Ormai persino i lettori più distratti avranno capito cosa bolle in pentola, quale segreto si annida tra le pagine polverose di OldGamesItalia. Dopo la gloriosa traduzione di Zork I - The Great Undreground Empire, è in cantiere la localizzazione del secondo capitolo della fortunata trilogia di Infocom. E quale modo migliore di celebrarne la pubblicazione che pubblicare gli articoli del nostro Antiquario Digitale dedicati proprio alla genesi di Zork e di Infocom? Ed è per l'appunto dell'effettiva nascita di questa mitica azienda di videogiochi, agli albori dell'era dei microcomputer, che tratterà l'articolo di oggi. Ma prima, l'immancabile indice degli articoli del ciclo Infocom: – La Nascita della Infocom – ZIL e la Z-Machine – Come Vendemmo Zork – Giochi a Parser – Esplorando Zork, Parte 1 – Esplorando Zork, Parte 2 – Esplorando Zork, Parte 3 – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Buona lettura avventurieri... e portate le lanterne! Festuceto |
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Non si può enfatizzare abbastanza quanto i war games e i giochi di ruolo da tavolo (e in particolare, ovviamente, Dungeons and Dragons della TSR) abbiano influenzato le prime narrative ludiche su computer. A volte tale influenza è del tutto palese, come nel caso di giochi tipo Eamon che cercavano esplicitamente di trasportare su computer l'esperienza del D&D. Altre volte però tale influenza è meno apparente.
A differenza dei tipici giochi da tavolo, o perfino dei war game, il D&D e i suoi contemporanei non erano commercializzati come prodotti singoli, ma come delle vere e proprie raccolte di esperienze, quasi uno stile di vita. Solo per iniziare a giocare con la punta di diamante, l'Advanced Dungones & Dragons, si dovevano acquistare tre grandi volumi dalla copertina rigida (Monster Manual, Players Handbook, e Dungeon Masters Guide), a cui si aggiunsero presto molti altri volumi, che descrivevano nuovi mostri, nuovi tesori, nuovi dei, nuove classi di personaggio, e nuove regole sempre più complesse per nuotare, per creare oggetti, per muoversi nelle ombre, per rubare, e -ovviamente- per combattere. Ma, soprattutto, c'erano i moduli d'avventura: avventure preconfezionate, vere e proprie narrative ludiche che potevano essere messe in scena utilizzando il sistema di gioco di D&D. Ne uscivano a dozzine, meticolosamente catalogate con un sistema alfanumerico che permetteva ai collezionisti compulsivi di tenerne traccia; una trilogia di moduli dedicati ai giganti fu etichettata da “G1” a “G3”, una serie di moduli creata nel Regno Unito fu etichettata “UK” [che sta per “United Kingdom”; ndAncient]. A parte i vari vantaggi ludici, questo sistema era indubbiamente il sogno di ogni addetto alle vendite. Perché limitarsi a vendere un solo gioco ai tuoi clienti, quando puoi incatenarli a un intero universo in continua espansione di prodotti?
La strategia di marketing della TSR (basata sulla filosofia di “un solo gioco / molti prodotti”) e il suo zelo per la catalogazione possono essere ritrovati anche fra quei primi sviluppatori di giochi per computer che non stavano provando esplicitamente ad adattare le regole del D&D ai loro mondi digitali. Scott Adams, per esempio, numerò tutte le sue avventure, arrivando così a una dozzina di giochi canonici (altre avventure, presumibilmente non scritte di proprio pugno dal maestro, furono invece pubblicate dalla Adventure International come delle specie di opere apocrife ufficiali sotto l'etichetta “OtherVentures”). I giocatori venivano incoraggiati a giocarle in ordine, visto che aumentavano gradualmente di difficoltà; in questo modo il giocatore principiante poteva affilarsi i denti con opere relativamente “forgiving” tipo Adventureland e Pirate Adventure, per poi gettarsi nei giochi successivi assurdamente difficili tipo Ghost Town e Savage Island. La On-Line Systems adottò un modello simile, sottotitolando retroattivamente Mystery House in Hi-Res Adventure #1 dopo aver pubblicato la Hi-Res Adventure #2 (The Wizard and the Princess). Il gioco successivo Mission: Asteroid, apparso all'inizio nel 1981, fu battezzato Hi-Res Adventure #0 (nonostante la cronologia delle uscite) perché era stato pensato come gioco per principianti, con un po' meno assurdità ed enigmi iniqui del solito. A tutti gli effetti queste similitudini con l'approccio del D&D erano qualcosa di più di un semplice fenomeno di marketing. Del resto entrambe le linee di giochi erano basate su motori riutilizzabili. Nello stesso modo in cui un gruppo di giocatori viveva intorno al tavolo molte avventure diverse usando le regole alla base del D&D, così le linee di avventure di Scott Adams o le Hi-Res Adventures erano essenzialmente delle regole base (il motore di gioco) applicate a molte narrative ludiche diverse.
Tuttavia, fra gli sviluppatori che abbiamo esaminato fin qui, quelli che imitavano in modo più palese il modello del D&D erano -logicamente- quelli che provenivano direttamente dalla cultura del D&D: Donald Brown con il sistema di Eamon, e le Automated Simulations, gli sviluppatori della linea DunjonQuest che era iniziata con Temple of Apshai. J.W. Connelley, il principale sviluppatore del motore dell'Automated Simulations, aveva progettato per Temple of Apshai un motore riutilizzabile che leggeva i file di dati che rappresentavano i livelli del dungeon che si esplorava. Proprio come accadde per Scott Adams e per la On-Line Systems, questo approccio da un lato rese il gioco più facile da convertire (e infatti le versioni per tutte le principali macchine del 1979 -TRS-80, Apple II, Commodore PET- furono pubblicate quello stesso anno), e dall'altro lato velocizzò lo sviluppo di nuove iterazioni del medesimo concept. Tali iterazioni furono etichettate come un set unico di esperienze, che prese il nome di DunjonQuest. Il pittoresco appellativo dalla dizione medievale fu probabilmente scelto per evitare conflitti con la litigiosissima TSR, che, oltre alle regole del D&D, stava commercializzando anche un gioco da tavolo chiamato semplicemente Dungeon!
E la Automated Systems non fece certo mancare tali iterazioni! Altri due titoli della collana DunjonQuest apparvero lo stesso anno di Temple of Apshai. Sia Datestones of Ryn che Morloc’s Tower facevano parte di quelle che la Automated Simulations chiamò MicroQuests, nelle quali gli elementi di costruzione del personaggio erano completamente assenti. Al loro posto il giocatore doveva guidare un personaggio pregenerato attraverso un ambiente molto più piccolo. Ci si aspettava che il giocatore affrontasse più volte l'avventura, cercando di conseguire risultati sempre migliori. Nel 1980 la Automated Simulations pubblicò invece il “vero” seguito di Temple of Apshai, Hellfire Warrior, che conteneva i livelli dal quinto all'ottavo del labirinto iniziato col gioco precedente. Sempre quell'anno pubblicarono anche due titoli più modesti, Rescue at Rigel e Star Warrior, le prime e uniche uscite di una nuova serie, StarQuest, che catapultava il sistema DunjonQuest nello spazio.
Almeno secondo una prospettiva moderna, c'è una sorta di dissonanza cognitiva in queste serie, se le esaminiamo nel loro complesso. I manuali spingevano molto sull'aspetto sperimentale di questi giochi, come ben dimostrato da questo estratto del manuale di Hellfire Warrior:
Quali che siano il tuo background e le tue esperienze precedenti, ti invitiamo a proiettare nel “dunjon” non solo il tuo personaggio, ma anche tutto te stesso. Ti invitiamo a perderti nel labirinto. A sentire la polvere sotto i tuoi piedi. Ad ascoltare il suono di passi non umani che si avvicinano o il lamento di un'anima persa. Lascia che l'odore di zolfo assalga le tue narici. Brucia al caldo delle fiamme dell'inferno, e gela sopra un ponte di ghiaccio. Passa le dita in un cumulo di monete d'oro e immergiti in una pozza d'acqua magica. Entra nel mondo di DunjonQuest. |
Nonostante tutto questo, nessuno di questi giochi aveva la benché minima trama. Temple of Apshai e Hellfire Warrior non hanno nemmeno una fine vera e propria, ma solo dei dungeon che si rigenerano all'infinito da esplorare e un personaggio giocante da migliorare in eterno. Mentre le MicroQuests ricompensano i giocatori solo con un insoddisfacente punteggio finale al posto di un epilogo vero e proprio. Sebbene il background narrativo del suo manuale sia ideato con un'attenzione insolita, Datestones of Ryn ha un limite temporale di soli 20 minuti, che gli dà più un feeling da gioco d'azione, giocabile all'infinito e quasi privo di contesto, piuttosto che da gioco di ruolo per computer. Invece il gameplay della serie nel suo complesso, oggi, ci balza all'occhio per le sue similitudini con i roguelike, dei dungeon crawl senza storia (o, almeno, con pochissima storia) attraverso labirinti generati casualmente. Questa però sarebbe una lettura anacronistica: Rogue, il capostipite del genere, in realtà è uscito un anno dopo Temple of Apshai.
Credo che tutte queste stranezze possano essere spiegate se comprendiamo che Jon Freeman, il principale designer dietro il sistema, stava puntando a creare un tipo di narrativa ludica diverso da quella delle avventure testuali di Scott Adams e da quella tipica della On-Line Systems. Lui sperava che, dati un background, una descrizione degli ambienti, un set di regole per controllare ciò che vi accadeva, e una buona dosa di immaginazione da parte del giocatore, dal gioco emergesse autonomamente una narrativa ludica. In altre parole, usando un termine che appartiene ad un'era molto successiva, stava tentando di creare una narrativa emergente. Per comprendere meglio il suo approccio, ho pensato di dare una breve occhiata da vicino a uno dei suoi giochi, Rescue at Rigel.
Rescue at Rigel trae ispirazione dalla classica space opera, un genere che è stato recentemente riportato in vita dal fenomenale successo dei primi due film di Star Wars [l'articolo è stato scritto nel 2011, quindi l'autore si riferisce alla seconda trilogia di Guerre Stellari; ndAncient].
Nell'arena della vostra immaginazione, non tutti i nostri eroi (o le nostre eroine!) indossano armature nere o di uno scintillante argento, né prendono a mazzate dei barbari nemici su dei moli sferzati dal vento, né affrontano dei macabri destini per mano di depravati adepti le cui arti nere erano già vecchie quando il mondo era giovane. La fantascienza ci fa viaggiare su navi stellari con nomi come Enterprise, Hooligan, Little Giant, Millenium Falcon, Nemesis, Nostromo, Sisu, Skylark, e Solar Queen. Navi che viaggiano su mari stellati, che non sono percorsi da tempeste o infestati da demoni, ma che non per questo sono meno spaventosi. Navi che ci fanno approdare su nuovi mondi impavidi le cui forme, i cui panorami e i cui suoni sono più plausibili (ma non meno sbalorditivi) di quelli sperimentati da Sinbad. |
In questo titolo il giocatore assume il ruolo di Sudden Smith, un classico ed energico eroe pulp. Sta per teletrasportarsi nella base di una razza di alieni insettoidi conosciuti col nome di Tollah, che hanno catturato un gruppo di scienziati per le loro “ricerche” e fra questi c'è anche la fidanzata di Sudden. I Tollah sono uno dei pochissimi accenni ad eventi di un mondo più ampio che troverete nei primissimi videogiochi, al di là delle opere di fantasy e science-fiction. La casta che comanda i Tollah sono gli “High Tollah”, un chiaro riferimento allo Ayatollah Khomeyni, che a quel tempo aveva recentemente preso il potere in Iran e che teneva in ostaggio 52 Americani [“High Tollah”, cioé “Alto Tollah”, si pronuncia infatti in modo molto simile a Ayatollah; ndAncient]. Gli “High Tollah” ci dice il manuale, “sono altezzosi, autoritari, intolleranti, ottusi, privi di immaginazione e inflessibili.” Alla luce di tutto questo, è palese quale sia stata l'ispirazione per questo scenario di salvataggio degli scienziati.
Il gameplay si sviluppa intorno all'esplorazione della base dei Tollah, convenientemente strutturata come un labirinto, respingendo i Tollah e i robot della sicurezza, mentre cerchiamo i dieci scienziati che vi sono tenuti in ostaggio. Si tratta sostanzialmente, come in tanti altri giochi di ruolo per computer, di un gioco di gestione delle risorse: Sudden ha un numero limitato di medikit, di munizioni, e soprattutto una riserva limitata di energia all'interno del suo zaino che deve essere usata per tutto (dallo sparare agli Tollah, fino al teletrasportare gli scienziati al sicuro). Quel che è peggio è che Sudden ha soltanto 60 minuti di tempo reale per salvare il maggior numero possibile di scienziati e teletrasportarsi al sicuro. Freeman fa di tutto per rendere il gioco un motore di eccitante narrativa emergente. Ad esempio, se Sudden finisce completamente l'energia, ha comunque un'ultima possibile via di fuga: se riesce a tornare nei 60 minuti al punto in cui lo ha depositato il teletrasporto, un altro teletrasporto automatico lo riporterà in salvo. È facile immaginarsi una situazione disperata, che pare uscita direttamente da una storia di Guerre Stellari o di Dominic Flandry, con il giocatore che torna sui suoi passi, in mezzo al fuoco dei laser, mentre il tempo scorre e i Tollah gli sono alle calcagna. Di certo ci possiamo immaginare che Freeman si fosse immaginato tutto questo.
Ma per vivere queste storie è necessaria una notevole dedizione e una fervida immaginazione da parte del giocatore, come potrà probabilmente convenire chiunque abbia osservato l'orrendo screenshot di cui sopra. Effettivamente i giochi della serie DunjonQuest sembrano proprio una sorta di ibrido fra l'esperienza di un gdr da tavolo e di uno digitale, in cui ciò che emerge direttamente dall'immaginazione del giocatore è importante quanto quello offerto dal gioco stesso. È per questo che probabilmente è stata una mossa saggia per la Automated Simulations quella di usare come target del marketing di DunjonQuest proprio i giocatori di ruolo cartaceo. Del resto loro sono abituati a rimboccarsi le maniche e a usare la loro immaginazione per inventare delle narrative soddisfacenti. La Automated Simulations pubblicizzò ampiamente DunjonQuest sulla rivista Dragon Magazine della TSR, e (con una mossa che non potrebbe essere più indicativa della tipologia di pubblico che pensavano potesse apprezzare DunjonQuest) arrivarono persino a regalare il gioco da tavolo strategico chiamato Sticks and Stones con ogni acquisto di un gioco della serie DunjonQuest.
Negli ultimi mesi del 1980 la Automated Simulations cambiò il suo nome nel meno prosaico Epyx, adottando il motto: “Computer games thinkers play” [traducibile all'incirca come “Videogiochi a cui giocano le persone che pensano”; ndAncient]. I giochi della serie DunjonQuest continuarono comunque a uscire per altri due anni. Fra le ultime pubblicazioni ci furono anche un paio di espansioni per Temple of Apshai e Hellfire Warrior, che credo siano i primi esempi del genere tra i giochi commerciali per computer. Invece l'utilizzo più strano e creativo dell'engine di DunjonQuest arrivò nel 1981 con Crush, Crumble, and Chomp!: The Great Movie Monster Game, nel quale il giocatore assumeva il controllo di Godzilla (anzi, no, di Goshzilla!), o di qualche altro mostro famoso lanciato nella distruzione di una città. Per un esame dettagliato di tutta la serie di DunjonQuest, che alla fine si compose di una dozzina di titoli, potete leggere questo articolo di Hardcore Gaming 101.
Crush, Crumble, and Chomp! fu l'ultimo lavoro di Freeman per la Epyx. Alla West Coast Computer Faire of 1980 incontrò infatti una collega programmatrice chiamata Anne Westfall e di lì a poco i due iniziarono a frequentarsi. Westfall si unì alla Epyx per un po', andando a lavorare come programmatrice su alcuni degli ultimi giochi di DunjonQuest. Lei e Freeman però ben presto si stufarono del disinteresse di Connelley nel miglioramento dell'engine di DunjonQuest. Scritto in BASIC sull'ormai vetusto TRS-80 Model I, tale engine era sempre stato tremendamente lento e ormai iniziava a sembrare davvero datato nei porting per le piattaforme più moderne e capaci. In più Freeman, un designer irrequieto e creativo, si stava annoiando delle continue iterazioni del solito concept di DunjonQuest; perfino creare Crush, Crumble, and Chomp! aveva richiesto una dura battaglia da parte sua... Alla fine del 1981 Freeman e Westfall lasciarono la Epyx per creare una casa di sviluppo indipendente, la Free Fall Associates, della quale avrò molto altro da dire in futuro. E, dopo un paio di ultime pubblicazioni per DunjonQuest, la Epyx si trasformò da “Computer games thinkers play” in qualcosa di molto diverso, e anche di questo avrò molto da dire in futuro. Con incassi buoni, ma mai enormi, neppure al massimo del proprio splendore, i giochi della serie DunjonQuest sfiguravano abbastanza nel confronto con la nuova generazione di giochi di ruolo per computer, dei quali -come avrete immaginato- avrò molto altro da dire in futuro.
Se volete sperimentare l'esperienza di DunjonQuest, posso fornirvi un pacchetto con un immagine per Apple II che include Temple of Apshai, Rescue at Rigel, Morloc’s Tower, e Datestones of Ryn, oltre ai relativi manuali.
La prossima volta inizieremo a esplorare un'opera con una profondità tematica senza precedenti, che fa già drizzare tutte le mie antenne di studioso di letteratura.
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Dopo che Roberta lo aveva convinto della bontà del progetto Mystery House , Ken -come era tipico di lui- vi si buttò a testa bassa. In un solo mese (durante il quale Ken mantenne il suo lavoro a tempo pieno) i due implementarono Mystery House nella sua interezza, inclusi il design, la scrittura, le illustrazioni, e la programmazione (fatta al 100% in linguaggio assembly per avere massima velocità ed efficienza, in un'era in cui perfino la maggior parte del software commerciale era ancora sfrontatamente programmato in BASIC). Adesso non gli restava che decidere che farsene.
Quando Scott Adams aveva creato Adventureland quasi due anni prima, praticamente tutto il software per i microcomputer veniva commercializzato direttamente dai programmatori/imprenditori che lo avevano creato, attraverso annunci pubblicitari fatti da loro stessi e collocati nei negozi di computer, nei gruppi degli utenti, e nelle riviste, oppure attraverso organizzazioni semi-professionali tipo il TRS-80 Software Exchange. Adams all'epoca ebbe ben poca scelta, se non arrangiare una confezione con biglietti da visita e buste del latte in polvere, e... accontentarsi. A quel tempo invece i publisher (non ultima anche la Adventure International dello stesso Adams) stavano già rendendo più professionale l'industria del software per microcomputer. L'industria era ancora piccola, ma cresceva rapidamente, garantendo molte più opzioni agli sviluppatori che -come Ken e Roberta- avevano dei nuovi prodotti da commercializzare. Il publisher più grande degli albori del mercato dell'Apple II si chiamava Programma International (uno degli aspetti più ironici di questi primissimi publisher era la loro passione per quell'ambizioso “International”, nonostante la loro industria esistesse ancora praticamente solo all'interno degli U.S.A.). Oltre a una interessante raccolta di strumenti per la programmazione e la produttività, Programma International pubblicava anche un gran numero di giochi. Capirono subito il potenziale di Mystery House, appena Ken e Roberta glielo ebbero mostrato. Offrirono loro delle royalty del 25%, promettendo ai due che col gioco avrebbero potuto facilmente guadagnare 9.000 dollari entro la fine dell'anno.
Ken e Roberta dissero "no grazie". Per capire il perché, dovete ricordarvi che tipo di persona fosse Ken: ambizioso, determinato, e sfrontatamente concentrato sui... risultati di bilancio. Aveva già registrato una società chiamata On-Line Systems quando aveva iniziato a progettare il suo compilatore FORTRAN; perché non vendere il gioco direttamente, tenendosi tutta la torta? A rendere l'idea ancora più allettante, c'era anche un suo amico che aveva un semplicistico gioco di sparo chiamato Skeet Shoot che avrebbe lasciato commercializzare a Ken. Con due prodotti pronti da vendere, la On-Line Systems vide i natali all'inizio del Maggio del 1980. Immaginando che quel che andava bene per rapitori e assassini sarebbe andato bene anche per loro, Ken e Roberta realizzarono dei volantini ritagliando lettere e parole dalle riviste, incollandole su un cartoncino, e fotocopiando il tutto. Con 100 dischetti vuoti, dei sacchetti Ziploc come confezione, e un paio di annunci sulle riviste... erano già in affari!
Qualche mese fa ho preso un po' in giro Scott Adams per essersi preso il merito sul suo sito di aver “avviato l'intera industria multimiliardaria dei giochi per computer”. La cosa buffa è che in un certo senso Ken e Roberta potrebbero affermare la stessa identica cosa e a maggior diritto. Lasciate che vi spieghi.
Avendo deciso di procedere autonomamente, la prima strategia di vendita di Ken e Roberta fu quella di recarsi in tutti i negozi di computer locali che conoscevano per mostrare personalmente i loro prodotti. Per fortuna ce ne erano un bel po' (all'epoca Ken e Roberta vivevano nella Simi Valley in California, vicino alla piana di Los Angeles). Ken chiese al suo fratello più piccolo, John dell'Univesità dell'Illinois, di fare lo stesso. John non ne sapeva niente di computer e rimase molto sorpreso nello scoprire che il nuovo prodotto di Ken era un gioco, perché considerava Ken uno “stacanovista cronico” che “non si era mai divertito un solo minuto in tutta la sua vita”. Come ha raccontato nel numero del decimo anniversario della rivista aziendale della Sierra, John ben presto si ritrovò a fare il venditore ambulante dei prodotti della On-Line Systems in tutti i negozi di computer della nazione:
Quando visitavo un negozio di computer, che fosse a Peoria in llinois o a New Orleans in Louisiana, il gioco era sempre un successo. E non aveva nessuna importanza il fatto che fossi costretto a dare il dischetto al negoziante a cui stavo cercando di venderlo, perché non sapevo nemmeno come avviare un gioco in BASIC... Uscivo dal negozio sempre e comunque con un ordine. La sensazione è che Roberta e Ken avessero scritto un gioco che tutti i proprietari di un Apple (e noi sapevamo che ce ne erano almeno 50.000) volevano assolutamente giocare. |
Al tempo erano nate, o stavano nascendo, decine di publisher e c'erano qualcosa come 1.200 negozi di computer in attività nella nazione, desiderosi di avere nuovi programmi da vendere ai loro clienti. Quel che mancava era un modo per connettere i due gruppi – mancavano i distributori. Le società di software come la Adventure International erano costrette ad accettare ordini direttamente da centinaia di rivenditori singoli. Il profilo online del distributore di software Merisel descrive i problemi che ciò creò:
Nel 1980 l'industria del software per computer era ancora nella sua infanzia. I programmi venivano scritti principalmente da appassionati di computer all'interno di negozi gestiti da un solo esercente, e ciò veniva fatto più per amore che per denaro. Far arrivare questi software ai circa 1.200 gestori di negozi di computer era, a dir poco, una questione di... caso. Ad esempio, se chi aveva scritto il software andava in vacanza, la “fabbrica” chiudeva e le spedizioni si fermavano. E decidere quale software comprare era ancora più complicato. Circa il 95% del software per personal computer veniva venduto in negozio, ma ben pochi di questi negozianti erano in grado di provare e selezionare ciò che vendevano dall'immensa quantità di programmi disponibili. |
Ken, indiscutibilmente una mente astuta, intrecciò rapporti con Adams e con molti altri publisher per iniziare a distribuire i loro giochi (fra l'altro credo che sia proprio questa la fonte della strana affermazione rilasciata da Adams nel corso dell'intervista per l'eccellente documentario Get Lamp di Jason Scott -e ripetuta anche da Jason stesso in un suo vecchio commento su questo blog- secondo cui Ken Williams in un certo senso avrebbe iniziato la sua carriera come “venditore” [“salesman”] per conto della Adventure International). Sopraffatto dal dover operare contemporaneamente come publisher, come distributore, e come sviluppatore, dopo pochi mesi Ken vendette il ramo della distribuzione a Robert Leff (un collega che conosceva da quando faceva il programmatore su commissione) per la cifra insolitamente bassa di 1.300 dollari. Dal canto suo Leff trasformò quel ramo nella SoftSel, un colosso che arrivò a dominare da dietro le quinte il mercato della vendita al dettaglio del software, capace di innalzare o distruggere un publisher (se non perfino un'intera piattaforma) sulla base dei titoli che sceglieva e dell'impegno che intendeva mettere nella loro commercializzazione. Leff, un nome che anche all'epoca ben pochi conoscevano al di fuori del mondo dell'industria del software, divenne una delle figure più potenti del mondo dei computer degli anni '80. La SoftSel cambiò nome nel 1990, diventando la Merisel di cui sopra.
In questi sviluppi c'è però un retrogusto amaro. Creando la SoftSel, Ken e Leff in sostanza hanno fatto sì che nessun hacker in futuro potesse realisticamente più fare quello che Ken e Roberta, Scott Adams, Lance Micklus, e tanti altri insieme a loro, avevano fatto: creare delle aziende sane partendo dalla cucina di casa o dal garage, e basandosi unicamente su delle nuove idee e sul proprio talento per la programmazione. Alla lunga la stretta sull'industria di distributori come la SoftSel, e i giganteschi publisher conservatori (che essi aiutavano e foraggiavano), sarebbe stata accusata di mancanza di innovazione e dell'adolescenza, apparentemente perpetua, di tutto il settore dei computer e dei videogiochi; una situazione che solo recentemente [l'articolo è del 2011] ha iniziato a essere corretta con la crescita della distribuzione online. Allo stesso tempo, tuttavia, l'industria del software del 1980, in rapida espansione, semplicemente aveva bisogno di una SoftSel, per portare efficacemente il software nelle mani dei sempre più numerosi consumatori, in quei tempi di modem a 300-baud e di telecomunicazioni primitive. Nel comprendere questo, e nel compiere dei passi in questa direzione, Ken probabilmente ha plasmato di più il futuro di quanto non avrebbe fatto in tutti i suoi successivi sforzi con la On-Line Systems (che, come tutti sanno, sarebbe stata presto ribattezzata Sierra). Possiamo segnare questo come l'ultimo gigantesco passo verso la professionalizzazione del software, con tutto ciò che di bene e di male esso comporta.
Ma possiamo segnarlo anche come un ulteriore esempio della sagacia di Ken. Al di là di Bill Gates, non conosco nessun altro esponente degli albori del mondo PC che combinasse in sé un tale acume tecnico con un tale istinto per gli affari. La sua influenza è tanto più significativa se pensiamo quanto in ritardo è partito rispetto agli altri, essendo entrato a far parte della partita solo nel 1980. E, credetemi, c'è molta altra roba significativa che porta l'impronta di Ken... solo che ancora non ci siamo arrivati!
Ma torniamo a Mystery House, che se la cavava davvero bene. Steven Levy scrive: “Ken e Roberta fecero undicimila dollari quel Maggio. A Giugno ne fecero ventimila. A Luglio, trentamila.” (senza dimenticarci che si parla di dollari del 1980!). Fu allora che Ken lasciò il suo lavoro e che i Williams iniziarono a prepararsi a fare le valigie e realizzare il sogno di una vita: vivere in campagna (e in particolare nella piccola cittadina di Coarsegold, non lontano dallo Yosemite National Park). Nel frattempo, avendo incluso il loro numero di telefono con Mystery House, entrambi passavano ore al telefono distribuendo suggerimenti e consigli ai giocatori frustrati.
Nel mezzo di tutta questa frenetica attività, Ken e Roberta stavano lavorando sodo anche su un nuovo gioco, che consolidasse la posizione della On-Line Systems nell'industria. Mystery House, con le sue immagini, aveva cambiato tutto, ma -diciamocelo sinceramente- quelle immagini non erano poi così belle. Il loro prossimo gioco avrebbe rimediato, aggiungendo i colori all'equazione.
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato
- The Count
- Due diverse culture di avventurieri
- Microsoft Adventure
- La Narrativa Ludica già nota come Storygame
- L'Ascesa dei Giochi Esperienziali
- Dungeons And Dragons
- Una Definizione per i Giochi di Ruolo per Computer
- Dal Tavolo al Computer
- I Primi Giochi di Ruolo per Computer
- Temple of Apshai
- Un 1980 Indaffarato
- L'Interactive Fiction di Robert Lafore
- Cestinando il Trash del TRS-80
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- L'Apple II
- Eamon, Parte 1
- Un Viaggio nel Fantastico Mondo di Eamon
- Eamon, Parte 2
- Il mio Problema con Eamon
- Ken e Roberta
- Mystery House - Parte 1
- Mystery House - Parte 2
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Quando Adventureland compì il suo primo anniversario, i giochi d'avventura sul TRS-80 erano già fra i software più popolari di quella piattaforma. E avevano iniziato ad apparire anche sugli altri microcomputer, grazie all'engine estremamente convertibile di Scott Adams e al fatto che praticamente tutte le avventure di altri autori erano ancora programmate in un BASIC relativamente standard. Era ormai nata una nuova forma d'arte.
Già nel numero del Giugno 1979, SoftSide pubblicò un "avviso di fidanzamento" fra il TRS-80 e il "Fantasy":
Poco dopo SoftSide iniziò ad usare il bizzarro termine "compunovels" [contrazione di "computer" + "novel", cioè "computer" + "romanzo", nd Traduttore] per riferirsi a queste opere, il primo di tanti tentativi di scrittori, commentatori e giocatori di andare oltre la limitante etichetta di "giochi d'avventura" o (come furono chiamati qualche tempo dopo) di "avventure testuali", nella speranza di coniare un termine che riflettesse meglio le ambizioni letterarie del genere.
Ovviamente il concetto di "compunovel" era più un'aspirazione che una realtà nel 1979, quando la regola nel campo delle avventure erano i giochi dal lessico infantile di Scott Adams, "la grammatica stranamente errante" (per usare le parole di Graham Nelson), e trame meramente abbozzate. E per molti contemporanei queste aspirazioni di grandezza letteraria devono essere sembrate pura follia, considerata la magra realtà del tempo. Dobbiamo quindi rendere merito agli scrittori di SoftSide di aver intuito il potenziale di questa nuova forma, una volta liberata dai limiti tecnici che i 16 K di memoria e l'archiviazione su cassetta imponevano a quei programmatori che in quegli anni stavano lentamente cercando di diventare scrittori.
Tuttavia esisteva anche un'altra cultura che all'epoca era già in gran parte libera quanto meno dal primo di questi due limiti: la cultura dell'hacking sui computer istituzionali, a cui già spettava anche il merito della nascita del genere. Nel 1979 le grandi macchine istituzionali ospitavano già una varietà di titoli: Zork (al MIT); Stuga (allo Stockholm Computer Central, la prima avventura creata fuori dagli Stati Uniti e la prima non in inglese); Acheton (alla Cambridge University in Inghilterra); Mystery Mansion (hostato -fra i tanti posti- al Naval Warfare Engineering Station di Keyport, Washington).
Nel frattempo altri autori (liberi dalle considerazioni di natura commerciale che stavano già iniziando a dominare il mercato del software dei microcomputer) iniziarono a migliorare ed espandere l'Adventure originale di Crowther e Woods, creando un numero sorprendente di varianti che vennero identificate in base al punteggio massimo che era possibile raggiungere in ognuna di esse. L'originale, che offriva un potenziale di 350 punti, è così saltuariamente chiamato Adventure 350, mentre fra i suoi successori ci sono: Adventure 366, Adventure 500, e molti altri, fino ad arrivare molti anni dopo all'inevitabile Adventure 1000. Perfino lo stesso Woods creò una versione espansa a 440 punti, prima di abbandonare definitivamente la creazione di avventure.
La prima caratteristica che oggi ci colpisce di più in tutti questi giochi apparsi sui grandi computer istituzionali è la loro considerevole dimensione; molte rimangono ancora oggi fra le avventure più grandi mai costruite; se non come profondità di gioco, sicuramente come ampiezza, con centinaia di stanze ciascuna.
Le loro dimensioni erano una conseguenza naturale della cultura che le aveva create. Nella cultura degli hacker nessun programma poteva mai essere davvero considerato finito: c'era sempre spazio per aggiustare qualcosa, per aggiungere altro, per... altro. Poiché questi giochi non erano destinati alla commercializzazione, non c'era nessuna necessità di dichiararli finiti e di consegnarli al pubblico una volta per tutte. Per questo restavano spesso, letteralmente per anni, in una sorta di stadio di sviluppo in cui erano comunque giocabili, crescendo a singhiozzi sulla base dell'interesse del momento di chi vi contribuiva. E infatti un'altra cosa che contraddistingueva questi giochi dalle loro controparti per i microcomputer (e perfino dalla maggior parte delle opere di narrativa interattiva di oggi) era il fatto che esse erano il frutto di un lavoro di squadra. Zork, per esempio, è apparso la prima volta su un sistema del MIT nel Maggio del 1977 sulla scia del fenomeno Adventure, ma non fu terminato prima del Febbraio del 1979. E, anche a quel punto, il gioco non era davvero completato da un punto di vista tematico o di design. Semplicemente i suoi creatori erano riusciti a riempire perfino il cavernoso megabyte di memoria del loro DEC, e quindi erano fisicamente impossibilitati ad aggiungere altre stanze ancora.
Se state pensando che un tale modello di sviluppo fosse limitante per le possibilità narrative degli autori, non meno degli assurdi limiti hardware dei primi home computer... beh, avete ragione. Il team che creò Zork, per esempio, conteneva degli scrittori autenticamente dotati, forse i più dotati del mondo delle avventure del 1979. Nonostante questo i loro sforzi erano continuamente disfatti dalla presenza di "troppi cuochi in cucina", con delle descrizioni frutto di vera immaginazione ed eleganza troppo spesso affiancate da altre di una concisione degna di Scott Adams. In modo analogo, il design è confuso e privo di focus, con delle ottime idee sommerse da altre meno brillanti, in maniera apparentemente del tutto casuale. Zork, e molti altri giochi ancora più grandi (come Acheton), sono vasti e caotici al punto da risultare quasi incomprensibili. Da questo punto di vista i limiti tecnici dei microcomputer, che costringevano gli autori a creare dei giochi ben pensati e con un design strutturato al posto di divagazioni casuali, non erano poi un gran male. O, per dirlo in un'altra maniera: più grande in questo caso non significa necessariamente meglio. Vale la pena far notare che nessuno di questi giochi aveva un arco narrativo che fosse lontanamente conciso e coerente come quello di The Count.
Detto questo, non possiamo non perdonare i possessori di TRS-80 (che all'epoca si avventuravano per i limitati ambienti di Adventureland, di Dog Star Adventure, e di The Count) per aver gettato degli sguardi invidiosi su tutte quelle stanze, tutti quegli oggetti, tutto quello spazio per il testo. Fu quindi un grande evento l'arrivo sul TRS-80 del padre di tutti gli sfarzi dei computer istituzionali: Adventure.
Infatti, se Adventure poteva girare su un TRS-80, allora era ragionevole sperare che presto sui microcomputer sarebbero stati possibili anche altri giochi più grandi e più ambiziosi - il che, ovviamente, avvenne puntualmente. E, di lì a qualche anno, lo sviluppo dei giochi d'avventura sulle grandi macchine si esaurì del tutto.
Il nome della società che per prima portò Adventure nelle case delle persone comuni tramite il TRS-80 probabilmente vi sorprenderà. Ma su questo mi dilungherò la prossima volta.
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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- Sulle tracce di The Oregon Trail
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- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
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- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato
- The Count
- Due diverse culture di avventurieri
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The Count si apre con un title screen destinato a diventare iconico e longevo in modo quasi bizzarro, apparendo non solo su tutti i giochi del TRS-80 della serie classica di Scott Adams, ma anche su tutte le piattaforme su cui sarebbe sbarcata la linea. Questa schermata del titolo resterà sostanzialmente immutata perfino nel suo porting illustrato.
Un paio di cose ci colpiscono immediatamente a colpo d'occhio.
La prima è l'indelebile stile svogliatamente entusiastico che caratterizza tutti i suoi giochi come una firma d'autore. Da quel che si può vedere, l'interprete si chiama semplicemente ADVENTURE ed è già (!) alla versione 8.2, mentre il The Count vero e proprio ("Adventure Number 5") è alla versione 1.15. La supplica, con cui si conclude il messaggio, ci mostra invece come la pirateria informatica fosse già un problema rilevante nel 1979, e non un mero spauracchio del solo Bill Gates. Col passare del tempo sarebbe diventata -come sappiamo bene- una questione ben più ampia, mano a mano che i pirati si dotavano di sofisticati network di distribuzione e nasceva una intera sottocultura (affascinante quanto immorale); ma di questo parlerò più profusamente quando ci arriveremo. Dal canto suo Adams si era forse fatto prendere un po' troppo la mano pur di spiegare il suo punto di vista: non aveva chiaramente speso "più di un anno" a sviluppare The Count, anche considerando che nel solo 1979 aveva pubblicato ben altri cinque giochi (che si stesse forse riferendo allo sviluppo del sistema ADVENTURE nel suo complesso?).
Ma -vi starete chiedendo- perché il testo ha un aspetto così buffo? Forse vi ricorderete di quando ho spiegato che il TRS-80 base non era equipaggiato per supportare i caratteri minuscoli. In un certo senso questo è solo parzialmente vero. La ROM dei caratteri, che conteneva i glifi di tutti i caratteri visualizzabili, aveva al suo interno anche i glifi per tutte le minuscole, oltre che per le maiuscole. Immagino che, come avveniva per molte delle componenti del TRS-80, anche questa era una parte esistente che era più facile ignorare che modificare per rimuovere i glifi extra. Quello che veramente mancava al TRS-80 era un modo per inserire le lettere minuscole. Il mercato secondario, sempre molto inventivo, risolse rapidamente questo problema con vari kit di modifica, uno dei quali fu evidentemente acquistato da Adams all'inizio del 1979. Tuttavia, anche con un kit del genere, il display del TRS-80 (essendo stato progettato con in mente le sole maiuscole) non possedeva ancora il concetto dei tratti discendenti. Quindi i caratteri come "y", "p", e "g" sono disegnati sopra il rigo, invece che scenderne al di sotto, generando così quell'aspetto strano che vedete nell'immagine sopra. E poi, si sa... a quel che non ammazza, ci si abitua.
Ma ora lasciate che vi parli specificatamente di The Count e di cosa lo rende un pezzo unico e interessante nella produzione di Adams. Se Mission Impossible aveva introdotto l'uso del tempo come elemento a servizio della trama sotto forma di una ticchettante (letteralmente) bomba ad orologeria, The Count si spinge oltre, molto oltre.
All'inizio ci svegliamo in una camera da letto di una casa infestata da Dracula in persona. Siamo stati portati lì dagli abitanti impauriti del villaggio, con le precise istruzioni di uccidere Dracula o di morire (o, meglio, di diventare vampiri a nostra volta) provandoci. Ovviamente (grazie ai testi ridotti ai minimi termini, all'assenza di ogni documentazione aggiuntiva, e al design old-school), tutto questo lo possiamo solo intuire quando abbandoniamo l'edificio e veniamo uccisi da una folla infuriata - il che oltretutto ci fa legittimamente chiedere se sia più malvagio Dracula o la folla degli abitanti del villaggio... ma chiuderemo un occhio su questo aspetto.
La trama si svolge su tre (o, al massimo, quattro) pomeriggi, e altrettante sere, durante le quali dovremo organizzare tutti i dettagli per raggiungere il nostro scopo: piantare l'obbligatorio paletto nel cuore del vampiro, ponendo così fine al regno di Dracula.
Non solo il tempo scorre attraverso questi giorni, con i pomeriggi che diventano notti (con gli effetti conseguenti sull'illuminazione generale), ma ci sono anche eventi della trama che accadono all'interno dell'universo di gioco in momenti specifici, e in particolare vanno segnalate due consegne postali che avvengono il primo e il secondo pomeriggio.
Al solito non voglio esagerare l'importanza di tutto questo; siamo ancora molto lontani da una storia seria e articolata; The Count è ancora pienamente inchiodato al solito stile scherzoso di Scott Adams.
Quello che abbiamo qui, però, è un universo che, almeno da alcuni punti di vista, è molto più dinamico di qualunque cosa si fosse mai vista prima. Per quanto Adventure poteva vantarsi dei suoi nani e dei suoi pirati capaci di movimento autonomo (che, a modo loro, erano incredibilmente sofisticati), il suo mondo restava completamente statico fino all'attivazione della scena finale e assolutamente privo di ogni percezione del tempo (se si esclude la lanterna che si esaurisce). Non a caso, The Count inserisce il verbo ASPETTA (un comando che nei giochi precedenti sarebbe stato del tutto superfluo), giacché il giocatore deve pianificare le proprie azione anche in base all'orario del giorno e a quei due fondamentali pacchi che devono essere consegnati.
Nel suo complesso il gioco non è altro che un nuovo tipo di meta-enigma sistemico, con il giocatore intento a mappare mentalmente il modo in cui gli eventi si dipanano e il funzionamento di ogni singolo elemento (morendo un numero infinito di volte nel frattempo...), al fine di mettere a punto il piano che lo porterà alla vittoria finale. The Count, in un certo senso, introduce quindi un nuovo paradigma di gameplay per le avventure testuali: uno non più basato sull'esplorazione geografica (anzi, per l'epoca la sua mappa è molto piccola e facile da gestire), ma su un modo di pensare dinamico e sistemico, che ce lo fa apparire molto più vicino ad un'esperienza narrativa. Il sistema è addirittura abbastanza sofisticato da prevedere un buon numero di percorsi diversi per arrivare alla vittoria finale; praticamente tutte le soluzioni del gioco che ho trovato avevano un approccio diverso.
Nonostante questo, a volte il confine fra il sistema della narrazione e il sistema del programma è un po' fumoso, e si rimane con la sensazione di giocare al programma piuttosto che alla storia.
Per esempio, nel gioco ci si sposta fra i piani della casa usando un montavivande (tralasceremo di parlare della mancanza di una scalinata interna, che è uno di quei crimini contro la mimesi che ci sentiamo di poter perdonare in un gioco tanto vecchio e primitivo). Dovete sapere che, se si perdono i sensi e si viene messi a letto per la notte (presumibilmente dallo stesso Dracula...) su un piano diverso da quello che contiene la camera, tale montavivande resta al piano dove lo abbiamo lasciato, impedendoci così di finire il gioco! Questo non ha alcun senso all'interno dell'universo narrativo (dove si è mai sentito di un montavivande che sale o scende solo con un passeggero all'interno?!?), ma è invece solo un limite del programma.
È per ragioni come questa che la risoluzione del gioco si rivela più noiosa che divertente; del resto neppure la Infocom nei suoi giochi più dinamici, con un'impostazione simile a The Count, riuscirà a risolvere fino in fondo questa "sindrome dell'imparare morendo". Sono proprio i tanti fattori di frustrazione come questo che fanno di The Count un gioco meno divertente di quanto non sia invece interessante come tecnologia e come concept.
E non si può dire nemmeno che il finale risollevi le sorti del gioco...
Dobbiamo aggiungere che in seguito Adams non ha mai fatto molto per sviluppare queste idee, rifugiandosi di lì in poi prevalentemente negli schemi della caccia al tesoro e in simili gameplay statici, e lasciando questo approccio più dinamico alla Infocom che tre anni dopo svilupperà il rivoluzionario Deadline. Ma, come dico sempre, di questo parleremo in seguito.
Se volete giocare The Count nella sua forma originale, ecco un file CMD che potete caricare nell'emulatore MESS usando "Device –> Quickload" dal menù dell'emulatore.
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- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato
- The Count
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Dire che il 1979 di Scott Adams fu molto produttivo è dir poco... Basti citare il fatto che in quell'anno pubblicò la bellezza di sei nuovi giochi completi: Mission Impossible, Voodoo Castle, The Count, Strange Odyssey, Mystery Fun House, e Pyramid of Doom.
E, fra questi sei, ben quattro erano scritti di suo solo pugno!
Voodoo Castle è attribuito ufficialmente anche a Alexis, la moglie d'allora di Adams. Tuttavia il ruolo che ha avuto non è molto chiaro, visto che nelle ultime interviste Adams ne ha sminuito il contributo, affermando che le sono attribuibili solo le linee guida della trama, mentre sarebbe stato lui a occuparsi quasi interamente della scrittura dei testi e completamente della programmazione. Purtroppo, con il passaggio degli anni e i risentimenti che inevitabilmente accompagnano ogni divorzio, non sapremo probabilmente mai se Alexis Adams può essere legittimamente considerata la prima donna game designer di avventure (battendo quindi sul tempo Roberta Williams di oltre un anno).
Ben più chiaro è invece il contribuito che Alvin Files ha dato a Pyramid of Doom. Lavorando in modo autonomo (senza aver accesso al codice sorgente o ai progetti originali), Files fece il reverse-engineering del motore di Adams, creando per quella via un gioco tutto suo, per poi spedire il risultato definitivo ad Adams, che lo aggiustò un po' e lo pubblicò come l'Adventure #8, riconoscendo a Files il "90 percento" del merito. Pyramid of Doom fu pubblicato intorno all'Ottobre del 1979, ma un primo segno dell'amicizia fra i due risale già a quell'estate con The Count, che è ufficialmente "dedicato ad Alvin Files".
Nel costruire questa cronologia tramite riviste e documenti dell'epoca, sono rimasto sorpreso nel constatare che quasi due terzi di quella, che sarebbe poi diventata (in modo un po' arbitrario) la dozzina di avventure che compongono il canone di Scott Adams, è stata creata prima della Adventure International, la società di Adams. Essa fu infatti fondata prima della fine dell'anno, quando Adams era già impegnato in un altro importante passo: il porting del suo engine su altri microcomputer.
La prima piattaforma canditata per il porting fu inevitabilmente l'Apple II, la seconda macchina più popolare del 1979. Tuttavia nel giro di pochi anni l'esplosione di macchine incompatibili fra loro, unita alla dedizione di Adams a supportarne il più possibile, avrebbe portato i suoi giochi su oltre una dozzina di piattaforme diverse.
E, se anche il 1979 non fu ancora l'anno dell'esplosione dei giochi d'avventura, fu comunque l'anno in cui Adams pose le basi perché ciò accadesse. L'avvento del nuovo anno lo vide infatti armato di una società appena fondata, di un engine per avventure che poteva essere facilmente oggetto di porting verso nuove piattaforme, e con un catalogo di tutto rispetto di giochi già pronti che spaziavano in un'ampia varietà di generi diversi. Aveva perfino creato una versione "dimostrativa", semplificata, di Adventureland per chi volesse conoscere meglio il nuovo genere.
Adams apportò dei notevoli miglioramenti tecnici al suo engine anche per il buon vecchio TRS-80. A cavallo fra la pubblicazione di Mission Impossible nella primavera del 1979 e di Voodoo Castle e The Count in quell'estate, Adams (apparentemente incitato a farlo da Lance Micklus) riscrisse il suo interprete -originariamente scritto in BASIC- in linguaggio assembly, con conseguenti giganteschi incrementi di velocità. Implementò anche una nuova impostazione della schermata di gioco, che successivamente sarebbe diventata una sorta di suo marchio di fabbrica, con la descrizione della stanza in cui ci si trova e i relativi contenuti sempre in mostra in una "finestra" separata, senza scrolling, collocata nella metà superiore dello schermo.
Considerando il display a 64 caratteri per 16 linee del TRS-80 e l'aspettativa degli utenti ad avere una buona fluidità nelle parti di maggiore interesse, questo rappresentò un grosso passo in avanti. Il nuovo interprete supportava perfino i caratteri minuscoli, anche se la prosa, la grammatica e anche gli errori ortografici non divennero mai una priorità... Con questi miglioramenti il nuovo sistema, per il quale vennero rapidamente riadattati anche i primi tre giochi, rese l'andare in cerca d'avventura sul TRS-80 un'esperienza assai più piacevole.
E che dire del contenuto di questi giochi? Beh, l'engine limitato e il ritmo infuocato con cui Adams li sfornava hanno rappresentato un inevitabile limite alle loro potenzialità; tuttavia in questi nuovi titoli ci sono dei nuovi sviluppi di cui vale la pena parlare.
Il primo di questi sviluppi è rappresentato dal fattore tempo. Sia l'Adventure originale che Adventureland richiedevano, come è noto, un'attenzione particolare alla gestione del tempo per far fronte alle fonti di luce che si esaurivono; Mission: Impossible invece si spinge un po' oltre, legando maggiormente il fattore tempo alla trama sotto forma di una ticchettante bomba a orologeria che minaccia di distruggere un impianto nucleare.
A distanza di due soli giochi da questo, abbiamo invece The Count, il gioco che rappresenta l'apice dell'ambizione concettuale di Adams, nonché un significativo passo in avanti per le avventure testuali intese come mezzo per raccontare una storia. La prossima volta esaminerò quindi in maggior dettaglio The Count, di gran lunga il più interessante di queste sei fatiche di Scott Adams.
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- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato
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Recentemente ho potuto inoltrare qualche domanda a Lance Micklus, l'autore di Dog Star Adventure, e ho pensato che a qualcuno di voi potrebbero interessare le sue risposte.
Jimmy: Scott Adams in un paio di occasioni ha raccontato che tu lo hai convinto a riscrivere in linguaggio assembly il suo engine per avventure testuali (originariamente scritto in BASIC). Ti ricordi come è avvenuto?
Lance: Non ricordo di aver mai parlato con Scott di questa cosa, ma in generale mi sembra un buon consiglio. Il BASIC avrebbe reso i suoi programmi molto portabili (cioé sarebbe stato facile convertirli da un sistema ad un altro). Ma il linguaggio assembly avrebbe dato loro velocità ed efficienza (cioé li avrebbe resi un'esperienza complessivamente migliore).
Jimmy: Cambiando argomento, ogni dettaglio sulla creazione di Dog Star Adventure sarebbe immensamente utile. Essendo una delle prime avventure testuali pubblicate dopo che Scott Adams aveva dimostrato che era possibile crearne per il TRS-80, nonché la prima il cui codice è apparso su una rivista, Dog Star Adventure ha un'importanza storica indiscutibilmente notevole. Ci ho giocato proprio ieri e sto per dedicargli un pezzo sul mio blog.
Lance: A metà degli anni '70 lavoravo per la televisione pubblica del Vermont come tecnico del suono ["studio engineer", ndTraduttore]. In più facevo anche un po' di programmazione per la nostra stazione radio. Poiché la stazione era parte della University of Vermont, avevamo libero accesso ai loro computer. Su uno di questi c'era installato la primissima avventura testuale. Credo che si chiamasse Get Lamp [in realtà era Adventure, ovviamente] e che fosse stata scritta in Fortran intorno al 1972 [l'esperimento originale di Crowther era del 1976, mentre il gioco definitivo era del 1977]. Divenne molto popolare fra gli studenti. Iniziai a giocarci nel tempo libero, anche se non mi sono mai spinto troppo avanti.
Però, quando l'università aggiornò i suoi computer, non avemmo più accesso a "Get Lamp". Fu più o meno in quel periodo che ebbi il mio primo personal computer, il TRS-80. Iniziai così a scrivere programmi che sostituissero quelli con cui mi divertivo sui computer della University of Vermont. Dog Star Adventure fu il mio tentativo di sostituire "Get Lamp".
La trama di Dog Star era influenzata da Guerre Stellari. La storia si svolgeva su un qualcosa di molto simile alla Morte Nera. Guerre Stellari aveva una "Princess Leia", mentre in Dog Star c'era una "Princess Leya".
Una delle influenze di "Get Lamp" che sono finite in Dog Star è stato l'uso di uno strumento narrativo che chiamavamo "ticchettio della bomba". In "Get Lamp" le batterie della torcia finivano dopo un tot di tempo di gioco, rendendo così impossibile terminare il gioco. In Dog Star questo ruolo era ricoperto da un cheeseburger che si freddava.
Una delle tecniche che usai per scrivere Dog Star fu quella di dare delle proprietà agli oggetti. C'erano delle azioni e c'erano degli oggetti su cui eseguirle. Mangiare un cheeseburger era un'azione che faceva accadere qualcosa: dopo che lo avevi mangiato, il cheeseburger spariva. Un'altra possibilità era parlare con il cheeseburger, ma questa non faceva niente.
Jimmy: Qui la risposta è ancora più aperta, ma mi chiedevo se ci potevi parlare di cosa ti ha spinto ad acquistare quasi subito un microcomputer e poi -in particolare- come è che hai iniziato a produrre una quantità tanto vasta di software. Sulla tua pagina web ho letto che prima del TRS-80 lavoravi alla radio e alla televisione. Che tipo di conoscenza avevi dei computer (se ne avevi)?
Lance: Il mio interesse per i computer risale al 1953, quando avevo 8 anni. Uno dei miei programmi TV preferiti era Superman con George Reeves. Uno degli episodi della seconda stagione si chiamava "The Machine That Could Plot Crimes". Parlava di una macchina chiamata Mr. Kelso che veniva utilizzata con l'inganno dal cattivo di turno per progettare delle rapine in banca perfette. Quella macchina mi affascinava. Dopo aver visto quell'episodio chiesi a mia madre se esistessero davvero delle macchine del genere. Quando mi rispose che esistevano davvero, decisi che ne avrei dovuta avere una.
Durante l'estate del 1964 lavorai come operatore di computer presso la IBM a Poughkeepsie. Questo mi permise di mettere le mani su un computer IBM 1401 in linguaggio assembly. Tuttavia, anche se i computer mi affascinavano -e mi affascinano ancora oggi-, avevo anche intenzione di perseguire una carriera nelle telecomunicazioni. Ho passato gran parte della mia vita a fare avanti e indietro fra queste due diverse professioni.
L'acquisto del TRS-80 alla fine del 1977 fu il compimento del sogno che avevo a otto anni: avere un computer tutto mio. Mi divertivo a scrivere programmi e lo facevo semplicemente per divertimento. Iniziai a pubblicare le mie opere innanzitutto come un modo per condividere le mie creazioni.
Come è ormai una costante di questo blog, questa intervista smentisce un paio delle mie osservazioni del mio post precedente. E in particolare quella secondo cui Lance non aveva mai visto l'originale Adventure (anche se in realtà lo aveva fatto, apparentemente, solo in una ristrettissima finestra temporale che andava dal periodo di massima diffusione di Adventure nella primavera del 1977 alla pubblicazione del TRS-80 a fine di quell'anno. Nonostante questo Dog Star è talmente simile ai primi lavori di Scott Adams, che non posso credere che una tale similitudine sia solo una coincidenza.
E poi c'è la conoscenza dei computer da parte di Lance, che era un po' più estesa di come io l'avevo descritta.
Beh, poco male per queste inesattezze, del resto vivere e imparare sono una parte essenziale di ciò che è questo blog, no?
Tanto per curiosità, ecco un'immagine di Lance ai gloriosi tempi del TRS-80 (1980 circa):
E questo è lui oggi con la sua adorabile moglie Dianne (2011):
Attualmente [2011, ndTraduttore] Lance sta cercando di produrre un film a tema religioso, basato sulla leggenda di Santa Claus. È un uomo molto, molto cordiale.
Nel prossimo post tornerò a parlare di Scott Adams e, fra le varie cose, mi occuperò di quel passaggio al linguaggio assembly di cui poco sopra ho chiesto informazioni anche a Lance.
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Recuperiamo il Let's Play di Leonardo Boselli della settimana scorsa, di Adventureland, mitica avventura di Scott Adams del 1978, per l'occasione tradotta in italiano.
Abbiamo già parlato di Adventureland nella serie scritta dal Digital Antiquarian e tradotta dal buon Ancient, che potete trovare a questo link. Sopra, invece, potete rivedere il bellissimo gameplay di Leonardo!
Sfogliando i primi numeri della rivista SoftSide, non si può non notare come ci siano una serie di personaggi che sono praticamente ovunque; ad un ritmo impressionante sfornano giochi, strumenti, applicazioni, e perfino articoli di approfondimento!
Fra questi c'è ovviamente Scott Adams, che oltre alle sue avventure aveva già scritto dei semplici giochi di strategia e una ampia gamma di adattamenti di giochi di carte o da tavolo.
C'è poi il Reverendo George Blank che, oltre ad occuparsi della rivista e ad aver scritto un gran numero di giochi e utility varie, aveva anche firmato un articolo in cui immaginava il futuro del gioco su computer:
E poi c'era l'autore di Dog Star Adventure, uscito sul numero di Maggio 1979 di SoftSide: Lance Micklus. Prima di Dog Star Adventure, Lance aveva già scritto e venduto: Concentration (un adattamento di un classico spettacolo televisivo); Robot (un maze game); Mastermind I e II (adattamenti dell'omonimo gioco da tavolo); Breakaway (un flipper); Treasure Hunt (un esercizio di mappatura, sullo stile di Hunt the Wumpus); Renumber (un utility per programmatori); KVP Extender (una utility per la tastiera); e Personal Finance and Advanced Personal Finance (un software per la gestione delle finanze personali). Ma, più di tutto, Lance era diventato famoso per aver scritto Star Trek III.3 (porting di un celebre gioco spaziale di strategia nato sull'HP Time-Shared BASIC) e un software di emulazione di terminale (che permetteva al TRS-80 di comunicare con le grandi macchine istituzionali tramite modem). Un curriculum di tutto rispetto, specie se si considera che Lance non era certo un programmatore esperto quando arrivò al TRS-80, avendo fino a quel punto lavorato come ingegnere elettronico per la televisione per la radio.
Del resto il TRS-80 era probabilmente la piattaforma ideale per far emergere dei geni simili. Poiché le sue capacità grafiche erano pressoché nulle, gli asset grafici non erano un gran problema. Le sue capacità audio erano completamente inesistenti, e quindi anche il sonoro poteva essere serenamente depennato dalla lista. A tutto questo va aggiunto che i suoi 16 K di RAM costituivano un grosso limite anche per i più ambiziosi, e quindi praticamente qualunque programma che fosse virtualmente concepibile per un'implementazione sul TRS-80 era assolutamente fattibile -e anche relativamente in poco tempo- da un singolo programmatore di talento. E in questo c'era qualcosa di bellissimo.
Un altro aspetto interessante di questo periodo "dell'innocenza della programmazione" era la gioiosa inconsapevolezza degli altrui diritti di proprietà intellettuale. Di sicuro nessuno dei tanti che adattarono dei giochi da tavolo coperti da diritto d'autore (per non parlare del gioco di Star Trek che divenne anche immensamente famoso) aveva firmato dei contratti con i rispettivi proprietari.
Dog Star Adventure era "ispirata" all'atto centrale della prima trilogia di Guerre Stellari, quando il Millennium Falcon è intrappolato sulla Morte Nera e deve liberare la Principessa Leila e fuggire. Tuttavia si direbbe che in questo caso qualcuno deve essersi un po' impaurito e quindi la "Death Star" è diventata la "Dog Star", "Princess Leia" è diventata "Princess Leya", "Darth Vader" è diventato "General Doom", e... avete capito.
Appena si avvia il gioco, è subito evidente il suo debito nei confronti di Scott Adams. Qui vediamo in azione quella "funzione di ponte" svolta dai primi giochi di Adams: Dog Star Adventure è ispirato dall'opera di Adams, poiché chi lo ha scritto non aveva mai visto il gioco che a sua volta aveva ispirato Adams (e cioé l'originale Adventure).
(AGGIORNAMENTO: Uhm... non è del tutto esatto. Vi rimando alla mia prossima intervista a Lance per approfondire le influenze dietro la creazione di Dog Star).
Notate le "Obvious Exits", che erano ormai diventate uno standard, nonché il passaggio dalla narrazione in seconda persona a quella in prima persona iniziata da Adams con Adventureland:
Il gioco è un po' più facile di Adventureland, con meno enigmi vergognosamente iniqui, ma anche qui non mancano i passaggi più spinosi come il magazzino pieno di "ogni genere di roba".
Sì, un po' di quella roba vi serve. E sì, dovete proprio indovinare cosa e come il gioco vuole che voi lo chiamiate. Non so decidermi se è qualcosa che amo o che odio; c'è un qualcosa di estremamente arguto in questo "enigma" (immaginate la mia soddisfazione quando ho digitato GET BLASTER e ha funzionato...!)
Nel complesso in cui è ambientato il gioco vagano anche dei gruppi di stormtrooper. Per fortuna potete usare il suddetto blaster per sbarazzarvi di loro.
Sfortunatamente (ma inevitabilmente), il blaster ha un quantitativo limitato di munizioni, e potete PRENDERE MUNIZIONI una sola volta (e sempre nel suddetto magazzino). Sappiate quindi che vedrete molte volte questa schermata:
Il nostro scopo in Dog Star Adventure è superficialmente lo stesso di Adventureland: portare tutti i tesori in una certa location (che in questo caso è la stiva della nostra nave spaziale).
Al riguardo non possiamo esimerci dal rimproverare il Sig. Micklus di essersi distratto durante la Rivoluzione Sessuale, perché la Principessa è stata implementata come... l'ennesimo tesoro da raccogliere.
Se però prestiamo maggiore attenzione, ci accorgiamo che sotto sotto c'è qualcosa di più. Questi tesori non sono "fini a sé stessi", ma hanno tutti (inclusa la principessa) una loro logica all'interno della trama. Dovremo infatti raccogliere: il carburante per la nostra nave spaziale, la collana della Principessa (che contiene un chip nascosto che custodisce "l'ubicazione e la forza della Freedom Fighting Force") e i piani di battaglia del Generale Doom (che sono stati registrati su una cassetta del TRS-80 - qualcuno gli avrà consigliato di farne diversi backup?!?).
A questo va aggiunto il fatto che il gioco non finisce immediatamente dopo aver raccolto tutti i tesori; a quel punto si dovrà infatti trovare un modo per far aprire le porte dell'hangar della stazione spaziale e lanciare nello spazio la nostra nave.
Non lo si può certo definire un finale originale, ma possiamo ben dire che c'è almeno lo scheletro di un arco narrativo vero e proprio, che ha il suo climax nel trionfo dell'Alleanza Ribelle... ehm, volevo dire delle "Forces of Freedom".
Oltre a essere disponibile su cassetta tramite il The TRS-80 Software Exchange per la bassissima cifra di 9,95 dollari, il listato BASIC completo di Dogstar Adventure fu pubblicato per i più oculati (o masochistici) nel numero di Maggio 1979 di SoftSide. Uno degli aspetti di quest'epoca che oggi ci appaiono più bizzarri è proprio la grande quantità di software che veniva acqistato in questa forma così tormentosamente non user-friendly ben oltre l'inizio degli anni '80. Questi listati non erano solo il cuore delle riviste, ma riempivano anche gli scaffali delle librerie.
Quando ci lamentiamo degli enigmi illogici e dei problemi di "guess-the-verb" che affliggono praticamente tutti questi primi giochi, non dobbiamo dimenticarci che chiunque avesse anche solo una minima base di programmazione poteva cercare da solo la soluzione del gioco semplicemente digitando il comando LIST del BASIC.
Io, per esempio, quando il parser di Dog Star ha iniziato ad apparirmi frustrante, ho cercato queste linee:
Ecco trovati i 21 verbi compresi dal gioco. È bene quindi precisare che le ricerche nel codice sorgente non solo non si potevano impedire, ma anzi gli autori le prevedevano e... ci facevano affidamento. Alla luce di questo, certe scelte di game design non sono poi così crudeli e bizzarre come potrebbero inizialmente apparire.
Per dirla tutta, giocando a Dogstar per preparare questo post ho ripreso anche troppa confidenza con le tribolazioni del BASIC. A un certo punto c'è un robot della sicurezza che ci impedisce di evadere da una cella con la Principessa Leya. A questo robot piacciono gli hamburger del McDonald (fossimo stati in un'altra epoca avrei sospettato che ci fosse sotto un accordo pubblicitario, ma in questo caso posso solo commentare che quel robot ha davvero dei pessimi gusti in fatto di hamburger...). Per fortuna c'è un hamburger proprio nella sala comune della stazione spaziale. Studiando il codice sorgente in BASIC ero certo di aver scoperto la sintassi giusta per darlo al robot, ma il gioco continuava a non accettarmi il comando. Ho così scoperto che la versione del gioco che stavo usando aveva un minuscolo errore di battitura in questa riga:
che invece sarebbe dovuta essere così:
Ecco quali danni può fare un semplice carattere in meno, perso mentre si inseriscono a mano centinaia di linee di codice BASIC. Una volta corretto l'errore, ho potuto finalmente dare da mangiare al robot affamato.
Ebbene sì, il codice sorgente originale è tutto ingarbugliato in questo modo. L'interprete BASIC del TRS-80 non ha assolutamente bisogno di spazi per separare gli elementi del codice; del resto gli spazi usano memoria - e quindi via, insieme a ogni altra comodità (commenti inclusi). Leggibile Dog Star Adventure non è.
Questo rende tanto più sorprendente il ruolo che questo gioco svolse nella storia della narrativa interattiva. Vi ricordate tutti quegli hobbisti desiderosi di creare le loro avventure testuali? Beh, Dog Star dette loro un modello da seguire, essendo un gioco "bell'e che pronto", creato da mani competenti e comodamente distribuito su carta (non ci dimentichiamo che le stampanti in quegli anni erano ancora una rarità). Anche le avventure di Scott Adams erano programmate in BASIC, ma il loro codice non fu pubblicato sulle riviste prima del 1980; senza dimenticare poi che la loro struttura interprete/data-file le rendeva più difficili da scomporre rispetto alla approccio "tutto in uno" (seppur meno flessibile) di Dog Star.
Lance Micklus col tempo fu sempre più assorbito dai suoi prodotti legati allo scambio di dati fra piattaforme diverse, fino a quando -a fine 1979- non fondò una società tutta sua per commercializzarli. Non scrisse mai più un'avventura testuale. Tuttavia troviamo le sue orme ovunque nella storia delle prime avventure testuali, perché un numero sconfinato di programmatori amatoriali crearono i proprio giochi nelle loro camere da letto basandosi proprio sullo scheletro da lui ideato. È questa, prima ancora che gli accenni a una trama vera e propria, a essere la più grande eredità lasciata da Dog Star Adventure.
Prossimamente torneremo a parlare di Scott Adams, che -proprio come Lance Micklus- visse un 1979 particolarmente indaffarato.
Nel frattempo, se volete provare Dog Star Adventure, non vi costringerò a trascriverlo da zero. Ecco qua uno stato salvato per il MESS TRS-80 Level 2 emulator - e in questa versione funziona bene anche il robot mangia-hamburger!
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
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Nel 1978 l'idea di un programma per computer come merce vendibile (acquistabile come fosse un libro o un album musicale) era ancora abbastanza nuova. Nel mondo dei grandi computer istituzionali, il software commerciale si limitava per lo più ai sistemi operativi e alle applicazioni più essenziali e complicate (come i compilatori), e veniva quindi creato e venduto da quelle stesse compagnie che producevano l'hardware su cui girava. Il TOPS-10 era un prodotto della stessa DEC, il Time-Shared BASIC era un prodotto della Hewlett-Packard, e così via.
Questi programmi venivano venduti non come prodotti individuali con un prezzo fisso, ma piuttosto erano parte di contratti complessi, che includevano anche l'hardware per farli funzionare e il personale umano per il supporto. Il software creato dagli utenti finali di queste macchine era spesso talmente specializzato da risultare inutilizzabile al di fuori del contesto dove era stato creato e, se anche fosse stato fruibile al di fuori di quel contesto, veniva comunque distribuito gratuitamente. Non esistendo un vero mercato per il software, non c'era nemmeno alcun incentivo a fare le cose diversamente.
Tutto questo iniziò a cambiare con l'avvento dei microcomputer. Il primo pezzo di software commerciale per microcomputer, venduto separatamente dall'hardware, fu creato dalla società che (nel bene o nel male) è poi diventata il sinonimo del modello di distribuzione commerciale "closed-source": la Microsoft.
Il primo prodotto di quella compagnia, creato nel 1975 (quando Bill Gates e Paul Allen erano ancora solo dei trasandati studenti universitari) era una versione del BASIC venduta su nastro perforato per il kit dell'Altair 8800. Il 3 Febbraio 1976 Gates spedì una "lettera aperta agli hobbisti" destinata a diventare celebre, nella quale egli si faceva beffe della diffusa pratica di copiare il software della Microsoft, notando che, nonostante ogni possessore di Altair stesse usando il BASIC, meno del 10% di tali utenti l'aveva acquistato, affermando che il ritorno economico suo e di Allen per il tempo speso a svilupparlo era inferiore a due dollari l'ora.
Gli hobbisti reagirono a quella lettera con sorpresa e con un certo sdegno. Credo si possa affermare che la sola idea di un software che non fosse liberamente distribuibile (e quindi anche l'idea stessa di "pirateria") non li avesse mai sfiorati, tanto era antitetica all'etica della condivisione e del libero scambio di informazioni di posti come il celebre Homebrew Computer Club.
Un certo Jim Warren gli rispose così:
Notate le virgolette intorno a "furto" e "rubato", come se tali concetti fossero inapplicabili al software. Il dibattito acceso da Gates e Warren infuria tutt'oggi. Ed è una palude in cui ho imparato a non infangarmi. Qui basterà far notare che con il BASIC dell'Altair ormai il dado era tratto e la distribuzione del software era cambiata per sempre.
Come avevo fatto notare in un post precedente, Radio Shack fu abbastanza saggia da comprendere che un buon supporto software era fondamentale per il successo del suo nuovo computer (un fatto ovvio, che però la Commodore -fra gli altri- non sembra aver mai compreso fino in fondo).
Poiché quasi tutti i TRS-80 venivano venduti nei negozi di Radio Shack, la società aveva la grande opportunità di creare in prima persona tale supporto, incoraggiando l'invio di software da parte degli hobbisti, per poi vendere i prodotti migliori fianco a fianco ai computer. Suona quindi quasi strano che i migliori programmi per TRS-80 non siano stati pubblicati da Radio Shack. Posso solo immaginare che gli svantaggi di dover interagire con l'ufficio acquisizioni di una gigantesca azienda senza volto fossero maggiori dei conseguenti vantaggi distributivi.
In quell'epoca il principale fattore di facilitazione della distribuzione del software erano (abbastanza sorprendentemente) le riviste. Prima dell'arrivo del TRS-80 e dei suoi competitor, la Creative Computing stava come sappiamo già pubblicando da anni listati di programmi in BASIC, e ovviamente continuò a farlo ancora a lungo.
Invece nell'Ottobre del 1978 la rivista SoftSide (la prima rivista specifica per il TRS-80, nonché -credo- la prima rivista dedicata ad una piattaforma specifica) aprì le pubblicazioni con questa mission:
Inutile dire che la "trascrizione" dei listati era una vera sofferenza; digitare con fatica le centinaia di linee di codice di alcuni dei programmi eccezionalmente complessi che SoftSide pubblicò era l'antitesi del divertimento, indipendentemente da quanto si potesse essere innamorati del proprio nuovo computer. Senza dimenticare poi i subdoli bug che potevano essere introdotti semplicemente sbagliando un carattere o un numero qua e là. È per questo che SoftSide veniva venduta a scelta anche con una cassetta contenente tutti i programmi pubblicati in quel numero.
Ma questo era solo l'inizio. Già prima della nascita della rivista, gli editori di SoftSide avevano creato The TRS-80 Software Exchange, un organo di distribuzione del software commerciale a pagamento. I più cinici adesso penseranno che SoftSide fosse stata creata principalmente per promuovere il TSE: in ogni numero infatti veniva dedicato un numero considerevole di pagine all'elenco dei titoli del catalogo del TSE, con quelli commercialmente più promettenti a cui veniva accordata anche una mezza pagina o una pagina intera.
In un certo senso il TSE fu uno dei primi publisher di software - ma solo in un certo senso. Pubblicare un'opera con il TSE portava però con sé un vantaggio per cui oggi gli sviluppatori potrebbero uccidere:
Che affare, eh? Non c'è da meravigliarsi se moltissimi hobbisti, desiderosi di far arrivare i propri programmi nelle mani delle masse (e magari, contemporaneamente, di guadagnarci qualcosa), si affrettarono a spedire le proprie creazioni.
Fra loro c'era anche Scott Adams. Egli, ancora prima di aver scritto Adventureland, aveva pubblicato tramite il TSE un "gioco del tris 3D" e un gioco del backgammon. E, come molti altri, approfittò dei generosi termini contrattuali del TSE per pubblicare anche con Creative Computing Software (un organo molto simile al TSE, creato dall'omonima rivista), e per vendere in prima persona quello che poté (se volete leggere qualche aneddoto divertente al riguardo, vi consiglio questa intervista di Matt Barton ad Adams).
Tutto questo avvenne abbondantemente un anno prima della fondazione da parte di Adams della sua Adventure International, un vero e proprio publisher di sua proprietà. Adventureland apparve per la prima volta nel numero di Gennaio 1979 di SoftSide, venduto a 24,95 dollari insieme a una seconda avventura (che Scott aveva già scritto con la sua moglie di allora, Alexis). Chiamato Pirate Adventure, questo secondo titolo è più ricordato dalla maggior parte dei giocatori di quanto non fosse Adventureland.
Oggi ci appare strano osservare quanto fosse goffo e ingenuo il primo mercato dei giochi commerciali. Adams e il TSE non riuscivano nemmeno a mettersi d'accordo sul nome da dare ai giochi. Oltre al suo (presunto) nome vero, Adventureland appare nelle pubblicità del TSE anche come Adventure (ecco un buon modo per creare confusione!) e -ed è il mio favorito- come l'evocativo e attraente Land Adventure (che è forse anche quello più accurato...).
Il nome del secondo gioco invece oscillava fra Pirate Adventure, Pirate’s Adventure e Pirate’s Cove.
Ma questa confusione sul nome non spostò le cose di una virgola. Le avventure di Adams erano assolutamente uniche ed erano commercializzate in un mercato in forte espansione, affamato di nuovi giochi interessanti e divertenti. La maggior parte dei possessori di TRS-80 non aveva mai avuto accesso alle grandi macchine istituzionali su cui girava l'originale Adventure, e quindi stavano scoprendo il genere attraverso i giochi di Adams, che rappresentarono quindi il ponte che portò le innovazioni di Crowther e Woods nel promettente mondo dell'home computing.
E (proprio come accadde agli hacker del PDP-10 con Adventure) quando ebbero risolto i giochi di Adams, molti programmatori del TRS-80 iniziarono a pensare a come creare il loro Adventureland. E fu così che un genere era nato davvero.
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- Eliza
- Adventureland
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Scott Adams occupa una strana posizione nel mondo dell'interactive fiction, essendo più amato da coloro che non fanno parte della community, che da quelli che ne fanno parte.
Ogni anno spuntano almeno un paio di sue interviste ossequiose (sia su siti mainstream che su quelli di retrogaming), a cui il Sig. Adams sembra non sappia mai tirarsi indietro. Invece nella community dell'IF le opere di Adams, se mai vengono citate, lo sono sempre e solo a titolo di curiosità storiche; non gli viene riconosciuto nemmeno un briciolo del rispetto che normalmente viene tributato ai classici Infocom. Restano fuori dal coro solo una manciata di voci reazionarie che interpretano questa mancanza di rispetto per i giochi, semplici ma divertenti, di Adams come il sintomo delle più ampie ambizioni letterarie della maggioranza della community, che hanno reso le moderne avventure testuali una zona in cui è "Vietato Divertirsi" (per una filippica in merito -ormai classica ma sempre divertente- potete leggere la pagina di discussione su Wikipedia della voce di Adventureland).
A ingarbugliare ulteriormente la questione ci si mette anche la sfortunata (ma grazie al cielo solo sporadica) tendenza all'auto-celebrazione tipica di Adams, come possiamo leggere nella FAQ della sua home page, dove si afferma che ad Adams: "è attribuito [e da chi?] la nascita dell'intera industria dei videogiochi, che oggi vale svariati miliardi all'anno". Avrei anche potuto convenire su un "contributo alla nascita", ma scritto così... Ne sei davvero convinto, Scott? Davvero credi di aver fatto nascere tutto da solo l'industria dei giochi su computer?
Tuttavia Adams si merità più considerazione e più rispetto, di quanto non ne riceva dalla community, per aver portato per primo le avventure testuali nelle case della gente comune e, in conseguenza di questo, per aver dimostrato al mondo che era possibile vivere agiatamente di questa attività. La sua realizzazione di un'avventura testuale giocabile su un TRS-80 con soli 16 K di RAM e un lettore di cassette fu concettualmente audace e tecnicamente impressionante; il fatto che ci sia riuscito utilizzando il lento e inefficiente BASIC del TRS-80 rende l'impresa ancora più memorabile.
Il più grande fallimento di Adams nel lungo periodo fu forse la sua incapacità di percorrere la transizione dalle avventure testuali di caccia al tesoro alla più sofisticata narrativa tipica dell'interactive fiction della Infocom. Il che sarebbe dimostrato anche dal suo apparente disinteresse nel migliorare la tecnologia dietro ai suoi giochi, se si esclude il mero tentativo di infiorettare con grafica e colori le sue semplicistiche opere.
Ma questa è materia per i prossimi post. Oggi voglio parlarvi del primo capolavoro di Adams: Adventureland.
Nato nel 1952, Adams aveva già una vasta esperienza professionale con i computer prima di scrivere Adventureland nel 1978, avendo completato i suoi studi di informatica presso il Florida Institute of Technology, avendo avuto a che fare con i computer durante un periodo in Marina, e avendo lavorato come programmatore presso la Stromberg-Carlson (uno di primi produttori di centraline telefoniche private). Adams inoltre aveva costruito e provato i microcomputer a casa propria fin dal 1975, quando con l'apposito kit si costruì uno Sphere 1. A partire da un gioco del tris che "non sapeva perdere", la sua principale attività con queste macchine è stata sempre quella di scrivere e giocare a videogiochi. Come molti altri hacker, anche lui restò stregato quando Adventure spuntò sul suo computer di lavoro e (come molti altri) quando finalmente lo ebbe completato, si dedicò a scrivere il suo Adventure. Ma -a differenza di tutti gli altri che lo fecero sui grandi computer istituzionali- Adams scelse come piattaforma il suo piccolo TRS-80.
Adams ovviamente non si era imbarcato nell'impresa con l'aspirazione di portare la narrativa interattiva alle masse. Nel tipico stile hacker, egli fu attratto da questo progetto perché era una sfida tecnica interessante per battere le limitazioni del TRS-80, ed era al contempo un'occasione per lavorare con le parole (cosa che non aveva mai fatto prima).
Essendo un programmatore di una certa esperienza, Adams condivideva con la maggior parte degli hacker una predilezione per la creazione di sistemi e strumenti robusti e riutilizzabili, piuttosto che programmi fini a sé stessi. Iniziò quindi a lavorare non tanto su un singolo gioco d'avventura, quanto su un sistema riutilizzabile per l'implementazione di avventure testuali. Divise quindi il progetto in tre parti: una specie di editor di database (che gli permettesse di inserire i dati volti alla creazione del mondo virtuale di ogni gioco), un interprete (che leggesse tali dati e permettesse al giocatore di interagirci), e in fine i dati del gioco vero e proprio.
Si tratta di un sistema notevole, anche se dobbiamo chiarire che Adams non creò una vera e propria virtual machine (come fece invece la Infocom con la sua Z-Machine, come vedremo in futuro). Infatti se da un lato è vero che l'interprete va effettivamente a leggere i dettagli delle stanze, degli oggetti, e di quant'altro, dall'altro lato la maggior parte della sua funzionalità è hard-coded all'interno dell'interprete BASIC. Per esempio l'engine presuppone che tutto il gameplay si sviluppi intorno alla raccolta di oggetti (tesori) e al depositarli in una specifica location. Quindi qualunque modifica non banale di Adventureland richiederebbe una modifica al codice dell'interprete, non fosse altro che per il fatto che al suo interno si trovano anche il titolo del gioco e le istruzioni.
A ben vedere si tratta quindi di un sistema ibrido, incredibilmente simile a quello dello stesso Adventure (che pure divideva la sua funzionalità fra il codice del programma e i file di dati).
E, a dire il vero, avendo appena giocato la versione originale di Adventureland, sono stupito da quante siano le similitudini con il suo predecessore.
Tanto per cominciare anche Adventureland è una caccia al tesoro senza trama che inizia in una foresta.
L'area all'aperto di Adventureland è più grande e più interessante di quella di Adventure, con dei veri e propri enigmi ulteriori a quello (scontato) di trovare l'accesso al sotterraneo.
Il suo complesso sotterraneo invece è molto più piccolo, come era logico aspettarsi viste le limitazioni con cui Adams doveva fare i conti. Questo però non danneggia più di tanto il gioco: l'impossibilità tecnica di Adams di concedersi dozzine di locazioni vuote fa sì che tutto sia più concentrato e più facilmente gestibile da parte del giocatore. L'immancabile labirinto, per esempio, consiste di sole sei stanze, differenza assai significativa e gradita rispetto alle mostruosità di Adventure.
Questo però non fa di Adventureland un gioco più giocabile, almeno per gli standard odierni. Le aree all'aperto sono piene delle solite connessioni non reciproche fra stanze, che rendono una vera pena la mappatura e la navigazione, addolcita (ancora una volta) solo dal fatto che non sono poi così tante. Anche qui il grosso della sfida è rappresentato dalla logistica delle fonti di luce e della gestione dell'inventario, senza dimenticare l'esistenza di dozzine di occasioni per rovinare la partita rendendola interminabile, molte delle quale assolutamente imprevedibili prima che accadano.
Per comprendere a pieno il vero livello di crudeltà di tutto questo, vi invito a mettervi nei panni di chi all'epoca lo giocava su un vero TRS-80, dove è possibile ricaricare una posizione salvata solo riavviando il gioco da cassetta (procedura che richiede circa 25 minuti). E senza dimenticare che salvare una partita richiede più di 4 minuti! Non c'è da meravigliarsi quindi se Adams poté pubblicizzare Adventureland come un gioco che avrebbe richiesto settimane, se non mesi, per essere completato! Quello che si era dimenticato e che, per poterlo fare, oltre a un TRS-80 sarebbe servita anche la pazienza di Giobbe...
Negli enigmi di Adventureland ho notato la medesima dicotomia di cui ho parlato analizzando Adventure: la maggior parte di essi sono o troppo semplici e evidenti, o ingiusti fino al punto di risultare assurdi, con pochissime eccezioni collocate nel giusto mezzo. E, sempre come in Adventure, da certi punti di vista anche Adventureland ha una curva di difficoltà sorprendentemente progressiva, riuscendo anche a infilare un buon numero di indizi nei suoi 16 K... salvo poi lasciare alcuni dei suoi enigmi peggiori totalmente senza indizi.
Prendete ad esempio l'enigma dell'orso (che a sua volta è un'altra reminiscenza di Adventure). Vi blocca la strada e si può spostare solo con l'azione del tutto ingiustificata di GRIDARE. Le versioni successive permettono al giocatore anche di URLARE all'orso (vi invito a leggere la recensione di Grunion Guy per un divertente aneddoto al riguardo), ma nella versione originale si poteva solo GRIDARE.
Per rendere l'enigma ancora peggiore, l'orso viene descritto come "affamato"; il che immancabilmente induce il giocatore a cercare di sfamarlo con il miele che ha trovato altrove; il che funzionerebbe anche, se non fosse che il suddetto miele è anche un tesoro (!?!) che deve essere conservato se si vuole completare il gioco! Tutto questo non è solo eccezionalmente crudele, ma quel che è peggio è che la soluzione sbagliata rappresenta al tempo stesso una soluzione molto più equa e gratificante di quella corretta!
Devo però aggiungere che anche qui, come in Adventure, un parser e un world model ancora estremamente primitivi rendono assai ardua l'ideazione di enigmi avvincenti che non scadano nell'iniquità più assoluta.
Vi invito ad esempio ad analizzare la sua implementazione del verbo TIRARE, che ci mostra come già allora Adams stesse lottando con i limiti del suo parser a due parole.
[Mi permetto di aggiungere che questa mi pare un'altra similitudine con il suo predecessore: infatti anche il drago di Adventure non viene nemmeno scalfito dalla nostra ascia. ndTraduttore]
Non sarebbe invece molto equo da parte nostra giudicare il testo di Adventureland secondo i normali criteri letterari, visto che ogni articolo determinativo o indeterminativo usa memoria preziosa (e quindi vengono tutti scartati a priori). Tuttavia ci sono dei passaggi in cui Adams sembra raggiungere una sorta di poetica minimalista.
A volte poi ha qualche problema di ortografia...
... ma, nel complesso, l'esperienza mantiene un suo fascino bizzarro...
... e, alla fine, il gioco si conclude così:
E questo è tutto quello che c'è da dire su Adventureland, davvero. Nessun progresso rispetto allo schema della caccia al tesoro creato da Adventure, per quanto la sola esistenza di Adventureland sia di per sé un risultato assolutamente ragguardevole. E poi, ancora oggi, è in un certo senso divertente, seppur nella sua maniera semplice e ingenua.
Se volete provarlo, ci sono moltissimi modi per farlo. Il più accessibile dei quali è la versione Java giocabile in browser che è disponibile su FreeArcade. Lo stesso Scott Adams offre delle versioni scaricabili del gioco sul suo sito. O, se desiderate l'esperienza più autentica possibile, ho uno stato salvato per il MESS TRS-80 che vi permetterà di giocare all'originale versione BASIC sul suo hardware (virtuale) originale (consultate il mio post sull'emulazione del TRS-80 per iniziare con piede giusto).
La prossima volta vi parlerò di come Adventureland fu commercializzato e recepito, e di come generò una moda (passeggera) per gli adventure.
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Grazie, OGI. Arrivederci!
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