Aspettando la Marmellata... rispolveriamo Aisle!

Questo piccolo articolo sarà il primo di una serie che ci accompagnerà durante i mesi della Marmellata d'Avventura, fino al rilascio dei giochi.
Lo scopo è quello di rispolverare alcuni classici, antichi e moderni, della narrativa interattiva, che si sposano bene con i temi che abbiamo scelto quest'anno.

Il primo titolo che tiriamo fuori è Aisle, avventura di Sam Barlow, più conosciuto oggi per essere l'autore di Her Story e del nuovo Telling Lies.

Aisle è, non solo un esempio di one-room game, in quanto tutta l'avventura avviene nella singola corsia di un supermercato, ma è anche un one-move game, poiché il giocatore ha a disposizione una sola mossa.
E' un gioco adatto a essere provato da esperti di avventure testuali e anche da neofiti che vogliono familiarizzare con il genere o con il concetto di one-room game.

Potete scaricare Aisle qui.

Leggete anche la recensione del nostro The Ancient One

E, soprattutto, divertitevi!

Parliamone insieme nell'OGI Forum!

The Magic Toyshop

 
Giù per un annebbiato colonnato d'epoca vittoriana ti sei imbattuto in un negozio di giocattoli diverso dagli altri, con uno cavallo a dondolo screpolato dietro una vetrina lercia. E così hai subito pensato che, forse, qui dentro...
 
 
The Magic Toyshop è un'avventura testuale a parser scritta nel 1995 da Gareth Rees, noto per il ben più celebre e apprezzato Christminster. È un titolo abbastanza conosciuto, perché si è classificato terzo nella prima edizione dell'IF Comp.
 
Il gioco è ambientato in un’unica stanza, uno strano negozio di giocattoli antichi in cui siamo entrati per acquistare un regalo per la nostra nipotina. Nel negozio lavora una giovane commessa, l'unico PNG del gioco. 
L'atmosfera è alquanto onirica e surreale, ma non è abbastanza sviluppata e non lascia il segno come potrebbe. La trama è quasi inesistente: in pratica ci troviamo (senza una ragione apparente) intrappolati nel negozio e il nostro destino è quello di sfidare la giovane commessa in una serie di giochi arcaici; in palio c'è un regalo speciale per la nostra nipotina, nonché la possibilità di abbandonare l'edificio. 
 
The Magic Toyshop in realtà è poco più che una raccolta di puzzle logici, alcuni rappresentati efficaciemente con grafica ASCII. A tratti sembra più un esempio di programmazione, che un gioco narrativo vero e proprio.
Ci sono numerose citazioni di altri giochi, fra cui Curses! e lo gnomone di Trinity; e almeno in un'occasione è richiesta la loro conoscenza approfondita (rendendo così ancora più sleale il relativo enigma)!
I vari giochi (che partano dal tris e arrivano alla Torre di Hanoi) sono implementati bene, ma sono molto difficili e -a parte il piacere della pura sfida enigmistica- non c’è un vero motivo per andare avanti.
Oltretutto in alcuni di questi giochi per vincere sarà necessario barare (cosa di cui, per altro, nessuno ci avverte!), aggiungendo così un ulteriore livello di difficolta alla sfida e togliendo un po' di appeal all'aspetto puramente enigmistico del gioco. Scelta discutibile.
 
 
The Magic Toyshop è anche uno dei primi one room game, ma non è certo il primo: i primi esempi si trovano già agli inizi degli anni '90 (Vedi Mop and Murder di Brad Friedman del 1991).
 
C'è comunque un primato importante da assegnare al suo autore, Gareth Rees, e cioè quello di aver contribuito alla nascita e alla diffusione di Inform 6. Nel 1995, ai tempi della prima IFComp, Inform 6 era ancora in avanzata fase di sviluppo, e Gareth Rees ha contribuito alla creazione del Designer's Manual, del celebre tutorial Through the Looking Glass, e ha successivamente dimostrato le potenzialità del nuovo engine con Christminster. Proprio in quest'ottica The Magic Toyshop può forse essere inquadrato in maniera più opportuna come esempio di programmazione, che doveva mostrare le potenzialità delle avventure testuali del futuro. 
 
Oggi, tuttavia, ha ben poche attrattive. 

Enigma - An Interactive Instant

 
Gli occhi possono vedere e la mente può pensare. La pazzia è a un passo di distanza. Sei in una stanza. Ecco dove sei. E sai benissimo quel che sta accadendo. Ma la verità è difficile da afferrare.
 
Enigma di Simon Deimel (da non confondere con l'Enigma di Marco Vallarino), è un'avventura testuale scritta in Inform 7, che si è classificata 12° all'IFComp del 2014.
Si tratta di un one-room game, caratterizzato da un peculiare utilizzo delle descrizioni telescopiche, che qui servono per indagare la mente del protagonista, andando così a costruire lentamente lo scenario dell'azione. Le descrizioni telescopiche come strumento di "world building" e di indagine psicologica.
 
La premessa è molto semplice: ci sono rari momenti nella vita di una persona in cui il tempo sembra fermarsi e la mente vacilla dinanzi a una scelta decisiva per il proprio destino.
Ci troviamo esattamente in uno di questi rari momenti, con il nulla intorno a noi e una scelta imminente da compiere. Ma prima dovremo ricostruire la realtà intorno a noi e la sequenza di eventi che ci ha condotti lì. Per farlo sarà sufficiente utilizzare due verbi: ESAMINA, per ispezionare il presente, e RICORDA, per ispezionare il passato. Un passo alla volta scopriremo la nostra storia e popoleremo di persone e cose lo scenario intorno a noi. Ogni nuova parola chiave aprirà altri percorsi di indagine e altre parole chiave.
 
Interessante la possibilità di scalare la difficoltà del gioco, scegliendo se attivare o meno l'evidenziamento delle parole chiavi, molto utile per i principianti o per chi semplicemente vuole concentrarsi sulla storia e giocare con più leggerezza.
 
Purtroppo il difetto principale del gioco è che dopo una fase iniziale di "esplosione" delle possibilità di indagine (capace di disorientare), c'è un grosso scoglio sul finale, che diverrà accessibile solo tramite un percorso specifico di parole che non è facile imboccare. 
 
Il finale è costituito invece dalla drammatica scelta che ha generato il disorientamento narrato nel gioco, e qui il titolo si trasforma in una forma semplicistica (ma efficace) di one-move game
 
Non è un titolo rivoluzionario, ma spinge un po' più in là lo strumento delle descrizioni telescopiche e può essere una lettura interessante di un paio di ore al massimo.
Solo in inglese. Solo per appassionati.  

Le Descrizioni Telescopiche
Un percorso di gioco di avventure testuali

Fra le tante tecniche narrative sviluppate in questi anni dalla comunità dell'interactive fiction, oggi vogliamo parlare delle "descrizioni telescopiche" e del superamento della "geografia euclidea" nelle avventure testuali.
Cosa sono? Le descrizioni telescopiche sono un vero e proprio "modello di mondo": un modo alternativo per rappresentare l'universo di gioco entro cui si svolge l'azione del giocatore.

Da Hunt the Wumpus in poi (come ci insegna The Digital Antiquarian), il mondo di gioco è stato costruito tramite "spazi topologici" nei quali "il giocatore si può muovere liberamente".
Da questa costruzione del mondo nascono elementi di gameplay ormai consolidati: la mappatura, il backtracking, i labirinti, la necessità di organizzare in modo meticoloso ogni spostamento, ecc. ecc..
A questi elementi si affiancano spesso le loro derive più autolesionistiche: l'inventario limitato, i vicoli ciechi, il ladro che rende impossibile mappare il labirinto, gli "hunger demons" e ogni altra sorta di timer, ecc. ecc. 
Sono stati questi -fino agli anni '90- i pilasti portanti delle avventure testuali "in stile Infocom", ma anche di tanti gdr e di tante avventure grafiche (il limite ai viaggi in aereo in Zak McKraken è l'esempio concreto di come anche le avventure grafiche nascano con questo "peccato originale").
È sempre il The Digital Antiquarian ad osservare correttamente che Colossal Cave (la prima vera AT della storia) è innanzitutto un gioco di esplorazione geografica, una sorta di simulatore di speleologia. E tutto questo viene amplificato a dismisura in Zork, dove aumenta la complessità della mappa, ma aumentano anche i limiti dell'inventario, si riduce la durata della lanterna, e tutto è costruito intorno ad una costante necessità di ottimizzazione delle mosse.

Se però immaginiamo di spostare la nostra attenzione dall'esplorazione geografica degli ambienti alla narrazione, ci rendiamo conto che altre soluzioni sono possibili per raffigurare il mondo di gioco. Sono cioè possibili altri modelli di mondo, alternativi agli "spazi topologici" a cui la tradizione ci ha abituato.



Il punto di svolta viene generalmente indicato nel celebre Photopia di Adam Cadre. Photopia non rinuncia alle location, ma ne fa un uso tutto nuovo. Le location non sono più luoghi avversi da esplorare entro un tot di mosse, ma diventano l'amichevole teatro dell'azione. in Photopia perfino il labirinto è in realtà un non-labirinto, superabile solo "con il gioco di ruolo" e non con la mappatura.
Ma tante altre soluzioni sono immaginabili (e sono state immaginate!) per superare i limiti angusti della geografia: fra questi i one-room (es. Shade, dove il piccolo ambiente di gioco si trasforma sotto gli occhi del lettore), i one-move (tipo Aisle o Rematch, dove spazio e tempo sono condensati in un'unica mossa), e -appunto- i giochi "telescopici".

Nei giochi con descrizioni telescopiche, il tempo e lo spazio si piegano alla trama e alla discrezionalità del giocatore; diventano strumenti di narrazione.
Si parte da una descrizione, che contiene al suo interno alcuni elementi significativi. Osservando uno di questi elementi, il focus della narrazione vi si sposta, magari rivelando al suo interno nuovi elementi significativi, aprendo quindi altri spazi su cui puntare il nostro obbiettivo. Una sorta di esplorazione "a cascata", con l'occhio della cinepresa che si sposta da un elemento all'altro, facendoci viaggiare con sé.
Il tutto funziona in modo non dissimile dai tagli cinematografici, che concentrano l'azione nelle parti salienti della storia. È come ricorrere a inquadrature ravvicinate per mettere in evidenza solo ciò che nella scena c'è da vedere di veramente interessante.
Con una differenza significativa: nell'interactive fiction il registra di questi tagli è il giocatore, che li adopera liberamente.

Le descrizioni telescopiche sono esattamente questo: l'abbattimento dello spazio geografico nelle AT, in favore di uno spazio e di un tempo narrativi, il cui controllo è affidato al giocatore. Siamo noi a scegliere cosa "inquadrare" di volta in volta. Non è il nostro personaggio che si sposta attraverso gli ambienti, ma è la storia che ci fa vedere solo ciò che decidiamo di vedere: tagliando lo spazio, tagliando il tempo, tagliando gli spostamenti: immergendosi in un mondo di pura narrazione.
È un taglio netto con il passato e con la geografica (euclidea o non euclidea) dei capostipiti del genere. Uno strumento che promette grandi sviluppi, e che può essere applicato anche a generi diversi.

Ma le potenzialità inesplorate restano ancora tante.

Le descrizioni telescopiche non vanno confuse con il "testo telescopico", cioè quel testo che si espande o si contrae sotto i nostri click, creando per questa strada significati ulteriori rispetto al mero significato letterale. Questa è una tecnica ormai tipica di tanti titoli scritti in Twine e un esempio estremo ne può essere Sisters of Claro Largo.
Le descrizioni telescopiche sono altra cosa anche dagli "enigmi telescopici", dove "un problema tutto sommato semplice in realtà mostra la sua complessità di mossa in mossa, dato che gli elementi che portano al fallimento della soluzione iniziale vengono rivelati a mano a mano che essi vengono risolti" (cit. Ragfox, che adduce l'enigma del babel fish in Guida Galattica per Autostoppisti, quale primo esempio di questo tipo di enigmi).
Le descrizioni telescopiche, se applicate ad un gameplay normale, in ultima analisi producono un effetto di spostamento automatico fra location distanti fra loro. Un qualcosa di simile a quanto ha fatto Emily Short in Bronze, dove il parser gestisce in automatico lo spostamento fra location distanti, generando anche la relativa descrizione. L'effetto pratico sarà anche simile, ma il risultato emotivo e il coinvolgimento del giocatore è ben diverso, proprio perché con le descrizioni telescopiche a cambiare è innanzitutto il rapporto fra il giocatore e il modello di mondo.

Vi proponiamo quindi un percorso di gioco e di lettura, alla scoperta delle descrizioni telescopiche.

Castle of the Red Prince
Sconfiggi il Principe Rosso che tormenta questa terra fantasy.
Castle of the Red Prince è stato forse il primo titolo a fare un uso intensivo di questo strumento. Le descrizioni telescopiche sono utilizzate nel contesto di un'avventura classica, eliminando quindi il backtracking e altri fastidi tipici del genere. Con hint.
Tempo di gioco: 30 minuti
Leggi la recensione su IFItalia

Lime Ergot
Esplora un mondo onirico e allucinato, al di là dei confini spaziali e temorali.
Lime Ergot è costruito intorno ad un singolo enigma. Le descrizioni telescopiche sono però usate per creare un ambiente onirico/allucinatorio, in cui il giocatore dovrà muoversi spostando il fulcro della scena. Unico enigma.

Tempo di gioco: 20 minuti
Leggi la recensione su IFItalia

Enigma - An Interactive Instant
Uno stato confusionale ti paralizza in un istante cruciale. Risolvi il mistero e prendi quell'unica decisione essenziali.
In Enigma - An Interactive Instant le descrizioni telescopiche vengono utilizzate per simulare la creazione di una scena. Dirigendo in modo telescopico i pensieri del protagonista, si costruisce la scena, rivelando la verità. Con hint.

Tempo di gioco: 30 minuti
Leggi la recensione su IFItalia

Toby's Nose
Aiuta il cane di Sherlock Holmes a risolvere un misterioso delitto, facendo affidamento solo sul suo fiuto eccezionale.
Toby's Nose è forse il punto di arrivo attuale della ricerca sulle descrizione telescopiche, che qui simulano il fiuto di un cane, che grazie al suo olfatto si sposta mentalmente per locazioni altrimenti irraggiungibili. Dei giochi citati è sicuramente il più affascinante, ma anche il più complesso.
Tempo di gioco: 2 ore
Leggi la recensione su IFItalia

Discutiamone insieme sul forum di OldGamesItalia!

Aisle

Aisle è il titolo con cui Sam Barlow si è fatto conoscere al pubblico dell'interactive fiction, anche se ormai è ben più noto grazie al suo Her Story.
Vincitore del premio Best Use of Medium agli XYZZY Awards del 1999, Aisle è un piccolo gioiello di narrazione. È un titolo adatto a tutti in virtù della sua brevità e della semplicità della sua struttura. Rappresenta un'ottima introduzione al genere, ma è anche abbastanza profondo da appassionare i più esperti.

Tutta la storia di Aisle si condensa in una sola unica azione: atto di suprema potenza del giocatore, che con un unico comando dà inizio, e al tempo stesso pone fine, all' esperienza di gioco.
Esplosione di libertà e al tempo stesso prigione di cristallo.
Aisle è al tempo stesso un one-room game e un one-move game (vedi anche Rematch)

Aisle è la "descrizione di un attimo", che il giocatore può investire come meglio credere. Per poi ripartire da capo.
Ogni scelta è lecita e quasi tutte le opzioni che sono stato in grado di immaginare erano implementate in modo convincente.
Quello descritto da Aisle è un attimo a cavallo fra passato, presente e futuro. Un attimo qualsiasi, non particolarmente determinante nella vita del protagonista, ma non per questo privo di bellezza. Il protagonista si trova in una corsia di un supermercato, intanto a fare la spesa quotidiana, e si scopre attratto dai ricordi suscitati in lui dalla vista di una normalissima confezione di gnocchi.

Aisle è la rappresentazione letteraria del nostro presente, che ha in sé le conseguenze di ciò che è stato, ma che al tempo stesso è già foriero di ciò che sarà. Possiamo ricordare il passato, oppure possiamo osservare il presente, oppure possiamo compiere azioni che determineranno il nostro futuro.
Per quanto ogni nostra azione sia auto-conclusiva, il ripetersi dell'esperienza di gioco dipinge nel suo complesso un quadro omogeneo, via via sempre più vasto, che va a comporsi partita dopo partita.

Aisle è una sorta di premessa logica di Her Story e di altro titoli con una struttura simile, tipo i giochi con "descrizioni telescopiche" (es. Toby's Nose e Lime Ergot).
L'esperienza di gioco di Aisle consiste nella libera esplorazione del testo, da cui emerge lentamente un quadro più grande che raffigura la bellezza della possibilità. Una lettura interattiva nel senso più profondo del termine.

Interattività come libera esplorazione di una trama già scritta, che il lettore compone a suo piacimento partita dopo partita.
Bello.

Scarica Aisle da IFDB!

Leggi anche la recensione di Her Story, l'ultimo titolo di Sam Barlow

Lime Ergot

Lime Ergot è una breve AT scritta da Caleb Wilson, autore abbastanza prolifico attivo da inizio 2000.
È probabilmente il suo titolo più conosciuto, scritto in poche ore per ECTOCOMP 2014 (dove si è classificato sesto), e poi successivamente espanso e rifinito, fino alla versione definitiva che è apparsa anche su sub-Q.

Lime Ergot racconta una breve esperienza, probabilmente di tipo allucinatorio o onirico.
Ci troviamo abbandonati sotto un pontile davanti all'oceano, nei pressi di una città che in un passato non ben definito è stata conquistata con la forza.
Intorno a noi un macchinario per miscelare cocktail e un vecchio generale su sedia a rotelle di vimini.
Il nostro unico compito sarà creare un cocktail "Teschio Verde" per il generale. 

Il titolo al momento dell'uscita ha suscitato un certo interesse nella comunità, perché è stato uno fra i primi ad utilizzare le "descrizioni telescopiche": una sorta di "esplorazione a cascata", dove osservando un oggetto si scoprono nuovi sotto-oggetti da osservare... e così via, superando i limiti fisici e temporali della singola location di gioco.
Il primo gioco ad utilizzare in modo intensivo questo affascinante meccanismo narrativo è stato probabilmente Castle of the Red Prince (C.E.J. Pacian), ma molti altri ne sono seguiti, costruendovi intorno gameplay via via più convincenti e profondi. Fra questi vale la pena ricordare: Sisters of Claro Largo (David T. Marchand), Enigma (Simon Deimel), e Toby's Nose (Chandler Groover) -il mio preferito in questo sottogenere-.

Lime Ergot è sostanzialmente un breve (circa 20 minuti) one-room game, praticamente privo di enigmi.
Tutto il piacere dell'esperienza è legato al fascino delle descrizioni telescopiche, unite alle deliranti immagini a cui ci sottopone.
Il setting in realtà è abbastanza intrigante, tratteggiato con poche parole efficaci.
Peccato che tutto sia molto fine a sé stesso. Non c'è una vera e propria narrazione, il gameplay è ridotto all'osso, e anche il finale arriva e non lascia il segno.

Nel 2014 era forse molto innovativo, oggi dobbiamo riconoscere che il concept è stato esplorato ed utilizzato meglio di così.
Tuttavia è un'esperienza brevissima, che per gli appassionati può valere la pena di essere provata.

Scarica Lime Ergot

Gioca a Lime Ergot su sub-Q

Shade

There is shadow under this red rock,
(Come in under the shadow of this red rock),
And I will show you something different from either
Your shadow at morning striding behind you
Or your shadow at evening rising to meet you;
I will show you fear in a handful of dust.

(The Burial of the Dead -The Waste Land
1922, T.S. Eliot)

Shade è un'avventura testuale in inglese scritta nel 2000, semplice e breve, che si svolge interamente in una stanza.
È stata sviluppata da Andrew Plotkin, celebre autore di IF, nonché il primo a finanziare un'avventura testuale tramite Kickstarter (Hadean Lands).
Il gioco è stato premiato XYZZY Award del 2000 quale "Best Setting". È scaricabile gratuitamente dal sito dell'autore, oppure a pagamento dall'AppStore nel suo recente porting per iOS su piattaforma proprietaria (la stessa sviluppata da Plotkin come parte del suo Kickstarter)

Shade è un "one-room game": un gioco che si svolge interamente in una stanza.
Un genere abbastanza diffuso, sviluppatosi ai tempi dei primi browser game in flash (che per lo più consistevano nel dover fuggire dalla stanza) e recentemente tornato di moda grazie al successo di The Room per iOS (che però consiste prevalentemente nell'interagire con complesse scatole meccaniche).
Shade è la versione testuale di questi one-room game e li proietta su un nuovo livello di complessità e profondità, come è lecito aspettarsi da un'IF.

È un gioco strutturalmente lineare e perfetto anche per principianti. Non c'è da fare una mappa e si sa sempre cosa fare; complessivamente lo finirete in meno di un'ora ed è quindi un titolo avvicinabile da chiunque, incluso chi è alla sua primissima esperienza con le avventure testuali. Non è un caso che Shade finisca immancabilmente nelle liste delle IF per principianti, insieme a titoli come Violet, 9:05, Bronze, The Werbler's Nest e The Lost Pig.

LA STORIA:
È praticamente impossibile parlare di Shade senza spoilerarne il colpo di scena, che molti però intuiranno già pochi minuti dopo l'inizio del gioco.
Mi limiterò quindi a descriverne l'incipit: il protagonista è nel suo monolocale e, seguendo una lista delle cose da fare, sta ultimando i preparativi per un viaggio spirituale nella Death Valley
Una situazione assai comune e banale, che uno sconvolgente "twist" farà però precipitare in una vorticosa spirale di fatti surreali, che termineranno di lì a poco in un affascinante finale astratto.

Interessantissimo da un punto di vista narrativo è il modo in cui il colpo di scena non è lasciato al finale (come avviene ad esempio in 9,30 di Adam Cadre), ma anzi viene fatto intuire quasi subito al giocatore, che fin dalle prime battute potrà immaginare la verità dietro l'apparenza delle cose. Anzi, più precisamente: la verità dietro il "parasole" (shade, appunto).
Quella di Shade non è la storia di una rivelazione improvvisa. È piuttosto la lenta assimilazione di quell'epifania che quasi subito si intuisce giocando. È una vorticosa presa di coscienza che rende ancora più intima, profonda e potente quella verità verso cui tendono gli eventi del gioco.
Un meccanismo narrativo usato da Plotkin con sapienza e grande classe.

Shade è un gioco surrealista e Freudiano.
La razionalità iniziale (rappresentata dal monolocale, descritto nei minimi particolari) viene lentamente decostruita, permettendo così un'autentica liberazione dell'inconscio del protagonista, che arriva per questa via a comprendere la realtà vera delle cose e della sua condizione presente. E, insieme a lui, lo stesso facciamo noi, che con lui condividiamo ogni informazione a disposizione.

L'anticipazione del colpo di scena finale è ciò che più di ogni altra cosa dà un senso all'esperienza di gioco.
Quello che in un gioco come Sepulchre è un lento incedere *privo di senso* verso un atteso colpo di scena finale, qui acquista invece un senso compiuto e diventa il fulcro dell'esperienza di gioco.
È grazie a questa impostazione che la struttura lineare del gioco (un enigma alla volta, solo nell'ordine prestabilito) e la semplicità stessa degli enigmi (consistenti per lo più nel trovare l'azione giusta da compiere) non mina minimamente la soddisfazione e il coinvolgimento del gioco. Quello che stiamo facendo ha un senso, seppur un senso surreale.
Ecco quindi che Plotkin, lasciando intuire ciò che si cela dietro il "parasole", trova un'efficace soluzione al più annoso problema dei "one-room game": l'essere tutti gli enigmi che li compongo fini a se stessi. Qui ogni singolo passo diventa invece parte dell'esperienza conoscitiva e contribuisce (in piccolo o in grande) alla lenta trasformazione dell'ambiente di gioco.

LA TECNICA:
Parlare di tecnica in un'avventura testuale può far sorridere, ma più se ne giocano e più si capisce l'importanza "dell'implementazione" e se ne apprezzano le sfumature. E anche Shade, come gli altri giochi di Plotkin, eccelle da questo punto di vista.
Ometto qui di commentare le piccole ma interessanti novità (come ad esempio lo spostamento automatico fra i tre angoli della stanza) e vado subito al sodo: la costante trasformazione della stanza. Shade è un one-room game, ma questa unica stanza viene manipolata in maniera tanto costante e completa, che il giocatore si ritrova immerso in un luogo vivo, che è metafora della sua esperienza interiore. Prima con dettagli minuscoli, poi con eventi sempre più macroscopici, il buio monolocale con il parasole abbassato diventa una scena viva, che avvolge il giocatore e il protagonista e li porta per mano verso l'epifania finale, concretizzando azione dopo azione quell'intuizione inziale suggerita dagli eventi.
Questo è uno di quei casi in cui la realizzazione tecnica non è lì solo per stupire, ma è strumento della storia.
Non è un quick time event fra due scene animate. Ma è essa stessa scena animata.

Non so perché, ma il modo in cui la stanza viene trasformata, mi ha ricordato certi allestimenti minimalisti di Waiting for Godot o di altre opere da teatro dell'assurdo.
Mentre, più in generale, tutto il gioco evoca immagini che nella mia mente hanno i colori e la forza di certe opere di Dalì, come La Persistenza della Memoria.
Per non parlare della roccia rossa di The Waste Land.
Qualunque cosa saprà richiamare in voi, una cosa è certa: apprezzerete in pieno il valore di questa AT a distanza di tempo, quando vi ritroverete a riflettere sulla breve ma intensa esperienza che contiene.

 

GIUDIZIO:
Shade è un gioco non banale, che racconta magistralmente la storia di una presa di coscienza.
Tanto basta, credo, per renderlo interessante a chiunque.
Il mezzo tecnico dell'avventura testuale è usato magistralmente.
La scelta di farne un gioco breve, facile e lineare non toglie niente all'esperienza ma anzi lo rende ancora più universale.
A distanza di giorni avrete ancora dentro di voi, nella vostra memoria, la forza delle sue immagini e delle sensazioni che vi ha trasmesso.
Da provare assolutamente.

Visita il sito dell'autore e scarica gratuitamente Shade

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Rematch

Eri convinto di essere un ottimo giocatore di biliardo. 

Ma stanotte Nick ti ha già battuto una volta e Ines continua a guardarlo con molto più interesse di quanto vorresti. È per questo che decidi di chiedergli la rivincita.
"Certo, Kurt!" risponde ridendo Nick. "Spacchi tu".

Sembra una serata tra amici come tante. Un po' di spacconeria, di tensioni sessuali, di cose non dette. E, naturalmente, un tavolo da biliardo, pronto per la spaccata. Solo che il destino ha in serbo un altro tipo di spaccata...

Rematch, di Andrew D. Pontious, è un'avventura testuale molto peculiare che fa parte della ristretta cerchia dei cosiddetti titoli "one-move", in cui al giocatore è concesso inserire una sola riga di comando nel parser prima di incontrare il temuto game over o il tanto atteso finale. Riuscire a completare nella maniera migliore il gioco sembra un compito impossibile, o un evento determinato esclusivamente dalla fortuna, ma in realtà il tutto si basa sulla ripetizione di quell'unico attimo in cui chi sta dietro alla tastiera può interagire con i personaggi virtuali. Game over dopo game over, il giocatore diventa sempre più consapevole del mondo di gioco, scopre dettagli che prima non aveva notato e infine intravede un bagliore di speranza, la leva per scardinare i meccanismi di questa strana giostra temporale.

Da un punto di vista tecnico ci troviamo di fornte a un'avventura realizzata nel 2000 in TADS 2, un linguaggio "rivale" del più noto Inform. Il parser risponde bene ai comandi e si dimostra sufficientemente flessibile, nonostante la natura del gioco limiti la libertà di azione del giocatore. Non bisogna farsi ingannare dall'apparente semplicità dell'impianto, che si potrebbe dare per scontata dato che la storia comincia e si esaurisce nel giro di un solo turno. Rematch presenta infatti diversi livelli di complessità, ben nascosti dietro la sua caratteristica che lo identifica come one-move game.

A differenza del capostipite di questo tipo di giochi (lo sperimentale Aisle, dove non sono presenti enigmi), l'opera seconda di Pontious vanta un complessissimo puzzle (o meglio, un insieme di piccoli puzzle che ne compongono uno più grande) costruito attorno a quell'unico turno giocabile. È come un meccanismo a orologeria in cui ogni elemento deve trovarsi al posto giusto nel momento giusto - e quel momento è naturalmente quello in cui il giocatore interagisce con il gioco.

Ma non tutto è rose e fiori, perché in mezzo a tutti questi ingranaggi e a questi incastri a soffrire sono i personaggi non giocanti, le cui interazioni con il protagonista e tra loro stessi risulta fortemente limitata. I testi sono ben scritti e sufficientemente vari, le descrizioni molto dettagliate (tanto da citare la musica proveniente dagli altoparlanti del locale). Tuttavia, le continue, inevitabili ripetizioni rischiano di far venire a noia anche i passaggi più brillanti.

Nonostante alcuni limiti (non ultimo la difficoltà dell'unico enigma presente), Rematch è un classico dell'Interactive Fiction che non solo ha preso ed espanso quello che era un semplice esperimento (il turno unico di Aisle), ma lo ha fatto talmente bene che a tutt'oggi nessuno dei (pochi) titoli che sfruttano lo stesso concetto è riuscito ad avvicinarsi al suo livello qualitativo.

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