Fra le tante tecniche narrative sviluppate in questi anni dalla comunità dell'interactive fiction, oggi vogliamo parlare delle "descrizioni telescopiche" e del superamento della "geografia euclidea" nelle avventure testuali.
Cosa sono? Le descrizioni telescopiche sono un vero e proprio "modello di mondo": un modo alternativo per rappresentare l'universo di gioco entro cui si svolge l'azione del giocatore.
Da Hunt the Wumpus in poi (come ci insegna The Digital Antiquarian), il mondo di gioco è stato costruito tramite "spazi topologici" nei quali "il giocatore si può muovere liberamente".
Da questa costruzione del mondo nascono elementi di gameplay ormai consolidati: la mappatura, il backtracking, i labirinti, la necessità di organizzare in modo meticoloso ogni spostamento, ecc. ecc..
A questi elementi si affiancano spesso le loro derive più autolesionistiche: l'inventario limitato, i vicoli ciechi, il ladro che rende impossibile mappare il labirinto, gli "hunger demons" e ogni altra sorta di timer, ecc. ecc.
Sono stati questi -fino agli anni '90- i pilasti portanti delle avventure testuali "in stile Infocom", ma anche di tanti gdr e di tante avventure grafiche (il limite ai viaggi in aereo in Zak McKraken è l'esempio concreto di come anche le avventure grafiche nascano con questo "peccato originale").
È sempre il The Digital Antiquarian ad osservare correttamente che Colossal Cave (la prima vera AT della storia) è innanzitutto un gioco di esplorazione geografica, una sorta di simulatore di speleologia. E tutto questo viene amplificato a dismisura in Zork, dove aumenta la complessità della mappa, ma aumentano anche i limiti dell'inventario, si riduce la durata della lanterna, e tutto è costruito intorno ad una costante necessità di ottimizzazione delle mosse.
Se però immaginiamo di spostare la nostra attenzione dall'esplorazione geografica degli ambienti alla narrazione, ci rendiamo conto che altre soluzioni sono possibili per raffigurare il mondo di gioco. Sono cioè possibili altri modelli di mondo, alternativi agli "spazi topologici" a cui la tradizione ci ha abituato.
Il punto di svolta viene generalmente indicato nel celebre Photopia di Adam Cadre. Photopia non rinuncia alle location, ma ne fa un uso tutto nuovo. Le location non sono più luoghi avversi da esplorare entro un tot di mosse, ma diventano l'amichevole teatro dell'azione. in Photopia perfino il labirinto è in realtà un non-labirinto, superabile solo "con il gioco di ruolo" e non con la mappatura.
Ma tante altre soluzioni sono immaginabili (e sono state immaginate!) per superare i limiti angusti della geografia: fra questi i one-room (es. Shade, dove il piccolo ambiente di gioco si trasforma sotto gli occhi del lettore), i one-move (tipo Aisle o Rematch, dove spazio e tempo sono condensati in un'unica mossa), e -appunto- i giochi "telescopici".
Nei giochi con descrizioni telescopiche, il tempo e lo spazio si piegano alla trama e alla discrezionalità del giocatore; diventano strumenti di narrazione.
Si parte da una descrizione, che contiene al suo interno alcuni elementi significativi. Osservando uno di questi elementi, il focus della narrazione vi si sposta, magari rivelando al suo interno nuovi elementi significativi, aprendo quindi altri spazi su cui puntare il nostro obbiettivo. Una sorta di esplorazione "a cascata", con l'occhio della cinepresa che si sposta da un elemento all'altro, facendoci viaggiare con sé.
Il tutto funziona in modo non dissimile dai tagli cinematografici, che concentrano l'azione nelle parti salienti della storia. È come ricorrere a inquadrature ravvicinate per mettere in evidenza solo ciò che nella scena c'è da vedere di veramente interessante.
Con una differenza significativa: nell'interactive fiction il registra di questi tagli è il giocatore, che li adopera liberamente.
Le descrizioni telescopiche sono esattamente questo: l'abbattimento dello spazio geografico nelle AT, in favore di uno spazio e di un tempo narrativi, il cui controllo è affidato al giocatore. Siamo noi a scegliere cosa "inquadrare" di volta in volta. Non è il nostro personaggio che si sposta attraverso gli ambienti, ma è la storia che ci fa vedere solo ciò che decidiamo di vedere: tagliando lo spazio, tagliando il tempo, tagliando gli spostamenti: immergendosi in un mondo di pura narrazione.
È un taglio netto con il passato e con la geografica (euclidea o non euclidea) dei capostipiti del genere. Uno strumento che promette grandi sviluppi, e che può essere applicato anche a generi diversi.
Ma le potenzialità inesplorate restano ancora tante.
Le descrizioni telescopiche non vanno confuse con il "testo telescopico", cioè quel testo che si espande o si contrae sotto i nostri click, creando per questa strada significati ulteriori rispetto al mero significato letterale. Questa è una tecnica ormai tipica di tanti titoli scritti in Twine e un esempio estremo ne può essere Sisters of Claro Largo.
Le descrizioni telescopiche sono altra cosa anche dagli "enigmi telescopici", dove "un problema tutto sommato semplice in realtà mostra la sua complessità di mossa in mossa, dato che gli elementi che portano al fallimento della soluzione iniziale vengono rivelati a mano a mano che essi vengono risolti" (cit. Ragfox, che adduce l'enigma del babel fish in Guida Galattica per Autostoppisti, quale primo esempio di questo tipo di enigmi).
Le descrizioni telescopiche, se applicate ad un gameplay normale, in ultima analisi producono un effetto di spostamento automatico fra location distanti fra loro. Un qualcosa di simile a quanto ha fatto Emily Short in Bronze, dove il parser gestisce in automatico lo spostamento fra location distanti, generando anche la relativa descrizione. L'effetto pratico sarà anche simile, ma il risultato emotivo e il coinvolgimento del giocatore è ben diverso, proprio perché con le descrizioni telescopiche a cambiare è innanzitutto il rapporto fra il giocatore e il modello di mondo.
Vi proponiamo quindi un percorso di gioco e di lettura, alla scoperta delle descrizioni telescopiche.
Castle of the Red Prince
Sconfiggi il Principe Rosso che tormenta questa terra fantasy.
Castle of the Red Prince è stato forse il primo titolo a fare un uso intensivo di questo strumento. Le descrizioni telescopiche sono utilizzate nel contesto di un'avventura classica, eliminando quindi il backtracking e altri fastidi tipici del genere. Con hint.
Tempo di gioco: 30 minuti
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Lime Ergot
Esplora un mondo onirico e allucinato, al di là dei confini spaziali e temorali.
Lime Ergot è costruito intorno ad un singolo enigma. Le descrizioni telescopiche sono però usate per creare un ambiente onirico/allucinatorio, in cui il giocatore dovrà muoversi spostando il fulcro della scena. Unico enigma.
Tempo di gioco: 20 minuti
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Enigma - An Interactive Instant
Uno stato confusionale ti paralizza in un istante cruciale. Risolvi il mistero e prendi quell'unica decisione essenziali.
In Enigma - An Interactive Instant le descrizioni telescopiche vengono utilizzate per simulare la creazione di una scena. Dirigendo in modo telescopico i pensieri del protagonista, si costruisce la scena, rivelando la verità. Con hint.
Tempo di gioco: 30 minuti
Leggi la recensione su IFItalia
Toby's Nose
Aiuta il cane di Sherlock Holmes a risolvere un misterioso delitto, facendo affidamento solo sul suo fiuto eccezionale.
Toby's Nose è forse il punto di arrivo attuale della ricerca sulle descrizione telescopiche, che qui simulano il fiuto di un cane, che grazie al suo olfatto si sposta mentalmente per locazioni altrimenti irraggiungibili. Dei giochi citati è sicuramente il più affascinante, ma anche il più complesso.
Tempo di gioco: 2 ore
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Questa settimana Leonardo ci mostra il gameplay di Hunt The Wumpus, un videogioco del 1972 scritto in BASIC per HP2000. Per la prima volta il giocatore poteva muoversi in uno spazio topologico invece che su una griglia bidimensionale.
Leonardo descrive il gioco originale e alcuni suoi predecessori.
Di quello che diverrà il gioco completo, che in così tanti giocheranno in seguito, l'Adventure originale di Crowther implementa (e solo in parte) la sezione all'aperto e il primo livello sotterraneo. L'espolorazione si esaurisce quindi intorno alla stanza "Complex Junction", dove un cartello reca scritto: "OLTRE QUESTO PUNTO LA GROTTA È IN COSTRUZIONE. PROCEDETE A VOSTRO RISCHIO." E non scherza: da quel punto in poi le connessioni fra le stanze si fanno caotiche e certe uscite addirittura ci riportano inspiegabilmente nelle location all'aperto.
Al di là della sfida esplorativa (costantemente presente) in realtà non è che in questa versione ci sia poi molto gameplay. Tuttavia possiamo affermare che Crowther abbia comunque gettato le basi per le migliaia di avventure testuali che seguiranno, riuscendo perfino a includere qualche semplice puzzle e -ebbene sì!- anche un labirinto!
In un certo senso ci si potrebbe spingere ad affermare che l'intero Adventure sia un unico grande labirinto. La sfida principale che ci viene proposta è di gran lunga il comprendere e lo spostarsi attraverso i vari nodi (le "stanze") fra loro interconnessi, che nel loro insieme compongono il mondo di gioco. A ben vedere anche i pochi semplici enigmi che presenta ruotano intorno al movimento: per poter superare La Sala del Re della Montagna dobbiamo occuparci del serpente; per portare fuori l'oro dobbiamo trovare un'uscita alternativa dalla grotta; ecc.
Tutto questo potrà sembrare strano, poco gradevole o addirittura noioso per noi giocatori odierni - o, per lo meno, per coloro di noi che sono immersi nell'IF moderna (incentrata intorno alla creazione di un'esperienza narrativa che sia innanzitutto gradevole per il giocatore).
La vera domanda, però, è: Crowther intendeva creare un'esperienza narrativa, oppure no? Io penso di no.
Crowther è una persona estremamente riservata, poco incline a ripercorrere il passato o a discutere del proprio lavoro, e quindi non ci sono molte testimonianze dirette su ciò che aveva in mente quando creò Adventure.
Tuttavia a fornirci degli indizi in questo senso è il testo che ci viene mostrato se digitiamo il comando HELP all'interno del gioco:
È interessante che Crowther abbiamo posto l'aspetto geografico così in primo piano e solo in seconda battuta accenni alla possibilità di manipolare "alcuni oggetti speciali".
Da vero hacker quale era, Crowther quasi certamente doveva essersi imbattuto in Hunt the Wumpus. Personalmente ritengo che inizialmente Adventure dovesse essere l'ennesima iterazione dell'idea di Yob di "un gioco per computer dotato di uno spazio topologico" e che -con ogni probabilità- continuò a esserlo nella testa di Crowther finché non ne abbandonò lo sviluppo. È assolutamente possibile, se non addirittura probabile, che le direzioni cardinali (intese come comandi per spostarsi fra gli ambienti) siano un'aggiunta abbastanza tardiva e che Crowther inizialmente intendesse far navigare il giocatore interamente tramite l'intuizione della parole chiave, che lo avrebbero portato da una location all'altra, facendo ancora di più della navigazione l'elemento centrale del gioco.
Anche se Dennis Jerz ha parlato con una persona che afferma di ricordarsi dell'esistenza delle direzioni cardinali fin dall'inizio dello sviluppo, è ben possibile che costui si ricordi male; dalla lettura del codice sorgente infatti sembra quasi certo che esse siano un'aggiunta dell'ultimo minuto -se non addirittura l'ultima aggiunta in assoluto-, forse implementata dopo aver realizzato quanto rischiasse di diventare improponibile una navigazione tramite parole chiave all'interno di un labirintico complesso sotterraneo composto da decine di stanze simili.
Al tempo stesso è indubbio che la geografia fosse un pensiero fisso nella mente di Crowther, che era anche speleologo: una questione di vita o di morte per chi si trova sottoterra. Non a caso la connessione domestica tramite telescrivente, con cui Crowther ha sviluppato Adventure, era probabilmente la stessa che ha usato anche per inserire i dati raccolti durante le sue spedizioni speleologiche e per tracciare le mappe della vera Mammoth Cave a vantaggio degli altri speleologi.
Ma quanto è davvero importante il modo in cui Crowther ha concepito il suo gioco? Forse non molto
Tuttavia vale la pena ricordare che le aspettative dei giocatori e degli autori di allora erano molto diverse da quelle odierne, il che può spiegare certe cose che gli autori facevano e che i giocatori apparentemente apprezzavano (e che oggi invece ci fanno infuriare). Questo è un punto su cui intendo tornare quando esaminerò altre opere storiche.
Alcuni studiosi hanno recentemente avanzato l'idea che i videogiochi siano innanzitutto l'esperienza di uno spazio, spingendosi fino a definirli una forma di architettura. È un'idea interessante, che trova ulteriori conferme se la valutiamo alla luce di queste prime opere di narrativa interattiva. Non sono ancora certo di come conciliare quest'idea con altre mie considerazioni in merito, ma ora -alla luce della mia esperienza con Adventure- le dò certamente un peso nuovo.
Al di là di queste considerazioni astratte, è innegabile che questa prima iterazione di Adventure abbia un suo fascino maestoso, che mi è difficile spiegare a parole. Crowther non era uno scrittore, non avendone né il talento né l'inclinazione, ma le sue descrizioni essenziali e concise recano con sé il segno di qualcuno che conosce davvero bene l'ambiente di cui sta scrivendo. Questo dona al suo gioco, nonostante i limiti del gioco stesso, una certa verosimiglianza che invece manca in molte delle più rifinite iterazioni che seguiranno negli anni successivi.
Ora però è giunto il momento di andare a vedere come Woods è stato capace di costruire intorno al nucleo così solido creato da Crowther.
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
Stando a quanto ci riferisce lo stesso Gregory Yob, Hunt the Wumpus è ispirato innanzitutto dalla sua avversione per la griglia cartesiana utilizzata da Hurkle e dagli altri giochi simili. Yob voleva realizzare un gioco di "caccia al mostro" basato sul dodecaedro - il suo "solido Platonico preferito". Devo confessare che il mio personale interesse nella geometria è così limitato da risultarmi difficile condividere la passione di Yob; e, sicuramente, non ho un "solido Platonico" preferito da confrontare col suo!
Mi interessano però le altre innovazioni che Yob introdusse mentre implementava il suo dodecaedro.
Hunt the Wumpus è il punto di origine di tutti quei "twisty little passages" che, di lì a pochi anni dalla sua creazione, avrebbero riempito così tanti schermi e così tanti fogli quadrettati. Il suo mondo consiste in una griglia di venti stanze, ognuna delle quali è connessa esattamente ad altre tre stanze. Alcune di queste stanze hanno dei contenuti, che vengono collocati in modo casuale all'inizio di ogni partita: precipizi senza fondo che sono causa di "instant death", dei "super pipistrelli" che trasportano il giocatore in un'altra stanza (scelta a caso), e poi -ovviamente- il wumpus stesso. Se il giocatore entra nella sua stanza, ha il 75% di probabilità di riuscire a scappare in una delle stanze adiacenti, ma nel restante 25% dei casi viene divorato immediatamente. Il wumpus può invece essere ucciso solo da lontano, scagliando una freccia da una stanza adiacente a quella in cui si trova. Il gioco pertanto deve comprendere due soli verbi: "MUOVITI" e "SPARA". Il gameplay, se si è cauti (per non dire "inesperti") come me, consiste nel muoversi con attenzione per gli ambienti di gioco, costruendosi una mappa delle stanze, delle relative interconnessioni, e dei pericoli, per poi posizionarsi nella stanza giusta per scagliare la freccia che ucciderà il povero wumpus.
Sul terminale il tutto ha questo aspetto:
SEI NELLA STANZA 20
CORRIDOI VANNO A 13 16 19
SPARI O TI MUOVI (S-M)?M
DOVE?13
PERCEPISCO UNA CORRENTE D'ARIA
SEI NELLA STANZA 13
CORRIDOI VANNO A 12 14 20
SPARI O TI MUOVI (S-M)?M
DOVE?20
SEI NELLA STANZA 20
CORRIDOI VANNO A 13 16 19
SPARI O TI MUOVI (S-M)?
Effettivamente graficamente non è proprio il massimo... Quando si gioca per la prima volta, ci si chiede se davvero è tutto lì. Eppure, se gli si dà una possibilità, si scopre un piccolo gioco ben ideato, che ancora oggi può rivelarsi avvincente, se non altro per le prime partite in cui si deve capire come funziona e come fare a vincere. Dal punto di vista del game designing il suo difetto principale è che capita spesso di iniziare con una configurazione di questo tipo:
La corrente d'aria indica che in una delle locazioni adiacenti c'è un precipizio; in altre parole, uno di quei tre corridoi conduce alla morte. Non avendo ancora avuto la possibilità di raccogliere ulteriori informazioni, quella che ci si prospetta è una scelta alla cieca. Si deve scegliere un corridoio e sperare per il meglio: non si può certo dire che sia una situazione molto equa in cui mettere il giocatore.
Personalmente però non sono interessato più di tanto alla teoria del game design, considerato che mi occupo di storia della narrativa ludica. E, da questo punto di vista, Hunt the Wumpus è enormemente importante.
Innanzitutto rappresenta un cambio di prospettiva radicale rispetto a giochi tipo Hurkle. Quei giochi erano visti "dall'alto", mentre in Wumpus il giocatore è calato direttamente all'interno del mondo di gioco. Si è veramente lì, nelle tenebre, passando lentamente di stanza in stanza. Certo, Wumpus ci offre solo un mero abbozzo di narrazione, ma questo abbozzo (unito al passaggio da una prospettiva in terza persona a una in prima persona) fa del gioco un'esperienza assai diversa da quella di Hurkle e simili. Quei giochi ci appaiono astratti, mentre Wumpus è molto più immersivo. Non si può dire che sia stato il primo titolo a calare il giocatore dentro il mondo di gioco (Wumpus è stato proceduto di circa un anno quantomeno da The Oregon Trail, che ed era anche dotato di un impianto narrativo ben più corposo), ma resta comunque significatamente più avanti rispetto a quelli che erano gli standard del periodo.
A questo aspetto si aggiunge il fatto -per noi ancora più importante!- che Wumpus è il prototipo del "sistema geografico" che ancora oggi caratterizza l'IF: una serie di stanze, distinte e autonome, collegate fra loro da interconnessioni che il giocatore può usare per spostarsi dall'una all'altra. Non ci sono ancora i punti cardinali, ma il resto dello schema è tutto presente.
Tutta l'esperienza di Wumpus ruota intorno alla mappa. Tutti i giochi di interactive fiction degli albori, che verranno dopo Hunt the Wumpus, riprenderanno questa tradizione e saranno pieni di quei "piccoli passaggi tortuosi", che così tante frustrazioni causano ai giocatori moderni che vi si avventurano. Il che solleva una questione che solo recentemente sento di aver compreso a pieno: i primi titoli di IF era incentrati più sulla geografia e sulla mappatura che sulla storia e gli enigmi (appena avrò finito con Wumpus, intendo dedicare un po' di spazio all'originale Adventure e in quell'occasione avrò altro da aggiungere in merito a questo spunto di riflessione).
Come per The Oregon Trail, tutto sembra indicarci che Hunt the Wumpus sia stato inizialmente scritto in HP Time-Shared BASIC. Sono riuscito a trovarlo, insieme agli altri suoi predecessori del genere "caccia al mostro", su delle cassette conservate da Bob Brown e Michael Gemeny del Gruppo Yahoo! dedicato all'HP-2000. Il suo codice sorgente in BASIC fu pubblicato per la prima volta sulla rivista della People’s Computer Company a metà del 1973, per poi riapparire sul numero di Ottobre 1975 di Creative Computing. Il programma apparso in quella sede è praticamente identico a quello che abbiamo trovato sulla cassetta, con l'unica differenza significativa rappresentata da alcuni comandi REM e PRINT -presenti nel listato della versione della rivista- che ne attribuiscono la paternità a Yob e che pubblicizzano Wumpus 2 e Wumpus 3 (i due seguiti del primo capitolo, che a quel tempo Yob aveva già scritto).
A differenza di The Oregon Trail, che restò fermamente nelle mani del MECC e che apparentemente fu distribuito solo agli istituti scolastici, Wumpus generò in breve tempo cumuli di porting e di adattamenti per praticamente tutte le piattaforme esistenti a quell'epoca (e in tutte le epoche che seguiranno). Quando apparve su Creative Computing, Yob poté scrivere che: "Mi è stato detto che esiste un Wumpus scritto in RPG, mi hanno riferito di uno in FORTRAN, gira voce di una versione di Wumpus presente all'interno del sistema del reparto di ricerca e sviluppo di una grande compagnia, e ho perfino visto una versione illustrata scritta per il terminale Hazeltine CRT!!!".
Quantomeno nel 1975 (ma forse anche prima), con la pubblicazione di Unix Version 6, Wumpus era stato convertito per Unix C; un commento nel codice sorgente dichiara allegramente: "rubato dal PCC Volume 2, Numero 1".
Il titolo era così interessante come gioco da superare le barriere culturali che normalmente separavano gli hippy del BASIC della PCC e di Creative Computing dal mondo istituzionale degli hacker "hardcore".
Grazie a Bob Brown, oggi se volete potete sperimentare nel suo ambiente originale la prima versione di questa reliquia, insieme a tutti gli altri suoi predecessori (Hurkle, Snark e Mugwump).
Ecco cosa dovete fare (e sì, è in gran parte la stessa procedura utilizzata per accedere a The Oregon Trail sullo stesso sistema):
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
All'apice dell'epoca degli hippy, due tizi chiamati Bob Albrecht e Leroy Finkel fondarono la casa editrice Dymax, con sede a San Francisco, per scrivere libri sul BASIC. Tuttavia Albrecht aveva ambizioni che andavano oltre oltre questo progetto...
In quei giorni i computer erano -letteralmente- materia di fantascienza: macchine gigantesche e sinistre che sistematicamente impazzivano, creando problemi su problemi al Capitano Kirk. Affinché tutto questo cambiasse e affinché il sogno di Albrecht di trasformare i computer in strumenti di divertimento si realizzasse, era necessario che la gente comune avesse accesso alla tecnologia.
Albrecht, che doveva essere un uomo molto carismatico e persuasivo, riuscì a farsi assegnare un vero PDP-8 dalla DEC e una connesione a un terminale romoto in condivisione di tempo dalla HP. In un attimo trasformò gli uffici della Dymax ubicati a Menlo Park in una sorta di "open house" del computer, dove chiunque poteva entrare e mettersi a giocare con le macchine. Nel 1972 l'editore Dymax era ormai diventato un'istituzione completamente diversa, che Albrecht ribattezzò The People’s Computer Company. PCC in realtà non era affatto una "company" come le altre o, almeno, non era una società troppo interessata a fare soldi per davvero. Non a caso il suo nome era ispirato a quello dei Big Brother and the Holding Company, una band di fine anni '60 in cui cantava una certa Janis Joplin, il che dovrebbe già essere sufficiente a dimostrare da che parte battesse il cuore di questa società.
Nel 1972 San Francisco stava ancora vivendo il sogno hippy, anche se dopo l'Altamont Free Concert stava già iniziando a svanire un po' della magia, e Albrecht e la sua PCC erano perfettamente inseriti in quel movimento di controcultura. La loro missione era portare i computer alla gente, e intendevono farlo non solo con la loro "open house", ma anche attraverso una newsletter il cui primo numero apparve nell'Ottobre del 1972.
L'incipit recitava:
"I computer vengono prevalentemente usati contro il popolo e non per il popolo. Sono utilizzati per controllare il popolo invece che per liberarlo. È il momento di cambiare tutto ciò. Quello che ci serve è una... People’s Computer Company [Società di Computer del Popolo].”
Steven Levy in Hackers descrive così l'atmosfera nell'ufficio a Menlo Park:
"La nostra intenzione è di aprire dei centri di computer di quartiere, dove la gente possa entrare come fa al bowling o in sala giochi, e scoprire come ci si diverte con i computer."
Era questo l'ambiente in cui un giorno entrò il 27enne Gregory Yob, più o meno contemporaneamente alla pubblicazione di quel primo cruciale numero della rivista della PCC. A quei giorni alla PCC era molto popolare una serie di giochi di supposizione basati su una griglia, scritti dallo stesso Albrecht. Con ogni probabilità il primo di questi giochi è stato Hurkle:
Le varianti successive rendevono le cose un po' più complicate. In Snark si deve inserire il raggio di un cerchio con il centro posto sull'origine degli assi, per essere poi informati se lo Snark si trova all'interno o all'esterno. Mugwump (il più difficile) si limita a dire quanto è distante in linea retta il mugwump dal punto che indichiamo, lasciando al giocatore il compito di intuire in che direzione.
In un certo senso, però, questi non posso essere definiti giochi veri e propri: non c'è un vero e proprio modo di perdere; al massimo si può finire il gioco con un numero di tentativi più o meno grande. Certo, possiamo immaginarci che la gente organizzasse delle sfide di gruppo nell'atmosfera così conviviale della PCC, ma -poiché ogni partita in realtà è generata casualmente- è impossibile determinare in che rapporto stiano fra loro due punteggi realizzati in due partite diverse.
La reazione di Yob a questi giochi fu la seguente - testuali parole:
Un "gioco per computer dotato di uno spazio topologico" nel quale "il giocatore si possa muovere liberamente". Cosa vi fanno venire in mente queste parole...?
continua con la seconda parte >
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Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
Il sito ufficiale di The Digital Antiquarian
A Caccia del Wumpus Parte 2
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Vi lasciamo quindi alla lettura del primo ciclo di cinque articoli, che pubblicheremo a scadenza settimanale, dedicato alla rivalutazione storica di The Oregon Trail.
Di recente ho preso una copia di 1001 Videogiochi Da Non Perdere. Come libro non è un granché, per una serie di motivi abbastanza interessanti che spero di poter approfondire quanto prima in un post dedicato. Ora però voglio parlarvi di The Oregon Trail, il primo titolo di cui si occupa quel libro, perché il capitolo che gli è dedicato mi ha fatto sprofondare in un mare di pensieri dal quale sono appena riemerso con nuove idee sulla storia della narrativa interattiva.
Se anche voi avete una certa età e una certa nazionalità (come le mie), quasi certamente conoscerete già The Oregon Trail. Dagli inizi degli anni'80 fino ai '90 inoltrati praticamente ogni scuola pubblica d'America aveva in un cantuccio qualche Apple II e sicuramente su quegli Apple II girava questo piccolo titolo didattico, che calava il giocatore nei panni di un aspirante colono in partenza per un lungo viaggio dal Missouri all'Oregon (lungo la cosìdetta Pista dell'Oregon). Quelle prime versioni del gioco erano prevalentemente testuali, seppur vivacizzate da un sacco di grafica colorata che le rendevano sufficientemente attraenti da fargli conquistare il favore degli studenti di allora, tanto da essere ricordate ancora oggi con nostalgia da milioni di persone. Non deve sorprendere, quindi, se ho appena scoperto che esiste perfino una app di Facebook dedicata al gioco (a cui hanno fatto seguito anche le versioni iOS e Android).
Ciò che invece spesso si ignora è che The Oregon Trail, quando arrivò per la prima volta sull'Apple II, era già un gioco molto datato. Non a caso è il primo titolo in ordine cronologico dei 1001 Videogiochi (anche se la sua corretta datazione in quel libro è di per sé abbastanza sorprendente, considerato quante altre date sono sbagliate; ma ho promesso di non lagnarmi, almeno per il momento...). The Oregon Trail infatti è stato scritto per la prima volta nel 1971 da tre insegnanti del Carleton College, un piccolo istituto d'arti liberali del Northfield (Minnesota). Don Rawitsch, Bill Heinemann (che non deve però essere confuso con il “Burger Bill” Heineman che, fra tanti giochi, lavorò anche alla serie di The Bard’s Tale) e Paul Dillenberger lo programmarono in BASIC su un minicomputer della serie HP-2100.
Nella mia storia dell'IF ho citato due titoli come i predecessori più significativi di Adventure (1976-77), vera pietra miliare del genere: Eliza di Joseph Weizenbaum (1966), che per primo ha posto le basi del sistema d'interazione tipico dell'IF (seppur all'interno di un elaborato "gioco di prestigio", invece che di un gioco vero e proprio) e Hunt the Wumpus di Gregory Yob, un gioco semplice in cui il giocatore si sposta di stanza in stanza all'interno di un labirinto, nel tentativo di evitare e infine di uccidere quel Wumpus che dà il titolo al gioco.
The Oregon Trail mi fa pensare che debba esserci un terzo titolo in quella lista.
Consideriamo lo stato in cui versava la narrativa interattiva (in senso lato) nel 1971. Anche se c'erano già stati esperimenti di narrazione interattiva del genere "mystery", ne erano ben pochi gli esempi in circolazione.
Edward Packard aveva già tentato di farsi pubblicare i primi libri di quella che sarebbe poi diventata la collana "Choose Your Own Adventure" (quelli che in Italia saranno conosciuti come "librogame" ndTraduttore), ma era stato rifiutato da tutti gli editori a cui si era rivolto e avrebbe dovuto aspettare ancora molti anni prima di vedere la sua idea stampata su carta.
Un gruppo di trasandati wargamer del Wisconsin stavano già giocando con quel sistema che un giorno sarebbe divenuto Dungeons and Dragons, ma anche in questo caso erano ancora ben lontani dalla sua reale pubblicazione. Indubbiamente i wargame e gli altri giochi simulativi avevano una componente empirica che implicitamente spingeva i giocatori a immaginarsi nella propria testa gli eventi che stavano simulando, ma tali eventi venivano ancora inquadrati dal punto di vista di un dio nel cielo e non da quello di un personaggio immerso nel mondo di gioco.
Nel mondo dei computer i ricercatori nel campo dell'intelligenza artificiale erano al lavoro sulla narrativa generata dal computer, ma non si trattava ancora di vera e propria narrativa interattiva, quanto piuttosto di storie autosufficienti, generate in anticipo dal computer sulla base dei dati immessi dall'utente, per poi essere riprodotte a vantaggio degli spettatori.
The Oregon Trail invece si apre dicendoci che: "La tua famiglia, composta da cinque persone, coprirà le 2.040 miglia del Cammino dell'Oregon in 5-6 mesi - se arriverete vivi. Avete messo da parte 900 dollari per il viaggio e ne avete appena spesi 200 per il carro". Ci immerge immediatamente in un'ambientazione con una propria storia e ci invita ad assumere un ruolo e a decidere cosa accadrà dopo. Era mai esistito prima di allora un programma che volesse così esplicitamente scrivere una storia CON noi (invece che PER noi)?
Se è esistito, io non ne sono a conoscenza.
Mi sono così imbarcato in una missione donchisciottesca, volta a sperimentare in prima persona The Oregon Trail nella forma il più simile possibile a quella originale. Ma di questo vi dirò di più la prossima volta.
Sulle tracce di The Oregon Trail:
- Parte 1
- Parte 2
- Parte 3
- Parte 4
- Parte 5
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