Questo piccolo articolo sarà il primo di una serie che ci accompagnerà durante i mesi della Marmellata d'Avventura, fino al rilascio dei giochi.
Lo scopo è quello di rispolverare alcuni classici, antichi e moderni, della narrativa interattiva, che si sposano bene con i temi che abbiamo scelto quest'anno.
Il primo titolo che tiriamo fuori è Aisle, avventura di Sam Barlow, più conosciuto oggi per essere l'autore di Her Story e del nuovo Telling Lies.
Aisle è, non solo un esempio di one-room game, in quanto tutta l'avventura avviene nella singola corsia di un supermercato, ma è anche un one-move game, poiché il giocatore ha a disposizione una sola mossa.
E' un gioco adatto a essere provato da esperti di avventure testuali e anche da neofiti che vogliono familiarizzare con il genere o con il concetto di one-room game.
Leggete anche la recensione del nostro The Ancient One
E, soprattutto, divertitevi!
Fra le tante tecniche narrative sviluppate in questi anni dalla comunità dell'interactive fiction, oggi vogliamo parlare delle "descrizioni telescopiche" e del superamento della "geografia euclidea" nelle avventure testuali.
Cosa sono? Le descrizioni telescopiche sono un vero e proprio "modello di mondo": un modo alternativo per rappresentare l'universo di gioco entro cui si svolge l'azione del giocatore.
Da Hunt the Wumpus in poi (come ci insegna The Digital Antiquarian), il mondo di gioco è stato costruito tramite "spazi topologici" nei quali "il giocatore si può muovere liberamente".
Da questa costruzione del mondo nascono elementi di gameplay ormai consolidati: la mappatura, il backtracking, i labirinti, la necessità di organizzare in modo meticoloso ogni spostamento, ecc. ecc..
A questi elementi si affiancano spesso le loro derive più autolesionistiche: l'inventario limitato, i vicoli ciechi, il ladro che rende impossibile mappare il labirinto, gli "hunger demons" e ogni altra sorta di timer, ecc. ecc.
Sono stati questi -fino agli anni '90- i pilasti portanti delle avventure testuali "in stile Infocom", ma anche di tanti gdr e di tante avventure grafiche (il limite ai viaggi in aereo in Zak McKraken è l'esempio concreto di come anche le avventure grafiche nascano con questo "peccato originale").
È sempre il The Digital Antiquarian ad osservare correttamente che Colossal Cave (la prima vera AT della storia) è innanzitutto un gioco di esplorazione geografica, una sorta di simulatore di speleologia. E tutto questo viene amplificato a dismisura in Zork, dove aumenta la complessità della mappa, ma aumentano anche i limiti dell'inventario, si riduce la durata della lanterna, e tutto è costruito intorno ad una costante necessità di ottimizzazione delle mosse.
Se però immaginiamo di spostare la nostra attenzione dall'esplorazione geografica degli ambienti alla narrazione, ci rendiamo conto che altre soluzioni sono possibili per raffigurare il mondo di gioco. Sono cioè possibili altri modelli di mondo, alternativi agli "spazi topologici" a cui la tradizione ci ha abituato.
Il punto di svolta viene generalmente indicato nel celebre Photopia di Adam Cadre. Photopia non rinuncia alle location, ma ne fa un uso tutto nuovo. Le location non sono più luoghi avversi da esplorare entro un tot di mosse, ma diventano l'amichevole teatro dell'azione. in Photopia perfino il labirinto è in realtà un non-labirinto, superabile solo "con il gioco di ruolo" e non con la mappatura.
Ma tante altre soluzioni sono immaginabili (e sono state immaginate!) per superare i limiti angusti della geografia: fra questi i one-room (es. Shade, dove il piccolo ambiente di gioco si trasforma sotto gli occhi del lettore), i one-move (tipo Aisle o Rematch, dove spazio e tempo sono condensati in un'unica mossa), e -appunto- i giochi "telescopici".
Nei giochi con descrizioni telescopiche, il tempo e lo spazio si piegano alla trama e alla discrezionalità del giocatore; diventano strumenti di narrazione.
Si parte da una descrizione, che contiene al suo interno alcuni elementi significativi. Osservando uno di questi elementi, il focus della narrazione vi si sposta, magari rivelando al suo interno nuovi elementi significativi, aprendo quindi altri spazi su cui puntare il nostro obbiettivo. Una sorta di esplorazione "a cascata", con l'occhio della cinepresa che si sposta da un elemento all'altro, facendoci viaggiare con sé.
Il tutto funziona in modo non dissimile dai tagli cinematografici, che concentrano l'azione nelle parti salienti della storia. È come ricorrere a inquadrature ravvicinate per mettere in evidenza solo ciò che nella scena c'è da vedere di veramente interessante.
Con una differenza significativa: nell'interactive fiction il registra di questi tagli è il giocatore, che li adopera liberamente.
Le descrizioni telescopiche sono esattamente questo: l'abbattimento dello spazio geografico nelle AT, in favore di uno spazio e di un tempo narrativi, il cui controllo è affidato al giocatore. Siamo noi a scegliere cosa "inquadrare" di volta in volta. Non è il nostro personaggio che si sposta attraverso gli ambienti, ma è la storia che ci fa vedere solo ciò che decidiamo di vedere: tagliando lo spazio, tagliando il tempo, tagliando gli spostamenti: immergendosi in un mondo di pura narrazione.
È un taglio netto con il passato e con la geografica (euclidea o non euclidea) dei capostipiti del genere. Uno strumento che promette grandi sviluppi, e che può essere applicato anche a generi diversi.
Ma le potenzialità inesplorate restano ancora tante.
Le descrizioni telescopiche non vanno confuse con il "testo telescopico", cioè quel testo che si espande o si contrae sotto i nostri click, creando per questa strada significati ulteriori rispetto al mero significato letterale. Questa è una tecnica ormai tipica di tanti titoli scritti in Twine e un esempio estremo ne può essere Sisters of Claro Largo.
Le descrizioni telescopiche sono altra cosa anche dagli "enigmi telescopici", dove "un problema tutto sommato semplice in realtà mostra la sua complessità di mossa in mossa, dato che gli elementi che portano al fallimento della soluzione iniziale vengono rivelati a mano a mano che essi vengono risolti" (cit. Ragfox, che adduce l'enigma del babel fish in Guida Galattica per Autostoppisti, quale primo esempio di questo tipo di enigmi).
Le descrizioni telescopiche, se applicate ad un gameplay normale, in ultima analisi producono un effetto di spostamento automatico fra location distanti fra loro. Un qualcosa di simile a quanto ha fatto Emily Short in Bronze, dove il parser gestisce in automatico lo spostamento fra location distanti, generando anche la relativa descrizione. L'effetto pratico sarà anche simile, ma il risultato emotivo e il coinvolgimento del giocatore è ben diverso, proprio perché con le descrizioni telescopiche a cambiare è innanzitutto il rapporto fra il giocatore e il modello di mondo.
Vi proponiamo quindi un percorso di gioco e di lettura, alla scoperta delle descrizioni telescopiche.
Castle of the Red Prince
Sconfiggi il Principe Rosso che tormenta questa terra fantasy.
Castle of the Red Prince è stato forse il primo titolo a fare un uso intensivo di questo strumento. Le descrizioni telescopiche sono utilizzate nel contesto di un'avventura classica, eliminando quindi il backtracking e altri fastidi tipici del genere. Con hint.
Tempo di gioco: 30 minuti
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Lime Ergot
Esplora un mondo onirico e allucinato, al di là dei confini spaziali e temorali.
Lime Ergot è costruito intorno ad un singolo enigma. Le descrizioni telescopiche sono però usate per creare un ambiente onirico/allucinatorio, in cui il giocatore dovrà muoversi spostando il fulcro della scena. Unico enigma.
Tempo di gioco: 20 minuti
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Enigma - An Interactive Instant
Uno stato confusionale ti paralizza in un istante cruciale. Risolvi il mistero e prendi quell'unica decisione essenziali.
In Enigma - An Interactive Instant le descrizioni telescopiche vengono utilizzate per simulare la creazione di una scena. Dirigendo in modo telescopico i pensieri del protagonista, si costruisce la scena, rivelando la verità. Con hint.
Tempo di gioco: 30 minuti
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Toby's Nose
Aiuta il cane di Sherlock Holmes a risolvere un misterioso delitto, facendo affidamento solo sul suo fiuto eccezionale.
Toby's Nose è forse il punto di arrivo attuale della ricerca sulle descrizione telescopiche, che qui simulano il fiuto di un cane, che grazie al suo olfatto si sposta mentalmente per locazioni altrimenti irraggiungibili. Dei giochi citati è sicuramente il più affascinante, ma anche il più complesso.
Tempo di gioco: 2 ore
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Aisle è il titolo con cui Sam Barlow si è fatto conoscere al pubblico dell'interactive fiction, anche se ormai è ben più noto grazie al suo Her Story.
Vincitore del premio Best Use of Medium agli XYZZY Awards del 1999, Aisle è un piccolo gioiello di narrazione. È un titolo adatto a tutti in virtù della sua brevità e della semplicità della sua struttura. Rappresenta un'ottima introduzione al genere, ma è anche abbastanza profondo da appassionare i più esperti.
Tutta la storia di Aisle si condensa in una sola unica azione: atto di suprema potenza del giocatore, che con un unico comando dà inizio, e al tempo stesso pone fine, all' esperienza di gioco.
Esplosione di libertà e al tempo stesso prigione di cristallo.
Aisle è al tempo stesso un one-room game e un one-move game (vedi anche Rematch)
Aisle è la "descrizione di un attimo", che il giocatore può investire come meglio credere. Per poi ripartire da capo.
Ogni scelta è lecita e quasi tutte le opzioni che sono stato in grado di immaginare erano implementate in modo convincente.
Quello descritto da Aisle è un attimo a cavallo fra passato, presente e futuro. Un attimo qualsiasi, non particolarmente determinante nella vita del protagonista, ma non per questo privo di bellezza. Il protagonista si trova in una corsia di un supermercato, intanto a fare la spesa quotidiana, e si scopre attratto dai ricordi suscitati in lui dalla vista di una normalissima confezione di gnocchi.
Aisle è la rappresentazione letteraria del nostro presente, che ha in sé le conseguenze di ciò che è stato, ma che al tempo stesso è già foriero di ciò che sarà. Possiamo ricordare il passato, oppure possiamo osservare il presente, oppure possiamo compiere azioni che determineranno il nostro futuro.
Per quanto ogni nostra azione sia auto-conclusiva, il ripetersi dell'esperienza di gioco dipinge nel suo complesso un quadro omogeneo, via via sempre più vasto, che va a comporsi partita dopo partita.
Aisle è una sorta di premessa logica di Her Story e di altro titoli con una struttura simile, tipo i giochi con "descrizioni telescopiche" (es. Toby's Nose e Lime Ergot).
L'esperienza di gioco di Aisle consiste nella libera esplorazione del testo, da cui emerge lentamente un quadro più grande che raffigura la bellezza della possibilità. Una lettura interattiva nel senso più profondo del termine.
Interattività come libera esplorazione di una trama già scritta, che il lettore compone a suo piacimento partita dopo partita.
Bello.
Leggi anche la recensione di Her Story, l'ultimo titolo di Sam Barlow
Questa recensione è stata realizzata a quattro mani da me e il mitico Ancient.
In Her Story, abbiamo a disposizione un database con le clip di sette interrogatori alla stessa donna. Noi possiamo cercare le varie clip di questo database inserendo delle parole chiave (per esempio “omicidio”): ci verranno mostrate le prime 5 clip, in ordine cronologico, che contengono la parola da noi inserita. A quel punto possiamo guardarle e digitare un'altra parola chiave e così via fino a che non avremo scoperto... beh, quello che c'è da scoprire.
Il gameplay di Her Story è tutto qui, e in effetti sembra poco. Ma il tutto è stato gestito e costruito così bene che il gioco riesce lì dove altri giochi investigativi e narrativi falliscono: Her Story costruisce la suspense e la mantiene fino alla fine, quando tutto viene rivelato, e ci riesce garantendo una grande non-linearità. La storia è in parte l'indagine su un omicidio e in parte un'indagine psicologica, e le nostre convinzioni su entrambi questi “lati della storia” cambieranno più volte man a mano che nuove clip verranno svelate e che il nostro interesse passerà dal chiederci “come?” al chiederci “perché?”.
Siamo rimasti sorpresi da come tutto sia basato sugli input del giocatore e comunque riesca a funzionare così bene.
La presenza dei FMV ovviamente ricorda a ognuno di noi i gloriosi (e controversi) anni dei "film interattivi". Ma il gameplay di questo Her Story non ha punti di contatto significativi con i giochi di quel tempo.
Se paragoniamo Her Story alle avventure grafiche con filmati di anni fa (es. Phantasmagoria, 7th Guest, Under A Killing Moon) vediamo che qui non ci sono enigmi, non ci sono oggetti, non c'è "punta e clicca".
Idem per quei titoli che ambivano ad essere veri e propri film interattivi (es. Tender Loving Care, Plumbers Don't Wear Ties, ecc.). In quei giochi il gameplay diventava infatti del tutto secondario. E l'interazione, già scarsa di per sé, era del tutto subordinata alla storia che si stava raccontando, che veniva fruita in modo lineare e passivo da parte del giocatore, il cui intervento era richiesto solo durante qualche bivio.
Un gioco che utilizza un metodo simile a quello di Her Story, ma senza FMV, è Analogue: A Hate Story, della Love. Anche lì abbiamo un database da spulciare e anche lì possiamo decidere quali documenti decrittare man a mano che proseguiamo nella vicenda, ma in Analogue il nostro sistema di scelta è più indiretto: possiamo mostrare ogni documento a Hyun-ae, che deciderà poi quali altri documenti sbloccare per noi. Hyun-ae filtra, quindi, le informazioni a cui abbiamo accesso, e questo dà alla Love maggior controllo sul ritmo della narrazione. Nel sequel, Hate Plus, abbiamo più libertà di scelta e possiamo estrarre solo 6 documenti alla volta.
Her Story ci dà invece la possibilità di digitare direttamente il contenuto che stiamo cercando. Basterebbe che un giocatore inserisse una certa parola chiave un po' troppo presto perché tutto il castello di suspense e mistero costruito da Her Story crollasse come se fosse fatto di sabbia. Ma questo non succede o, quantomeno, non è successo a nessun dei giocatori di cui abbiamo letto online – e neanche a noi. L'autore, Sam Barlow, è riuscito a nascondere la verità in strati e strati di parole chiave e a costruire un percorso intuitivo che il giocatore quasi sicuramente imboccherà.
Il cardine dell'esperienza di gioco è la flessibilità della narrazione. La storia che ci viene presentata è di per sé lineare e univoca, ma il giocatore ha facoltà di esplorarla liberamente attraverso il motore di ricerca dei filmati. Giocando ci troviamo a scomporre e ricomporre le pagine del "libro", dando alle stesse un ordine diverso e seguendo un nostro intimo percorso di lettura.
È come un libro che si compone sotto i nostri occhi, secondo i nostri gusti e secondo i nostri tempi.
Per questo Her Story è grande: non ci dà un percorso predefinito per "attraversare la storia" e non c'è un finale obbligatorio che chiude la nostra esperienza. La storia finisce quando noi spettatori siamo soddisfatti di come l'abbiamo ricostruita, delle cose che abbiamo scoperto (e di quelle che non abbiamo saputo/voluto decifrare), e di quanto ci è durata.
Qualcuno si accontenterà di aver visto un 50% dei filmati. Altri vorranno trovarli tutti. Ma quel che conta è che ogni singolo giocatore avrà creato una propria esperienza narrativa, andando ad approfondire quel che voleva approfondire e tralasciando il resto.
Vale la pena citare come Her Story non faccia altro che aggiungere una "sovrastruttura" di filmati a quello che è una struttura di gioco ormai da tempo collaudata nell'IF. Penso a giochi come Toby's Nose o Enigma: An Interactive Moment. Entrambi questi giochi mettono in scena (con pretesti narrativi diversi) un gameplay praticamente identico, che attraverso l'uso di parole chiave rende dinamica la fruizione di una storia che di per sé sarebbe lineare ed univoca. Tecnicamente si parla di “esplorazione su base tematica”. Del resto Sam Barlow non è estraneo al mondo dell'IF, essendo il pluri-premiato autore del celebre Aisle, che con il suo gameplay incentrato su una singola azione (!!!) in qualche modo è un precursore dei giochi "thematically directed".
Se è vero che l'interactive fiction è stato per lunghi anni gloriosamente dominata dai giochi testuali a parser, Her Story e il suo successo sono la dimostrazione che il genere sta contemporaneamente evolvendo verso nuove forme. Personalmente crediamo che questo sia un bene: nel genere c'è spazio per ogni tipo di gameplay (anche in FMV!), purché sia garantita ai fan la qualità dei testi e l'interattività della narrazione.
Ma Her Story funziona così bene anche per altri due motivi: la qualità del writing e la bravura dell'attrice, Viva Seifert. Entrambi sono eccezionali, e piccoli hint si nascondono dietro ogni parola e dietro ogni gesto dell'attrice. Capita spesso di digitare una parola chiave e, nella prima clip che ci viene mostrata, di trovare quasi esattamente la risposta che cercavamo. Quel tanto che basta per instradarci lasciando vari quesiti aperti. La gestualità dell'attrice è fondamentale e si nota la sua bravura quando, scoperti certi risvolti, riguarderemo vecchie clip e noteremo che da quel gesto, da quell'espressione, avremmo potuto intuire tante cose, se solo avessimo saputo quel che sappiamo adesso.
L'interfaccia fa la sua parte nell'immedesimarci il più possibile, simulando un monitor CRT, con tanto di riflesso e interlacciamento. C'è un'opzione per disabilitare questi effetti, ma si perde parte dell'atmosfera: la storia è ambientata nel 1994, ed è piena di riferimenti dell'epoca.
Non tutto è perfetto neanche in Her Story, bisogna dirlo. Intanto, per accettare la storia bisogna chiudere un occhio sul fatto che il computer che abbiamo per le mani non sia capace di, tipo, mostrarci tutte le clip e basta. In secondo luogo, sono presenti alcuni anacronismi qui e là (l'attrice cita un film che in quell'anno non era ancora uscito, per esempio). Sono piccoli errori, che non pregiudicano la storia nel complesso perché hanno poca o nulla influenza diretta, ma in un gioco in cui si deve far attenzione anche ai più piccoli dettagli per scovare le bugie e le verità, errori simili possono confondere.
In terzo luogo, il piacere di Her Story è quello della scoperta più che della fruizione della storia in sé. Una volta completato, difficilmente si vorrà giocarlo di nuovo, se non magari fra qualche anno, quando avremo dimenticato i particolari e potremo rivivere l'esperienza.
Her Story è un gioco breve, completabile in una giornata di gioco intenso, che cerca di essere innovativo senza diventare astruso o troppo facile. Condensa, in quelle 5-6 ore che vi servono per completarlo, un'indagine psicologica e un storia piena di risvolti grazie a un'attrice che ci mostra quanto può essere ben utilizzato l'FMV.
Eri convinto di essere un ottimo giocatore di biliardo.
Ma stanotte Nick ti ha già battuto una volta e Ines continua a guardarlo con molto più interesse di quanto vorresti. È per questo che decidi di chiedergli la rivincita.
"Certo, Kurt!" risponde ridendo Nick. "Spacchi tu".
Sembra una serata tra amici come tante. Un po' di spacconeria, di tensioni sessuali, di cose non dette. E, naturalmente, un tavolo da biliardo, pronto per la spaccata. Solo che il destino ha in serbo un altro tipo di spaccata...
Rematch, di Andrew D. Pontious, è un'avventura testuale molto peculiare che fa parte della ristretta cerchia dei cosiddetti titoli "one-move", in cui al giocatore è concesso inserire una sola riga di comando nel parser prima di incontrare il temuto game over o il tanto atteso finale. Riuscire a completare nella maniera migliore il gioco sembra un compito impossibile, o un evento determinato esclusivamente dalla fortuna, ma in realtà il tutto si basa sulla ripetizione di quell'unico attimo in cui chi sta dietro alla tastiera può interagire con i personaggi virtuali. Game over dopo game over, il giocatore diventa sempre più consapevole del mondo di gioco, scopre dettagli che prima non aveva notato e infine intravede un bagliore di speranza, la leva per scardinare i meccanismi di questa strana giostra temporale.
Da un punto di vista tecnico ci troviamo di fornte a un'avventura realizzata nel 2000 in TADS 2, un linguaggio "rivale" del più noto Inform. Il parser risponde bene ai comandi e si dimostra sufficientemente flessibile, nonostante la natura del gioco limiti la libertà di azione del giocatore. Non bisogna farsi ingannare dall'apparente semplicità dell'impianto, che si potrebbe dare per scontata dato che la storia comincia e si esaurisce nel giro di un solo turno. Rematch presenta infatti diversi livelli di complessità, ben nascosti dietro la sua caratteristica che lo identifica come one-move game.
A differenza del capostipite di questo tipo di giochi (lo sperimentale Aisle, dove non sono presenti enigmi), l'opera seconda di Pontious vanta un complessissimo puzzle (o meglio, un insieme di piccoli puzzle che ne compongono uno più grande) costruito attorno a quell'unico turno giocabile. È come un meccanismo a orologeria in cui ogni elemento deve trovarsi al posto giusto nel momento giusto - e quel momento è naturalmente quello in cui il giocatore interagisce con il gioco.
Ma non tutto è rose e fiori, perché in mezzo a tutti questi ingranaggi e a questi incastri a soffrire sono i personaggi non giocanti, le cui interazioni con il protagonista e tra loro stessi risulta fortemente limitata. I testi sono ben scritti e sufficientemente vari, le descrizioni molto dettagliate (tanto da citare la musica proveniente dagli altoparlanti del locale). Tuttavia, le continue, inevitabili ripetizioni rischiano di far venire a noia anche i passaggi più brillanti.
Nonostante alcuni limiti (non ultimo la difficoltà dell'unico enigma presente), Rematch è un classico dell'Interactive Fiction che non solo ha preso ed espanso quello che era un semplice esperimento (il turno unico di Aisle), ma lo ha fatto talmente bene che a tutt'oggi nessuno dei (pochi) titoli che sfruttano lo stesso concetto è riuscito ad avvicinarsi al suo livello qualitativo.
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Grazie, OGI. Arrivederci!
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