adventureland appare nelle pubblicità del TSE anche come Adventure (ecco un buon modo per creare confusione!) e -ed è il mio favorito- come l'evocativo e attraente Land Adventure (che è forse anche quello più accurato...).
Il nome del secondo gioco invece oscillava fra Pirate Adventure, Pirate’s Adventure e Pirate’s Cove.
 
Ma questa confusione sul nome non spostò le cose di una virgola. Le avventure di Adams erano assolutamente uniche ed erano commercializzate in un mercato in forte espansione, affamato di nuovi giochi interessanti e divertenti. La maggior parte dei possessori di TRS-80 non aveva mai avuto accesso alle grandi macchine istituzionali su cui girava l'originale Adventure, e quindi stavano scoprendo il genere attraverso i giochi di Adams, che rappresentarono quindi il ponte che portò le innovazioni di Crowther e Woods nel promettente mondo dell'home computing.
E (proprio come accadde agli hacker del PDP-10 con Adventure) quando ebbero risolto i giochi di Adams, molti programmatori del TRS-80 iniziarono a pensare a come creare il loro Adventureland. E fu così che un genere era nato davvero.

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Adventureland - Parte 1
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Scott Adams occupa una strana posizione nel mondo dell'interactive fiction, essendo più amato da coloro che non fanno parte della community, che da quelli che ne fanno parte.
Ogni anno spuntano almeno un paio di sue interviste ossequiose (sia su siti mainstream che su quelli di retrogaming), a cui il Sig. Adams sembra non sappia mai tirarsi indietro. Invece nella community dell'IF le opere di Adams, se mai vengono citate, lo sono sempre e solo a titolo di curiosità storiche; non gli viene riconosciuto nemmeno un briciolo del rispetto che normalmente viene tributato ai classici Infocom. Restano fuori dal coro solo una manciata di voci reazionarie che interpretano questa mancanza di rispetto per i giochi, semplici ma divertenti, di Adams come il sintomo delle più ampie ambizioni letterarie della maggioranza della community, che hanno reso le moderne avventure testuali una zona in cui è "Vietato Divertirsi" (per una filippica in merito -ormai classica ma sempre divertente- potete leggere la pagina di discussione su Wikipedia della voce di Adventureland).
A ingarbugliare ulteriormente la questione ci si mette anche la sfortunata (ma grazie al cielo solo sporadica) tendenza all'auto-celebrazione tipica di Adams, come possiamo leggere nella FAQ della sua home page, dove si afferma che ad Adams: "è attribuito [e da chi?] la nascita dell'intera industria dei videogiochi, che oggi vale svariati miliardi all'anno". Avrei anche potuto convenire su un "contributo alla nascita", ma scritto così... Ne sei davvero convinto, Scott? Davvero credi di aver fatto nascere tutto da solo l'industria dei giochi su computer?

Tuttavia Adams si merità più considerazione e più rispetto, di quanto non ne riceva dalla community, per aver portato per primo le avventure testuali nelle case della gente comune e, in conseguenza di questo, per aver dimostrato al mondo che era possibile vivere agiatamente di questa attività. La sua realizzazione di un'avventura testuale giocabile su un TRS-80 con soli 16 K di RAM e un lettore di cassette fu concettualmente audace e tecnicamente impressionante; il fatto che ci sia riuscito utilizzando il lento e inefficiente BASIC del TRS-80 rende l'impresa ancora più memorabile.
Il più grande fallimento di Adams nel lungo periodo fu forse la sua incapacità di percorrere la transizione dalle avventure testuali di caccia al tesoro alla più sofisticata narrativa tipica dell'interactive fiction della Infocom. Il che sarebbe dimostrato anche dal suo apparente disinteresse nel migliorare la tecnologia dietro ai suoi giochi, se si esclude il mero tentativo di infiorettare con grafica e colori le sue semplicistiche opere.
Ma questa è materia per i prossimi post. Oggi voglio parlarvi del primo capolavoro di Adams: Adventureland.

Nato nel 1952, Adams aveva già una vasta esperienza professionale con i computer prima di scrivere Adventureland nel 1978, avendo completato i suoi studi di informatica presso il Florida Institute of Technology, avendo avuto a che fare con i computer durante un periodo in Marina, e avendo lavorato come programmatore presso la Stromberg-Carlson (uno di primi produttori di centraline telefoniche private). Adams inoltre aveva costruito e provato i microcomputer a casa propria fin dal 1975, quando con l'apposito kit si costruì uno Sphere 1. A partire da un gioco del tris che "non sapeva perdere", la sua principale attività con queste macchine è stata sempre quella di scrivere e giocare a videogiochi. Come molti altri hacker, anche lui restò stregato quando Adventure spuntò sul suo computer di lavoro e (come molti altri) quando finalmente lo ebbe completato, si dedicò a scrivere il suo Adventure. Ma -a differenza di tutti gli altri che lo fecero sui grandi computer istituzionali- Adams scelse come piattaforma il suo piccolo TRS-80.

Adams ovviamente non si era imbarcato nell'impresa con l'aspirazione di portare la narrativa interattiva alle masse. Nel tipico stile hacker, egli fu attratto da questo progetto perché era una sfida tecnica interessante per battere le limitazioni del TRS-80, ed era al contempo un'occasione per lavorare con le parole (cosa che non aveva mai fatto prima).
Essendo un programmatore di una certa esperienza, Adams condivideva con la maggior parte degli hacker una predilezione per la creazione di sistemi e strumenti robusti e riutilizzabili, piuttosto che programmi fini a sé stessi. Iniziò quindi a lavorare non tanto su un singolo gioco d'avventura, quanto su un sistema riutilizzabile per l'implementazione di avventure testuali. Divise quindi il progetto in tre parti: una specie di editor di database (che gli permettesse di inserire i dati volti alla creazione del mondo virtuale di ogni gioco), un interprete (che leggesse tali dati e permettesse al giocatore di interagirci), e in fine i dati del gioco vero e proprio.

Si tratta di un sistema notevole, anche se dobbiamo chiarire che Adams non creò una vera e propria virtual machine (come fece invece la Infocom con la sua Z-Machine, come vedremo in futuro). Infatti se da un lato è vero che l'interprete va effettivamente a leggere i dettagli delle stanze, degli oggetti, e di quant'altro, dall'altro lato la maggior parte della sua funzionalità è hard-coded all'interno dell'interprete BASIC. Per esempio l'engine presuppone che tutto il gameplay si sviluppi intorno alla raccolta di oggetti (tesori) e al depositarli in una specifica location. Quindi qualunque modifica non banale di Adventureland richiederebbe una modifica al codice dell'interprete, non fosse altro che per il fatto che al suo interno si trovano anche il titolo del gioco e le istruzioni.

*** BENVENUTO IN ADVENTURE LAND. (#4.2) ***
A MENO CHE NON TI VENGA DETTO DIVERSAMENTE DEVI TROVARE *TESORI*
E-RIPORTARLI-NEL-POSTO-GIUSTO!
IO SONO LA TUA MARIONETTA. DAMMI ORDINI IN INGLESE
COMPOSTI DA UN VERBO E UN SOSTANTIVO. ALCUNI ESEMPI...

A ben vedere si tratta quindi di un sistema ibrido, incredibilmente simile a quello dello stesso Adventure (che pure divideva la sua funzionalità fra il codice del programma e i file di dati).
E, a dire il vero, avendo appena giocato la versione originale di Adventureland, sono stupito da quante siano le similitudini con il suo predecessore.
Tanto per cominciare anche Adventureland è una caccia al tesoro senza trama che inizia in una foresta.

SONO IN UNA FORESTA. GLI OGGETTI VISIBILI SONO:
ALBERI.
USCITE EVIDENTI: NORD SUD EST OVEST
UNA VOCE TUOOOONA
PER VINCERE OTTIENI 100 QUANDO DICI "PUNTEGGIO". UN TESORO È
TUTTO QUELLO CHE HA UN * NEL NOME

L'area all'aperto di Adventureland è più grande e più interessante di quella di Adventure, con dei veri e propri enigmi ulteriori a quello (scontato) di trovare l'accesso al sotterraneo.
Il suo complesso sotterraneo invece è molto più piccolo, come era logico aspettarsi viste le limitazioni con cui Adams doveva fare i conti. Questo però non danneggia più di tanto il gioco: l'impossibilità tecnica di Adams di concedersi dozzine di locazioni vuote fa sì che tutto sia più concentrato e più facilmente gestibile da parte del giocatore. L'immancabile labirinto, per esempio, consiste di sole sei stanze, differenza assai significativa e gradita rispetto alle mostruosità di Adventure.

Questo però non fa di Adventureland un gioco più giocabile, almeno per gli standard odierni. Le aree all'aperto sono piene delle solite connessioni non reciproche fra stanze, che rendono una vera pena la mappatura e la navigazione, addolcita (ancora una volta) solo dal fatto che non sono poi così tante. Anche qui il grosso della sfida è rappresentato dalla logistica delle fonti di luce e della gestione dell'inventario, senza dimenticare l'esistenza di dozzine di occasioni per rovinare la partita rendendola interminabile, molte delle quale assolutamente imprevedibili prima che accadano.
Per comprendere a pieno il vero livello di crudeltà di tutto questo, vi invito a mettervi nei panni di chi all'epoca lo giocava su un vero TRS-80, dove è possibile ricaricare una posizione salvata solo riavviando il gioco da cassetta (procedura che richiede circa 25 minuti). E senza dimenticare che salvare una partita richiede più di 4 minuti! Non c'è da meravigliarsi quindi se Adams poté pubblicizzare Adventureland come un gioco che avrebbe richiesto settimane, se non mesi, per essere completato! Quello che si era dimenticato e che, per poterlo fare, oltre a un TRS-80 sarebbe servita anche la pazienza di Giobbe...

Negli enigmi di Adventureland ho notato la medesima dicotomia di cui ho parlato analizzando Adventure: la maggior parte di essi sono o troppo semplici e evidenti, o ingiusti fino al punto di risultare assurdi, con pochissime eccezioni collocate nel giusto mezzo. E, sempre come in Adventure, da certi punti di vista anche Adventureland ha una curva di difficoltà sorprendentemente progressiva, riuscendo anche a infilare un buon numero di indizi nei suoi 16 K... salvo poi lasciare alcuni dei suoi enigmi peggiori totalmente senza indizi.
Prendete ad esempio l'enigma dell'orso (che a sua volta è un'altra reminiscenza di Adventure). Vi blocca la strada e si può spostare solo con l'azione del tutto ingiustificata di GRIDARE. Le versioni successive permettono al giocatore anche di URLARE all'orso (vi invito a leggere la recensione di Grunion Guy per un divertente aneddoto al riguardo), ma nella versione originale si poteva solo GRIDARE.

SONO SU UNA STRETTA SPORGENZA DINANZI AD UNA STANZA DEL TRONO.
DALL'ALTRO LATO DEL BARATRO C'È UN'ALTRA SPORGENZA.. GLI OGGETTI VISIBILI SONO:
ORSO NERO MOLTO MAGRO.    *SPECCHIO MAGICO*
DIMMI COSA FARE? URLA ORSO
NON POSSO ANCORA FARLO
DIMMI COSA FARE? GRIDA
L'ORSO È TALMENTE IMPAURITO CHE CADE DALLA SPORGENZA

Per rendere l'enigma ancora peggiore, l'orso viene descritto come "affamato"; il che immancabilmente induce il giocatore a cercare di sfamarlo con il miele che ha trovato altrove; il che funzionerebbe anche, se non fosse che il suddetto miele è anche un tesoro (!?!) che deve essere conservato se si vuole completare il gioco! Tutto questo non è solo eccezionalmente crudele, ma quel che è peggio è che la soluzione sbagliata rappresenta al tempo stesso una soluzione molto più equa e gratificante di quella corretta!

Devo però aggiungere che anche qui, come in Adventure, un parser e un world model ancora estremamente primitivi rendono assai ardua l'ideazione di enigmi avvincenti che non scadano nell'iniquità più assoluta.
Vi invito ad esempio ad analizzare la sua implementazione del verbo TIRARE, che ci mostra come già allora Adams stesse lottando con i limiti del suo parser a due parole.

 

SONO IN UN PRATO SOLEGGIATO. GLI OGGETTI VISIBILI SONO:
GRANDE DRAGO ADDORMENTATO
UN CARTELLO DICE -IN MOLTI CASI IL FANGO È BENE. IN ALTRI...-.
USCITE EVIDENTI: NORD SUD EST OVEST
DIMMI COSA FARE? TIRA ASCIA
IN 1 PAROLA DIMMI A COSA
DIMMI COSA FARE? DRAGO
NON LO INFASTIDISCE NEPPURE

[Mi permetto di aggiungere che questa mi pare un'altra similitudine con il suo predecessore: infatti anche il drago di Adventure non viene nemmeno scalfito dalla nostra ascia. ndTraduttore]

Non sarebbe invece molto equo da parte nostra giudicare il testo di Adventureland secondo i normali criteri letterari, visto che ogni articolo determinativo o indeterminativo usa memoria preziosa (e quindi vengono tutti scartati a priori). Tuttavia ci sono dei passaggi in cui Adams sembra raggiungere una sorta di poetica minimalista.

 

SONO SULLA SPONDA DI UN LAGO. GLI OGGETTI VISIBILI SONO:
ACQUA   *PESCIOLINO ROSSO*   CARTELLO CHE DICE -VIETATO NUOTARE-.
USCITE EVIDENTI: NORD SUD EST OVEST GIU'
DIMMI COSA FARE? PRENDI PESCE
OK, TROPPO SECCO. PESCE MUORE.
DIMMI COSA FARE? INVENTARIO
STO TRASPORTANDO LE SEGUENTI COSE:
LAMPADA D'OTTONE VECCHIO STILE   *RETE D'ORO*   ACCIARINO
*MASSICCIO TAPPETO PERSIANO*   PESCE MORTO

A volte poi ha qualche problema di ortografia...

... ma, nel complesso, l'esperienza mantiene un suo fascino bizzarro...

 

SONO IN UN BANCO DI MEMORIA DI UN TRS-80.
HO SBAGLIATO STRADA!

... e, alla fine, il gioco si conclude così:

 

APPARE UN GENIO LUMINESCENTE. LASCIA QUALCOSA. POI SPARISCE.
DIMMI COSA FARE? PUNTEGGIO
HO ACCUMULATO 12 TESORI
IL CHE SU UNA SCALA DA 0 A 100 FA 92
DIMMI COSA FARE? STROFINA LAMPADA
APPARE UN GENIO LUMINESCENTE. LASCIA QUALCOSA. POI SPARISCE.
DIMMI COSA FARE? PUNTEGGIO
HO ACCUMULATO 13 TESORI
IL CHE SU UNA SCALA DA 0 A 100 FA 100
BEN FATTO.
ADESSO IL GIOCO È FINITO
GIOCHI DI NUOVO? _

E questo è tutto quello che c'è da dire su Adventureland, davvero. Nessun progresso rispetto allo schema della caccia al tesoro creato da Adventure, per quanto la sola esistenza di Adventureland sia di per sé un risultato assolutamente ragguardevole. E poi, ancora oggi, è in un certo senso divertente, seppur nella sua maniera semplice e ingenua.

Se volete provarlo, ci sono moltissimi modi per farlo. Il più accessibile dei quali è la versione Java giocabile in browser che è disponibile su FreeArcade. Lo stesso Scott Adams offre delle versioni scaricabili del gioco sul suo sito. O, se desiderate l'esperienza più autentica possibile, ho uno stato salvato per il MESS TRS-80 che vi permetterà di giocare all'originale versione BASIC sul suo hardware (virtuale) originale (consultate il mio post sull'emulazione del TRS-80 per iniziare con piede giusto).

La prossima volta vi parlerò di come Adventureland fu commercializzato e recepito, e di come generò una moda (passeggera) per gli adventure.

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