Quest'anno cade il ventesimo anniversario di Anchorhead, l'avventura testuale di ispirazione lovecraftiana di Michael Gentry. Per commemorarla, 80 autori di Narrativa Interattiva si sono uniti e hanno sfornato Cragne Manor, un'avventura testuale a stampo investigativo... e non solo.
Noi interpretiamo Naomi Cragne, alla ricerca del marito nei meandri del maniero di famiglia. Durante la ricerca, fra tomi polverosi e passaggi inquietanti, l'abitazione, il nostro passato e la nostra identità cambieranno di volta in volta. questo perché ogni location è stata scritta da un autore diverso, che ha rielaborato a proprio piacimento i temi e le atmosfere di Anchorhead. Passeremo dunque dall'orrore cosmico al gonzo horror, passando per la parodia... il tutto in mezzo a mille puzzle, tutti diversi e uno più strano dell'altro.
Vi lasciamo quindi al sito ufficiale, dal quale potete scaricare l'avventura o giocarla da browser, e sul quale trovate la lista completa dei partecipanti a questa iniziativa.
Dopo Anchorhead e Wishbringer, parte un nuovo Play By Forum, guidato dall'inarrestabile Ancient! Questa volta, OGI proverà a portare a termine Trinity, storica avventura testuale della Infocom scritta da Brian Moriarty, autore fra gli altri di Loom.
L'avventura è aperta a tutti! Che ne dite di venire a giocare con noi?
L'orrore di Lovecraft si traveste all'interno di un'avventura testuale dai toni horror, capace di affascinare il giocatore fra indagini, pazzia e delitti misteriosi. La nostra mente crea città lugubri e spazzate dalla pioggia, mentre nella nostra mente risuona un'unica domanda: iIl vero male è là fuori o è dentro di noi?
Ricordi
«Di quel primo giorno ricordi soprattutto la pioggia; fitta e opprimente, tintinnava sui tetti aguzzi di Anchorhead, batteva sul selciato delle strade, confluiva in ampi rivoli nella piazza, quella con l’alto obelisco ricoperto di geroglifici, e da lì si riversava negli avidi flutti del fiume Miskaton.
Tuo marito ti aveva trascinata in quella città ostile e sconosciuta per ereditare le proprietà di un ramo della sua famiglia di cui neppure ricordavi il nome e poi ti aveva lasciata sola. Ricordi l’ombrello verde militare sempre aperto e il trench abbottonato, usbergo della tua femminilità. La porta dell’agenzia immobiliare era chiusa e un treno fischiava in lontananza. In sottofondo, eufonia di violino e impetuosi scrosci di pioggia».
Insania e pioggia
Ideata, compilata e pubblicata da Michael S. Gentry nel 1998, Anchorhead è un’avventura testuale vecchio stile, intrisa di atmosfera lovecraftiana. Nelle vie semideserte di una fittizia città portuale del New England, i cui sapori salmastri sono restituiti dalle sapienti descrizioni, l’avventuriero è chiamato ad assumere il ruolo di una novella sposa senza nome, ma dall’apparenza avvenente (questo secondo l’immagine restituita dallo specchio, metà ideale in un imperio privo di dei).
Impegnata in un cambio di residenza quasi forzato, la giovane protagonista deve affrontare le prime difficoltà come l’imprevisto guasto all’automobile, la subitanea solitudine e un’avversa perturbazione.
«Nulla di male, beninteso, perché sei benissimo in grado di cavartela da sola!».
E così l’ennesimo, banale, contrattempo (l’irreperibilità dell’agente immobiliare) si trasforma nell’occasione per a darsi a una collaterale attività criminale e per iniziare ad assaporare il tono dell’avventura diviso fra gli acquosi esterni e i fumosi recessi di un pub (dove ogni riferimento alle origini ancestrali è sgradito e accolto da sonore imprecazioni e poco educate espettorazioni).
L’incipit di Anchorhead è dunque un incipit bagnato, dove la pioggia è elemento scenico che instilla nel lettore un senso di melanconia e uggia. Ma prima che sia possibile abituarsi al clima rigido nel N.E. e finanche arrivare a chiamare A. la propria casa, un’informazione inquietante giunge in nostro possesso: l’inaspettata eredità è maturata nella tragedia.
L’evento proietta la narrazione su binari fantasma. La rappresentazione, che a tratti si fa macabra, ha luogo sulle quinte dell’epopea di una dinastia migrante che ha trovato e fondato il proprio centro culturale e religioso in questa terra nella valle del fiume Miskaton, a sua volta antico teatro di dispute con una xenofoba tribù indiana. Una discendenza forte che intride l’avventura con la sua prepotente presenza e la vena di follia che ne ha sempre caratterizzato la linea genetica. E si sa, la pazzia è ereditaria.
Pioggia aguzza e acuta insania, dunque, che permeano la narrazione e si intersecano e si intrecciano restituendo un’atmosfera di palpabile inquietudine che aumenta di tono e sfocia in disordinati incubi (accompagnati dal trillo degli antrostomi), tripudi tentacolari e, infine, culmina con il palesarsi di maledette divinità. Il tutto mentre il giocatore confida al logico parser i propri infreddoliti comandi.
Nord, sud, ovest, est
Ma Anchorhead non è solo pioggia: sotto il cielo che si squarcia col passare delle ore, prendono colore gli splendidi panorami di una cittadina divisa fra scorci - cartolina e pennellate lontane e vicine di costruzioni dimesse, banchine stipate di barche da pesca (incrostate da cirripedi e vecchie abitudini) e foreste impenetrabili.
La topografia di A. è ricostruita in maniera ordinata e logica e inquadra una dimensione urbana verosimile con i suoi vicoli, le ampie piazze e le corti nascoste, a ricreare una mappa puntigliosa i cui spazi illogici sono relegati agli immancabili labirinti (peraltro abbastanza contenuti).
Ai margini dell’abitato troviamo la periferia decadente, le rene sporcate dall’inquinamento, l’alto faro e la baraccopoli lontana, sorta nel circondario dell’antica cartiera, fonte di lavoro e di mistero per gli abitanti di Anchorhead.
Ampia caratterizzazione è dedicata all’inquietante magione avita; una dimora soffocante dove i comfort moderni sono banditi per ragioni di volontà e sorte, affinché a spiccare siano i grandi quadri, i raffinati mobili d’epoca e gli elaborati camini. Le pareti spesse e le finestre sbarrate, dalle cui persiane entrano benaccette lame di luce, angolano la visione e accennano a ipotetici passaggi segreti, mentre serrature chiuse a profusione ostacolano l’incedere nei claustrofobici locali.
La donna, il sogno, il grande incubo
«Eri donna in una città di uomini, modellata da uomini, dominata per secoli dagli uomini e al centro di ogni attività la famiglia fondatrice: una dinastia di cui la storia ricordava soprattutto gli uomini. Eri donna. Eri sola. E avevi anche un po’ paura. Gli occhi rossi sarebbero venuti dopo, insieme agli incubi».
In A. viene affrescata una società patriarcale meglio simboleggiata da quell’odioso quadro: quel dipinto del progenitore che, come un grasso ragno, domina il salotto gettando il suo piglio sulla coppia indesiderata.
Una forte dominante maschile che, per contrappasso, chiama, esige, vuole una protagonista donna.
Il marito, sovente irreperibile, obbliga a esplorazioni in solitaria della cittadina che risulta popolata soprattutto da uomini fra cui si annoverano avventori beoni, erranti derelitti e scorbutici impiegati, fino a rintracciare le rade figure femminili fra cui spicca una segaligna bibliotecaria muta (i cui tratti sono tremendamente rassomiglianti alle donne pesce di L.).
Le donne di A. sono essenzialmente relegate ai ricordi (incapsulati in raffinati monili) e, quando effettivamente presenti, menomante nei sentimenti, abusate, ridotte all’angoscia e sempre sottomesse. E, non ultimo, private dei loro figli.
Io sono il parser
Impegnato a raccogliere feticci, amuleti e ossa, il parser si rivela generoso e ricco nel vocabolario, all’altezza di una sofisticata avventura come A. che prevede azioni complesse come le fasi di interrogatorio che intercorrono tra la protagonista e i loquaci NPC.
Parser che, all’occasione, si fa custode della morale, dacché impedisce quei comportamenti che il giocatore, frustrato dalla momentanea mancanza di progressi, vorrebbe sadicamente compiere; i.e.: brutalizzare incolpevoli npc, vandalizzare inestimabili opere d’arte… .
Hai appena fatto cinque punti
Dal punto di vista ludico, A. è essenzialmente suddivisa in tre aree di operazione.
La raccolta di appunti, diari, ritagli di giornale, il cui necessario ordinamento e perfetto incastro è solo una parte della bellezza di A., costituisce sfida a sé stante.
Puzzle più tradizionali, fra cui ritroviamo anche alcuni classici del genere, richiedono un’esplorazione minuziosa di ogni location e un’accorta gestione dell’inventario (peraltro illimitato).
La terza parte del gioco, infine, richiede all’avventuriero di entrare in una modalità di pensiero differente che si basa sul criterio di intuizione a ritroso. Certi eventi sono difatti a tempo (i.e. n° di mosse) e obbligano il giocatore a riconsiderare il percorso compiuto qualora le sue scelte lo abbiano condotto a un punto morto.
Sebbene un tale espediente narrativo consenta agli npc di acquisire una terza dimensione (tramite spostamento), e di instillare angoscia nelle fasi più concitate, non mi sento di lodare questo stratagemma: è abusato ed è cosa che, a titolo personale, interrompe invariabilmente la sospensione dell’incredulità, dacché è impossibile fare un reload della vita quotidiana.
Illogicità particolari non ve ne sono in A., nondimeno serve un acuto ragionamento anche nel rapportarsi con gli NPC che tendono a comportarsi in maniera capricciosa, rendendo l’acquisizione di oggetti chiave difficoltosa. Pure le loro necessità e le loro debolezze, talvolta elementari, sono ben evidenziate nelle sapienti descrizioni; i vizi esposti all’analisi del giocatore.
The End?
«Eri sposata di fresco, la fede al dito stretta come un vincolo ancora caro».
Successore spirituale dei classici Infocom, Anchorhead stupisce per la meticolosità delle ‘raffigurazioni’ e riceve un riconoscimento per la crudezza delle vicende narrate e la coerenza dello spaccato quotidiano. Nondimeno, come già detto, la terza tranche dilata oltremisura i tempi dell’avventura, aggiungendo poche novità a quanto visto nella prima parte, pertanto il giudizio finale non può essere superiore ad un comunque ottimo quattro stelline su cinque.
Se volete raccontarci l'orrore, passate sull'Ogi Forum
L'avventura di gruppo giocata dai baldi avventurieri dell'Ogi Forum
I nostri avventurieri da forum sembrano non conoscere tregua! Dopo aver terminato brillantemente Wishbringer con un punteggio di 100 su 100, sono andati infatti subito alla ricerca di una nuova avventura da affrontare e il destino ha voluto che la fortunata vincitrice fosse Anchorhead.
Avventura di lovecraftiana atmosfera, promette di essere una degna avversaria per i nostri, ma naturalmente la porta è aperta per chiunque voglia salire a bordo e provare l'ebrezza di un genere che non conosce età.
All'inizio era il Verbo
Quando i personal computer potevano contare su pochi KB di memoria, in ambito videoludico al termine “avventura” si accompagnava quasi esclusivamente l’aggettivo “testuale”. Era l’epoca d’oro dell’Interactive Fiction, iniziata nel 1976 con la creazione di Colossal Cave Adventure da parte di Will Crowther, un programmatore con la passione per la speleologia. Unendo l’utile al dilettevole, Crowther elaborò una dettagliata copia virtuale di una grotta che si trova in Kentucky (la Mammoth Cave), in modo tale che le sue figlie potessero esplorarne i recessi senza correre pericoli reali. Non c’era nessun elemento grafico a impreziosire le descrizioni testuali di quei cunicoli sotterranei e l’unico modo per interagire con il mondo di gioco era digitare dei semplici comandi tramite tastiera.
Oggi la cosa può sembrare scomoda e noiosa, ma in quegli anni il gioco ebbe un enorme successo e ben presto si moltiplicarono i tentativi di replicare la struttura di gioco di Colossal Cave. Da uno di questi esperimenti, nel 1979 nacque Zork, la prima avventura testuale di una neonata software house che da lì in poi avrebbe sfornato un incredibile numero di successi, tanto da meritarsi il titolo di regina dell’Interactive Fiction: la Infocom. Nel giro di pochi mesi, le caverne descritte nei primi giochi e il gameplay da “caccia al tesoro” degli esordi diventarono troppo stretti per contenere l’inventiva dei creatori di avventure testuali e si iniziarono a esplorare scenari nuovi, sempre più spesso presi in prestito dalla narrativa classica: fantascienza, commedia, detective-story e horror divennero fonti da cui attingere a piene mani per ricreare mondi virtuali dove accogliere enigmi sempre più complessi.
Le meccaniche di gioco si raffinarono, l’interazione con il mondo di gioco si fece più approfondita e le libertà concesse al giocatore divennero sempre più ampie.
la schermata iniziale di Colossal Cave Adventure, accanto al suo creatore
Da alcuni giorni, i possessori di iPhone e iPad possono scaricare la versione 1.5 di Frotz, l'interprete usato per giocare alle avventure testuali sui dispositivi moderni.
Il programma viene distribuito insieme ad alcuni dei titoli migliori prodotti dagli appassionati negli ultimi anni, tra cui gli ottimi Spider & Web, Violet e Anchorhead.
I miglioramenti introdotti dalla nuova versione comprendono un'interfaccia più snella, un blocco note interno e una migliore integrazione con il database pubblico delle avventure testuali.
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Grazie a chi ci è stato vicino nei vent'anni di attività "regolare" di OldGamesItalia, a chi ha collaborato o a chi ci ha soltanto consultati per scoprire il mondo del retrogaming. Speriamo di avere presto nuove energie per riprendere un discorso che non vogliamo davvero interrompere.
Grazie, OGI. Arrivederci!
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