Una breve avventura testuale ad opera di Jon Ingold, questo FailSafe sembra la perfetta incarnazione dell'espressione "racconto in seconda persona" che spesso viene associata al mondo dell'Interactive Fiction. Siccome molti (se non tutti) i pregi di questa avventura stanno proprio nella peculiarità della forma in cui viene presentata, è preferibile che il giocatore scopra da sé come interagire con il mondo di gioco. Diciamo solo che l'autore si è concentrato soprattutto nel tentativo di rendere il parser "trasparente", nel senso che non rappresenta un qualcosa di esterno all'ambientazione, ma ne è parte integrante; a supporto di questa idea, è da notare l'assenza dei "metacomandi" più classici delle avventure testuali, come SAVE, RESTORE o SCORE (un limite, quello di non poter salvare o ricaricare, comunque mitigato dall'estrema brevità del gioco).
L'ambientazione è fantascientifica e vede gli esseri umani in lotta contro una superiore razza aliena. Il conflitto rimane tuttavia sullo sfondo e la trama è molto asciutta, ma solo perché l'avventura mette in scena un singolo avvenimento all'apparenza insignificante (anche se ci sono delle vite da salvare), riguardo al quale il giocatore e il suo "avatar" nel gioco sono ugualmente ignoranti: un altro escamotage per aumentare il senso d'immersività di questo racconto interattivo. Immersività che risulta però rovinata da un parser non sempre impeccabile tecnicamente, forse per un mancato betatesting legato alla partecipazione agli XYZZY Awards del 2000: termini non riconosciuti, informazioni date per note quando invece non lo possono essere e una certa pignoleria per quel che riguarda i verbi da usare.
Gli enigmi sono pochi e discretamente facili, rendendo il gioco completabile in meno di un'ora. L'avventura si presta comunque ad essere rigiocata almeno una volta, vista anche la presenza di finali diversi, purtroppo legati ad una singola scelta che si effettua nell'ultimissima fase.
È dunque chiara fin dalle prime battute la natura sperimentale di FailSafe, quasi uno svago che Ingold sembra essersi concesso per "provare su strada" alcune idee relative al *come* si racconta un'opera di Interactive Fiction, piuttosto che al *cosa* si racconta. Non siamo agli eccessi visti in Shrapnel di Adam Cadre, ma ancora una volta la forma non sembra essere sostenuta da una sostanza degna di nota, sebbene non manchi una certa cura per i dettagli. In definitiva, Failsafe rimane un gioco mediamente interessante e rivolto a tutti, appassionati e novizi, ma senza quella marcia in più (una trama più articolata o enigmi più interessanti) che gli permetterebbe di attestarsi su livelli qualitativi superiori.
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L'articolo fa parte della serie di articoli del Ciclo Inkle Studios
Adam Cadreè indiscutibilmente uno degli autori di interactive fiction più importanti di sempre, con titoli autenticamente innovativi e avvincenti quali 9:05, Varicella e Shrapnel.
Di recente Adam Cadre ha convertito (aggiungendo anche qualche effetto grafico minimalista) per iOS il suo gioco più famoso, Photopia.
Anche se le features del parser non sono all'altezza di quelle di iFrotz, inviato tutti a supportare questo autore acquistando questo indimenticabile titolo a meno di 1 euro.
Leggi la recensione di 9:05 su OldGamesItalia
There is shadow under this red rock,
(Come in under the shadow of this red rock),
And I will show you something different from either
Your shadow at morning striding behind you
Or your shadow at evening rising to meet you;
I will show you fear in a handful of dust.
(The Burial of the Dead -The Waste Land
1922, T.S. Eliot)
Shade è un'avventura testuale in inglese scritta nel 2000, semplice e breve, che si svolge interamente in una stanza.
È stata sviluppata da Andrew Plotkin, celebre autore di IF, nonché il primo a finanziare un'avventura testuale tramite Kickstarter (Hadean Lands).
Il gioco è stato premiato XYZZY Award del 2000 quale "Best Setting". È scaricabile gratuitamente dal sito dell'autore, oppure a pagamento dall'AppStore nel suo recente porting per iOS su piattaforma proprietaria (la stessa sviluppata da Plotkin come parte del suo Kickstarter)
Shade è un "one-room game": un gioco che si svolge interamente in una stanza.
Un genere abbastanza diffuso, sviluppatosi ai tempi dei primi browser game in flash (che per lo più consistevano nel dover fuggire dalla stanza) e recentemente tornato di moda grazie al successo di The Room per iOS (che però consiste prevalentemente nell'interagire con complesse scatole meccaniche).
Shade è la versione testuale di questi one-room game e li proietta su un nuovo livello di complessità e profondità, come è lecito aspettarsi da un'IF.
È un gioco strutturalmente lineare e perfetto anche per principianti. Non c'è da fare una mappa e si sa sempre cosa fare; complessivamente lo finirete in meno di un'ora ed è quindi un titolo avvicinabile da chiunque, incluso chi è alla sua primissima esperienza con le avventure testuali. Non è un caso che Shade finisca immancabilmente nelle liste delle IF per principianti, insieme a titoli come Violet, 9:05, Bronze, The Werbler's Nest e The Lost Pig.
LA STORIA:
È praticamente impossibile parlare di Shade senza spoilerarne il colpo di scena, che molti però intuiranno già pochi minuti dopo l'inizio del gioco.
Mi limiterò quindi a descriverne l'incipit: il protagonista è nel suo monolocale e, seguendo una lista delle cose da fare, sta ultimando i preparativi per un viaggio spirituale nella Death Valley.
Una situazione assai comune e banale, che uno sconvolgente "twist" farà però precipitare in una vorticosa spirale di fatti surreali, che termineranno di lì a poco in un affascinante finale astratto.
Interessantissimo da un punto di vista narrativo è il modo in cui il colpo di scena non è lasciato al finale (come avviene ad esempio in 9,30 di Adam Cadre), ma anzi viene fatto intuire quasi subito al giocatore, che fin dalle prime battute potrà immaginare la verità dietro l'apparenza delle cose. Anzi, più precisamente: la verità dietro il "parasole" (shade, appunto).
Quella di Shade non è la storia di una rivelazione improvvisa. È piuttosto la lenta assimilazione di quell'epifania che quasi subito si intuisce giocando. È una vorticosa presa di coscienza che rende ancora più intima, profonda e potente quella verità verso cui tendono gli eventi del gioco.
Un meccanismo narrativo usato da Plotkin con sapienza e grande classe.
Shade è un gioco surrealista e Freudiano.
La razionalità iniziale (rappresentata dal monolocale, descritto nei minimi particolari) viene lentamente decostruita, permettendo così un'autentica liberazione dell'inconscio del protagonista, che arriva per questa via a comprendere la realtà vera delle cose e della sua condizione presente. E, insieme a lui, lo stesso facciamo noi, che con lui condividiamo ogni informazione a disposizione.
L'anticipazione del colpo di scena finale è ciò che più di ogni altra cosa dà un senso all'esperienza di gioco.
Quello che in un gioco come Sepulchre è un lento incedere *privo di senso* verso un atteso colpo di scena finale, qui acquista invece un senso compiuto e diventa il fulcro dell'esperienza di gioco.
È grazie a questa impostazione che la struttura lineare del gioco (un enigma alla volta, solo nell'ordine prestabilito) e la semplicità stessa degli enigmi (consistenti per lo più nel trovare l'azione giusta da compiere) non mina minimamente la soddisfazione e il coinvolgimento del gioco. Quello che stiamo facendo ha un senso, seppur un senso surreale.
Ecco quindi che Plotkin, lasciando intuire ciò che si cela dietro il "parasole", trova un'efficace soluzione al più annoso problema dei "one-room game": l'essere tutti gli enigmi che li compongo fini a se stessi. Qui ogni singolo passo diventa invece parte dell'esperienza conoscitiva e contribuisce (in piccolo o in grande) alla lenta trasformazione dell'ambiente di gioco.
LA TECNICA:
Parlare di tecnica in un'avventura testuale può far sorridere, ma più se ne giocano e più si capisce l'importanza "dell'implementazione" e se ne apprezzano le sfumature. E anche Shade, come gli altri giochi di Plotkin, eccelle da questo punto di vista.
Ometto qui di commentare le piccole ma interessanti novità (come ad esempio lo spostamento automatico fra i tre angoli della stanza) e vado subito al sodo: la costante trasformazione della stanza. Shade è un one-room game, ma questa unica stanza viene manipolata in maniera tanto costante e completa, che il giocatore si ritrova immerso in un luogo vivo, che è metafora della sua esperienza interiore. Prima con dettagli minuscoli, poi con eventi sempre più macroscopici, il buio monolocale con il parasole abbassato diventa una scena viva, che avvolge il giocatore e il protagonista e li porta per mano verso l'epifania finale, concretizzando azione dopo azione quell'intuizione inziale suggerita dagli eventi.
Questo è uno di quei casi in cui la realizzazione tecnica non è lì solo per stupire, ma è strumento della storia.
Non è un quick time event fra due scene animate. Ma è essa stessa scena animata.
Non so perché, ma il modo in cui la stanza viene trasformata, mi ha ricordato certi allestimenti minimalisti di Waiting for Godot o di altre opere da teatro dell'assurdo.
Mentre, più in generale, tutto il gioco evoca immagini che nella mia mente hanno i colori e la forza di certe opere di Dalì, come La Persistenza della Memoria.
Per non parlare della roccia rossa di The Waste Land.
Qualunque cosa saprà richiamare in voi, una cosa è certa: apprezzerete in pieno il valore di questa AT a distanza di tempo, quando vi ritroverete a riflettere sulla breve ma intensa esperienza che contiene.
GIUDIZIO:
Shade è un gioco non banale, che racconta magistralmente la storia di una presa di coscienza.
Tanto basta, credo, per renderlo interessante a chiunque.
Il mezzo tecnico dell'avventura testuale è usato magistralmente.
La scelta di farne un gioco breve, facile e lineare non toglie niente all'esperienza ma anzi lo rende ancora più universale.
A distanza di giorni avrete ancora dentro di voi, nella vostra memoria, la forza delle sue immagini e delle sensazioni che vi ha trasmesso.
Da provare assolutamente.
All'inizio era il Verbo
Quando i personal computer potevano contare su pochi KB di memoria, in ambito videoludico al termine “avventura” si accompagnava quasi esclusivamente l’aggettivo “testuale”. Era l’epoca d’oro dell’Interactive Fiction, iniziata nel 1976 con la creazione di Colossal Cave Adventure da parte di Will Crowther, un programmatore con la passione per la speleologia. Unendo l’utile al dilettevole, Crowther elaborò una dettagliata copia virtuale di una grotta che si trova in Kentucky (la Mammoth Cave), in modo tale che le sue figlie potessero esplorarne i recessi senza correre pericoli reali. Non c’era nessun elemento grafico a impreziosire le descrizioni testuali di quei cunicoli sotterranei e l’unico modo per interagire con il mondo di gioco era digitare dei semplici comandi tramite tastiera.
Oggi la cosa può sembrare scomoda e noiosa, ma in quegli anni il gioco ebbe un enorme successo e ben presto si moltiplicarono i tentativi di replicare la struttura di gioco di Colossal Cave. Da uno di questi esperimenti, nel 1979 nacque Zork, la prima avventura testuale di una neonata software house che da lì in poi avrebbe sfornato un incredibile numero di successi, tanto da meritarsi il titolo di regina dell’Interactive Fiction: la Infocom. Nel giro di pochi mesi, le caverne descritte nei primi giochi e il gameplay da “caccia al tesoro” degli esordi diventarono troppo stretti per contenere l’inventiva dei creatori di avventure testuali e si iniziarono a esplorare scenari nuovi, sempre più spesso presi in prestito dalla narrativa classica: fantascienza, commedia, detective-story e horror divennero fonti da cui attingere a piene mani per ricreare mondi virtuali dove accogliere enigmi sempre più complessi.
Le meccaniche di gioco si raffinarono, l’interazione con il mondo di gioco si fece più approfondita e le libertà concesse al giocatore divennero sempre più ampie.
la schermata iniziale di Colossal Cave Adventure, accanto al suo creatore
"YAWN... oh capperi! Già le 9:05? Non devo aver sentito la sveglia... in compenso il telefono non smette di squillare... sarà meglio che mi dia una mossa!"
Questa avventura ideata e scritta da Adam Cadre è talmente breve che il solo cercare di riassumerne la trama sarebbe un delitto, dacché gran parte del fascino di questo gioiellino deriva proprio dal fatto che il giocatore ha poche informazioni sul mondo di gioco. Basti sapere che si tratta semplicemente di vivere una normale mattinata. O no?
Nonostante la lunghezza molto contenuta (dai 30 minuti a circa un'ora) e l'estrema facilità, 9:05 offre un sostanzioso assaggio delle caratteristiche migliori delle Avventure Testuali: libertà (grazie a un parser sufficientemente "solido"), cura dei dettagli e presenza di stimoli per la fantasia del giocatore. Per compensare la mancanza di veri e propri enigmi, l'autore (vincitore di diversi premi con altri giochi) ha aggiunto finali multipli e alcuni colpi di scena che la rendono un ottimo punto di partenza per i novellini, godibile anche da parte di un pubblico smaliziato.
9:05 è un titolo che potrebbe essere definito un piccolo manuale d'introduzione al mondo dell'IF ed è quindi consigliato soprattutto a chi è incuriosito da questo genere, ma teme di perdersi tra comandi incomprensibili e situazioni poco chiare.
Qui trovate la versione giocabile tramite Parchment, il comodo interprete browser-based che permette di giocare alle avventure testuali direttamente da firefox & soci.
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Grazie a chi ci è stato vicino nei vent'anni di attività "regolare" di OldGamesItalia, a chi ha collaborato o a chi ci ha soltanto consultati per scoprire il mondo del retrogaming. Speriamo di avere presto nuove energie per riprendere un discorso che non vogliamo davvero interrompere.
Grazie, OGI. Arrivederci!
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