Escape!

Bentornati feticisti dell'inchiostro digitale,
l'attesa è stata lunga, ma riparte finalmente il nostro viaggio nella storia delle avventure testuali (e non solo). Ora potrete placare la vostra bramosia di Digital Antiquarian con una piccola gustosa chicca, un regalino natalizio, ripescato dal glorioso archivio storico di OldGamesItalia, grazie al contributo del nostro instancabile The Ancient One, depositario di ancestrali saperi, vera memoria storica di OGI.
 
E allora, stappate un Franciacorta e degustate il nostro antipasto natalizio.
 
Festuceto
 
Vi è mai capitato, mentre siete alle prese con qualcosa di completamente diverso, di imbattervi per caso in qualcosa che avete cercato a lungo? Ebbene, sappiate che ho appena trovato l’equivalente digitale del gioco preferito del mio gatto (che la scorsa settimana ho ritrovato per puro caso, mentre mi allungavo sotto il mobiletto della TV per collegare il nuovo decoder). Ho infatti trovato Escape!, il maze game che ispirò Richard Garriott a programmare in 3D i labirinti di Akalabeth. Ho così scoperto che è stato scritto da Silas Warner della Muse Software, del quale prossimamente vi parlerò in maggior dettaglio. Nel frattempo ho già aggiornato il vecchio post su Garriott per riflettere questa scoperta [la nostra versione italiana dell’articolo era già aggiornata; ndAncient]. Ma, per tagliare la testa al toro, ecco qui uno screenshot e l’immagine del disco per giocarci. Digitate “RUN ESCAPE” dopo il boot del disco per iniziare a giocare. [il gioco richiede un emulatore di Apple II; ndFestuceto].

 
Noi di OldGamesItalia abbiamo (non senza difficoltà) ripescato nei polverosi archivi del sito, e direttamente dal mitico Ultima VII Babylon, l'estratto dell'intervista con la "confessione" del nostro simpatico Lord British, sapientemente sottotitolato dallo staff di OGI.
Buona visione!

 
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
Se anche voi apprezzerete questo interessantissimo blog, non mancate di visitare la pagina ufficiale (in lingua inglese) e di sostenerlo tramite Patreon.
Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto
 
 

 

Avatar (1979)
The CRPG Addict (traduzione ufficiale italiana)

 
Tutte le storie, anche le più belle e appassionanti, sono destinate a concludersi. E con l'articolo di oggi chiudiamo la narrazione dei GDR per computer sviluppati per PLATO, in assoluto i primi giochi di ruolo digitali, squisitamente amatoriali, pionieristici, sorprendentemente in anticipo sui tempi, sviluppati in un contesto di assoluta libertà creativa e limitazioni tecniche - per l'epoca - non particolarmente castranti.
 
L'ultimo GDR scritto per PLATO, per quel che ne sappiamo, è l'interessantissimo Avatar. Siamo arrivati alla fine degli psichedelici anni '70 quando gli home computer, negli USA, iniziavano a penetrare nelle abitazioni della borghesia e con essi vi giungevano anche i videogiochi di ogni genere, inclusi i GDR. Niente a che vedere però con Avatar, un gioco impressionante per l'epoca, superiore persino al suo predecessore Oubliette. Infatti Avatar raccoglie l'eredità dei principali GDR per PLATO, ne distilla le caratteristiche migliori e vi aggiunge elementi del tutto nuovi, presentandosi come il probabile apice della scena dei giochi di ruolo di quel tempo.
 
E con Avatar salutiamo definitivamente il PLATO (forse...), mentre il nostro CRPG Addict si prende una pausa estiva di qualche mese, ma tranquilli, la storia dei primi GDR per computer è ancora lunga e ci resta da analizzare l'importantissima linea evolutiva che nasce dal DND di Daniel Lawrence, poi commercializzato col titolo di Telengard e approdato sui più famosi computer domestici.
Il nostro è solo un arrivederci e intanto preparatevi per un gradito ritorno, per restare sempre in tema di avventure...
 
Di seguito la rassicurante lista dei giochi trattati in questo primo ciclo di recensioni del CRPG Addict:
 
Avatar (1979)
DND - Dungeons & Dragons (1977)
 
Buona lettura, avventurieri!
 
 
Reset programmato per il 15 Novembre
 
Benvenuto in AVATAR
 
1 utente
 
Sento di avere il vento in poppa con questi giochi per PLATO e voglio finirli finché ho sempre fresco in mente il ricordo degli altri giochi e delle mie conversazioni con gli sviluppatori. Ho realizzato una breve cronologia della mia serie di articoli dedicati al PLATO (e quindi ai primissimi GDR per computer di cui si hanno notizie) nel post di Orthanc [per vostra comodità trovate sempre l’indice con tutti i link alle traduzioni italiane ufficiali di OldGamesItalia nell'introduzione all'articolo; ndAncient]. Avatar è un titolo di notevole interesse, essendo l’ultimo della serie, nonché l’unico a essere stato sviluppato dopo che i primi GDR commerciali erano già apparsi sul mercato dell’Apple II e del Commodore PET. A volte mi chiedo come reagirono ai primi GDR commerciali gli studenti che avevano conosciuto i giochi per PLATO; ai loro occhi di certo non dovevano apparire troppo entusiasmanti.
 
Secondo una citazione di Wikipedia, l’autore Richard Bartle avrebbe detto che Avatar era stato scritto per “surclassare Oubliette” (del quale ho scritto un articolo sul blog lo scorso Ottobre 2013). Ebbe un incredibile successo: “il gioco per PLATO di maggior successo di sempre”, che da solo rappresentava “il 6% di tutte le ore spese sul sistema fra il Settembre del 1978 e il Maggio del 1985”.
La sezione della città di Avatar.
 
Scegli un’opzione:
 
Banca 
Obitorio                                                   
Negozio Generale
Gilde                                                                   
Incantesimi                                             
Dunegon
 
E capisco bene il perché. Avatar è impressionante adesso e doveva essere stupefacente nel 1979. Attinge a tutti gli elementi migliori dei giochi per PLATO che lo hanno preceduto (e in particolare a Oubliette, ma anche a Moria e a Orthanc) e anticipa i giochi che verranno (inclusi i roguelike e i MMORPG). Ancora oggi gode di buona salute: il reset programmato per il 15 Novembre [2013; ndAncient] di “Vavatar” (una delle tre versioni disponibili del gioco) era una grande notizia su Cyber1 e quando ho acceduto domenica pomeriggio c’erano già altri 35 giocatori. Tutta gente che non gioca per curiosità storica; Cyber1 ha regole stringenti contro il cheating nelle versioni attive del gioco. Ci sono fan page, elenchi di oggetti, file di suggerimenti un po' ovunque su internet. E se anche la community di appassionati non è folta o esperta di tecnologia come quella, per esempio, di NetHack, è comunque certamente ancora molto attiva!
Gli utenti presenti quando mi sono unito al gioco. Questo gioco piace anche a “Batkid”!
 
Come è avvenuto con altri giochi per PLATO, lo sviluppo di Avatar non si è mai interrotto dopo la sua pubblicazione iniziale nel 1979, quindi non so dire con certezza quanto di ciò che sto per scrivere fosse presente nella versione originale. L’ultima data di copyright che appare nella schermata principale di tutte le versioni è il 1984. Io ho giocato per la maggior parte del tempo nella lezione “2avatar”, che secondo Cyber1 è quella più simile all’originale. Il dungeon, come quelli dei predecessori del gioco, è pieno di mostri e di tesori. Il giocatore non ha uno scopo specifico complessivo o una quest, se non quello di salire di livello e di grado nella gilda. La sua esperienza conosce un solo limite massimo, che è quello dell’età (ogni razza ha un’età massima) e dell’occasionale reset amministrativo del dungeon.
Una tipica finestra dell’esplorazione in Avatar. In basso a sinistra potete vedere le mie statistiche, il mio  equipaggiamento in basso a destra, una porta davanti a me, e due -pardon, uno!- goblin nel mezzo.
 
Ne hai ucciso 1
1 goblin ti attacca per 7 danni.
 
Come Oubliette, anche Avatar utilizza le sei statistiche standard di D&D, ma rispetto a quest'ultimo ha una selezione più ampia di razze e di "classi". Fra le razze il giocatore può scegliere i tipici umani, elfi, nani, e gnomi; classi di mostri come: troll, ogre, e giganti; e scelte più esotiche tipo i Cirilians ("i più versatili"), gli Osiri (che sono dei buoni ladri), e i Morlochs (che hanno un’abilità magica innata). Non conosco le fonti di queste ultime tre razze, se si esclude la palese connessione dell’ultima con i Morlocchi di H.G. Wells.
Qui sto creando un nuovo personaggio.
 
Il gioco è il primo a consentire una scelta dell’allineamento fra buono, neutrale, e malvagio (Oubliette aveva gli allineamenti, ma erano legale, neutrale, e caotico) e il primo a consentire al giocatore di scegliere il sesso del proprio personaggio. È anche il primo ad avere certi oggetti dell’equipaggiamento riservati a specifici allineamenti.
 
Il giocatore non sceglie una classe per il proprio personaggio, ma invece ne determina le caratteristiche partendo da un pool di punti da assegnare (con i valori minimi e massimi di ogni caratteristica che sono basati sulla razza) e poi sceglie a quale gilda unirsi fra una selezione di 11: guerriero, ninja, ladro, mago, stregone, guaritore, incantatore, cacciatore di tesori, cercatore, paladino, e malvagio. Ogni personaggio appartiene dall'inizio alla gilda del “nomade”, ne può scegliere un'altra gratuitamente, e in seguito può pagare per unirsi ad altre ancora. Le gilde hanno tutte dei requisiti minimi di caratteristiche per potervi accedere; per esempio serve un carisma di almeno 16 e una destrezza di almeno 15 per potersi unire alla gilda dei paladini. Hanno anche dei requisiti di allineamento (niente malvagi buoni, o guaritori malvagi) e di razza (niente guaritori ogre o paladini troll). Il mio personaggio di maggior successo, un  Osiri buono con Forza 16, Intelligenza 9, Saggezza 6, Costituzione 12, Carisma 12, e Destrezza 20, aveva i requisiti per essere ammesso solo alla gilda dei cercatori di tesori (guerrieri/ladri), principalmente a causa della sua bassa saggezza, ma anche perché la gilda dei guerrieri (per la quale avrebbe avuto i giusti requisiti) non accettava Osiri.
Qui mi sto unendo alla gilda dei cercatori di tesori.
 
Cercatori di Tesori
 
Requisiti della Gilda:
Forza maggiore o uguale a 11
Intelligenza maggiore o uguale a 8
Saggezza maggiore o uguale a 6
Costituzione maggiore o uguale a 9
Carisma maggiore o uguale a 4
Destrezza maggiore o uguale a 14
 
Il Maestro della Gilda Mad Max è di livello 999.
_________________________________________________________________________________
Non sei ancora istruito nella nostra arte.
Puoi unirti a questa gilda gratuitamente.
Vuoi diventare uno di noi?
 
L'appartenenza a una gilda non determina solo gli incantesimi disponibili, ma anche quali armi e armature possiamo impugnare e quali skill aggiuntive possiamo avere. Quando avrete abbastanza punti esperienza, potrete decidere in quale gilda (cioè “classe”) passare di livello. In sostanza qui abbiamo le regole per i personaggi multi-classe della terza edizione di D&D, già nel 1978!
 
Purtroppo il combattimento presenta invece le stesse limitate opzioni di Oubliette o Moria, riducendosi sostanzialmente a premere “f” per combattere e “s” per lanciare un incantesimo. Il successo dipende dai punteggi di attacco e di difesa; in entrambi i casi, più sono alti e meglio è. Non penso ci siano teoricamente limiti, né inferiori né superiori. Si inizia con una percentuale base di colpire del 50%, modificata aggiungendo il nostro punteggio di attacco e sottraendo il punteggio di difesa del nemico.
 
L'equipaggiamento ovviamente modifica sia l'attacco che la difesa. Si inizia il gioco con 500 monete d'oro prestate dalla banca. Gli oggetti utilizzabili vengono limitati dalla nostra classe. Iniziano a buon mercato, con equipaggiamento in pelle e in bronzo, per poi salire drammaticamente nell'ordine delle migliaia di monete d'oro per qualunque cosa un po' migliore. Il gioco è unico per avere un'economia chiusa, cioè un numero fisso di monete d'oro in possesso della banca, dei mostri, e dei giocatori. Fra un reset e l'altro, i giocatori che arrivano per ultimi hanno apparentemente grosse difficoltà a ottenere dell'oro.
Oh cielo, di cosa diavolo è fatta quell'imbottitura?!?
 
Armatura di pelle 9
Armatura di pelle imbottita 7.000
Mantello 9
Stivali di pelle 9
 
Non ho potuto fare molti esperimenti con gli incantesimi. Come ho detto, ogni classe ha un libro degli incantesimi unico, con gli incantesimi organizzati per tipi, fra cui: danno, cura, potenziamento, e navigazione. La classe del “cercatore” è interessante perché è specializzata nella capacità di muoversi rapidamente per il dungeon attraverso incantesimi di informazione e di teletrasporto. Una novità di questo gioco è la possibilità di utilizzare degli “slot veloci” per gli incantesimi, assegnando loro dei numeri del tastierino numerico.
Gli incantesimi disponibili per i membri della gilda dei paladini.
 
Santuario
Cura Minore
Rimuovi Veleno
Sveglia
Cura
Cura Malattie
Guarigione Minore
Dissolvi Non Morti
Cura Maggiore
Guarigione
Controlla Umanoidi
 
Avatar è sostanzialmente un gioco multiplayer. Potete viaggiare da soli, ma vi servirà un bel po' di fortuna. Come riportato anche nel file di aiuto, le avventure in solitario sono rischiose “perché ogni singolo personaggio avrà solo una o due skill, mentre per essere abbastanza sicuri ne servono almeno tre o quattro”. Il dungeon è terribilmente letale per giocatori singoli, alle prime armi, e senza esperienza, come ho potuto sperimentare personalmente con i miei primi personaggi di prova. Nessuno di loro è sopravvissuto per più di qualche combattimento, anche quando tutto quello che facevo era letteralmente tentare di ritirarmi su per le scale tornando in città per recuperare salute. In più, alcune delle caratteristiche migliori del gioco sono pensate per il multiplayer, come la finestra di messaggistica, la possibilità di chiedere aiuto, o quella di scambiare oggetti. I nuovi giocatori sui server multiplayer avranno vita assai più facile se i loro compagni gli permetteranno di unirsi a loro, dandogli un equipaggiamento migliore e delle pozioni per potenziare le caratteristiche.
 
Ho scoperto diverse altre cose introdotte per la prima volta da Avatar, prevalentemente attraverso la documentazione, piuttosto che attraverso l'esperienza diretta personale:
 
 - Le gilde possono darvi delle quest che consistono nell’uccidere certi mostri o nel trovare degli oggetti specifici, ed è il primo gioco in assoluto a offrire delle quest del genere. I mostri scelti sembrano essere casuali, seppur basati sul livello del personaggio. La dinamica è così simile a quanto ha fatto Richard Garriott con Akalabeth che pare quasi impossibile credere che l’uno non abbia influenzato l’altro, ma non vedo come ciò sarebbe potuto accadere. Non mi risulta che Garriott sia mai stato in nessun posto dove avrebbe potuto avere accesso al PLATO e al tempo stesso la prima versione di Akalabeth uscì lo stesso anno di Avatar, ma con una diffusione assai limitata, il che rende improbabile che sia stato Avatar a essere influenzato da Akalabeth.
 
 - Gli incontri casuali con i mostri possono essere anche pacifici. I mostri potrebbero anche unirsi al gruppo se il carisma del leader è abbastanza alto.
Chester incontra una coppia di goblin amichevoli. Purtroppo non lo sono rimasti a lungo.
 
 - I giocatori possono “spedire dei rapporti” dei mostri incontrati in location specifiche, per far sì che sia più facile trovarli e risolvere le relative quest.
 
 - Il gioco è volutamente vago sui mostri e gli oggetti che si possono incontrare nei dungeon, invitando i giocatori a prendere appunti, imparare tramite l’esperienza, e condividere le proprie conoscenze con gli altri giocatori; una dinamica che ritroviamo in molti roguelike successivi come NetHack.
 
 - Il dungeon presenta trappole e ostacoli alla navigazione che non si erano mai visti prima, ma che però ritroveremo in decine di giochi successivi, come: teletrasporti, fosse, zone di tenebre, quadretti che vi fanno girare su voi stessi senza preavviso (i così detti “spinners”) e quadretti che dissolvono i vostri incantesimi attivi. Ci sono però anche ostacoli che sono rari o addirittura esclusivi di questo gioco, come: le sabbie mobili, i “quadretti illusori” che vi fanno vedere cose che non ci sono, e i corridoi che scendono gradualmente verso il basso portandovi così in un altro livello senza che ve ne rendiate conto.
 
- I mostri possono usare un’ampia varietà di effetti speciali che ormai ci sembrano normali in un GDR per computer, ma che allora di certo non lo erano, come: veleno, malattie, pietrificazione, invecchiamento, sonno, paralisi, risucchi di caratteristiche, attacchi a soffio, e la capacità di distruggere o rubare oggetti e oro. Inutile dire che queste caratteristiche anticipano di qualche anno Rogue e NetHack.
 
 - C’è un gran numero di comandi da tastiera che dipendono dal contesto di gioco, con tanto di varianti per l’uso maiuscolo e minuscolo. Per esempio “t” vi fa salire e scendere le scale, ma “T” vi fa seguire un altro giocatore.
 
Come ho detto sopra, Cyber1 ha tre versioni di Avatar, coi nomi di “'2avatar' per l’originale, 'Zavatar' per il gioco aggiornato, e 'Vavatar' per i ‘pazzi estremisti’”. Non so bene come interpretare quest’ultimo, ma la maggior parte dei giocatori era su “Vavatar”. Ogni versione permette allo stesso giocatore di gestire più di un personaggio, e il regolamento ci avverte che se veniamo beccati a superare il limite di due o quattro personaggi creati tramite dei login addizionali, il nostro account sarà immediatamente cancellato. Non è male l’idea di permettere a un singolo giocatore di controllare un gruppo di avventurieri, ma purtroppo io non sono riuscito a far funzionare questa feature. Forse servono dei privilegi speciali che permettano di fare il login da più di un terminale alla volta (e io di certo non li ho), o forse servono account diversi per ogni personaggio.
 
In ogni caso, dopo aver sperimentato quanto più possibile della primissima versione, ho provato "Vavatar". Tutto quel che ho potuto vedere di diverso è stata una nuova classe “Warlock” (che è una specie di guerriero/ladro) e alcune nuove skill e abilità associate a ogni gilda. Esplorando il dungeon mi è sembrato che ci fossero meno gruppi di nemici composti da più unità, il che rende le cose un po’ più facili, ma nonostante questo non sono riuscito a superare il secondo livello. Ho cercato un gruppo a cui unirmi, ma non sapevo come trovarne uno, e comunque è noto che io preferisco il single-player.
 
Anche se Avatar è un passo avanti rispetto a Oubliette, esso in realtà non fa niente di nuovo o di migliore per quanto riguarda la storia e i PNG. Anzi, forse peggiora un po’ le cose, perché non ci dice niente del mondo di gioco (anzi, non gli dà nemmeno un nome). E poi non ha i gregari che invece ci sono in Oubliette e che rendono l’esperienza single-player molto più accessibile, e comnque, in generale, è semplicemente troppo difficile da affrontare per un giocatore singolo. Tuttavia, rispetto a Oubliette, è più sofisticato per quanto riguarda l’economia, l’equipaggiamento, e le pur limitate quest. Questi pregi e questi difetti si annullano l’un l’altro, e Avatar finisce con un punteggio di 32 sul mio GIMLET, contro il 31 di Oubliette.
 
I tre ideatori originali, più gli sviluppatori successivi, di Avatar sembrano aver goduto di solide carriere all’altezza del loro talento. Bruce Maggs ha insegnato informatica alla Carnegie Mellon e alla Duke University; Andrew Shapira è un ingegnere capo ad Amazon.com; David Sides ha occupato tutta una serie di posizioni manageriali nello sviluppo del software; Tom Kirchman è stato “chief technology officer” per due diverse società; Greg Janusz è il presidente di una società da lui fondata; non riesco invece a trovare da nessuna parte Mark Eastom,ma siamo comunque a 5 su 6.
 
Una versione commerciale, single-player, di Avatar è stata pubblicata per Windows 95 col titolo di Mordor: The Depths of Dejenol. A giudicare dalla sua pagina di Wikipedia sembra aver conservato le classi, il dungeon di 15 livelli, e il sistema delle gilde, offrendo però anche un boss (il “Principe dei Diavoli”) da sconfiggere come quest principale. Non so che tipo di accordi avesse lo sviluppatore di questo titolo (David Allen) con gli sviluppatori dell’originale Avatar, quindi non so dire se si tratti di una spudorata violazione di copyright, oppure di un simpatico omaggio. Quale che sia, lo giocherò di qui a un paio di anni.
 
Ora che abbiamo finito di occuparci dei primi giochi per PLATO, vediamo quali conclusioni generali possiamo trarre da questi giochi.
Mi sono venute in mente queste riflessioni:
 
 - I primissimi GDR per computer erano impudentemente basati su Dungeons & Dragons, dal quale prendevano liberamente in prestito le caratteristiche, le classi, e le razze. L'adozione di questi aspetti è stata praticamente immediata, se consideriamo che la maggior parte di questi titoli è stata sviluppata a distanza di un paio di anni dalla pubblicazione di D&D.
 - Nonostante questo, gli sviluppatori per PLATO non furono mai schiavi del D&D. Non esitarono ad aggiustare le regole di combattimento, a proporre caratteristiche alternative per i personaggi, a introdurre i loro mostri (alcuni adattandoli da altre storie fantasy), a inventare i loro oggetti magici, e a creare le loro tabelle dell’esperienza.
 - I giochi per PLATO nascono in un campus universitario, usando dei terminali collegati in un network. Dato questo contesto, i loro autori non erano interessati al gioco single-player isolato, quanto piuttosto a un senso di comunità. Perfino i giochi che non presentavano un multi-player cooperativo avevano le classifiche pubbliche e i gruppi di discussione. È per questo che i primissimi GDR per computer furono inevitabilmente GDR multiplayer. I giochi single-player per computer non inseriti in un network nacquero successivamente sugli home computer, in modo spontaneo, quando ormai l’era dei GDR per PLATO si avvicinava ad una conclusione.  
 - In aggiunta al punto precedente, dobbiamo forse citare il fatto che non c’era praticamente un singolo GDR per PLATO che non presentasse la permadeath. Ce n’erano alcuni (Moria, Oubliette, e Avatar) in cui i personaggi uccisi potevano essere resuscitati da altri giocatori, ma nessuno in cui i personaggi morti potevano essere riportati in vita tramite salvataggio (solo adesso mi sovviene quanto tardi sia arrivato nei GDR per computer il concetto di “ricaricare”. Scorrendo la mia lista, credo che il primo gioco ad aver presentato questa caratteristica sia stato Ultima nel 1981).
 - In più, sempre (in parte) in virtù dell’aspetto multiplayer, questi giochi non si preoccupavano minimamente dell’idea di “gioco di ruolo” nei termini in cui noi la pensiamo oggigiorno. Non erano stipati di storia o di "lore", né i loro dungeon erano riempiti di incontri speciali e di PNG. Viene da chiedersi se tutte queste cose non siano emerse proprio per compensare la mancanza di interazione con altri esseri umani nel gioco offline.
 - Il focus di questi giochi (le statistiche per il combattimento, la logistica, la permadeath) riflettevano esattamente la realtà dei giochi di ruolo pen-and-paper dell’epoca. "Non puoi 'ricaricare' un personaggio morto nel D&D cartaceo", dovevano aver pensato i game designer dell’epoca, "Perché mai dovresti poterlo fare su computer?"
 - Ci vollero molti anni prima che le capacità computazionali degli home computer fossero paragonabili a ciò che era stato programmato sul mainframe del PLATO. E alcuni dei tentativi migliori presero palese ispirazione proprio dai giochi per PLATO.
 - Nessuno degli sviluppatori per PLATO, nonostante le loro opere e le loro grandi idee, sembra aver avuto una carriera nei videogiochi. L’unica piccola eccezione è Jim Schwaiger, che ha partecipato alla realizzazione di una versione commerciale di Oubliette.
 - Tutti i giochi per PLATO sono dotati di un’eccellente documentazione.
Una parte del file help di Avatar, che indica quali classi sono disponibili per ogni razza.
 
Un asterisco (*) indica che un personaggio di una determinata razza può unirsi alla corrispettiva gilda. Tutti i personaggi sono automaticamente membri della gilda dei Nomadi. Ci sono anche altri requisiti per unirsi ad una gilda. Per esempio, per unirsi alla gilda dei Maghi, ci sono dei requisiti minimi di intelligenza. Altre informazioni su questi requisiti minimi saranno presentate in seguito.
 
Tuttavia, tecnicamente parlando, non abbiamo ancora finito con il PLATO. La home page di Cyber1 ha annunciato Camelot, un nuovo GDR per PLATO basato sul codice originariamente sviluppato negli anni '80. La home page indica un copyright datato 1982-2013, quindi presumo che lo inserirò nei giochi del 1982 e quindi anche nel mio backlog.
 
Questi sono i PIU' GRANDI cavalieri di CAMELOT
 
La prossima volta: o torneremo a Legend of Faerghail (se riesco a capire come far funzionare l'emulatore Amiga) o ci lanceremo in un inizio anticipato di Buck Rogers: Countdown to Doomsday.
 
****
 
Per approfondire: Date un'occhiata al mio articolo “I Primi GDR per Computer” scritti sul PLATO e disponibili su Cyber1, fra cui The Dungeon (alias "pedit5", 1974), The Game of Dungeons ( alias "dnd", 1975), Orthanc (1975), Moria (1975), e Oubliette (1977).
"The Game Archaeologist" si è occupato dei giochi per PLATO (non solo dei GDR) in Agosto e Matt Barton ha scritto un articolo sulle sue esperienze con i GDR per PLATO nel 2007, seguito da una video-recensione nel 2009.

The CRPG Addict è un blog, scritto da Chester Bolingbroke, che racconta il viaggio dell’autore (in ordine grossomodo cronologico) in oltre 40 anni di storia dei giochi di ruolo per computer. L’autore gioca ad un titolo, ne discute i punti di forza e di debolezza, il suo posto nella storia dei GDR per computer, l’influenza che ha avuto sui titoli successivi, e l’esperienza di affrontarlo al giorno d’oggi.
OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore! Se anche voi apprezzerete questo interessantissimo blog, non mancate di visitare la pagina ufficiale (in lingua inglese) e di sostenerlo tramite Patreon.

Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


Consulta l'indice per leggere gli articoli precedenti

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Discutiamone insieme sul forum di OldGamesItalia!

 

I primi CRPG
The CRPG Addict (traduzione ufficiale italiana)

 
Dopo il successo della versione italiana del The Digital Antiquarian, OldGamesItalia è lieta di presentarvi una nuova iniziativa: la traduzione italiana ufficiale del blog The CRPG Addict!
 
Il blog racconta il viaggio del suo autore (Chester Bolingbroke) in oltre 40 anni di storia dei giochi di ruolo per computer. L’autore gioca ad un titolo, ne discute i punti di forza e di debolezza, il suo posto nella storia dei GDR per computer, l’influenza che ha avuto sui titoli successivi, e l’esperienza di affrontarlo al giorno d’oggi.
 
Questa nuova iniziativa si apre con la traduzione dei post dedicati ai primissimi giochi di ruolo per computer, quelli apparsi sulla piattaforma PLATO (al riguardo vi invitiamo a leggere anche gli articoli del The Digital Antiquarian ad essa dedicati).
 
Buona lettura!
 
The Ancient One
 
La schermata di benvenuto di Dungeon, un GDR per computer del 1975 per PLATO.
 
Il jazz è, insieme ai GDR per computer, la più grande passione della mia vita. La mia registrazione jazz preferita è quella del 1927 di Bix Beiderbecke, Frankie Trumbauer, e Jimmy Dorsey che suonano "Singin' the Blues" (qui ne trovate una versione, non proprio perfetta, su YouTube). Il pezzo è particolarmente significativo come punto di transizione fra la gioiosa e polifonica cacofonia del jazz in stile New Orleans e l'era dei grandi solisti, nonché fra la pseudo-improvvisazione attentamente orchestrata (almeno nelle registrazioni) di Dixieland e l'improvvisazione pura dell'imminente era del bebop.
 
Quel che ha di notevole questa performance è che l'orchestra non esprime mai la melodia. Dal momento in cui Trumbauer irrompe con il suo sassofono C melody, è tutta improvvisazione. Se anche aveste le lyrics davanti, avreste comunque problemi a cantarla, proprio come li avreste con la registrazione del 1939 di "Body and Soul" di Coleman Hawkins. Ma le lyrics non ce l'avete, nonostante quel che un bel po' di siti web vi diranno; non potete proprio avercele, perché in realtà non sappiamo proprio quali fossero. Personalmente non sono nemmeno mai riuscito a trovare una versione "liscia" della melodia. Tutto quel che possiamo fare è cercare di ricostruirla dalla performance di Beiderbecke/Trumbauer.
 
Nella storia del jazz ci sono un sacco di casi come questo. Non siamo nemmeno certi dell'origine del termine. Non sappiamo che suono avessero le prime orchestre jazz, perché non sono state registrate fino al 1917 e anche allora erano contenute in soli tre minuti. Del primo grande solista jazz, Buddy Bolden di  New Orleans, non abbiamo ovviamente nessuna registrazione, ma solo una fotografia rovinata. Non sappiamo chi suonasse il trombone in "Singin' the Blues" o chi suonasse alcuni degli strumenti nelle primissime registrazioni di Louis Armstrong. La verità è che gran parte della storia del jazz è semplicemente andata persa.
 
Per fortuna questo non deve per forza accadere anche con i GDR per computer. A differenza del jazz (i cui antecedenti risalgono al Sud degli Stati Uniti d'America dell'Anteguerra) possiamo stabilire con precisione la primissima origine dei GDR per computer. Per prima cosa infatti i computer non avevano abbastanza potenza di calcolo per poterli creare fino agli anni '70 e, se escludiamo alcuni precursori che avevano qualche vago tratto di GDR, non potevano certo essere creati prima del primo GDR commerciale non per computer, Dungeons & Dragons, che era stato pubblicato nel 1974. Quindi, per trovare i primi GDR per computer, non dobbiamo spingerci oltre l'inizio degli anni '70 che, anche se ormai sono trascorsi più di 40 anni, restano pur sempre solo 40 anni. Molti dei primi sviluppatori e dei primi giocatori di GDR per computer sono ancora in giro. Gran parte del codice sorgente di quei titoli esiste ancora.
 
In Dungeons and Desktops (2008), Matt Barton chiama gli anni '70 il "Medioevo" dei GDR per computer, ma fa del suo meglio per dipanarne le tenebre. La sua ricostruzione in genere coincide, ma in alcuni casi significativi confligge, con i ricordi di Dirk Pellett, uno dei primi ad aver contribuito alla nascita dei GDR per computer, che ha anche scritto una storia dei primi titoli del genere in un'introduzione a dnd sul mainframe Cyber1 di PLATO. Questa storia di Pellet, sfortunatamente non accessibile via internet, è apparsa nel 2010.
 
Sia Matt Barton che Dirk Pellett fanno risalire i primi GDR per computer al 1974, quasi immediatamente dopo la pubblicazione di Dungeons & Dragons. Pellett ci dice che il primo GDR per computer fosse un file chiamato m199h, che fu cancellato poco dopo la sua creazione da qualcuno sul mainframe PLATO dell’Università dell'Illinois a Urbana-Champaign. Poiché il mainframe doveva servire per "seri studi accademici e per lo svolgimento dei corsi", gli amministratori erano assai solerti a cancellare tutti i software ludici e si può ben sospettare che durante questo periodo furono molti altri i GDR per computer creati e cancellati in vari stadi del loro sviluppo.
 
Il primo GDR per computer sopravvissuto sembrerebbe essere un gioco del 1974 o del 1975 chiamato The Dungeon di Reginald "Rusty" Rutherford, uno studente della  Urbana. Egli chiamò il suo file "pedit5" (che alcune fonti indicano anche come il titolo del gioco) per evitare che un nome troppo esplicito lo facesse cancellare. Ciò non bastò a salvare, eppure, in qualche modo, il codice sorgente fu preservato e adesso può essere giocato su Cyber1.
 
Forse il primo GDR per computer ancora esistente.
 
Il gioco usa una prospettiva iconografica con delle icone sorprendentemente dettagliate.
 
 
Il dnd originale di Gary Whisenhunt e Ray Wood uscì lo stesso anno, e alcune fonti lo collocano prima di The Dungeon. Il gioco attraversò varie versioni ed è questo il titolo a cui  Dirk Pellett e suo fratello Flint Pellett hanno contribuito. Anche questo usa una prospettiva iconografica e i suoi incontri casuali con creature e tesori mostrano che si tratta palesemente di un precursore della linea di giochi DND/Telengard di  Daniel Lawrence, di cui ho già scritto nel Luglio 2010.
 
 
La cosa strana è che la maggior parte delle ricostruzioni storiche insistono sul fatto che il DND di Daniel Lawrence "non deve essere confuso" con il dnd originale, ma secondo me è ovvio che il primo sia un discendente del secondo. E infatti  Dirk Pellett afferma, senza giri di parole, che il DND di Lawrence (commercializzato col nome di Telengard) è un plagio dell'originale dnd di  Whisenhunt/Wood. Lawrence che -ci riferisce Pellett- frequentava la Purdue University e:
 
Ad un certo punto fece una copia sfacciata di dnd su un computer DEC della Purdue, senza che gli autori originali lo sapessero o avessero concesso il loro permesso. Divenne rapidamente popolare e si diffuse con i computer DEC, ma sempre con l'indicazione che l'autore fosse il solo Daniel Lawrence. In seguito egli creò e vendette con un certo successo Telengard, sempre creato basandosi sulle idee di dnd, sempre senza che gli autori di dnd lo sapessero o avessero concesso il loro permesso e senza dividere con loro una parte degli introiti che ne ricavò.
 
[NOTA SUCCESSIVA: In un’email successiva alla pubblicazione di questo post, Dirk Pellet mi rivela che, dopo aver scritto questo articolo sul sistema PLATO, ha avuto modo di visionare il codice sorgente del DND di  Lawrence e ammette di essere un po' meno sicuro che Lawrence abbia plagiato direttamente dnd nel corso dello sviluppo del suo gioco. Ma di questo parlerò in maggior dettaglio quando mi occuperò di dnd in un futuro post.]
 
Le accuse di plagio mosse da Pellett non si fermano qui. Aggiunge anche che dnd fu oggetto di plagio da parte di un utente di PLATO chiamato "Balsabrain", che lo trasformò in un gioco identico chiamato Sorcery. Quando gli amministratori lo scoprirono:
 
La copia fu prontamente cancellata e Balsabrain capì che per realizzare un plagio di un gioco PLATO avrebbe dovuto farlo FUORI da PLATO. Mise a frutto questa lezione creando un plagio di Oubliette quando "creò" il "suo" gioco di Wizardry e iniziò a commercializzarlo.
 
"Balsabrain" non è altri che Robert Woodhead. Nel 2010 ho giocato una versione di Oubliette e anche io ho notato delle palesi influenze su Wizardry, ma non mi sarebbe mai venuto in mente di accusare Woodhead e Greenberg di aver realizzato un plagio. Ho dato un'occhiata all'originale Oubliette (1977) e, anche se esso usa lo stesso set di attributi, la stessa prospettiva in prima persona, e lo stesso dungeon in wireframe di Wizardry, la versione originale sembra che supportasse un solo personaggio. Non so se questo può però essere sufficiente a escludere il plagio: la linea fra plagio e omaggio è molto sottile.
 
Altri CRPG per PLATO degli anni '70 sono:
 
- Dungeon (1975), di John Daleske, Gary Fritz, Jon Good, Bill Gammel, e Mark Nakada, che ancora non sono riuscito ad avviare.
 
- Orthanc (1978), di Paul Resch, Larry Kemp, Eric Hagstrom, e Mark Nakada, che sembra una versione avanzata di The Dungeon/pedit5. Il che ha perfettamente senso, perché numerose fonti ci dicono che quando "pedit5" fu salvato dalla cancellazione, venne rinominato "orthanc1".
 
Orthanc sembra proprio The Dungeon, ma con più opzioni e istruzioni.
 
- Moria (1978), di Kevet Duncombe e Jim Battin, un gioco in prima persona, da non confondere con l'omonimo roguelike.
 
- Avatar (1979), di Bruce Maggs, Andrew Shapira, David Sides, Tom Kirchman, Greg Janusz, e Mark Eastom, che offre un minuscolo dungeon in prima persona realizzato in wireframe, ma anche delle icone aggiuntive.
 
Uno screenshot di Avatar.
 
Questa mia rapida rassegna sembra portare a un paio di conclusioni. Per prima cosa i primissimi GDR per computer si divisero rapidamente nel ramo con la visuale dall'alto/iconografica e nel ramo con la visuale in prima persona.
I primi iniziarono con The Dungeon e/o dnd e dettero origine alla famiglia di dungeon-crawl difficili e pieni di incontri casuali, fra cui annoveriamo Telengard, Caverns of Zoarre, CaveQuest, e DND. Da questo ramo sembrano essersi sviluppati anche i roguelike.
 
Il secondo ramo, iniziato con Oubliette, ha generato (tramite adattamento o tramite plagio) Wizardry e, da lì, Might & Magic.
Richard Garriott, nel frattempo, aveva creato una sintesi dei due rami con la sua serie di Ultima (iniziata con Akalabeth), miscelando l'esplorazione di esterni con visuale iconografica all'esplorazione dei dungeon in prima persona.
 
Adesso che i bravi ragazzi di Cyber1 mi hanno prestato un account, mi sento obbligato a giocare e parlarvi di alcuni dei primissimi GDR per computer. Partirò con The Dungeon e vi farò sapere come è andata. Nel frattempo, qualora abbia scritto qualcosa di sbagliato oppure qualora mi sia perso qualcosa di importante, invito chiunque ne sappia di più della storia dei GDR per computer a commentare.

The CRPG Addict è un blog, scritto da Chester Bolingbroke, che racconta il viaggio dell’autore (in ordine grossomodo cronologico) in oltre 40 anni di storia dei giochi di ruolo per computer. L’autore gioca ad un titolo, ne discute i punti di forza e di debolezza, il suo posto nella storia dei GDR per computer, l’influenza che ha avuto sui titoli successivi, e l’esperienza di affrontarlo al giorno d’oggi.
OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore! Se anche voi apprezzerete questo interessantissimo blog, non mancate di visitare la pagina ufficiale (in lingua inglese) e di sostenerlo tramite Patreon.

Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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California Pacific
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Ci sono due storie in contrasto fra loro su come il gioco che Richard Garriott vendette in quel negozio di ComputerLand di Houston fosse arrivato negli uffici della California Pacific sulla West Coast, uno dei publisher più prolifici e importanti dei primi anni dell'Apple II. Una di queste storie ci dice che l'uomo che aveva spinto Garriott a vendere Akalabeth (John Mayer, il manager di quel ComputerLand) gli fece un secondo enorme favore e spedì una copia alla CP, perché la valutassero. L'altra storia invece ci riferisce che il gioco arrivò negli uffici della CP,  poche settimane dopo essere apparso in quel ComputerLand, grazie ai canali della pirateria. Quest'ultima storia è quella che sta raccontando ancora oggi Richard e, per quel che vale, è anche quella a cui io aderisco. Forse la prima delle due storie è stata inventata in prossimità degli eventi, per evitare che qualcuno dovesse spiegare come fosse stato possibile che del software pirata potesse essere arrivato fin dentro gli uffici della CP.  Sia come sia, Akalabeth arrivò alla loro attenzione e il fondatore della CP (Al Remmers) chiamò Richard prima che l'estate del 1980 giungesse al termine, offrendogli un volo per Davis (in California) per discutere di persona di un contratto di pubblicazione che avrebbe dato ad Akalabeth una distribuzione su scala nazionale.
 
A quei tempi i game designer e i programmatori (che quasi sempre coincidevano nella stessa persona), in grado di superare i limiti concettuali e tecnici, erano autenticamente adorati nella community, ancora piccola ma in rapida crescita, degli utenti di Apple II. Fra i più celebri c'era la stella della scuderia della CP, Bill Budge, che si era fatto un nome nel corso del 1979 e del 1980 con una serie di frenetici giochi d'azione considerati eccellenti per le loro qualità grafiche. Garriott, come ogni altro appassionato utente dell'Apple II, conosceva bene Budge, al punto che la sua prima reazione alla telefonata fu lo stupore per il fatto che la sua opera fosse considerata meritevole dal publisher del grande Budge. Volò quindi in California con al seguito i genitori, che volevano accertarsi che il figlio non venisse spennato dalla parlantina di Remmers. Non ebbero invece di che preoccuparsi e l'accordo fu chiuso rapidamente.
 
Fu proprio Remmers (che quando era in vena aveva un acuto istinto promozionale) a suggerire che il gioco non venisse attribuito a Richard Garriott, bensì al suo alter ego in-game, Lord British, dando così il via a una tradizione che sarebbe durata per molti anni ancora. All'uscita della versione della CP di Akalabeth (probabilmente a fine Ottobre, inizio Novembre 1980), Remmers organizzò un contest con la rivista Softalk, in cui sarebbe stata pubblicata una serie di indizi criptici, dai quali i lettori avrebbero dovuto indovinare la vera identità di Lord British:
 
Lord British non è un membro del polo tecnologico della “Silicon Gulch” a Austin in Texas
 
Lord British ha frequentato la più grande università dello Stato dell'Amicizia.
[il Texas, che nel linguaggio dei nativi americani significava proprio “amicizia” e infatti questa parola è anche il motto dello stato, ndAncient]
 
Lui e la città in cui vive sono strettamente legati a lanci presenti e futuri.
[Si intende i lanci nello spazio della NASA, ndAncient]
 
Lavora in un negozio sulla King’s Highway, vicino alla città del lago dalle acque chiare, nella terra dei computer.
 
A ComputerLand è noto come il Figlio dello Skylab I e, se li chiamassi, lo conosceresti anche te.
 
Nessuno che non conoscesse già Richard Garriott riuscì a decifrare gli indizi, e il contest si spense lentamente in modo piuttosto anticlimatico con una serie di premi di consolazione per cose (come la metodologia di risoluzione più fantasiosa) nel numero di Maggio 1981 di Softalk. Il numero seguente presentava un ampio profilo di Garriott, che finalmente svelava tutto. E così l'ennesima cosa che avrebbe accompagnato Garriott per tutta la sua carriera (il suo strabordante personaggio pubblico sulla stampa specializzata, Lord British) era ormai decollata e, ancora una volta, in modo del tutto accidentale per mano di un altro. C'è poco da dire: a Richard Garriott la vita gli sorrideva davvero.
E se Akalabeth e Garriott ricevevano un'ottima copertura di stampa grazie agli ottimi rapporti di Remmers con Softalk, non posso invece considerare ancora acquietata la domanda sui reali dati di vendita del suo gioco. Lo stesso Garriott, nei commenti di questo blog, ha recentemente reiterato un'affermazione che aveva già fatto in precedenza, secondo cui Akalabeth aveva venduto quasi 30.000 copie, garantendo al suo autore un guadagno netto di almeno 150.000 dollari. Ci sono tuttavia numerose prove molto circostanziali che propendono parzialmente contro questi numeri.
 
A titolo di confronto possiamo prendere un gioco di cui ho già parlato in questo blog, The Wizard and the Princess della On-Line Systems. Secondo le storie ufficiali della Sierra (la società in cui si sarebbe poi trasformata la On-Line Systems) questo gioco finì col vendere 60.000 copie. Però nel numero di Settembre/Ottobre 1982 di Computer Gaming World troviamo una lista dei top seller dei vari publisher al 30 Giugno 1982. In questa lista The Wizard and the Princess è presente con solo 25.000 copie, a quasi due anni dalla sua pubblicazione. È un dato che sorprende, ma che è anche sostenibile: agli inizi degli anni '80 l'industria dei microcomputer stava crescendo così rapidamente che le vendite di giochi anche vecchi poteva aumentare di mese in mese, o perfino di anno in anno, per il semplice fatto che emergevano continuamente nuovi clienti pronti a comprarli. Consideriamo quindi per buono che The Wizard and the Princess avesse venduto 25.000 copie a metà del 1982. Come indicato in un mio post precedente, The Wizard and the Princess fu costantemente presente nella top ten dei best seller di Softalk per oltre un anno dalla sua pubblicazione, passando gran parte del tempo nelle prime cinque posizioni. Akalabeth invece era apparso solo due volte nella top 30; la prima volta nel Gennaio 1981 al numero 23, per poi sparire per due mesi, e ricomparire un'ultima volta nel numero di Aprile alla posizione 26. Poiché Akalabeth sarebbe stato definitivamente ritirato dagli scaffali nel 1982 (per ragioni di cui parleremo un po' più avanti), non potendo quindi beneficiare dell'onda lunga dei nuovi clienti di cui invece con ogni probabilità beneficiò The Wizard and the Princess, è difficile poter credere che Akalabeth avesse potuto vendere 5.000 copie in più di The Wizard and the Princess tra la propria data di pubblicazione, alla fine del 1980, e la data del proprio ritiro dagli scaffali a metà del 1982.
 
Nello stesso elenco di metà 1982 di Computer Gaming World, la California Pacific afferma che il successivo gioco di Garriott (Ultima) è il suo titolo di punta, con vendite (e questo è un dato significativo) di sole 20.000 copie.  E poi, ancora, c'è un domanda che è stata sollevata fra i collezionisti di vecchio software: se furono vendute 30.000 copie di Akalabeth... dove sono finite? L'Akalabeth della California Pacific (per non parlare della versione di CompuerLand) resta infatti estremamente raro, ben più di altri titoli altrettanto vecchi, che erano stati notoriamente venduti in molte meno copie.
 
È certamente vero che molti di questi punti potrebbero essere soggetti a delle obbiezioni. Le classifiche di vendita di Softalk, per esempio, erano generate con sondaggi “dei negozi di vendita al dettaglio col franchising Apple, che rappresentano circa il 15% di tutte le vendite di prodotti Apple o legati al marchio Apple, che hanno volontariamente aderito a tali sondaggi”. E in particolare, si sa che le vendite per posta non erano minimamente prese in considerazione. Gli editori di Softalk ritenevano che il sondaggio riflettesse in modo realistico il mercato del software dell'Apple II, ma magari non era così. Anche le classifiche di Computer Gaming World venivano stilate semplicemente chiedendo ai vari publisher. È quindi del tutto possibile che, volutamente, o a causa della confusione indotta da domande mal poste, o per semplici errori, questi numeri fossero inaccurati; magari addirittura drammaticamente inaccurati. E voglio poi ulteriormente enfatizzare che, se la stima di 30.000 copie non è corretta, non è certo mia intenzione attribuire tale confusione a un inganno da parte di Garriott, ma casomai ad eventi ormai vecchi di 30 anni e a una contabilità tenuta in malo modo, in un'industria che (come vedremo in modo più che chiaro quando ci occuperemo di futuri eventi nella carriera di Garriott) non era proprio un modello delle migliori pratiche imprenditoriali.
 
Quali che fossero i suoi reali dati di vendita, possiamo però stare certi che Akalabeth generò un bel po' di soldi per lo studente in bolletta che l'aveva creato. Non è un caso che Garriott abbia descritto quest'era dell'industria del software come quella “dei soldi facili”, in cui anche dei programmi oggettivamente scarsi potevano generare ampi profitti per i loro creatori; tale era la domanda di nuovo software (di qualunque software) fra i nuovi zeloti dell'Apple II. La CP vendeva Akalabeth per 35 dollari (rispetto ai 20 dollari che chiedeva Garriott alla ComputerLand). Considerando l'inflazione, questa cifra lo allinea con i titoli tripla A delle console di oggi. La CP era nota per offrire delle royalty molto generose ai propri sviluppatori, a volte fino al 50%. Garriott presumibilmente diede qualcosa al suo artista della schermata iniziale, Keith Zabalaoui, ma il resto era tutto per sé. Anche se Akalabeth non avesse venduto nemmeno lontanamente le suddette 30.000 copie, si tratterebbe comunque di una vera e propria pioggia di soldi inattesi per uno studente universitario (se Garriott avesse guadagnato 15 dollari a copia, e Akalabeth avesse venduto 10.000 copie, farebbero comunque 150.000 dollari). Come ha affermato recentemente Garriott in una lunga intervista di Warren Spector, da lì in poi le cose “sono solo peggiorate” dal punto di vista del ritorno sugli investimenti nell'industria dei videogiochi. Effettivamente io stesso trovo l'idea che, per un anno o due almeno, sia stato possibile guadagnare 150.000 dollari con un programma da 22 K scritto da una sola persona e in BASIC, eccitante e terrificante al tempo stesso. Peccato solo essere nati con dieci anni di ritardo...
 
Prima ancora di far ritorno ad Austin per un altro anno di lezioni e di eventi alla SCA, Garriott iniziò a lavorare su un altro gioco. Questo sarebbe stato più ambizioso di Akalabeth: la sua prima creazione concepita e scritta interamente sull'Apple II e la prima a essere volutamente ideata a fini commerciali. Ci arriveremo presto, ma la prossima volta voglio cambiare ancora argomento e andare a studiare le origini di quella società che molti di voi lettori di questo blog amano più di ogni altra.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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Akalabeth
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Richard Garriott era un ragazzo sveglio, ma al tempo stesso era anche un dungeon master adolescente. È per questo che, anche se proviamo un po' di imbarazzo quando Akalabeth si apre con quella che ha tutta l'aria di essere la caricatura di un discorso di un dungeon master adolescente (pronunciato da un ragazzino brufoloso dietro la copertina del suo modulo B2 – La Rocca Sulle Terre di Confine), dobbiamo comprendere che Akalabeth è comunque un prodotto del suo tempo e dell'età di colui che lo ha creato.

BENVENUTO, FOLLE MORTALE

NEL MONDO DI

AKALABETH!

QUI TROVERAI GRANDIOSE

AVVENTURE!

 

CREATO DA LORD BRITISH

(C) 1980 DELLA CALIFORNIA PACIFIC COMPUTER

 

ISTRUZIONI (SI / NO)

MOLTI, MOLTI, MOLTI ANNI FA IL SIGNORE OSCURO MONDAIN, ARCINEMICO DI BRITISH, ATTRAVERSÒ LE TERRE DI AKALABETH DIFFONDENDO AL SUO PASSAGGIO IL MALE E LA MORTE.

QUANDO MONDAIN FU SCACCIATO DA QUESTA TERRA DA BRITISH, PORTATORE DELLA LUCE BIANCA, EGLI L'AVEVA GIA' DANNEGGIATA GRAVEMENTE.

 

IL TUO COMPITO SARA' QUELLO DI LIBERARE AKALABETH DALLE ORRIBILI BESTIE CHE LA INFESTANO, CERCANDO AL CONTEMPO DI RESTARE VIVO!!!

FAI ATTENZIONE, FOLLE MORTALE, STAI PER ENTRARE IN AKALABETH, MONDO DELLA SVENTURA!

BY LORD BRITISH

Consentitemi quindi di esprimere un paio di pensieri in libertà, ma rigorosamente nel suddetto spirito di comprensione.

Perché mai gli scrittori di fantasy medievale (fra cui anche tantissimi che dovrebbero ormai avere tutti gli strumenti per fare meglio del nostro giovane Mr Garriott) si rifanno sempre allo Shakespeare rinascimentale quando vogliono far apparire il loro inglese ampolloso e autentico? Eppure dovrebbero saperlo che esiste un certo Geoffrey Chaucer

OLTRE L'AVVENTURA VI È

AKALABETH

UN GIOCO DI FANTASIA, ASTUZIA, E PERICOLO.

 

10 DIVERSI MOSTRI HI-RES

INSIEME AD UNA PROSPETTIVA PERFETTA

E AD INIFINITI LIVELLI DI DUNGEON

CREANO IL MONDO DI AKALABETH

Considerata la ben documentata insoddisfazione di Garriott per l'approccio seguito da Crowther e Woods nel loro Adventure, non è che “Beyond Adventure” (o dovrei dire “Beyond Adventure”?) [cioé “Oltre l'avventura” e/o “Oltre Adventure”, ndAncient] sia in realtà una frecciatina fra rivali?

E se certamente entrambi i suoi genitori, e probabilmente molti altri oltre a loro, gli hanno fornito idee e suggerimenti, Akalabeth è un'opera realizzata interamente dal solo Richard; l'apice di tre anni di sforzi, prima al terminale con la telescrivente della sua scuola superiore e poi sul suo Apple II Plus nuovo di pacca. L'unica eccezione è rappresentata dalla grafica della schermata del titolo, fornita da un amico e vicino di casa di Houston, Keith Zabalaoui, che è bastata a garantirgli una presenza nei credit cartacei alla voce “Graphics”.

Dopo essere passati per la schermata del titolo realizzata da Zabalaoui e per le istruzioni in-game, viene caricato e avviato il codice BASIC del gioco. Tutto ciò che segue è implementato in un singolo programma BASIC di 22 K. Per prima cosa ci viene chiesto di “Inserire il numero fortunato”. Questo numero serve come variabile per il generatore casuale di numeri, che determinerà quasi tutto ciò che verrà dopo: le caratteristiche con cui iniziamo, la conformazione delle zone all'aperto e dei labirinti, ecc. Per questa ragione scrivendo il medesimo numero saremo sempre certi di avere la medesima partita, fin dal personaggio con cui iniziamo; e da lì -se facciamo esattamente le stesse cose- avremo esattamente lo stesso risultato finale, visto che anche i tiri di dado “casuali” dipendono in ultima analisi da questo numero magico. Generare un mondo virtuale per via matematica, facendolo al volo e all'occorrenza (invece che immagazzinare dei dati già pronti che devono essere recuperati dal disco) non era niente di nuovo nel mondo dei primissimi giochi per computer, che dovevano fare i conti con le limitate memorie delle macchine su cui giravano e sulla limitata capacità dei dischi. Il più celebre esempio è Elite, che generava dinamicamente il proprio universo di otto galassie utilizzando le successioni di Fibonacci. È tuttavia interessante che Garriott abbia scelto questo approccio per presentare al giocatore un mondo e delle dinamiche di gioco davvero casuali, invece di usare il vero e proprio generatore di numeri casuali dell'Apple II, che sarebbe potuto essere perfettamente adeguato allo scopo,

Comunque sia, dopo aver preso la più critica delle decisioni, ci troviamo a scegliere il livello di difficoltà da 1 a 10, da cui dipende quanto saranno tosti i mostri che combatteremo e quante quest dovremo completare per finire il gioco. Poi ci viene mostrato il nostro personaggio, composto da una serie di tipici indicatori alla Dungeons and Dragons: punti ferita, forza, destrezza, stamina, saggezza, oro. Possiamo scegliere anche fra due classi: guerriero o mago. Dopodiché ci ritroviamo nell'immancabile negozio, anche se stavolta non ci sono i negozianti loquaci e votati al mercanteggiamento che abbiamo trovato in Temple of Apshai o in Eamon.

Proprio come in Temple of Apshai, la lista dell'equipaggiamento di Akalabeth è piuttosto scarna, consistendo in una manciata di oggetti generici che potete vedere qui sopra [cibo, stocco, ascia, scudo, arco e frecce, amuleto magico; ndAncient], e qui non c'è nemmeno la possibilità di trovare oggetti speciali nei dungeon.

Vale però la pena segnalare che in Akalabeth dovremo occuparci della nostra riserva di cibo: il nostro avatar consumerà infatti un po' di cibo ad ogni turno e, se lo dovesse finire, morirebbe istantaneamente. La morte per fame è una vera minaccia nelle fasi iniziali del gioco, quando l'oro scarseggia, ma ben presto ci potremo permettere centinaia di unità di cibo e da quel punto in poi si rischierà di morire di fame solo per disattenzione.

Quando il gioco vero e proprio inizia, diventa palese perché Garriott ha affermato (un po' seriamente e un po' scherzosamente) di aver passato i primi quindici anni della sua carriera a rifare sempre lo stesso gioco. Ci viene mostrata una mappa di esterni, vista dall'alto, che navighiamo usando comandi abbinati ad un tasto della tastiera. Qualunque veterano di Ultima si sentirà immediatamente a suo agio, anche se (a differenza dei seguenti Ultima, che col tempo arriveranno ad usare praticamente tutti i tasti della tastiera) qui abbiamo solo una decina di opzioni, la maggior parte delle quali riguardano semplicemente il movimento.

Vi faccio notare che la schermata qui sopra è stata implementata usando la speciale modalità grafica hi-res dell'Apple II, con le quattro linee di testo normale, in basso, dedicate ai messaggi di stato (l'intramontabile dono di Wozniak per i programmatori di giochi).

In più, proprio come nei successivi Ultima, la nostra prima vera missione è quella di trovare il castello dell'alter ego di Garriott, Lord Biritish. Dopo averci chiamato “contadini” (davvero ti senti tanto più importante di noi, Richard?), ci assegnerà la prima di una serie di “quest” che consistono tutte semplicemente nell'uccisione di mostri di crescente difficoltà. Il numero di queste missioni che dobbiamo completare per finire il gioco dipende dal livello di difficoltà che abbiamo scelto all'inizio.

BENVENUTO, CONTADINO, NELLE SALE DEL POTENTE LORD BRITISH. QUI POTRAI SCEGLIERE DI FRONTEGGIARE LE MALVAGIE CREATURE DELLE PROFONDITA' IN CAMBIO DI RICOMPENSE.

COME TI CHIAMI, CONTADINO? JIMMY

È UN'AVVENTURA GRANDIOSA QUELLA CHE VUOI? SÌ

BENE! ALLORA TENTERAI DI DIVENTARE UN CAVALIERE!!!

IL TUO PRIMO COMPITO SARÀ DI SCENDERE NEI DUNGEON E RITORNARE SOLO DOPO AVER UCCISO UN/UNA TOPO GIGANTE.

IMBARCATI ADESSO IN QUESTA MISSIONE E CHE LA DEA BENDATA TI ARRIDA...

… IN PIU' IO, BRITISH, HO AUMENTATO TUTTE LE TUE CARATTERISTICHE DI UN PUNTO!

Quel “un/una topo gigante” non ha prezzo...

È nei dungeon sparsi sulla mappa dell'esterno che troviamo i mostri da combattere. Tali labirinti sono il vero succo del gioco: passeremo gran parte del nostro tempo ad esplorarli e mapparli, combattendo ovviamente contro i loro abitanti, che si faranno via via più temibili, mano a mano che scenderemo in livelli sempre più profondi. Ed è sempre qui che troviamo l'innovazione estetica più palese di tutto il gioco: l'uso di una prospettiva tridimensionale, in prima persona, che ci pone direttamente al centro del mondo di gioco.

COMANDO? OVEST

COMANDO? VAI DUNGEON

PER FAVORE ATTENDI

COMANDO?

LADRO

COMANDO? ATTACCA

CON QUALE ARMA? ASCIA

LA LANCI O LA BRANDISCI?

L'uso di una tale visuale aveva comunque già dei precedenti nel 1980. C'era ovviamente quel gioco chiamato Escape! che aveva inizialmente ispirato Richard. Ancora più noto è Microsoft Flight Simulator, il frutto di molti anni di esperimenti con la grafica 3D da parte di Bruce Artwick, che era apparso per la prima volta sull'Apple II nel 1979 (o, al più tardi, nei primissimi mesi del 1980). Garriott fu però il primo a implementarlo in un GDR per computer. Ed è per questo che Akalabeth influenzerà un'intera generazione di giochi di dungeon crawling che seguiranno, anche se i giochi della serie di Ultima dello stesso Garriott, col tempo, porranno sempre meno enfasi sull'esplorazione dei dungeon a favore della creazione di mondi esterni sempre più ricchi. In più, se togliamo i labirinti 3D di Akalabeth dal contesto della storia dei GdR per computer, vediamo che essi si pongono proprio in cima ad uno scivoloso piano inclinato che alla fine ci porta dritti a Doom e, di lì, alla maggior parte dei giochi hardcore di oggi [Questo articolo è datato Dicembre 2011, ma è in gran parte vero ancora oggi; ndAncient].

Nonostante questo oggigiorno ad Akalabeth non viene riconosciuto un grande valore come gioco in sé. Il CRPG Addict, per esempio, lo definisce “più un progetto dimostrativo che un gioco”. Certo gli artwork sgargianti e le frasi da Dungeon Master adolescente contribuiscono a farcelo apparire più che mai una creazione amatoriale, anche in confronto alla maggior parte dei giochi di quella primissima era. In un certo senso c'è un abbozzo di storia e di ambientazione, ma non hanno alcun senso in relazione allo scopo ultimo del giocatore, che si limita a uccidere dei mostri e a diventare un cavaliere. Finita questa parte introduttiva, in tutto il gioco ci sono meno parole di quante non ce ne siano in quel singolo paragrafo. E poi c'è tutta una serie di cose che sono semplicemente strambe. Ad esempio in Akalabeth manca proprio il concetto di livello del personaggio; una volta fuori da un labirinto, veniamo ricompensati solo in punti ferita, sulla base della quantità e della qualità dei mostri uccisi là sotto. Non c'è nessun concetto di cura, né un valore massimo teorico ai punti ferita; essi sono semplicemente un bene da collezionare, al pari dell'oro. Questo sistema fra l'altro resterà tale anche in Ultima I. Come il CRPG Addict osserva in merito a tale gioco:  “è l'unico gioco che conosco nel quale, quando si è a corto di punti ferita, ci conviene affrettarci nel dungeon più vicino e cercare qualche mostro da combattere!” Ed effettivamente, per quanto ciò possa apparire contro-intuitivo, combattere è letteralmente l'unico modo per recuperare punti ferita (il che fra l'altro significa che, se perdete troppi punti ferita senza aver ucciso mostri abbastanza forti, siete a tutti gli effetti spacciati).

Eppure, oltre all'innovazione tecnica dei dungeon tridimensionali, qui c'è anche una spiccata sensibilità per il design del gioco. E sono proprio questi gli aspetti per i quali Akalabeth meriterebbe maggior riconoscimento. Per quanto mi riguarda infatti sono rimasto sorpreso da quanto Akalabeth sia giocabile; ben più giocabile, ad esempio, di Temple of Apshai e dei suoi seguiti (tutti titoli ben più ambiziosi a livello concettuale). L'odierna sottovalutazione dipende probabilmente dal fatto che Akalabeth non può certo rivelarsi all'altezza delle aspettative. Del resto Akalabeth non sta cercando di regalare ai suoi giocatori un'esperienza estesa ed epica come i suoi successori della serie Ultima; non ha nemmeno la possibilità di salvare. È stato piuttosto pensato come un esercizio, ripetibile all'infinito, di esplorazione di dungeon. Il sistema di bilanciamento della difficoltà fa sì che il giocatore sia sempre messo alla prova e il sistema del “numero magico” gli permette di generare una varietà praticamente infinita di mappe, consentendogli però al tempo stesso (se lo desidera) di riaffrontare la stessa identica partita che lo ha visto morire l'ultima volta. Da questo punto di vista Akalabeth ci mostra un game design incredibilmente lungimirante e perfino "player-friendly", per la sua epoca. E se certo non posso dire che mi abbia catturato per giorni e giorni, devo però ammettere che mi sono autenticamente divertito a giochicchiarci mentre preparavo questo post del blog; cosa che non posso certo affermare per molti dei giochi di questa prima èra, di cui mi sono occupato in precedenza (nonostante la loro importanza storica).

Un'altra delle critiche ricorrenti ci impartisce una lezione sull'importanza di praticare questa nostra specie di archeologia informatica usando configurazioni il più autentiche possibili. Nel 1997 la Electronic Arts ha pubblicato The Ultima Collection, una raccolta dei primi otto giochi della serie. Come bonus hanno incluso anche un porting per MS-DOS di Akalabeth, il primo mai realizzato dopo l'uscita dell'originale per Apple II. La maggior parte delle persone, che tentano oggigiorno di giocare ad Akalabeth, usano proprio questa versione, visto che è infinitamente più accessibile rispetto a procurarsi un vero Apple II o a utilizzare un emulatore di Apple II. Il problema è che questa versione è meno sofisticata del suo antecedente. Per esempio in questo porting ogni singolo dungeon sulla mappa è un clone degli altri; nell'originale invece ogni dungeon è unico. Il che ingenera in noi un'opinione falsata e sfavorevole del design originale di Garriott.

Un'altra critica comune è che l'amuleto magico rompa, a tutti gli effetti, gli equilibri del gioco. Lasciate che vi spieghi velocemente: uno degli oggetti che il giocatore può comprare o trovare nei dungeon è un amuleto magico. Esso, in aggiunta ad alcune funzioni comodamente prevedibili (come quella di far apparire scale per spostarsi su e giù nel dungeon), ha anche “un'opzione jolly”. La maggior parte delle volte che tale opzione viene scelta ha delle conseguenze negative, come ad esempio l'esser trasformati in un rospo. Di quando in quando però il giocatore viene trasformato in un uomo lucertola, che all'apparenza non è poi una cosa così grandiosa, ma che invece in concreto lo è eccome: in questo modo tutte le nostre statistiche aumentano istantaneamente e permanentemente del 150%. Il trucco quindi è quello di salvare il gioco (una possibilità prevista dal porting MS-DOS, a differenza dell'originale) e tentare la fortuna. Se ci accade qualcosa di male, si ricarica e si riprova, finché non si riesce a diventare uomini lucertola. Fatelo qualche volta e diventerete a tutti gli effetti invincibili. Bene, ricordiamoci però che i giocatori dell'originale non avevano la comodità di un comando per salvare, né avevano a disposizione i salvataggi di stato di un emulatore. È per questo che tentare questa strada era in realtà un gesto davvero disperato, da compiere probabilmente solo quando al giocatore non era rimasto niente da perdere. Vi invito dunque a guardarlo così come lo avrebbe guardato un giocatore del 1980: non rompe il gioco, ma bensì è un tocco di classe che, una volta ogni morte di Papa, potrebbe elargire un miracolo al giocatore disperato.

E quindi, tutto considerato, non è difficile intuire perché il publisher California Pacific contattò Richard con l'intenzione di distribuire a livello nazionale il suo gioco. La prossima volta mi occuperò proprio di questa storia. 

Se nel frattempo volete provare di persona l'Akalabeth originale, ecco qui per voi un immagine del disco per Apple II.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Lord British
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Per creare un game designer l'ideale è partire da un babbo ingegnere e da una mamma artista. E infatti è proprio questa la combinazione che ci ha dato Richard Garriott.

Già il padre Owen ebbe una carriera di tutto rispetto. Nel 1964, all'età di 33 anni, era un professore di ingegneria elettronica alla Stanford University quando la NASA, impegnata nella corsa alla Luna,  pubblicò il bando per il suo quarto gruppo di astronauti. Questo gruppo di sei persone sarebbe stato diverso dai precedenti perché, nonostante i mugugni interni ed esterni all'organizzazione (non ultimi quelli degli astronauti stessi), sarebbero stati scelti tra le fila degli scienziati e degli ingegneri civili e non fra i piloti militari. Owen si presentò nonostante le scarse probabilità di essere selezionato: in un'America impazzita per la corsa alla luna, altre 1.350 persone avevano avuto la sua stessa idea. Superò però ogni round di esami medici e psicologici e ogni colloquio, finché nel Maggio del 1965, nel bel mezzo di una lezione, fu chiamato niente di meno che da Alan Shepard (il primo americano a volare nello spazio), per informarlo che era appena diventato un astronauta. Owen e famiglia (incluso il giovane Richard, che era nato nel 1961) si trasferirono così a Houston, in un sobborgo chiamato Clear Lake, che era abitato quasi esclusivamente da gente connessa al vicino Manned Spacecraft Center. Mentre Owen si addestrava (primo compito: imparare a pilotare un jet), il resto della famiglia viveva l'eccitante, seppur culturalmente asettica, vita tipica della NASA, circondati da scienza, da dispositivi tecnologici e da ogni altro frutto di quel complesso militare-industriale. Che fosse perché la NASA non si fidava fino in fondo di questi scienziati-astronauti, o per un semplice caso, solo a un membro del gruppo di Owen toccò davvero di andare sulla luna e non fu Owen. Come premio di consolazione, però, Owen volò comunque nello spazio il 28 Luglio del 1973, in qualità di membro della seconda squadra che avrebbe visitato lo Skylab (la prima stazione spaziale semi-permanente d'America) dove trascorse quasi due mesi. Dopo quel volo Owen restò con la NASA e sarebbe tornato nello spazio con lo shuttle nel Novembre del 1983. E questi sono solo i punti salienti e avventurosi di una carriera scientifica e ingegneristica piena di premi, di pubblicazioni e di traguardi importanti.

Un tale padre fu certo di grande ispirazione per il figlio: a partire dalla scuole per l'infanzia fino alle superiori, Richard  presentò, ogni singolo anno, un progetto per la fiera di scienze, ognuno più ambizioso del precedente. Ma un tale esempio può anche intimidire, oltre che ispirare; e di certo non gli fu d'aiuto il fatto che Owen era per natura estremamente riservato, lesinando ai familiari ogni sorta di affettuosità, di complimenti e di esibizione di emozioni. Richard ha descritto il suo disappunto per l'incapacità del padre di parlare perfino della più magica delle sue esperienze in questo modo: “Mio padre non mi ha mai parlato di quando è stato nello spazio. Una volta mi ha detto che è un po' come fare un'immersione, ma non ne ha mai parlato con la minima emozione.” E del resto la carriera di Owen non gli ha lasciato molto tempo per Richard e per i suoi fratelli, due più grandi e una sorella più piccola.

Il ruolo di genitore ricadde quindi prevalentemente su Helen Garriott, una personalità più semplice e bizzarra di quella del padre. La passione di Helen (che perseguì con lo stesso zelo -ma con molti meno riconoscimenti- con cui il marito aveva perseguito la sua carriera scientifica) era l'arte: ceramica, lavorazione dell'argento, pittura e perfino degli esperimenti di arte concettuale. E se Owen solo occasionalmente aveva parole di incoraggiamento, Helen aiutava invece attivamente Richard nei suoi progetti per la fiera delle scienze e nelle altre folli idee che venivano a lui e ai suoi fratelli, come quella volta che lui e il fratello Robert costruirono una centrifuga funzionante nel garage di casa (il “Nauseatore”). Con l'esempio di Owen e il ben più tangibile amore e supporto di Helen, tutti i loro figli, dal momento in cui impararono a camminare, si rivelarono essere dei veri maniaci dei progetti ambiziosi, pronti a gettarsi anima e corpo sia in quelli più meritevoli (come le fiere della scienza), sia in quelli apparentemente più frivoli (come il Nauseatore, nel quale i bambini del vicinato si sfidavano a chi vomitava più tardi). 

Per il primo anno di scuole superiori di Richard (1975-1976), Owen riportò temporaneamente la famiglia a Palo Alto, in California, dove aveva accettato un incarico annuale alla Stanford. Situata com'era nel cuore della Silicon Valley, la scuola superiore di Richard era marcatamente orientata alla tecnologia. Fu qui che incontrò per la prima volta i computer, grazie ai terminali che la scuola aveva installato in ogni aula. Tuttavia non ne rimase particolarmente colpito; ed in effetti i primi in famiglia a convertirsi alla religione dei computer furono i suoi genitori, che al suo ritorno a Houston per il suo secondo anno lo fecero iscrivere all'unico corso di computer semestrale della sua scuola, in cui l'intera classe programmava in BASIC sull'unico ingombrante terminale telescrivente della scuola, connesso in remoto a un mainframe CDC Cyber in qualche ufficio della zona. Richard superò a pieni voti il corso, ma anche quella volta non rimase folgorato dalla materia. E così i suoi genitori ci provarono di nuovo, spingendolo a frequentare un campo informatico di sette settimane che si sarebbe tenuto quell'estate alla Oklahoma University. E questa volta funzionò.

Quelle sette settimane furono un periodo idilliaco per Richard, durante il quale tutti i pezzi  sembrarono ricomporsi in una specie di versione nerd di un infatuamento estivo. Il primissimo giorno al campo i suoi compagni lo soprannominarono “Lord British”, dopo che lui li aveva salutati con un formale “Hello!” invece di un più semplice “Hi!”; fra l'altro per lui il soprannome era doppiamente appropriato, essendo davvero nato in Gran Bretagna durante un breve lasso di tempo nel quale Owen insegnava alla Cambridge University. Quegli stessi studenti lo introdussero a Dungeons and Dragons. Con l'esperienza del GdR cartaceo ancora fresca nella mente, oltre che quella de Il Signore degli Anelli (che aveva appena letto nel corso del precedente anno scolastico), Richard scoprì finalmente un motivo per farsi ispirare dai computer (che del resto erano il vero scopo di quel campo estivo): iniziò a chiedersi se nelle loro memorie non fosse possibile costruire un mondo fantasy virtuale. E poi, sempre in quel campo, trovò anche un amore estivo, che non fa mai male... Così Richard lasciò l'Oklahoma che era profondamente cambiato.

Oltre che dalle sue esperienze al campo estivo, la direzione che avrebbe preso la sua vita, forse, fu dettata anche da una conversazione che aveva avuto qualche anno prima durante un esame medico di routine, condotto (ovviamente) da un dottore delle NASA, che lo informò che la sua vista peggiorava e che avrebbe dovuto mettersi gli occhiali. Ovviamente non era la fine del mondo, ma poi il dottore sganciò la bomba: “Ehi, Richard, mi dispiace dover essere io a dirtelo, ma ormai non hai più i requisiti per diventare un astronauta della NASA.” Richard afferma di non aver mai covato consapevolmente il sogno di seguire le orme del padre, ma la notizia che non avrebbe mai potuto unirsi al ristretto club a cui apparteneva il padre lo colpì comunque come un rifiuto personale. Ancora alla fine del 1983, quando ormai stava accumulando come sviluppatore di giochi una fama e dei guadagni ben oltre quanto suo padre avesse mai guadagnato in vita sua, affermò in un intervista che: “rinuncerei di buon grado a tutto per avere la possibilità di andare nello spazio.” Molto tempo dopo avrebbe, come è noto, coronato quel sogno, ma in quel momento il suo cammino lo avrebbe portato in un'altra direzione. E fu il campo estivo di informatica a indicargliela: sarebbe diventato un creatore di mondi virtuali.

Tornato nel sobborgo di Houston, Richard iniziò a cercare dei giocatori di D&D, iniziando dai bambini del vicinato con cui era cresciuto e proseguendo da lì. Qualche mese dopo l'inizio del terzo anno delle superiori, Richard (con l'aiuto della madre, sempre al suo fianco) ospitava già delle sessioni di D&D lunghe tutto il weekend nella casa di famiglia. All'inizio del 1978 c'erano partite diverse che si svolgevano in parti diverse dalla casa e iniziavano a presentarsi anche alcuni adulti, per giocare oppure solo per fumare, bere e socializzare sotto il portico di casa.

Per capire come potesse essere accaduta una cosa simile c'è un fatto in particolare che dobbiamo comprendere di Richard. Anche se i suoi interessi (la scienza, il D&D, i computer, Il Signore degli Anelli) erano tipici di un nerd, nella personalità e nell'aspetto egli non era per niente il tipico geek introverso delle scuole superiori. Era un ragazzo curato e di bell'aspetto, con una grazia innata che gli teneva lontano i bulli di scuola. Anzi, li faceva passare dall'altra parte: quelle sessioni di D&D del fine settimana erano particolarmente significative, perché riunivano cerchie di ragazzi che normalmente a scuola erano socialmente segregate. Ma, soprattutto, Richard era molto sciolto ed eloquente per la sua età, capace quando voleva di convincere e affascinare chiunque in un modo che ricordava niente di meno che il leggendario burattinaio Steve Jobs in persona. Il suo futuro amico e collega Warren Spector una volta ha detto di Richard che: “poteva alterare la realtà con la sua forza di volontà e il suo carisma personale”, riecheggiando le leggende “del campo di distorsione della realtà” di Jobs. E lui mise a frutto queste qualità per trovare un modo di conseguire il sogno di tutti i nerd dell'epoca: ottenere un accesso regolare e quotidiano a un computer.

Con un solo corso di computer all'attivo, l'unico terminale della scuola restava inutilizzato per la maggior parte del tempo. Il primissimo giorno del suo terzo anno di superiori, Richard marciò nell'ufficio del preside con una proposta. Da Dungeons and Dreamers:

Avrebbe così ideato, sviluppato, e programmato giochi fantasy per computer, usando il terminale della scuola, ed esibendo alla fine di ogni semestre al preside e all'insegnante di matematica un gioco. Non avevano nemmeno un insegnante di informatica che potesse dargli un voto. Per superare l'esame avrebbe dovuto semplicemente presentare un gioco funzionante. Se lo avesse fatto, avrebbe preso una A [il voto massimo; ndAncient]. Se non l'avesse fatto, sarebbe stato bocciato.

Incredibilmente (ed è qui che il campo di distorsione della realtà entra in gioco) il preside accettò. Richard afferma che la scuola aveva deciso di considerare il BASIC come l'insegnamento della sua lingua straniera (una decisione che la dice lunga sullo stato dell'insegnamento delle lingue in America, ma non divaghiamo...).

Perciò, quando non era impegnato con i compiti scolastici, con la fiera della scienza (in cui i suoi progetti junior e senior usavano in modo intensivo il computer), con il D&D cartaceo, o con i Boy Scouts Explorers (a cui si era recentemente unito e di cui -al solito- era rapidamente diventato presidente), Richard spese il suo tempo e le sue energie, nei due anni successivi, su una serie di adattamenti di D&D per computer. L'ambiente di sviluppo che la sua scuola ospitava sul vecchio computer non era dei più semplici; il suo terminale non aveva nemmeno uno schermo, ma solo una telescrivente. Per prima cosa programmava scrivendo laboriosamente a mano il codice BASIC, rileggendolo più e più volte in cerca di errori. A quel punto inseriva il codice su un “tape punch”, uno strumento meccanico che assomigliava ad una macchina da scrivere, ma che inseriva i caratteri su un nastro perforato (una striscia di carta su cui venivano praticati dei fori secondo degli schemi precisi che rappresentavano i vari caratteri possibili). Solo a quel punto poteva dare il nastro al computer vero e proprio, attraverso un apposito lettore di nastri perforati, sperando che tutto andasse bene. Un errore di programmazione, o anche un semplice errore di battitura, significava dover ribattere tutto dall'inizio alla fine. In modo del tutto analogo, questo significava che poteva aggiungere nuove funzioni o miglioramenti solo riscrivendo e ribattendo tutto il programma da zero. Prese così a riempire dei quaderni numerati con codice e  appunti di design: un block-note per ogni iterazione del gioco, che aveva chiamato semplicemente D&D. Alla fine dell'ultimo anno di scuola superiore, era arrivato fino al D&D 28, anche se alcune iterazioni le aveva abbandonate perché inattuabili, per una ragione o per un'altra, prima che potessero arrivare a compimento come giochi giocabili da presentare.

Nel creare i suoi giochi, Richard operava in gran parte al buio, provando in prima persona ogni cosa per vedere se avrebbe funzionato. Aveva visto coi suoi occhi l'originale Adventure quando i suoi  Boy Scouts Explorers visitarono la fabbrica di computer a Lockheed, ma (unico fra tutti i personaggi di cui ho parlato in questo blog) non ne rimase particolarmente impressionato: “Era molto diverso dalle cose che volevo scrivere io, che volevano essere molto più libere e con tante opzioni a disposizione del giocatore, piuttosto che qualcosa con una struttura a 'nodi' come Adventure. All'epoca non conoscevo nessun altro gioco che ti permetteva di andare ovunque e di fare qualunque cosa.” Fin dall'inizio, quindi, Richard si è schierato fermamente dalla parte della simulazione e della narrativa emergente, senza interessarsi mai neppure minimamente al neonato fenomeno della avventure testuali. È probabile che i primi proto-GdR per computer sul network PLATO sarebbero stati maggiormente di suo gusto, ma sembra che Richard non li avesse mai visti. E così i suoi giochi D&D, in pratica, erano unicamente l'espressione della sua visione, che si era costruito letteralmente da zero, iterazione dopo iterazione.

Ma come funzionavano questi giochi? Poiché erano immagazzinati solo su dei rotoli di carta, non li abbiamo a disposizione per giocarli tramite emulazione. Tuttavia Richard ha donato un nastro perforato di uno dei suoi giochi alla University of Texas come parte della “Richard Garriott Papers collection”; quindi se qualcuno là potesse recuperare un lettore di nastri perforati funzionanti per leggerlo, o - qualora qualcuno lì fosse eccezionalmente dedito alla causa - si impegnasse a tradurre a mano i fori, i risultati sarebbero estremamente affascinanti. In ogni caso abbiamo un'idea abbastanza precisa di come funzionassero: più primitivi, ma anche incredibilmente simili ai giochi commerciali che di lì a poco avrebbero reso famoso Richard. Non a caso Richard ha spesso scherzato sul fatto che praticamente ha passato i suoi primi quindici anni circa di game designer a rifare continuamente lo stesso gioco. I giochi di D&D, come gli Ultima, hanno una visuale dall'alto che mostra l'avatar del giocatore e ciò che lo circonda. Non sono in tempo reale, ma a turni. Il giocatore interagisce col gioco attraverso una serie di comandi che vengono attivati con un singolo tasto: “N” per andare a nord, “S” per vedere le statistiche vitali, “A” per attaccare, la barra spaziatrice per non fare niente in quel turno, ecc. Poiché i giochi funzionavano su una telescrivente, gli scenari e i mostri potevano essere rappresentati solo con caratteri ASCII; una “G” poteva rappresentare un goblin, e così via. E, a differenza dei giochi venuti dopo, la visuale dall'alto restava tale anche nei dungeon. Questa descrizione vi ricorderà gli odierni rogue-like e, ovviamente, i loro antenati sul sistema PLATO. È quindi interessante che Richard sia arrivato a una soluzione simile lavorando in modo del tutto autonomo (ma del resto è anche vero il contrario: in quale altro modo avrebbe potuto rappresentare il suo gioco?). Per giocare a questi titoli serviva non meno pazienza che per scriverli e si doveva anche essere disponibili a consumare risme e risme di carta, poiché l'unica scelta a disposizione di Richard era quella di ridisegnare completamente lo “schermo” su un nuovo foglio ogni volta che il giocatore faceva una mossa.

Quando ormai il suo tempo alle superiori stava scadendo, nella primavera del 1979, Richard attraversò una specie di crisi: non solo non avrebbe più potuto lavorare su D&D, ma più in generale avrebbe perso il suo accesso privilegiato a un computer. Ovviamente era ben consapevole della prima generazione di PC, che ormai era sul mercato da quasi due anni, ma fino a quel punto suo padre aveva resistito all'idea di comprarne uno per la famiglia, non vedendo alcun futuro in quei piccoli giocattoli (piccoli, se paragonati agli imponenti sistemi con cui era diventato familiare alla NASA). Disperato, Richard attivò il campo di distorsione della realtà e marciò nella tana di Owen con una proposta: se fosse riuscito a rendere funzionante e giocabile, senza nessun bug,  l'ultima e più complicata iterazione di D&D, allora Owen gli avrebbe comprato il sistema Apple II che desiderava. Essendo il padre di Richard, Owen probabilmente era più resistente della maggior parte delle persone al campo di distorsione del figlio, ma accettò di contribuire per metà delle spese, se Richard ci fosse riuscito. Ovviamente Richard ci riuscì (come Owen ben sapeva che avrebbe fatto), e alla fine dell'estate i proventi del suo lavoro estivo, uniti al contributo di Owen, gli portarono il modello II Plus che la Apple aveva appena messo in vendita.

Rispetto a ciò col quale aveva lavorato fin lì, l'Apple II con il suo schermo a colori e le sue capacità grafiche, la sua reattività in tempo reale e la sua capacità di modificare e ritoccare un programma dalla memoria, dovevano essergli sembrati un sogno. Perfino il lettore di cassette, che era inizialmente costretto ad usare, era comunque un miglioramento significativo rispetto alla necessità di praticare dei fori su di un nastro di carta. Richard aveva appena iniziato ad esplorare le capacità della sua nuova macchina, quando venne il momento di partire per Austin, dove si era iscritto al corso di Ingegneria Elettronica (quanto di più vicino ad un corso di Informatica offrisse allora l'università) presso l'Università del Texas.

I primi mesi di Richard all'Università del Texas si rivelarono difficili e scombussolanti, come avviene per tante matricole. Del resto aveva lasciato il nido sicuro della cittadina di Clear Lake, dove conosceva tutti ed era considerato una bizzarra star da tutto il vicinato (un po' come una specie di Ferris Bueller, il protagonista di "Su e Giù per il College", ma senza tutta la sua ansia), per la grande e culturalmente variegata città di Austin e per l'Università del Texas, dove era soltanto uno delle decine di migliaia di studenti che riempivano le immense aule. Quando non tornava a casa a  Houston (cosa che faceva frequentemente) passava la gran parte del suo tempo - in modo del tutto anomalo per lui - rinchiuso tutto solo nel suo dormitorio, impegnato sull'Apple. Fu solo nel suo secondo semestre che si imbatté in un volantino che parlava di qualcosa chiamata la “Società per l'Anacronismo Creativo”, un gruppo che abbiamo già incontrato in questo blog e che, nell'eclettica Austin, aveva una presenza particolarmente grande e attiva. Con la passione che gli era caratteristica, si buttò a capofitto nella SCA. In poco tempo Richard, che già in passato aveva dato di scherma, si trovò a partecipare a duelli medievali, ad accampamenti all'aperto, a costruire e indossare le sue armature, discutendo di cavalleria e filosofia nelle taverne e imparando a tirare con la balestra. Considerando l'appellativo “Lord British” un po' troppo audace per l'ultimo arrivato, dentro la SCA prese il nome di “Shamino” (traendo ispirazione dal cambio Shimano della sua bicicletta), impersonando il ruolo di un tagliaboschi campagnolo, il cui analogo più prossimo nel D&D potrebbe essere un ranger. Il mondo sociale della SCA di Austin giocherà un ruolo importantissimo nei giochi futuri di Richard e la maggior parte dei suoi migliori amici riceveranno un sosia nel computer.

Al contempo continuò ad esplorare l'Apple II. Un genere semplice e popolare all'epoca erano i “maze game”, nei quali il computer generava un labirinto e spettava al giocatore trovarne l'uscita; pensate a Hunt the Wumpus con grafica e senza tutti i pericoli da evitare. La maggior parte degli esponenti di questo genere usavano la visuale dall'alto tipica dell'era, ma Richard si imbatté in un maze game scritto da Silas Warner della Muse Software, chiamato semplicemente Escape!, che immergeva il giocatore in una rappresentazione tridimensionale di un labirinto, calandolo proprio al suo interno. “Come vidi il labirinto in quella prospettiva dal basso, capii subito che con una semplice equazione si sarebbe potuto generare casualmente un labirinto a singola uscita. Quel momento mi cambiò il mondo.”

Se volete dare un occhio a questo gioco che ispirò Richard, potete scaricare una copia dell'immagine del dico dell'Apple II. Dopo aver avviato il disco sul vostro emulatore o sul vostro vero Apple II, digitate “RUN ESCAPE” al prompt per iniziare.

Escape! ispirò Richard per cercare di riprodurre il medesimo effetto nei dungeon del suo gioco D&D, che stava cercando di convertire per Apple II. Incerto su come implementarlo, si rivolse ai suoi genitori, che l'aiutarono ognuno a modo suo. Per prima, sua madre gli spiegò come un artista usa la prospettiva per creare l'illusione della profondità; poi suo padre lo aiutò a mettere a punto una serie di equazioni di geometria e di trigonometria che gli avrebbero permesso di tradurre l'intuizione artistica della madre in codice per computer. Richard iniziò a chiamare la versione per Apple II del suo gioco D&D 28B, poiché nella sostanza era una conversione per Apple II dell'ultima versione scritta per la telescrivente, anche se questa aveva l'aggiunta dei dungeon 3D.

Richard passò l'estate del 1980, a casa, a Houston, con la sua famiglia, lavorando al ComputerLand cittadino per guadagnare dei soldi. Il suo capo di lì, John Mayer, notò il gioco con cui trafficava, che a quel tempo era già diventato piuttosto popolare fra gli amici e i colleghi di negozio di Richard. Mayer fece a Richard il favore di una vita, suggerendogli  di impacchettarlo e venderlo in negozio. E così Richard assemblò una confezione tipica dell'epoca, infilando una stampa ciclostilata del testo d'aiuto del gioco e un disegno abbozzato da sua madre dentro un sacchetto Ziploc, insieme al dischetto vero e proprio del gioco (a questo punto infatti aveva già acquistato un lettore di floppy per il suo Apple II). Ribattezzò il gioco Akalabeth, come una delle sue ambientazioni del D&D cartaceo. Profondamente scettico su tutta questa impresa, ne fece tra le 15 e le 200 copie (le fonti differiscono molto sul numero esatto) e passò il resto dell'estate a vederle lentamente sparire dalla “parete del software” di ComputerLand. E così, in un modo tanto incerto, era iniziata una carriera che sarebbe diventata leggendaria.

La prossima volta esamineremo in dettaglio proprio Akalabeth.

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Due Parole su Akalabeth e sulla Cronologia
The Digital Antiquarian (traduzione ufficiale italiana)

Per dimostrarvi quanto sono pessimo a vendere la mia mercanzia, per il mio primo post dopo il ritorno dalla pausa per la breve vacanza che mi sono concesso, intendo occuparmi di un tema astratto ed esoterico; vi parlerò di una questione assolutamente scottante: le date esatte degli eventi agli albori della carriera di Richard Garriott come game designer. Ovviamente ci sono dei motivi ben precisi se mi dedico a queste pignolerie. Il primo e più egoistico è che intendo iniziare a seguire il vecchio Richard, che probabilmente conoscerete col soprannome di Lord British, come prossimo tema principale del blog e voglio difendermi preventivamente dalle orde di fan di Ultima pronti a contestare la mia datazione degli eventi. L'altro motivo è che questo piccolo racconto che mi appresto a scrivere dovrebbe rivelarsi una buona dimostrazione del processo tramite il quale arrivo alla (mia versione della) verità storica, oltre che dei vantaggi e degli svantaggi di avere varie fonti diverse a cui attingere. Se sei uno storico, un reporter, un ricercatore, probabilmente sei già fin troppo familiare con le difficoltà di riconciliare fra loro prove credibili che si contraddicono l'un l'altra. Se non lo sei, magari, sarai comunque interessato a scoprire le fatiche a cui è sottoposto un moderno “digital antiquarian”.

La vita e la carriera di Garriott sono documentati meglio di quasi ogni altro game designer, con l'eccezione forse di una manciata di pochi altri. Oltre a un numero infinito di riviste e di biografie su internet, gran parte del libro Dungeons and Dreamers è dedicato a lui e le varie edizioni di The Official Book of Ultima di Shay Addams adulano a profusione sia lui che la sua storia. È per questo che sono rimasto così sorpreso nel non poter datare con certezza il primo gioco di Garriott, Akalabeth.

La storia di Akalabeth è stata raccontata innumerevoli volte: se ancora non la conoscete, attendete il mio prossimo post, dove tornerò a occuparmi della narrativa storica e vi rivelerò tutto nei dettagli. Per adesso però vi basterà sapere che Garriott lo scrisse sul suo Apple II nell'estate del 1979, mentre lavorava in un negozio di ComputerLand a Austin (in Texas), fra la scuola superiore (che aveva terminato quell'anno) e l'inizio dell'Università in Texas. Il suo capo vide il gioco e gli suggerì di impacchettarlo e di venderlo in negozio, cosa che Garriott fece. Nel giro di un po' di giorni una copia arrivò (probabilmente grazie alla magia della pirateria) alla California Pacific, uno dei primi principali publisher di software. Misero il giovane Richard su un aereo per la California per fargli firmare un accordo di distribuzione e così Akalabeth divenne un grande successo, vendendo 30.000 copie e fruttando a Garriott qualcosa come 150.000 dollari: un bel gruzzoletto per un ragazzo che stava per iniziare il college. Questa è la storia riportata nei due libri di cui sopra e che Garriott stesso ha ripetuto in innumerevoli interviste che risalgono letteralmente fino a decadi fa. Essendo la persona al centro di questi eventi, Garriott deve saperlo per forza. Però, appena iniziamo a scavare in altre fonti primarie, ecco che le acque iniziano a intorbidirsi.

Il metodo di gran lunga migliore che conosco per tenere traccia su base mensile di ciò che la primissima industria dei computer faceva è utilizzare le riviste di settore. Tramite quelle possiamo osservare l'introduzione dei prodotti e l'apparizione e sparizione delle varie tendenze, il tutto con delle date certe indelebilmente impresse sulle copertine. E a volte -come in questo caso- ciò che scopriamo per questa strada può stravolgere delle cronologie che ormai avevamo dato come appurate.

La rivista Softalk è una delle fonti migliori del primissimo mercato dell'Apple II. Ed è quindi sorprendente che Akalabeth non vi appaia fino al numero di Gennaio 1981. Quando vi appare, però, lo fa in grande, con una menzione centrale in un articolo dedicato alla California Pacific, una recensione, una menzione come 23° titolo più venduto nella top 30 dell'Apple II e il lancio di un concorso per dedurre la vera identità del creatore di Akalabeth, Lord British (e cioè Garriott). Anche considerando i tempi tecnici di due mesi, tipici delle riviste cartacee, tutto sembra indicare che  Akalabeth alla fine del 1980 fosse ancora un prodotto nuovo (almeno a livello nazionale), oltre un anno dopo il momento in cui Gariott, secondo la letteratura ufficiale, l'avrebbe scritto. Se accettiamo questo fatto, ci restano due possibilità, entrambe le quali, in un certo senso, contraddicono la versione di Garriott. O Akalabeth non è stato pubblicato dalla California Pacific fino a un anno dopo la sua creazione (languendo nel frattempo nell'oscurità, mentre Garriott era impegnato col suo college), oppure non è stato creato nell'estate del 1979, dopo l'ultimo anno delle superiori, bensì nell'estate del 1980, dopo il suo primo anno di università. Di recente Howard Feldman ha digitalizzato una copia dell'originale Akalabeth della ComputerLand per il suo superbo Museum of Computer Adventure Game History. Tale edizione riporta un copyright del 1980, il che mi dà abbastanza sicurezza da affermare che il secondo scenario sia quello corretto: Garriott in persona, al pari delle tradizionali cronologie, sbaglia di un anno intero. In più mi trovo anche a dubitare delle vendite dichiarate da Garriott. Un articolo nel numero di Settembre/Ottobre 1982 di Computer Gaming World afferma che The Wizard and the Princess (un gioco che è stato costantemente nella top 10 di Softalk dalla fine del 1980 e per tutto il 1981, fino alla metà del 1982) aveva venduto solo 25.000 copie. È difficile immaginare che Akalabeth, che nello stesso periodo era apparso solo qualche volta in fondo alla top 30, avesse venduto quanto dichiarato.

Il che ovviamente mi spinge a chiedermi perché Garriott per così tanti anni abbia dichiarato cose che, sono quasi certo, non siano vere. E se uno che se ne va in giro chiamandosi “Lord British”, senza la minima apparente traccia di ironia, non sia certo un tipo modesto, non ho nessun elemento per dire che Garriott sia un disonesto. Anzi, in ogni intervista che ho visto, appare sempre molto affidabile ed equilibrato. E del resto fatico a trovare un motivo per cui egli dovrebbe consapevolmente falsificare le date della sua storia professionale. Se anche datare l'uscita di Akalabeth nel 1979, invece che nel 1980, lo renda ancora un po' più pioniere dell'industria, la lista dei traguardi raggiunti da Garriott è talmente lunga che non ha certo bisogno di barare. Né una pubblicazione precoce gli dà diritto a qualche particolare primato; anche se fosse uscito nel 1979, Akalabeth è comunque lontano dall'essere il primo GdR per computer e non è nemmeno così significativo se paragonato ad altri giochi tipo Temple of Apshai (un titolo molto più ambizioso e sofisticato che era stato pubblicato già nell'estate del 1979). Per quanto riguarda i dati di vendita... beh, i titoli successivi di Garriott avrebbero venduto in numeri tali che di certo non aveva bisogno di gonfiare quelli di Akalabeth per darsi maggior importanza.

Quindi, no, io non credo che Garriott ci stia volontariamente dicendo una bugia. Credo però che la memoria umana sia ingannevole. Per quanto questa moda passeggera per le neuroscienze mi infastidisca, ho trovato questo episodio di Radiolab sul funzionamento della memoria particolarmente affascinante. Descrive il ricordo come un atto di creazione immaginifica piuttosto che un mero recupero di informazioni immagazzinate e si spinge ad affermare contro-intuitivamente che più ricordiamo qualcosa, più ci rimuginiamo, più tale ricordo può farsi distorto e inaccurato. È per questo che ricorro in modo parsimonioso alle interviste dirette (l'altra ragione, ovviamente, è che la gente ha comunque di meglio da fare che parlare con me...). È molto facile per chiunque iniziare a credere alla propria leggenda, che essa abbia avuto origine nei suoi primissimi comunicati stampa oppure altrove e inserire tale versione degli eventi nella propria memoria al posto della realtà. Ironicamente ho notato che i personaggi meno osannati (come Lance Micklus) offrono solitamente i resoconti più veritieri, poiché le loro versioni del passato non sono state distorte da anni di continue ripetizioni delle medesime storie ormai profondamente radicate in essi.

In ogni caso tutto questo è comunque un esempio del processo che seguo quando cerco di arrivare alla verità storica, bilanciando le fonti l'una con l'altra e cercando di ricostruire la versione più credibile del passato. I casi più frustranti sono quelli per cui non riesco a raccogliere abbastanza prove, come nel caso della cronologia di Eamon, dove ho un creatore che si rifiuta di parlare della sua creazione, una persona di spicco (John Nelson) assolutamente certa della propria cronologia degli eventi, un singolo articolo di una rivista che sembrerebbe suggerire un'altra cronologia, ma che non lo fa in modo troppo convincente e, a parte questo, il vuoto più completo di informazioni attendibili. È in casi come questo che devo solo alzare le mani e ammettere che, semplicemente, non posso fare di meglio, il che è frustrante, perché se non posso documentare qualcosa significa che forse non potrà mai esserlo fatto.

Questo solleva una buona domanda: “e allora?”. A conti fatti non è poi di capitale importanza sapere se un game designer ha pubblicato la sua prima creazione nel 1979 o nel 1980, né se ne ha vendute 30.000 copie o solo 3.000. D'altro canto per me è però importante essere certo di queste cose e non solo per la vecchia massima, un po' abusata, secondo cui ogni cosa che merita di essere fatta, merita anche di essere fatta bene. Ormai è chiaro che “l'interactive entertainment” sarà il media che definirà il 21esimo secolo e quindi è un qualcosa che merita certamente di essere studiato approfonditamente. Coloro che scrivono di videogiochi generalmente non hanno fatto molto per questo genere: il che è un altro aspetto di un medium che sembra avere difficoltà a maturare e a comprendere fino in fondo il proprio potenziale. Qualunque sia la vostra opinione dei libri di liste, non posso fare a meno di confrontare “1001 film. I grandi capolavori del cinema”, oppure “1001 album. I capolavori della musica pop-rock internazionale”, con “1001 videogiochi da non perdere”. I primi sono ponderati, costruiti intorno ad un canone di grandi film e di grande musica che, senza pretendere di essere assoluto, è certamente difendibile; l'ultimo invece è un guazzabuglio di titoli apparentemente presi dal niente, con dei commenti che sembrano copiati direttamente dalle scatole dei giochi. Personalmente non sono nemmeno sicuro che ci siano 1001 videogiochi che “devono” essere giocati, ma di certo negli ultimi 35 anni sono state prodotte abbastanza opere buone da permetterci di rendere un po' più di giustizia al genere. Non voglio che questo post si trasformi in una filippica contro lo stato del giornalismo ludico, quindi mi limiterò a dire che penso che si possa fare di meglio nel raccontare la storia di questo medium, e che questo blog vuole essere il mio umile contributo a questa ambiziosa causa.

E poi è davvero emozionante scavare nel passato e rinvenire cose che non ci si sarebbe aspettati di trovare. Mi è già accaduto altre volte in questi mesi in cui ho condotto ricerche per questo blog, come quando ho scoperto che Scott Adams aveva scritto otto titoli della sua “classica dozzina di avventure” prima ancora della fine degli anni '70, o che il TRS-80 nei suoi primi due anni di vita aveva venduto così bene da lasciare alle altre piattaforme (incluso il leggendario Apple II) solo le briciole del mercato PC.

In altre parole: le fonti primarie hanno il sopravvento sulle altre.
E, del resto, se questo genere di cose non vi interessassero, non sareste mai arrivati a leggere fin qui e, probabilmente, non sareste nemmeno mai arrivati al mio blog. Che ne dite, quindi, se continuiamo a crogiolarci insieme in queste quisquilie?

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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Akalabeth su iOS

Una news veloce per segnalare una simpatica app che porta su iOS il capostipite dei giochi di ruolo occidentali: Akalabeth "World of Doom".
Il primo gioco di Richard Garriott ad essere stato commercializzato, nonché il padre spirituale della saga di Ultima.

Questo porting è stato realizzato con il permesso di Lord British e vanta tutta una serie di accorgimenti per rendere il titolo più godibile sui dispositi mobile. Fra questi, anche la simpatica interfaccia che ricorda una tastiera vintage.

L'occasione giusta per riscoprire le origini di un genere!

Akalabeth "World of Doom" su Appstore

La storia dei Gdr - capitolo terzo
I Giochi di Ruolo in Soggettiva

LA STORIA DEI GIOCHI DI RUOLO IN SOGGETTIVA

I giochi di ruolo in soggettiva sono quei giochi in cui l’avventura viene vissuta attraverso gli occhi dei nostri personaggi.
Agli albori, ben prima dell'arrivo delle moderne schede grafiche, era una sorta di 3D "primitivo". Costretti in un ambiente bidimensionale, i movimenti del party non avvenivono in modo fluido a 360°, ma bensì "di quadrato in quadrato", quasi una sorta di Myst primitivo. E, come se non bastasse, non ci si poteva nemmeno guardare intorno a 360° gradi, ma solo a destra o a sinistra, di 90° alla volta.
È del tutto evidente come un tale limite tecnico influì in maniera determinante sul gamplay di un'intera generazione di titoli. Si può dire che non fu il gameplay a ideare la rappresentazione grafica di sé stesso, ma il contrario.

LE ORIGINI:
La visuale in soggettiva viene usata per la prima volta in un gioco di ruolo (che non sia un semplice “esci dal labirinto”) in Akalabeth: "World of Doom", il predecessore del più noto Ultima I. Era il 1979 ed il gioco era programmato per Apple II.
La grafica dei dungeon, che definirei "stilizzata" (tecnicamente la si può definire "grafica renderizzata in wireframe"), era accompagnata da un interessantissimo generatore casuale di labirinti, che ritroviamo riproposta di quando in quando in altri giochi, per arrivare poi -infinitamente più avanzato!- in Daggerfall.
Questa "generazione" di gdr in soggettiva è caratterizzata da un'interfaccia testuale con controlli esclusivamente da tastiera, da combattimenti a turni, da un’interattività tutto sommato limitata rispetto agli standard successivi, ma anche da una difficoltà notevole.
Infatti, come è accaduto in tanti altri generi, all'introduzione di interfaccie punta e clicca più user friendly, corrisponde poi anche una graduale massificazione del genere e un conseguente drastico abbassamento della difficoltà e della longevità dei titoli.
Questa generazione, che negli anni ha raggiunto anche vette notevoli di grafica e di gameplay (vedi ad esempio Might & Magic II: "Gates to Another World" del 1988), mi sembra però oggi afflitta da una scarsa rigiocabilità. La grafica scarna, le interfacce complesse e un gameplay decisamente superato, ne fanno dei giochi decisamente non più appetibili per il giocatore medio.

 

IL PERIODO D’ORO:
Il periodo d’oro per i gdr in soggettiva si apre con il grandioso Dungeon Master della FTL Games. E’ il 1989.
E’ difficile elencare quali fossero le caratteristiche veramente uniche ed innovative di Dungeon Master. La verità è che questo gioco fa cose già viste, ma le fa alla perfezione! La prima di queste è ovviamente l'introduzione di un'interfaccia grafica, completamente utilizzabile tramite mouse.
Fu un immediato successo di pubblico e di critica, che aprì la strada ad un numero infinito di cloni.

Con Dungeon Master il gameplay di questi giochi diviene completamente basato su tre elementi distinti, che convivono in misura diversa a seconda del titolo: esplorazione, combattimenti in tempo reale ed enigmi di logica.
Per finire va segnlato come con le nuove interfaccie grafiche gestite interamente tramite mouse, i gdr diventano finalmente sufficientemente immediati e divertenti: finalmente accessibili per chiunque. E anche di questo dobbiamo ringraziare sicuramente Dungeon Master.

I titoli più famosi di questa generazione appartengono indiscutibilmente alla saga di Eye of Beholder (dei Westwood Studios, il primo capitolo è del 1990): avvincente ed immediato, ma al tempo stesso molto lineare e ripetitivo.
Parte del loro successo è dovuto sicuramente alla licenza ufficiale del AD&D, ma anche ad una notevolissima semplificazione delle meccaniche di gioco e al drastico abbassamento del livello di difficoltà rispetto al maestoso e difficilissimo Dungeon Master.

 

Accanto a Eye of Beholder, sorgono però altre storiche saghe fantasy, fra cui quella di Ishar (della Silmarils – il primo capitolo -Ishar: "Legend of the Fortress"- esce nel 1992).
Contemporaneamente anche le altre saghe storiche, tipo quella di Wizardry (della mai sufficientemente compianta Sir-Tech Software), corrono ai ripari e si adeguono ai nuovi standard.

Da vero appassionato del genere, trovo che l’apice di questi giochi fu raggiunto con Might & Magic 4: Clouds of Xeen (New World Computing, 1992), che poteva essere unito al suo seguito (Might & Magic 5: Darkside of Xeen, 1993), per formare il maestoso World of Xeen: un’epica avventura che rappresenta senz’altro l’apoteosi del trio "esplorazione + combattimenti + enigmi".

 

Questa generazione di gdr in soggettiva si conclude non molto tempo dopo che era nata: era il 1993 e la Westwood (orfana della SSI e quindi "espropriata" della saga di Eye of the Beholder) se ne esce con Lands of Lore.
Il gioco, nelle intenzioni degli sviluppatori, avrebbe dovuto innovare significativamente il genere, pur restando un titolo completamente 2D. Rivisto con gli occhi di oggi, Lands of Lore è in realtà un titolo ancora fortemente ancorato alla tradizione, ma sostanzialmente privato di uno dei tre elementi cardine del gameplay dei gdr in soggettiva: l'esplorazione. Infatti, fra i pareri contrastanti degli appassionati, introduce definitivamente l'auto-mapping. 
La SSI risponde a Lands of Lore con Eye of the Beholder 3: "Assault on Myth Drannor". Privo di automapping, all'epoca il titolo fu ampiamente criticato. Chi scrive lo ritiene invece probabilmente superiore a Lands of Lore.
Quel che è certo è che i due titoli sono il simbolo di un gameplay che stava per per cedere definitivamente il testimone...

 

IL FATICOSO PASSAGGIO AL VERO 3D:
E’ il 1992 quando un fulmine a ciel sereno mette in ginocchio più di un game designer: esce Ultima Underworld: "The Stygian Abyss".
Mentre le varie software house storiche del periodo (SSI, Westwood, Sir-Tech, New World Computing, ecc.) si crogiolano nei loro motori bidimensionali, la Origin (allora sempre di proprietà di Richard Garriott – abbasso la EA!), insieme alla Blue Sky Production (poi diventata la celebre Looking Glass) scuote il mondo dei giochi di ruolo: un motore finalmente 3D, tecnicamente superiore e in anticipo rispetto a quello di Doom, un gameplay completamente nuovo, un’interattività fino ad allora neppure immaginabile, un dungeon *vivo* pieno di PNG con cui interagire… insomma: un’altra dimensione (di nome e di fatto)!
È la rivoluzione di un genere: nuovo gameplay, un nuovo livello di realismo, un mondo virtuale finalmente credibile!

Le altre SH rispondono come possono o… non rispondo affatto.

La SSI cerca di adeguarsi ai nuovi standard con Ravenloft: "Strahd's Possession" (1994). Il gameplay resta lo stesso di Eye of Beholder, ma applicato senza modifiche ad uno scarno motore 3D dà come risultato un pessimo gioco.
Ne seguono anche altri, prodotti con lo stesso engine, fra cui Ravenloft 2: "The Stone Prophet" (1994) e Menzoberranzan, però (nonostante la licenza AD&D, il conte vampiro e i drow -questi ultimi di gran moda in quegli anni-) il risultato non cambia: gli ambienti di gioco sembrano spogli, insignificanti e superati.
Non a caso la licenza di AD&D passera nelle mani più meritevoli e innovative dei creatori di Baldur's Gate, che rinunceranno a competere sul campo del 3D e sforneranno il grande capolavoro isometrico (mosso dall'Infinity Engine) che tutti conosciamo.

 

Più in ritardo, ma anche in modo più convincente, arriva la risposta della New World Computing. Con Might & Magic VI: The Mandate of Haven (1998, sei anni dopo UU1!) riescono a riproporre il vecchio gameplay (esplorazione + combattimenti + enigmi) in un mondo 3D. L’esperimento riesce (tanto è vero che seguiranno altre 2 capitoli di notevole successo, con medesimo gameplay e medesimo motore 3D), ma è palese che il futuro del genere risiede ormai altrove…

Anche i Westwood, con la loro neonata saga di Lands of Lore, cercano di adeguarsi, ma in ritardo (Lands of Lore 2: "Guardians of Destiny" esce che è già il 1997) e senza un autentico slancio innovativo, anzi forse regredendo ad una tipologia di gioco di ruolo più immediato e semplificato. Una delusione per i puristi del genere, in cerca delle sensazioni dei vecchi giochi di una volta o del realismo di Ultima Underworld..

L’unica risposta all’altezza ad Ultima Underworld viene dalla Beteshda Softwork. E’ il 1993 ed esce The Elder Scrolls: "Arena".
Un gioco all’altezza dei nuovi standard tecnici, ma che coraggiosamente batte una nuova strada. Se Ultima Underworld punta sul realismo e l’interattività, Arena punta sulla libertà d’azione.
Ultima Underworld è un grosso dungeon di "soli" 8 livelli, ma creati come fossero un vero ecosistema: ogni PNG ha una sua storia ed è caratterizzato come il personaggio di un libro; le quest sono costruite in modo articolato e con grande cura; ecc.
Arena (e più ancora il suo seguito: Daggerfall, 1996) è un mondo di dimensioni mai viste. Agli 8 livelli di Ultima Underworld contrappone decine e decine di dungeon, la maggior parte dei quali generati casualmente. Ai pochi ma indimenticabili PNG di UU, Arena contrappone città popolate come non mai... ma i dialoghi sono quasi sempre uguali. Decine e decine di quest secondarie, carriere da intraprendere, dungeon da esplorare… insomma, libertà d’azione al posto di realismo del mondo di gioco.

Due concezioni di gioco di ruolo innovative e… alternative.

IL FUTURO
Con i moderni motori 3D sembra che ormai sia la visuale in prima (o terza) persona ad aver preso il sopravvento su quella isometrica.

Il vero salto di qualità nella rappresentazione 3D del mondo di gioco mi sembra sia stato fatto da Ultima 9: Ascension (1999).
Un gioco ricco di bug e forse deludente per i fan della serie, ma senz’altro un notevole passo avanti come engine di un gioco di ruolo. Un mondo vero, con torri e montagne, tutto esplorabile senza dover attendere noiosi caricamenti.

Sul fronte del gameplay mi sembra che si ripropongano tuttora i due schemi introdotti da Ultima Underworld e Arena: realismo vs. libertà d’azione.

Nella prima categoria figurano, fra gli altri: Ultima 9 (1999), Gothic (2001), Arx Fatalis (2002), Vampire - The Masquerade: Bloodlines (2004).

Per la seconda categoria credo che basti un nome su tutti: The Elder Scroll: Morrowind (2002). E certo in questo secondo filone mi sembrano inserirsi -con le dovute distinzioni!- quasi tutti i MMORPG.

Credo che l’attuale successo della libertà d’azione nei gdr sia dovuto ad una serie di fattori:
- l’immediatezza e l’attrazione offerta dalle maggiori possibilità di max playing. Unito al fascino del grande pubblico per il freeroaming e per le dinamiche da mondo sandbox.
- La somiglianza del gameplay di questi giochi con quello dei sempre più diffusi MMORPG, caratterizzati da quest e da un livello di libertà di azione molto simili. E, alla base, da un farming estremo (che ha raggiunto vette stratosferiche nel recente Skyrim) e da una ricerca costante dal max playing.

 

Discutiamo insieme della storia dei giochi di ruolo sul forum di OldGamesItalia!