The Banner Saga è un interessante cRPG con una direzione artistica fuori dal comune, un combat tattico e tanta narrazione. Scopriamo se questo titolo riesce a centrare i suoi obiettivi in questa videorecensione targata Mashiro Tamigi.
Per la prima volta mi trovo a recensire un gioco dei Daedalic, il gruppo tedesco di creatori di AG più prolifico al momento. Devo confessare, come molti di voi sapete se frequentate il forum, che sono sempre stato piuttosto freddino nei confronti delle loro avventure, le ho sempre trovate poco ispirate, oppure, nel peggiore dei casi, noiose, grigie e monotone.
Avevo gradito però il loro A new beginning, un’avventura sperimentale a tematica ecologista (una boccata d’aria fresca nella loro produzione), sebbene presentasse numerosi buchi di trama e imprecisioni e non osasse addentrarsi troppo a fondo nella tematica dell’inquinamento mondiale, limitandosi solo a sfiorarlo con leggerezza.
Al contrario, trovo stentati i loro tentativi di creare giochi a sfondo umoristico. Quindi non parlatemi mai di Deponia. Attendo invece impazientemente di essere un po’ più libero da impegni per poter provare le due AG ambientate nell’universo di The Dark Eye.
Ho fatto questa premessa noiosa e pallosa, per far capire a chi leggerà la recensione come mi pongo nei confronti delle opere Daedalic. Credo sia importante se qualcuno di voi leggerà questa recensione e la userà come ago della bilancia per l’acquisto di The Night of the Rabbit.
In questo gioco controlleremo Jerry Hazelnut, un ragazzino di dodici anni intento a godersi gli ultimi giorni di vacanza estiva prima del rientro sui banchi di scuola. Il protagonista vive con la madre in una casetta vicino ad un bosco e sogna di diventare un grande mago. Un giorno, improvvisamente, Jerry si imbatte in un baule da mago e davanti ai suoi occhi appare il Marquis de Hoto, un coniglio alto e vestito elegantemente. Si scoprirà che questo amico orecchiuto (niente a che vedere con Bugs Bunny, per la cronaca) è un Treewalker, cioè una creatura dotata di poteri magici in grado di viaggiare tra i mondi e le dimensioni, attraverso dei portali insiti negli alberi stessi. Jerry diventa così apprendista del “mago”, con la promessa che sarà di ritorno per ora di cena, e viaggia attraverso un primo portale con de Hoto. L’azione si sposterà così nella città di Mousewood, un piccolo paesino in miniatura governato da piccoli roditori e animaletti parlanti di tutti i tipi.
Mi sembra chiaro che ci troviamo di fronte a un gioco di tipo fantasy-fiabesco, ci sono animali parlanti, viaggiatori dimensionali, strane creature misteriose, corvi cattivi e un dodicenne che cerca di coronare il proprio sogno… qualcuno ha detto Simon the Sorcerer? In effetti qualche similitudine c’è, ma Simon era un gioco votato all’umorismo e apparteneva a un filone fantasy più tradizionale ispirato palesemente da Monkey Island, invece The Night of the Rabbit è un gioco più serio, con vari elementi fiabeschi.
Forse chi l’ha ideato ha voluto rendere con qualche citazione un piccolo omaggio alle avventure di Simon, ma il parallelo termina qui. Giocando a quest’AG Daedalic avrete la fortissima sensazione di trovarvi di fronte a una fiaba come “Il vento tra i salici”, con un’infarinata sorniona di elementi e riferimenti alle avventure classiche e ovviamente qualche battuta qua e là (e finalmente sono simpatiche le battute!).
Ma non tutto è come sembra, ricordatelo, e anche in questo mondo “pacioccoso” e dolce saltano fuori sorprese e elementi inquietanti. Spesso si respira un’aria malinconica, sognante e struggente, non ci sono solo scherzi e risate e buffonerie… Ci sono personaggi di poco spessore e altri più importanti, ricchi di carisma e i dialoghi sono di ottima fattura: gli attori inglesi che recitano le battute sono bravissimi, e il mondo di gioco pullula di vita.
Lo stile grafico dei fondali e dei personaggi è ben curato e ben si adatta a quest’ambientazione: le foglie si muovono e svolazzano qua e là, i personaggi sono ben animati e le loro espressioni facciali variano spesso esprimendo i vari stati d’animo del momento che si accompagnano all’azione.
Le musiche e gli effetti sonori sono piacevoli da ascoltare e il doppiaggio inglese è realizzato in maniera eccellente; vista la mole di testi piuttosto consistente e la strana “parlata” di certi personaggi, vi consiglio se non masticate davvero bene la lingua inglese, di munirvi della copia tradotta in lingua italiana.
Un ottimo prodotto quindi dal punto di vista tecnico, considerando anche il fatto che questi elementi sono ampiamente personalizzabili. In effetti, la copia che ho avuto modo di provare io girava sotto Steam e quando ho attivato tutte le migliorie grafiche possibili, è risultata un pelo appesantita; calcolate però che per la prova mi sono servito di un desktop Quad Core Intel q9450 con 4Gb di ram e una scheda video Evga 560 Titanium GTX e Windows Xp SP3.
Il gioco è risultato perfettamente compatibile, tranne il fatto che i filmati in HD mancavano dell’audio (c’erano i subs). Se utilizzate Windows 7 non avrete problemi, pensate che il mio processore è vecchio di 6 anni ed è ancora perfetto per giocare; al limite, in caso di prestazioni scarse potrete scalare il numero di animazioni presenti a schermo.
Che dire del gioco in sé? Molti avevano criticato i Daedalic per le animazioni poco curate di personaggi e fondali di alcuni giochi precedenti; qui il problema è stato corretto e ora tutto intorno a voi si muove (a patto di attivare la feature nelle opzioni come spiegavo prima) e lo scenario è vivo.
L’interfaccia è piuttosto semplice, se si sposta il puntatore sopra un oggetto dello scenario o un personaggio, automaticamente comparirà un’icona a forma di occhio o di bocca e potremo analizzare l’elemento in questione o avviare una conversazione. Premendo il tasto centrale del mouse e trascinando in basso la rotellina, si può visualizzare l’inventario, scegliere un item e utilizzarlo cliccandolo sull’hotspot dello scenario interessato. Premendo soltanto il tasto centrale, attiveremo una funzione speciale, utilizzeremo una moneta magica che ci permetterà di vedere ciò che è nascosto o quel che c’è di magico nei paraggi.
Tutte idee molto interessanti, ma avrei preferito un approccio a oggetti e personaggi più simile a quello Sierra e Lucas: non apprezzo le facilitazioni. Passando il puntatore su un oggetto, il gioco già mi limita ad una sola azione e così anche con i personaggi che si incontrano. Belli i tempi di Monkey Island, quando si poteva premere “Pick up” sul Capitano Kate e Guybrush tentava di rimorchiarla con strambe battute, oppure nei Sierra, quando le cose non erano mai “semplificate” o “facili” e si sudavano sette camicie tentando di capire se una roccia sullo sfondo era utile a risolvere un enigma o era solo un oggetto scenico… ma i tempi sono cambiati e nella testa dei programmatori di AG, probabilmente, noi giocatori siamo diventati un branco di poveracci che brancolano disperati nel buio mentre tentano di finire il gioco di turno.
Rabbit vi impegnerà per un congruo numero di ore (nella media dei giochi Daedalic) e vi darà soddisfazione portarlo avanti mentre si dipana una trama piuttosto “godibile”. Ecco, sì, questo gioco non è di sicuro un capolavoro del genere, non ci sono enormi colpi di scena, ma è appunto comunque estremamente godibile, uno dei migliori giochi sfornati da Daedalic. Gli enigmi ci sono e in buona quantità ed alcuni sono veramente difficili. Questo per me è un bene: viste le facilitazioni apportate dall’interfaccia, questa caratteristica va a bilanciare la longevità e l’elemento sfida offerta dall’avventura.
Però, ho notato che alcune volte gli indizi e i commenti del protagonista portano davvero un po’ troppo fuori strada, allontanandoci dalla reale risoluzione dell’enigma. Poco male, apprezzo le sfide. Visti i contenuti potrete giocarci con i vostri figli o nipoti senza timore e, nonostante ad una prima occhiata la tematica di fondo possa sembrare leggermente “infantile”, vi assicuro che piacerà anche ai più grandicelli tra di voi.
Esce il 5 novembre, potrebbe essere un bel regalo di Natale. Aggiungo infine una nota: purtroppo il sottoscritto è incappato nella nuova politica di molte software house di rilasciare il gioco senza averlo prima beta testato a dovere. Mi sono ritrovato a dover re iniziare il gioco almeno 3 volte perché i salvataggi si corrompevano spessissimo, ma piano piano, grazie alle segnalazioni dei giocatori su Steam, Daedalic ha provveduto tramite una serie di patch a sistemare queste problematiche. La versione che andrete a giocare non presenterà questo problema, quindi questa grave lacuna iniziale (comodo fare il beta-testing sulle spalle degli utenti!) non influenzerà il mio giudizio, che resta perciò positivo.
Un bell’8 non glielo leva nessuno. In termini OGI direi: 4 stelline.
Tornano le video recensioni di MashiroTamigi dedicate all'universo di Gog.com e la sua immensa libreria di titoli bramati dagli oldgamers; oggi vi parliamo di Severance: Blade of Darkness, titolo del 2001 che riscosse all'epoca un successo forse inferiore alle sue effettive qualità, fra cui un'ottima grafica per l'epoca.
Buona visione!
Vi ricordate Masters of Magic vero? E Heroes of Might and Magic?
Se le risposte a queste domande sono "sì" già vi vedo aggrottare la fronte diffidenti, con lo sguardo obliquo ed un unico pensiero in testa.. "non potrai mai convincermi a cambiar gioco..". E ammetto senza problemi che questa risposta è leggittima considerato gli esponenti del genere usciti di recente.
Paradossalmente, invece di continuare sulle strade stellate e lussuriose aperte da titoli come heroes, age of wonders e disciples, siamo tornati indietro abbracciando una strategia più spicciola in favore di tanta scena..perdendo anche in carisma e affezione verso quel draghetto in 2d che ci ha aiutato in tante battaglie. Si, parlo di quella bellissima sensazione che ti faceva tifare per la milizia portata dietro dall'inizio della partita, parlo del sorrisone sul viso quando il mio gigante su disciples 2 diventa magicamente un gigante delle tempeste.Stiamo divagando, spero sia chiaro che parliamo di uno strategico a turni con elementi rpg e gestionali ma più che altro parliamo di draghi, barbari e uomini lucertola.
Ed Eador Genesis disse a Masters of the Broken World "IO SONO TUO PADRE"... "NUOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO"
Prima di parlare in modo approfondito di Masters of the Broken World, è opportuno accennare al suo papino,
Eador Genesis. I due titoli in verità finiscono con l'assomigliarsi davvero molto, con differenze legate forse più all'aspetto visivo che alle meccaniche di gioco vere e proprie, detto questo entrambi i titoli fanno di una complessità intrinseca il loro punto di forza, offrendo livelli di sfida sempre pronti a testare i denti di strateghi scafati o a distruggere quelli forse ancora da latte di molti giocatori che vogliono avvicinarsi al genere.
Pianificazione, continue decisioni, gestione di armate e risorse sono fasi che nella saga di eador vanno comprese e utilizzate con criterio e dedizione. Ogni turno è decisivo, soprattutto all'inizio, dove l'oro scarseggia e anche solo assoldare un goblin nelle nostre file può portarci facilmente ad un conto in rosso. Stessa cosa dicasi per il combattimento: anche se più familiare e canonico, conoscere per bene pregi e difetti delle nostre unità ed adattarsi ad ogni situazione è vitale. Per ora sono caratteristiche basilari per uno strategico di questo stampo, ed in Eador le basi sono solide portando tanta carne al fuoco da assaporare pian piano.
Tutorial chi?
Fino a questo punto tutto bene quindi, le prospettive di un gran gioco ci sono tutte, però è bene chiarire che Eador non fa un gran lavoro nel portare a braccetto il giocatore lungo l'arduo inizio, dove fra quest, esplorazione, gestione delle provincie e truppe il materiale offerto al giocatore rischia di accavallarsi, o di presentarsi troppo in fretta o troppo lentamente. Il tutorial del gioco, seppur ingegnoso , è infatti scialbo e non spiega tante belle features che brillano in Eador e che andranno assimilate solo con l'esperienza ed ore di gioco. Questo approccio molto hardcore potrebbe spaventare i novellini del genere e allo stesso tempo catturare l'attenzione di chi ha masticato pane e turni per parecchio tempo.
Un mondo di shard, provincie e magia
Elencare in una recensione tutto ciò che Eador ha da offrire è impossibile. Sono talmente tanti i fattori da tenere in cosiderazione, le possibilità e la profondità di gestione e gameplay che uscirebbe più una guida che una recensione: nonostante questo possiamo stabilire che Eador viaggia su un filone abbastanza canonico per quanto riguarda il genere, diciamo che l'esplorazione, la conquista e la cura dei nostri eroi sono tre importanti parti del gameplay.
Gli shard, ovvero le mappe del gioco che compongono il mondo in rovina di eador, sono divise in provincie, ognuna con caratteristiche diverse dall'altra e con zone particolari da poter far visitare da uno dei nostri eroi. Conquistando una provincia acquisiamo risorse (principalmente oro per comprare unità, edifici e mantenerli, e gemme per usare la magia sul campo di battaglia; tuttavia ci sono anche altri tipi di risorse, come metallo e legno destinati a particolari attività) che andranno a costituire le entrate per ogni turno. Inoltre, ogni provincia può essere esplorata da un eroe, che potrà trovare incontri casuali, come ladri impegnati a rubare o inquisitori impegnati in una missione.Oltre a questo, più o meno ogni provincia ha delle zone fisse da poter esplorare, quest che potremo affrontare in qualsiasi momento per ottenere esperienza, equipaggiamento o risorse.
Anche in questo caso eador non offre una guida, saremo noi a capire con l'esperienza quale nemico possiamo affrontare subito o quale invece ha bisogno di essere lavorato successivamente; vero, il nostro eroe ci dirà all'inizio di uno scontro come potrebbe andare il combattimento ma non fate affidamento solo su questo, molti scontri potranno essere difficili anche se alla nostra portata, così come scontri più difficili potrebbero risultare fattibili con una maggiore arguzia tattica.
Conquistare province è quindi fondamentale sotto tutti punti di vista: contribuiscono alle entrate, offrono esperienza e quest al nostro eroe, e in alcuni casi nuove unità da poter reclutare: infatti le province potranno appartenere ad altre razze, come nani, elfi, uominilucertola, e con il giusto parlamentare (ovvero con il completamento di quest) potremo allearci con loro, arruolandone le unità e costruendo edifici particolari nella nostra capitale. Depredare una provincia quindi non è sempre la scelta più opportuna, offrendo al giocatore molto più di un semplice pretesto per sfoderare la spada. A corredo di tutto questo, avremo la possibilità di ampliare le province annesse al nostro impero con edifici quali avamposti, mulini e guardie per proteggerla da un eventuale attacco nemico.
E'sempre un gioco di scacchi
Le ostilità in Eador vengono gestite con una classica componente tattica. Ad ogni scontro infatti, le unità a disposizione del nostre eroe dovranno essere disposte su una scacchiera che rappresenta il campo di battaglia: una volta fatta questa operazione potremo avviare il combattimento.Ogni unità, eroe compreso, ha determinati attributi che la rende diversa dalle altre: valori quali morale, punti vita, movimento contribuiscono a variare molto il nostro party, ponendoci di fronte a continue scelte all'aumento di livello.
Sì perchè non solo l'eroe acquisisce punti esperienza, ma anche le unità, e ad ogni livello il gioco ci porrà di fronte due scelte, come aumentare punti vita o morale, o difesa e movimento, contribuendo a diversificare il nostro esercito rendendo il nostro uomolucertola diverso da un altro. Ogni unità inoltre potrà essere premiata con una medaglia che aggiungera statistiche ma ne aumenterà il costo di mantenimento.
Di base comunque, la prima cosa da fare in Eador è scegliere gli eroi: si parte da poche classi che vanno dal classico mago o guerriero, per passare al ranger o al comandante, ma la varietà si presenta con l'aumentare dei punti esperienza, fornendo un parco di abilità notevole da poter scegliere, e sottoclassi da affiancare a quella principale. Livellare un eroe tramite quest o esplorando provincie è fondamentale, come conseguenza perderne uno sul campo di battaglia a livelli alti è rischioso perchè per riportarli in vita dovremo sganciare bei soldoni.
Anche qui un sistema abbastanza punitivo, un singolo combattimento se non valutato correttamente può portare rapidamente alla disfatta del nostro eroe, e non vi dico quanta mestizia ci sia nel perdere un barbaro portato avanti da inizio partita. In generale persiste una difficoltà di base molto elevata, ma che rende il combattimento brillante e completo: lanciare magie, usare abilità, cambiare equipaggiamento sono tutte possibilità che funzionano benissimo in Eador, offrendo un combat classico nel genere ma vario e curato in ogni piccollo dettaglio.
Ma come lo gioco?
Le modalità offerte da eador sono le classiche: abbiamo una campagna principale, gestita bene e davvero molto originale, caratterizzata da personaggi ben studiati e da dialoghi che a volte rasentano la comicità più schietta e il tutto gira in una campagna molto lunga, che può durare tantissime ore in base al livello di difficoltà selezionato. Ho trovato eador davvero tosto e punitivo, l'ai sembra sempre pronta a prenderci di sorpresa, e abbassare la guardia anche solo per un momento può voler dire perdere una provincia o un eroe. Personalmente mi piacciono i giochi tosti, che non perdonano, ma allo stesso tempo non mi spiego come una ai senza provincie possa comunque arruolare guardie, non voglio dire che l'ai usi sporchi trucchi.. però.. Comunque ci sono parecchi livelli di difficoltà selezionabili ad inzio missione, e questo aiuta nelle fasi avanzate della campagna.
Abbiamo poi la classica modalità sandbox, la mia preferita, dove possiamo partire da zero una nuova partita e fare un pò quello che ci pare. Da testare c'è la componente online, elemento secondo me non fondamentale per il genere ma che se ben fatto può virtualmente portare uno strategico a livelli di longevità infiniti.
Guarda papà si vedono le stelle!
Sotto il profilo tecnico, Eador Masters of the Broken World è un gioiellino. A partire dalla mappa con il mondo distrutto, per continuare con le mappe di gioco, il livello di dettaglio è davvero elevato. Le unità sono ben disegnate e animate (seppur in alcune occasioni le animazioni vanno un pò a caso) e il sonoro di sottofondo contribuisce a creare un atmosfera davvero piacevole, desitnata ad accompagnare il nostro giocato di turno in turno.
Conclusioni, aka, spingo la clessidra e passo il turno
Aaah, quanto adoro gli strategici alla heroes, belli corposi, con tanta roba da fare e tante unità da arruolare! Riesce la saga di eador ad offrire una base di possibilità tale da catturare il purista del genere? Riesce a offrire una varietà tale da creare l'effetto "ultimo turno" alle 3 del mattino? Per quanto mi riguarda, direi proprio di si, e non solo ci riesce ma lo fa con estremo merito e con tantissima carne al fuoco da spolpare pian piano, come si gusta una bistecca al sangue.
I problemi principali riguardano un lancio non privo di problemi, e alcuni di essi ancora rimangono in attesa di essere risolti: turni che si bloccano, personaggi che non si muovono, bachi che possono risultare fastidiosi e che portano per forza di cose all'utilizzio di quick save più frequenti. Nonostante questo, il prodotto giocato in questo momento è privo di bugs tali da minare in toto il gioco, permane però un sistema grafico abbastanza pesante in alcune situazioni.
Per finire, Eador mi è piaciuto davvero tanto, forse uno dei migliori esponenti del genere uscito di recente: non è però un prodotto adatto a chi si presenta al genere per la prima volta, non offrendo un tutorial completo ma abbastanza confuso; vi consiglio caldamento di rivolgervi alla wiki uffciale per guide sostanziose su magie, risorse e unità.
Quindi promossa in toto la saga di Eador: con Masters of the Broken World a fare quasi da remake grafico di Genesis avrete di fronte ore e ore di gioco pronte ad appassionarvi con l'aumentare dei turni.
Ennesimo progetto finanziato su kickstarter e ritorno di una licenza eccellente, Shadowrun Returns è uno dei titoli da non perdere in questa focosa estate videoludica. Pronti a vivere la vostra avventura?
Cos'è Shadowrun?
L'ambientazione di Shadowrun è fondamentalmente di genere cyberpunk, caratterizzata da megalopoli post-moderne in un futuro non troppo lontano in cui il mondo, degradato e in declino, è dominato da mega-corporazioni senza scrupoli più influenti degli stessi governi; in cui la cibernetica e la tecnologia condizionano la vita di chiunque così come la Matrice (la rete informatica globale); in cui la forbice del benessere tra ricchi e poveri è più ampia che mai, così criminalità, droga, prostituzione e persino traffico di organi sono del tutto "comuni" ai piani bassi. Laddove in quelli alti, invece, si gioca col destino del mondo e dell'umanità...
Quello che rende però questa ambientazione così particolare se non originale, è il "risveglio", ossia il ritorno nel mondo della magia, con svariate conseguenze tra cui la "nascita" di nuove razze (umanoidi, chiamate meta-umane, come elfi, nani, orchi e troll), che contribuiscono ad aumentare le già delicate tensioni sociali e razziali, e nuove creature come i draghi. La magia ha inoltre reso possibile entrare in contatto con il mondo degli spiriti. Un universo quindi che contrappone magia e tecnologia. Ed è in tale miscuglio di cliché che si muovono gli Shadowrunner, uomini di ventura pronti a rischiare la vita per una manciata di nuyen, la moneta locale.
In questo affascinante universo sono stati prodotti, prima di Shadowrun: Returns, altri tre videogiochi, tutti curiosamente chiamati semplicemente "Shadowrun". Due nell'era dei 16-bit: uno per SNES (1993) e l'altro per Sega MegaDrive/Genesis (1994), ormai divenuti dei cult tra gli appassionati, e una iterazione più recente per PC (2007), un FPS davvero dimenticabile, che è stato deprecato dallo stesso Jordan Weisman, uno degli autori dell'ambientazione e creatore di questo Returns, poiché poco fedele all'ambientazione.
Trama
Seattle, 2054. A corto di lavoro da mesi, e in disperata ricerca di nuyen, nel nostro malfamato appartamento arriva una strana chiamata... Il nostro vecchio amico Sam?! Cosa diavolo vuole un MORTO da noi? Inizia così la campagna Dead Man's Switch. La trama è molto lineare, ma piuttosto avvincente e, anche senza grandissimi colpi di scena, si mantiene su ritmi abbastanza alti in un crescendo che invoglia a scoprire "cosa succede dopo".
Personalmente ha impegnato circa 20 ore di tempo per arrivare in fondo (a difficoltà "Alta", la 4a delle 5 disponibili). Mancano elementi "moderni" come i romance o le scelte morali, e non ci sono bivi che portano sostanziali cambiamenti o finali differenti. Tuttavia è possibile, in alcune run (le "missioni" in Shadowrun), affrontare le situazioni proposte in modi diversi, in base alle attitudini del nostro alter-ego, ma la cosa influisce per lo più sulla maggiore (o minore) difficoltà delle stesse, non sul risultato finale. È infatti sempre possibile portare a termine i vari compiti, magari sborsando moneta sonante se non abbiamo le abilità necessarie.
A scandire la trama non ci sono cut-scene in computer grafica, ma solo tante descrizioni fuori campo tra le varie scene e dialoghi scritti davvero bene, in pieno stile Shadowrun. Per la felicità dei fan, la fedeltà con l'ambientazione è molto alta, e a testimonianza di ciò, senza voler svelare nulla, posso dire che quanto narrato qui è direttamente causa di un "evento maggiore" della timeline ufficiale dell'ambientazione. Inoltre ci potrebbe essere (vedremo) una connessione con la già annunciata campagna ambientata questa volta a Berlino, che verrà rilasciata nel prossimo futuro come DLC.
Gameplay
Come in ogni RPG che si rispetti, per prima cosa ci troveremo di fronte alla creazione del nostro personaggio. Possiamo sceglierne il nome, il sesso, la razza e la classe (tra adepto, samurai della strada, decker, rigger, sciamano e mago). Abbiamo a disposizione diversi punti karma da spendere per personalizzarlo, potendo scegliere di creare un personaggio specializzato o anche ibrido, nulla è precluso.
Per aumentare ogni abilità o statistica, necessiteremo di tanti punti karma quanto il livello a cui vogliamo portarla (es. ci vorranno 3 punti karma per portare una statistica/abilità da 2 a 3 e 4 per portarla da 3 a 4 e così via). Completando le missioni o raggiungendone gli obiettivi intermedi, ne riceveremo altri da poter spendere immediatamente.
Il cuore del gameplay è il combattimento, laddove le svariate abilità sono praticamente tutte orientate ad esso, così da creare un'esperienza piuttosto profonda e molto varia su questo fronte: ogni classe infatti è da giocare in maniera diversa dalle altre per sfruttarne le peculiarità.
Il combattimento è a turni, e, come in Fallout, è basato su punti azione in cui ogni azione e lo stesso movimento consumano uno o più punti, ma a differenza di questo, i punti azione non dipendono da alcuna statistica. Inoltre, similmente all'ultimo X-com, potremo scegliere di restare coperti, dietro due tipologie di coperture caratterizzate da uno scudo pieno o uno riempito a metà. Interessante anche il sistema di magia: ogni magia è caratterizzata da un certo numero di punti azione consumati e da un numero di turni prima che essa torni nuovamente disponibile.
Per bilanciare il tutto, gli innesti cibernetici riducono l'essenza (l'umanità del personaggio) aumentando di fatto il numero di turni entro cui una magia torna a disposizione, così da risultare difficile creare degli ibridi troppo efficaci tra tank e mago, con quest'ultimo che è l'unico a poter curare i compagni, tramite un meccanismo molto tattico: è possibile infatti curare un alleato per un ammontare di danni pari all'ultima ferita ricevuta da quel dato personaggio.
Le fasi di combattimento sono piuttosto semplici da gestire, nonostante la grande quantità di magie/poteri e quant'altro a disposizione, soprattutto grazie ad una interfaccia molto ben fatta e una completa guida accessibile in ogni momento direttamente in-game.
Semplice da imparare, difficile da padroneggiare? Certamente il livello di difficoltà non è dei più alti, e solo un paio di combattimenti mi hanno impegnato fino al classico mission failed. In questo senso, vale la pena sottolineare che il gioco è dotato di un sistema di auto-salvataggio che, seppure scomodo, rende il barare quantomeno sconsigliato... ogni scelta è definitiva, a meno di non voler rigiocare l'intero livello. Il gioco infatti è diviso in livelli o scene (alcune missioni sono suddivise in più scene). Questi sono contraddistinti da mappe molto piccole (non c'è infatti una funzione auto-mappa, del tutto superflua) che, pur favorendo la rapidità dei caricamenti comunque non proprio velocissimi, mortificano decisamente l'esplorazione, di fatto molto limitata.
Tra una missione e l'altra torneremo in un hub centrale che mette a disposizione tutto il necessario per prepararsi alla missione successiva, compresa la possibilità di reclutare la nostra squadra, che prevede fino ad un massimo di 4 elementi (compreso il nostro PG) da scegliersi accuratamente. Da sottolineare il fatto che, nonostante ognuno sia di per se già equipaggiato a puntino, non potremo in alcun modo personalizzare i compagni (non acquisiscono punti karma) né equipaggiarli fuori dall'hub, cosa che vale anche per il nostro personaggio (magie comprese), e l'equipaggiamento dato loro è perso alla fine della missione, utilizzato o meno, il tutto per accentuare l'importanza della gestione delle risorse.
Grafica
Il gioco si presenta con una grafica molto colorata nonostante una palette piuttosto cupa, perfettamente in tema con l'onnipresente degrado. I fondali sono disegnati a mano, molto statici ma ricchi di dettagli, senza particolari aggiunte quali illuminazione dinamica o effetti particellari di sorta. Tutto ciò che si muove, praticamente personaggi e mostri, è invece poligonale, con modelli non particolarmente curati, costituiti da pochissimi poligoni.
Le animazioni sono davvero poche, una sola per ogni azione possibile, ma almeno risultano abbastanza fluide. La visuale è isometrica, per essere funzionale al gameplay e mantenere bassi i requisiti di sistema. Anche la rappresentazione delle magie è mediocre, a sottolineare il ridotto budget a disposizione degli sviluppatori, che comunque hanno nel loro curriculum soltanto giochi bidimensionali.
Sonoro
Alla stregua dell'aspetto grafico, anche il sonoro è poco curato. Dimenticabili le poche musiche di sottofondo, sebbene, come del resto tutti gli altri elementi, intonate perfettamente con l'ambientazione. Gli effetti sonori sono praticamente assenti, o almeno, sarebbe stato meglio che lo fossero. I dialoghi e le descrizioni sono testuali, e non una riga di parlato è stata registrata. Tra tutti, questo è in assoluto l'aspetto meno curato.
Longevità
Come già accennato, la campagna dura 20 ore circa. Non male per un gioco dal budget ridotto, venduto ad un prezzo tutto sommato basso (14€). La varietà del gameplay potrebbe stimolare a riprendere il gioco una volta finito, anche se l'estrema linearità della trama, di contro, potrebbe essere un freno.
C'è un però. Il gioco è stato rilasciato fornito dello stesso editor utilizzato dagli sviluppatori e, addirittura, comprensivo della campagna originale, così da permettere a chi volesse cimentarsi di avere quanto realizzato dagli sviluppatori a disposizione per capire meglio il funzionamento di questo strumento. Potenzialmente questo fatto potrebbe aumentare all'infinito la longevità del titolo, grazie ai contenuti generati dalla community, molto attiva sul workshop di Steam. In più, gli sviluppatori hanno annunciato che lo sforzo di rilasciare l'editor al lancio, precorre la volontà di rilasciare essi stessi tanti contenuti sotto forma di DLC, della qualità e della durata della campagna Dead Men's Switch.
Conclusioni
Cosa dire? Shadowrun: Returns rappresenta il primo titolo "milionario" finanziato tramite Kickstarter ad essere lanciato sul mercato: una grande responsabilità. Il budget a disposizione degli sviluppatori, dopo un intenso anno di lavoro, ha permesso di creare un impianto che brilla particolarmente da un punto di vista narrativo, per qualità della scrittura, e nelle meccaniche di combattimento, per varietà e profondità tattica, ma carente sotto altri punti di vista, non solo quello tecnico, cosa che rende Shadowrun: Returns una esperienza dal sapore antico, lontano dagli standard di mercato (e dai valori di produzione) odierni.
Nonostante ciò, il titolo si fa giocare con grande piacere, perché in fondo diverte e anche tanto, facendo leva appunto su pochi aspetti curati però davvero bene. Siamo di fronte ad un profondo RPG tattico che quasi strizza l'occhio agli strategici a turni per come è stato pensato in questa prima campagna molto orientata al combattimento, ma che promette molto, molto bene per il futuro grazie al potente editor e al supporto della comunità e degli stessi sviluppatori. Tutto sommato comunque, il potenziale espresso è già adesso di buon livello.
Mars: War Logs, prodotto dalla Spiders, già sviluppatrice di Of Orcs and Men, è un action RPG in terza persona ambientato su un pianeta Marte alternativo, in cui il misterioso Roy Temperance dovrà farsi strada fra colpi di stato, bande di ribelli, i perfidi Technomancers e delle antiche rovine.
Mars: War Logs, è anche una classica occasione sprecata, o un tentativo di fare il passo più lungo della gamba degli sviluppatori.
Ma facciamo un passo indietro...
L'inizio di Mars: War Logs è tra il goffo e l'atroce. In una cutscene vedremo un ragazzino, Innocence, venir trasportato in un campo di prigionia su Marte. La sua voce fuori campo ci racconterà di come è stato arruolato, di come ha combattuto in mezzo ad estranei e di come si è poi trovato nel vagone trasporti. Non è il miglior modo per conoscere il passato di un personaggio, visto che ci viene tutto spiattellato senza grazia, ma può andare.
Il problema arriva, poco dopo, quando Innocence starà per essere violentato nelle docce della prigione e il comando passerà a *noi*, e noi saremo... Roy Temperance, un figo dagli occhi di colore diverso (come nelle fan fiction scritte da quattordicenni, sì... sigh), sbucato dal nulla e di cui non sappiamo *niente*. E di cui continueremo a non sapere quasi niente per tutto il corso del gioco.
Il fatto è molto fastidioso perché in questo modo non è mai possibile calarsi completamente nei panni di Roy e questi non diventa mai un vero e proprio personaggio: ci sono continui accenni a un suo passato, e Roy non ha un'amnesia, ma raramente ci verrà fatto sapere qualcosa di preciso. Nel corso dei dialoghi alcuni personaggi ci chiederanno informazioni sul nostro passato, e noi potremo decidere fra diverse risposte, ma neanche questo aiuta a costruire un'aura di credibilità attorno al personaggio, perché non c'è nulla di concreto a supportare nessuna delle risposte, è tutto troppo superficiale, tanto che ad un certo punto mi sono chiesta se alcune delle risposte lì presenti fossero menzogne o meno.
In parte secondo me questa mancanza di informazioni è dovuta al fatto che volevano rendere Roy misterioso (e allora era meglio scegliere un altro protagonista, o renderlo l'ennesimo tizio vittima di amnesia), in parte ciò è dovuto al fatto che tutta la parte narrativa del gioco, dalla caratterizzazione dei personaggi, alla trama, ai dialoghi (su cui arriveremo tra poco) è molto superficiale.
Nel corso del gioco Roy avrà a disposizione diversi personaggi come companions, e potrà chiacchierare con loro come in tutti gli RPG. Ognuno ha i suoi quattro fattarelli di vita privata e tragico passato che racconterà a Roy se questi riuscirà a guadagnare la loro fiducia (leggi: li presserà di tanto in tanto per parlare e sarà gentile nei dialoghi con loro), ma lo sviluppo psicologico e delle relazioni fra di loro è zero.
Per fare un esempio, un personaggio di cui non dirò il nome per evitare spoilers, all'inizio del gioco ci odierà a morte perché gli avremo ucciso una persona molto cara. Quando finalmente questo personaggio ci confronterà, pronto alla vendetta più atroce, basterà che Roy dica più o meno: “Sì, ma guarda che ha cominciato l'altro, io non avevo molta scelta. Facciamo pace?”, perché la risposta sia: “Oh, non hai tutti i torti. Vabbè, pace!”. Questo genere di superficialità, come dicevo, vale per tutto: i Technomancers vogliono il potere perché sì, e sono maligni da cartone animato; i ribelli hanno il “potere del popolo” dalla loro... E' tutto piattume.
Passiamo alla trama. Dicevo che Roy e Innocence sono due prigionieri su Marte. L'idea dietro la trama è che i due scappino da Marte e si trovino invischiati in qualcosa di più grosso di una semplice fuga. In pratica la trama resta abbastanza anonima, non viene spiegata bene, tutto resta molto generico.
Nel mondo di War Logs esistono i Technomancers, capaci di tirare fulmini contro la gente grazie a degli innesti particolari, sono malvagi e vogliono accaparrarsi più potere possibile; sono due sono i gruppi che gli si oppongono: la Resistenza, un branco di ribelli scimuniti, e un gruppo di militari comandati dal generale Honor, che vogliono cambiare il governo dall'interno. Roy dovrà decidere con quale delle due fazioni schierarsi, anche se alla fin fine non cambierà moltissimo.
Dal momento che tutti i personaggi sono superficialissimi, il pathos e il coinvolgimento emotivo del giocatore è già molto ridotto. Aggiungiamo che le varie fazioni e i loro obiettivi sono, quando va bene, superficiali, quando va male non pervenuti. Aggiungiamo ancora che spesso si resterà perplessi davanti all'assenza di realismo di tutto quel che accade.
All'inizio del gioco non ero convinta di essere nel campo di prigionia. Le guardie non muovono un dito se si scatena una rissa fra detenuti, neanche se suddetti detenuti si uccidono a vicenda. I prigionieri sono *assunti* dalle guardie per fare lavori in giro per il campo – e vengono pagati. Nel campo stesso le guardie gestiscono un negozio che vende roba ai detenuti, e con "roba" intendo merce che varia dai rifiuti di metallo a *munizioni*. Perché sì.
In generale la reattività del mondo di gioco è zero. Non importa cosa accadrà, tutti gli NPC non faranno una piega: non scapperanno, non si difenderanno (tanto non possono essere colpiti), non si nasconderanno, niente. Gli NPC sono a tutti gli effetti manichini, anche se alcuni fanno avanti e indietro fra due punti delle piccolissime locations.
Parentesi a parte per dialoghi e doppiaggio (inglese). Sono entrambi orrendi. Quando va bene, i dialoghi sono piatti e banali. Quando va male non hanno senso. Il doppiaggio è uno dei peggiori che abbia mai sentito, tanto che spesso non si capisce che cosa volevano davvero esprimere i personaggi.
In una scena particolare, che per me è stata fonte di un sopracciglio alzato dopo l'altro, c'è un personaggio che subisce uno shock devastante (in teoria): i suoi genitori sono spariti, al posto della sua casa solo delle rovine. Vabbè, penso, sono passati anni, si saranno trasferiti. Cerchiamoli. Lui invece è devastato come se ne avesse visto i cadaveri (primo sopracciglio alzato). Si china a terra e... beh, io credevo piangesse. Ma i suoni del doppiatore sembrano più conati di vomito (secondo sopracciglio alzato). Penso che pianga perché il vomito non ha molto senso nella scena, poi vedo il personaggio che si alza e si pulisce la bocca. Aveva vomitato davvero. Vabbè (terzo sopracciglio alzato). Il personaggio guarda i ruderi della casa e con voce piatta dice qualcosa tipo: “Adesso andiamo via.”, come se avessimo finito un pic-nic nel prato. Quarto sopracciglio alzato ed enorme perplessità da parte mia. Una recitazione atroce.
Alla luce della questione sul ruolo della donna nei videogiochi, brevemente affrontato in precendenza su OGI, apro un'altra parentesi per un personaggio femminile, di cui non posso dire il nome perché in teoria è spoiler. Tale personaggio si trova, ad un certo punto, mezza nuda. Roy, da vero galantuomo, si offre di comprarle dei vestiti. Lei rifiuta perché “questi stracci rappresentano quel che ero” (maggiori spiegazioni sono spoiler). Non ho potuto fare a meno di sorridere.
Non so se la Spiders abbia fatto la cosa innocentemente o meno, ma ho trovato la scena molto ridicola. Almeno vedremo gli altri personaggi commentare negativamente la scelta di questa pazza (che sì, andrà in giro per tutto il gioco quasi in mutande). Non posso neanche dire se la cosa è o meno in linea con la psicologia del personaggio in questione perché tale psicologia è appena accennata.
C'è anche qualcosa di buono. C'è un tentativo, più o meno riuscito, di inserire del gioco dell'ambiguità morale. I ribelli sono “buoni”, ma idioti; il generale è “buono” anche lui... ma fino a un certo punto (o, più semplicemente, la sua idea di “bontà” non è quella canonica che si trova negli RPG di solito). Nessuno è completamente “pulito”. Ho anche apprezzato abbastanza uno dei due finali, perché è più complesso della solita pappina “tutti felici e contenti”. Lo sforzo, però, non è stato abbastanza, e l'impressione resta quella di un lavoro molto raffazzonato.
Si nota che Mars vorrebbe essere un action RPG in cui le scelte compiute dal giocatore possono influenzare trama e personaggi, ma anche questo è gestito in maniera molto goffa e superficiale. Possiamo scegliere ogni volta in che modo rispondere ai personaggi, e di solito avremo tre scelte: buono, cattivo e neutro. A seconda di come ci comporteremo, la reputazione di Roy salirà o scenderà.
Io ho raggiunto, involontariamente, la peggior reputazione possibile, ma non ho visto grandi cambiamenti, se non il fatto che i negozi mi facevano prezzi alti. A volte sarà possibile scegliere come terminare una missione, se parlando o combattendo, ma anche qua, niente cambia moltissimo. Anche la scelta più importante nel gioco ci porterà comunque nelle stesse aree a fare quasi le stesse cose; cambierà solo la fazione a cui saremo alleati e qualche cutscenes.
E veniamo a quello che è il vero cuore di Mars: War Logs. Il combattimento. Devo dire che mi aspettavo peggio, è abbastanza divertente e non facilissimo. La maggior parte delle volte sarete voi e un vostro companion contro più nemici – a volte *molti* più nemici. Il combattimento è essenzialmente un corpo a corpo, anche se Roy ha a disposizione una nail gun e delle abilità speciali, andando avanti nel gioco. Non c'è modo di equipaggiare i companions, invece, quindi loro avranno solo un'arma, la stessa per tutto il gioco.
Dicevo, il combattimento è difficile. Spesso sarete circondati, dovrete correre, schivare, colpire, ritirarvi, usare le abilità al volo – è abbastanza complesso e diverte nelle prime fasi. Ci sono del problemuzzi anche qui, però. Intanto, il companion ha l'intelligenza di un robot disattivato. Lui o lei non schiverà, non correrà, non farà acrobazie: il che vuol dire che starà lì a prendersi le legnate e morirà, lasciandovi presto solo. Potrete dargli semplici comandi, come “difenditi”, “attacca il più vicino”, “attacca quelli che attaccano me”, ma non è neanche lontanamente sufficiente a renderli utili.
Molto irritante è anche come alcune abilità possono essere interrotte dai vostri nemici se vi vengono troppo vicini. Considerato che spesso sono in tanti, e che possono interrompervi più volte di seguito, la cosa diventa frustrante.
Anche l'albero di abilità non è male: è molto simile a quello di The Witcher 2. Sono presenti tre rami che è possibile sviluppare: quello relativo al combattimento, quello relativo, diciamo, allo stealth, e quello per le abilità particolari di Roy. I talenti invece sono più superficiali e hanno molto meno impatto sul gioco. Alcuni si sbloccano in automatico compiendo delle azioni (come uccidendo un tot di nemici), altri richiedono dei punti per essere sbloccati, ma non aiutano a dare un'impronta personale al proprio Roy: sono troppo pochi e, appunto, hanno poco impatto.
E' anche possibile personalizzare armi e armature per Roy, a patto di avere abbastanza scarti e pezzi di ferro o cuoio, e così potremo aggiungere danni da elettricità, o resistenza a un particolare tipo di arma, o ancora avere bonus all'attacco e così via.
Parentesi grafica: graficamente il gioco non raggiunge i livelli di un Tripla A, ma è più che discreto. E' anche molto scalabile e si comporta abbastanza bene su macchine poco prestanti: con la mia deboluccia GeForce9500GT, con i parametri grafici “alti” sono riuscita a giocare tranquillamente a 24 fps. Abbassando la risoluzione, la fluidità è salita molto (60 fps) e il gioco era ancora decente da vedere.
Ma la pecca più grande è che il gioco è tutto uguale. Le missioni sono un continuo “corri di qua, uccidi gente mentre corri, prendi questo, torna indietro”. I cambi di area sono frequentissimi. Le aree sono letteralmente minuscole, tranne qualche eccezione, ed è frequente anche il backtracking, quindi una volta uccisi i nemici è un continuo “corri per cinque metri, cambia area, corri altri cinque metri, cambia area” e via così finché non si raggiunge l'NPC che ci ha dato la missione che ci dirà di... tornare indietro a fare un'altra cosa. Ho detto che c'è un ramo delle abilità più o meno dedicato allo stealth; è così, Roy può passare inosservato dai nemici, ma spesso questi sono troppi perché si possa evitare il combattimento totalmente, o ucciderli tutti di nascosto. Scordatevi di fare il cecchino o il novello Garrett. Lo stealth serve, di solito, ad avere il vantaggio del primo colpo, poi è zuffa.
Ben presto la noia regna sovrana, le palpebre calano. E' un peccato, perché l'ambientazione e alcuni personaggi avevano un buon potenziale, ma quel che rimane è un titolo anonimo, noioso, che si scorderà dopo un paio di giorni.
Gli strategici 4x sono giochi che ponendoci ai comandi di un impero, ci invitano durante il gameplay ad esplorare, espandere i nostri domini, ricercare nuove tecnologie e, ovviamente, distruggere o avere contatti con altri imperi/giocatori. Da grande appassionato del genere, posso essere felice di recensire Star Drive, rts 4x creato da Zero Sum Games e ambientato nel freddo ma popolatissimo spazio.
ACCENNO SUI 4X, CHE A VOLTE SONO 3 O A VOLTE SONO ILLEGGIBILI.
Iniziare a parlare di uno strategico 4x non è mai semplice, soprattutto in questi tempi in cui produrne uno può risultare un rischio da tutti i punti di vista. Dico "rischio" perchè creare un' opera di questo genere non è certo facile: primo perchè i giocatori dediti a questa quasi "religione" si aspettano il meglio e secondo perchè richiedono tanto tempo per essere puliti e rifiniti in tutte le meccaniche di gioco. E sappiamo bene come il "tempo" nel videoludo di oggi sia sinonimo di "soldi".
Ogni tanto però qualcuno si butta e decide di partotire un 4x, alcuni riescono, alcuni invece no. La maggior parte si perdono con release stiracchiate, direi anche obbligate, con conseguenti problemi di bug, crash o meccaniche mancanti o mal funzionanti. Vi dico subito cari amici strateghi, che non è il caso di Star Drive.
Infatti il gioco è privo di problemi tali da minare il divertimento del giocatore, le meccaniche sono tutte presenti e funzionanti, e non ha bug di sorta. Possiamo dire che Star Drive parte come un 4x dovrebbe partire: pronto ad aprirsi alle manine pacioccose di un aspirante imperatore spaziale. E qui dovrei inserire una frase tipo "E tu sei pronto a questa sfida?" ma farebbe troppo pubblicità di heroquest negli anni che furono.
DICHIARO QUESTO PIANETA ANNESSO AI MASHIRONIANI! (ehm, signore ma è solo un asteroide!!..Zitto, dopo lo terraformiamo) AKA: IL GAMEPLAY.
Parliamo di come funziona il gioco nelle sue componenti di base. Prima di prendere comando del nostro impero e partire alla scoperta dello spazio più profondo, sarà necessario scegliere o creare una civiltà. Avremo difatti la possibilità di prendere comando di una civiltà già presente nel gioco, o crearne una con nomi e caratteristiche decise da noi.
Le civiltà base sono rappresentate da carismatiche e ben disegnate schermate in cui possiamo osservarne i tratti tipici: andiamo dai classici umani, alle civiltà cibernetiche, passando per orsi e lupi spaziali, dimostrando una buona fantasia da parte degli sviluppatori.
Ognuna di queste civiltà ha caratteristiche diverse dalle altre. Tali caratteristiche sono rappresentate da particolari attributi che potremo scegliere nell'eventuale creazione di una nuova razza: ognuno di questi contribuisce in modo significativo a plasmare un impero e la sua potenza. Scegliere con cura fra le diverse possibilità che ci vengono offerte è necessario per identificare il nostro gameplay, tanto è vero che potremo scegliere anche attributi negativi al fine di poter averne altri positivi, creando così un rapporto di malus bonus che renda plausibile la nostra esistenza.
Oltre a bonus commerciali e militari, potremo dare alla nostra razza anche un senso dell'onore spiccato in ogni membro dell'impero, che però andrà ad influire negativamente sulle tattiche d'antispionaggio, oppure potremo scegliere di fornire alla nostra specie un metabolismo raffinato, dandoci un bonus sulla quantita di cibo consumata dagli abitanti dell'impero.
Le scelte sono molteplici, e questo sistema rende la creazione della nostra personale civiltà divertente e appagante, soprattutto perchè tutte le nostre scelte andranno ad influire in modo deciso nel gameplay. Più avanti nel gioco sarà addirittura possibile "rubare" questi attributi dagli imperi conquistati attraverso la ricerca. Sfizioso e cattivissimo.
Una volta scelti questi attributi e dato un nome al nostro impero e pianeta natale, potremo scegliere la grandezza della mappa e il numero di sistemi solari presenti in essa, la quantità di nemici controllati dal computer presenti, e la difficoltà. Avremo anche la possibilità di modificare il tempo con cui avanzano le ricerche, utile per provare l'avanzamento nei vari alberi di avanzamento tecnlogico fornito dal gioco e modificare i valori per i salti spaziali.
Come modalità di gioco è presente per ora l'unica sandbox, comunque quella più importante e corposa per questo genere di giochi. Una volta settati a nostro gradimento questi valori, saremo pronti a impugnare il nostro destino e conquistare la galassia.
Partiremo dal nostro sistema solare nativo, al comando del nostro pianeta principale e con poche navi in nostro possesso. Principalmente uno scout, che servirà per esplorare il resto dell'universo, e una nave per colonizzare eventuale pianeti trovati dal nostro scout. A questo punto è importante espandere i nostri domini, valutando le risorse presenti su un pianeta e come gestire la loro produzione in modo tale da adattarsi ai vari momenti di gioco e alle nostre necessità. Qui la parte gestionale è predominante, e seppure possa sembrare complessa ad un primo impatto, si rivela scandita da una logica facile da far propria con l'avanzare degli anni stellari.
SIGNORE E' SICURO DI VOLER COLONIZZARE SCHIFFEZIUM I?
Per far nostro un pianeta e dichiararlo annesso al nostro impero, avremo prima di tutto bisogno di una nave creata a tal fine. Come detto in precedenza, partiremo già con una di queste navi e potremo usarla a nostro piacimento per colonizzare qualsiasi pianeta visitato dal nostro esploratore. Attenzione però, valutare per bene i vari parametri di un pianeta è fondamentale e tenere d'occhio il numero di popolazione raggiungibile, il suo livello di fertilità e la sua ricchezza è necesario per un'economia vincente: ci sono infatti diverse risorse da tenere d'occhio nel nostro impero e tutte vengono modificate e distinte dai nostri pianeti.
Al fine di mantenere la popolazione di un pianeta dovremo nutrirla (a meno che non si è scelto una razza cibernetica, a questo punto il problema cibo viene addirittura debellato, con altri malus però presenti) e per farlo avremo bisogno di pianeti verdi e fertili. Di solito il nostro pianeta natale è adatatto per fornirci un buon quantitativo di popolazione e un buon valore di fertilità per darci uno start più semplice.
Inoltre avremo la possibilità di assegnare i nostri abitanti non solo alla lavorazione di campi, ma anche alla costruzione di navi o edifici o alla ricerca diminuendo in questo modo il tempo necessario per ottenere una determinata tecnologia.
In ogni momento potremo decidere in che modo bilanciare le 3 risorse, adattando così in base alle necessità la produzione: aumentare, per esempio, la costruzione per avere navi o edifici più velocemente, dedicare di più alla ricerca per avere una tecnologia migliore, o semplicemente investire nel cibo per garantire sostenibilità al nostro impero e inziare a commerciare risorse in stoccaggio.
A proposito di stoccaggio, ogni pianeta potrà immagazinare risorse in eccesso e attraverso navi trasporto collegare i proprio pianeti e creare una rete mercantile. Se tutto questo può sembrare complicato, potremo assegnare ad ogni pianeta un sovraintendente, che curerà l'economia del pianeta in base alle linee guida del nostro impero. Su ogni pianeta inoltre, sarà possibile costruire determinati edifici (ovviamente se il terreno lo permette) su una mappa a quadroni che rappresenta il suolo del pianeta stesso. Attraverso la ricerca, potremo ottenere edifici diversi che andranno a influenzare ogni aspetto del gioco.
SIGNORE, I POLLOPS HANNO DETTO CHE IL NOSTRO IMPERO EMANA CATTIVI ODORI...
ALLA GUERRA!!! (AKA: IL COMBATTIMENTO)
Ecco come funziona il combattimento in Star Drive. Prima però è necessario menzionare la vera chicca che lo distingue da altri strategici dello stesso tipo. Infatti avremo la possibilità non solo di produrre navi precostruite, ma di personalizzarle attraverso la ricerca. A seguito di un avanzamento nel relativo albero dedicato alle navi da guerra, sbloccheremo diverse parti che potremo inserire in plancie già disponibili o ottenute attraverso la ricerca.
Queste plancie sono formate da quadratini, ognuno destinato all'alloggiamento di particolari componenti: motori, armi, scudi, moduli di energia, cabina equipaggio, ponti, protezioni etc andranno tutti posti in questi quadratini, alcuni di essi potranno alloggiare determinati componenti e di solito vengono distinti da una lettera. Tutto questo forma un editor complesso e appagante, che premia la pazienza e la prova su strada.
Quanto descritto è sicuramente affascinante, ma non sarà facile creare immediatamente la morte nera. E' necessario fare pratica e studiare un bilanciamento per non vedere la nostra navicella vagare senza meta nello spazio causa mancanza di energia o cadere immediatamente perchè non abbiamo ben protetto il nostro motore.
All'inizio vi consiglio di provare le navi precostruite, di darci una bella occhiata per capire da dove iniziare e dopo buttarsi in questo ottimo editor. Ogni nave in fase embrionale potrà poi essere salvata e caricata a piacimento, permettendo così di apportare modifiche anche in fasi diverse di gioco, magari a causa di nuove tecnologie a propria disposizione.
Una volta creata una propria flotta, potremo testare il combattimento in tempo reale del gioco, che si rivela più tattico di quanto si possa pensare proprio a causa dell'editing descritto poco sopra. Guidare le navi in base al posizionamento di scudi e armi è vitale per gestire al meglio gli scontri, pena veder le nostre amate navi esplodere e portarci a situazioni difficili da riportare in carreggiata.
RAPPORTI CON ALTRE RAZZE, DIPLOMAZIA E ROTTE COMMERCIALI, EVENTI
La guerra non sarà il nostro unico metodo di contatto con gli altri imperi presenti nella galassia. Avremo infatti possibilità di stabilire con loro una serie di rapporti che potranno creare alleanze o semplici rapporti commerciali.
Una volta incontrate nuove civiltà attraverso l'esplorazione potremo comunicare con loro attraverso il menù diplomazia: oltre a dialoghi puramente informativi sulle varie razze, avremo possibilità di chiedere una pace momentanea, l'apertura di rotte commerciali e frontiere, scambiare tecnologie e risorse, fare regali o allearsi definitivamente.
In qualsiasi momento si potranno contattare le varie civiltà e discutere di queste richieste e rapporti; ogni colloquio potrà essere affrontato con toni forti, rispettosi o supplichevoli. La diplomazia in Star Drive sembra ancora acerba, seppur scandita da una AI che prende iniziativa: il suo comportamento a volte può sembrare senza una precisa strategia, proponendoci alleanze o dichiarandoci guerra in modo troppo frequente.Sicuramente la diplomazia è un aspetto che ha ancora bisogno di pulizia e contenuti aggiuntivi.
Una volta entrati nella parte avanzata del gioco quello che aumenta la varietà nel gameplay sono gli eventi casuali che possono susseguirsi mentre siamo impegnati a gestire risorse. Andremo infatti a incontrare pirati, navette spaziali che possono sbloccare un nuovo ramo di ricerca, o artefatti unici presenti nei vari pianeti fornendo al nostro impero determinati bonus. Nell'apice del nostro cammino di conquista, avremo possibilità di creare anche truppe di fanteria per proteggere o assediare i pianeti, il tutto rappresentato attraverso una scacchiera con le unità in difesa, gli edifici e le unità assedianti disposti nei vari quadri.
E DICEVANO CHE L'UNIVERSO NON AVESSE FINE..
Eccoci giunti alle conclusioni finali di questo Star Drive.
Devo dire che durante i miei gameplay mi sono davvero divertito, trovo le meccaniche funzionali, seppur già viste per quanto riguarda la parte gestionale, e snelle. Semplici ma non banali e questo è sicuramente un pregio difficile da raggiungere per un gioco 4x che ha una linea sottile a dividere il "profondo" dall' "inutilmente complicato".
Il sistema di combattimento e creazione della flotta funziona, e l'editor che caratterizza la personalizzazione delle navi può risultare gravoso da apprendere all'inizio, ma sboccia con l'esperienza e la pratica sul campo, rivelando tutto il suo splendore a chi ha voglia di sperimentare. In particolare funziona nella pratica, quando i torpedo bucano lo spazio o i raggi laser fischiano nel silenzio cosmico, e le creazioni partorite nell'editor si rispecchiano durante il combattimento, offrendo quindi strategie e quel pizzico di micromanagement che rende il tutto molto più sfizioso e veloce.
Star Drive è però un gioco che vedo molto dipendente dal supporto che gli sviluppatori offriranno nel corso del tempo. Parliamo di aggiunte alla gestione economica, alla possibilità di utilizzare asteroidi, e in generale più opzioni per quanto riguarda la ricerca e le unità per la parte d'assedio planetario. Una buona pulizia andrà fatta anche lato diplomazia, e magari un bel paccone con il multy metterebbe ancora più in luce i pregi del sistema di combattimento. Siamo di fronte a uno strategico 4x che parte da una base perfetta per diventare qualcosa di più, un titolo che può puntare a diventare un punto fermo del genere, offrendo già molto nella sua versione base.
Menzione per il sonoro e la grafica, il primo adatto con arrangiamenti per ogni razza presente nel gioco, e il secondo caratterizzato da un 2D funzionale che brilla nelle schermate di presentazione delle varie razze.
Il Mashiro qui presente ve lo consiglia in toto: magari delusi da recenti prodotti drammatici potreste trovare in Star Drive quella luce in cui rifugiarvi e chiudervi nel freddo spazio: fra una stella e l'altra, e fra un barren e un pianeta desertico le 4X scorrono potenti in Star Drive.
Still Life è il seguito spiirtuale di Post Mortem, avventura che vi vedeva alla guida del buon Gustave McPherson che qui torna protagonista nei panni del nonno di Victoria McPherson, personaggio che vi troverete a guidare per risolvere un nuovo mistero. Pronti all'avventura?
Partiamo con una premessa doverosa: Post Mortem uscì nel 2002, questo suo seguito ideale è del 2005, 3 anni intercorsero quindi tra i due videogiochi e di conseguenza giocandolo si percepisce immediatamente una profonda differenza a livello tecnico.
Il più grosso cambiamento è però nella tipologia di gioco, si passa infatti dalla visuale in prima persona di Post Mortem alla terza persona classica di videogiochi come Syberia. Non ho nominato Syberia a caso, l’engine grafico utilizzato da Still Life è infatti lo stesso del gioco di Sokal, in versione più evoluta e in effetti come stile, non certo come contenuti, Still Life assomiglia un sacco a Syberia.Le forme delle icone che il mouse assume muovendolo sugli hotspot sono infatti le stesse, così come il font utilizzato nel gioco, e allo stesso modo gestiremo oggetti e conversazioni. Un clone quindi di Syberia, ma dai contenuti più maturi e meno fantasiosi.
Purtroppo questo porta a un’altra conseguenza, ancora una volta non sarà possibile selezionare la risoluzione con cui giocare, avremo una 800x600 forzata, proprio come in Post Mortem. Questa è una gravissima lacuna, ma non ne terrò conto nel giudizio finale: purtroppo questo è lo stile Microids e l’engine utilizzato dalle loro avventure grafiche, prendere o lasciare.
La musica di gioco la definirei senza infamia e senza lode, un po’ come quella di Post Mortem, vi accompagnerà lungo il gioco, si adatterà alle situazioni in cui vi verrete a trovare, cupe o allegre che siano, ma non vi troverete certo a fischiettarne un motivetto sotto la doccia. Fate attenzione a un dettaglio importante: Still Life 1 di Steam è in inglese mentre la versione CD che venne distribuita in Italia era localizzata in italiano sia nei sottotitoli che nel parlato da Jinglebell Communication. Purtroppo quest’ultima presentava la famigerata protezione anti-pirateria Star Force, dichiarata in seguito illegale in mezzo mondo, in quanto dannosa sia per il pc dell’utente (inibisce e causa conflitti con altri software installati) sia perché alla lunga può causare danni al lettore ottico.
Non dimentichiamo che non funziona sotto Windows 7 e 8, quindi in presenza di tali sistemi operativi e del CD di gioco italiano originale, non riuscirete a giocarci e dovrete ricorrere agli stessi metodi utilizzati da chi utilizza le versioni piratate, una vera assurdità! In quasi tutto il mondo sono state rilasciate delle patch che eliminano la Starforce dai videogiochi che la utilizzano, ma nel caso dell’Italia, questo non è mai avvenuto: è inutile ragazzi, siamo indietro. Di conseguenza, vi sconsiglio di procurarvi il gioco italiano in versione CD.Però ho notato che su Zodiac è venduto in digital delivery. Controllate se la loro edizione è in italiano, se lo è, vi conviene comprare quello, visto che non presenta appunto la protezione Starforce.
Parlavo della traduzione e del doppiaggio… La traduzione testuale, quindi i diari e gli appunti presenti nell’inventario, è semplicemente OSCENA, l’incubo del traduttore e del videogiocatore. Grazie a Dio, questo non vi precluderà la comprensione di quanto sta avvenendo a schermo, ma vi assicuro che quei testi sembrano partoriti da uno studente di scuola media, e qui vado un po’ in crisi, infatti recentemente ho letto dei temi di ragazzi di terza media scritti meglio.
Al contrario, i dialoghi tra i personaggi e il doppiaggio sono eccezionali, grazie alle meravigliose voci di EMANUELA PACOTTO, CLAUDIO MONETA, MARCO BALZAROTTI, PATRIZIA SALMOIRAGHI e altri. Schizofrenia del traduttore? Traduttori diversi per i due comparti? Propendo per la seconda ipotesi. Incredibile che alla Jinglebell nessuno abbia capito che era il caso di porre rimedio alla parte sottotitolata dei documenti testuali.
Non solo, le poche parti di grafica, le immagini, che presentano del testo: libri, ricette e altro, invece che essere editate a livello grafico sostituendo l’inglese con l’italiano sono state tradotte imprimendo a casaccio la traduzione italiana sulla schermata, mantenendo la parte inglese invariata. Complimenti vivissimi!
Passiamo alla storia. In questo capitolo, ambientato ai giorni nostri, avremo come detto il controllo dell’agente dell’FBI Victoria McPherson, nipote del protagonista di Post Mortem, chiamata a indagare su alcuni efferrati omidici di donne che di recente hanno avuto luogo a Chicago. L’indagine si scoprirà avere dei punti in comune con un vecchio caso che nonno Gustave si era trovato a dover dirimere nei primi anni ’30 a Praga, quindi alterneremo il controllo di Victoria nel presente a quello di Gustave nel passato, e questo penso che sia l’elemento più bello e interessante del gioco.
Non sarà necessario aver giocato a Post Mortem per godersi Still Life in quanto gli eventi e i personaggi presenti nel primo gioco non compaiono nel secondo, l’unico punto comune è la figura di Gustave. Chi ha giocato al primo capitolo della saga, conoscerà un po’ meglio già dall’inizio la figura del buon vecchio Gustave e la sua personalità (poco carismatica), niente di più.
La seconda grossa differenza che noterete rispetto a Post Mortem è la totale assenza del bacatissimo e infame parser di dialogo a scelta multipla. Qui, in puro stile Syberia, è tutto semplificato al massimo: i dialoghi sono pilotati, non avrete la possibilità di scegliere cosa dire, dovrete semplicemente premere il tasto sinistro del mouse per parlare di cose importanti e quello destro per conversare del più e del meno, questo sino ad esaurimento degli argomenti.
C’è una sola strada percorribile e un solo finale a disposizione. Siamo quindi passati da uno sperimentale Post Mortem ad un più “rassicurante” e rodato Still Life, forti dell’esperienza maturata con Syberia. Questa è una delle più gravi pecche del gioco, la semplificazione massima e assoluta di ogni aspetto che solitamente caratterizza le avventure grafiche.
Enigmi ridotti all’osso, conversazioni ridotte all’osso, ragionamento ridotto all’osso, tutto in funzione della storia. Vi limiterete quasi sempre a correre da una locazione all’altra per parlare con il personaggio di turno, per poi risolvere pochissimi enigmi che di solito non vi terranno occupati più di una manciata di secondi, giusto il tempo di esercitarvi un po’ con il caro vecchio “pixel hunting”. Qualcuno ha di nuovo detto Syberia? Bravi!
Ma per lo meno la storia è bella? Certo che è bella, anzi le parole giuste sono “profonda” ed “intrigante”… La storia vi lascerà col fiato sospeso per tutta la durata dell’avventura e vi porterà a lunghe sessioni di gioco solo per vedere “cosa succede dopo”. Questo è un punto fondamentale: se per voi “avventura grafica” significa combinare tra loro in modo assurdo tantissimi oggetti e poi farne uso in modo imprevedibile, sforzarsi le meningi per capire cosa fare per poter procedere o come allontanare un personaggio, dialogare con i personaggi scegliendo accuratamente le cose da dire per poter sbloccare qualche evento, questo gioco non fa per voi.
Come potete vedere le similitudini con Syberia sono sempre più marcate. Però qui l’atmosfera è cupa che più cupa non si può, sangue, efferatezze, prostituzione e sadomasochismo (sì pure questo), quindi lo sconsiglierei ai minori di anni 14.
Purtroppo (e sottolineo purtroppo), ogni tanto, durante il gioco incontrerete il classico enigma meccanico/logico tipico dei giochi Microids, o per essere moderni, simile a un sotto-gioco dei Dr. Layton. Io queste fasi le ho letteralmente odiate, spesso sono avulse dal gioco e dalla storia portante e bloccano il giocatore per ore, senza un vero scopo. Sembrano messe lì solo per allungare il brodo. Ok, riescono nell’intento, ma vi porteranno a frustrazione in men che non si dica.
Purtroppo a peggiorare la situazione c’è il fatto che durante queste fasi non potrete salvare: un errore spesso significa ricominciare da capo con l’enigma. Si va dal gioco del quadrello ai soliti tentativi di scassinare una serratura. Vi sfido a non tirare qualche pugno sul tavolo quando dovrete manovare il robot della SWAT, io lì ci ho perso 45 minuti ed ero a un passo dalla fine. Calcolate che ho terminato il gioco in 10 ore e ne ho passate 2 a risolvere questi enigmi.
In definitiva, tenendo conto delle pecche che ho elencato e dell’eccessiva semplicità, non posso attribuirgli un voto troppo alto. È un vero peccato, se fosse stato solo un pelino “impegnativo”gli avrei rifilato un votone, perché la storia è proprio bella e varia. Un’altra occasione mancata dalla Microids per assurgere nel novero dei grandi creatori di avventure, un’altra occasione di lasciare il segno sprecata.
Comunque, occhio ragazzi: meglio 100 Still Life che un solo gioco Daedalic, questo sia chiaro. Semplicemente, se avete ancora sulla mensola Gabriel Knight 3, non perdete tempo, tiratelo giù e dategli la precedenza.
Voto finale: 7 pieno.
L'orrore di Lovecraft si traveste all'interno di un'avventura testuale dai toni horror, capace di affascinare il giocatore fra indagini, pazzia e delitti misteriosi. La nostra mente crea città lugubri e spazzate dalla pioggia, mentre nella nostra mente risuona un'unica domanda: iIl vero male è là fuori o è dentro di noi?
Ricordi
«Di quel primo giorno ricordi soprattutto la pioggia; fitta e opprimente, tintinnava sui tetti aguzzi di Anchorhead, batteva sul selciato delle strade, confluiva in ampi rivoli nella piazza, quella con l’alto obelisco ricoperto di geroglifici, e da lì si riversava negli avidi flutti del fiume Miskaton.
Tuo marito ti aveva trascinata in quella città ostile e sconosciuta per ereditare le proprietà di un ramo della sua famiglia di cui neppure ricordavi il nome e poi ti aveva lasciata sola. Ricordi l’ombrello verde militare sempre aperto e il trench abbottonato, usbergo della tua femminilità. La porta dell’agenzia immobiliare era chiusa e un treno fischiava in lontananza. In sottofondo, eufonia di violino e impetuosi scrosci di pioggia».
Insania e pioggia
Ideata, compilata e pubblicata da Michael S. Gentry nel 1998, Anchorhead è un’avventura testuale vecchio stile, intrisa di atmosfera lovecraftiana. Nelle vie semideserte di una fittizia città portuale del New England, i cui sapori salmastri sono restituiti dalle sapienti descrizioni, l’avventuriero è chiamato ad assumere il ruolo di una novella sposa senza nome, ma dall’apparenza avvenente (questo secondo l’immagine restituita dallo specchio, metà ideale in un imperio privo di dei).
Impegnata in un cambio di residenza quasi forzato, la giovane protagonista deve affrontare le prime difficoltà come l’imprevisto guasto all’automobile, la subitanea solitudine e un’avversa perturbazione.
«Nulla di male, beninteso, perché sei benissimo in grado di cavartela da sola!».
E così l’ennesimo, banale, contrattempo (l’irreperibilità dell’agente immobiliare) si trasforma nell’occasione per a darsi a una collaterale attività criminale e per iniziare ad assaporare il tono dell’avventura diviso fra gli acquosi esterni e i fumosi recessi di un pub (dove ogni riferimento alle origini ancestrali è sgradito e accolto da sonore imprecazioni e poco educate espettorazioni).
L’incipit di Anchorhead è dunque un incipit bagnato, dove la pioggia è elemento scenico che instilla nel lettore un senso di melanconia e uggia. Ma prima che sia possibile abituarsi al clima rigido nel N.E. e finanche arrivare a chiamare A. la propria casa, un’informazione inquietante giunge in nostro possesso: l’inaspettata eredità è maturata nella tragedia.
L’evento proietta la narrazione su binari fantasma. La rappresentazione, che a tratti si fa macabra, ha luogo sulle quinte dell’epopea di una dinastia migrante che ha trovato e fondato il proprio centro culturale e religioso in questa terra nella valle del fiume Miskaton, a sua volta antico teatro di dispute con una xenofoba tribù indiana. Una discendenza forte che intride l’avventura con la sua prepotente presenza e la vena di follia che ne ha sempre caratterizzato la linea genetica. E si sa, la pazzia è ereditaria.
Pioggia aguzza e acuta insania, dunque, che permeano la narrazione e si intersecano e si intrecciano restituendo un’atmosfera di palpabile inquietudine che aumenta di tono e sfocia in disordinati incubi (accompagnati dal trillo degli antrostomi), tripudi tentacolari e, infine, culmina con il palesarsi di maledette divinità. Il tutto mentre il giocatore confida al logico parser i propri infreddoliti comandi.
Nord, sud, ovest, est
Ma Anchorhead non è solo pioggia: sotto il cielo che si squarcia col passare delle ore, prendono colore gli splendidi panorami di una cittadina divisa fra scorci - cartolina e pennellate lontane e vicine di costruzioni dimesse, banchine stipate di barche da pesca (incrostate da cirripedi e vecchie abitudini) e foreste impenetrabili.
La topografia di A. è ricostruita in maniera ordinata e logica e inquadra una dimensione urbana verosimile con i suoi vicoli, le ampie piazze e le corti nascoste, a ricreare una mappa puntigliosa i cui spazi illogici sono relegati agli immancabili labirinti (peraltro abbastanza contenuti).
Ai margini dell’abitato troviamo la periferia decadente, le rene sporcate dall’inquinamento, l’alto faro e la baraccopoli lontana, sorta nel circondario dell’antica cartiera, fonte di lavoro e di mistero per gli abitanti di Anchorhead.
Ampia caratterizzazione è dedicata all’inquietante magione avita; una dimora soffocante dove i comfort moderni sono banditi per ragioni di volontà e sorte, affinché a spiccare siano i grandi quadri, i raffinati mobili d’epoca e gli elaborati camini. Le pareti spesse e le finestre sbarrate, dalle cui persiane entrano benaccette lame di luce, angolano la visione e accennano a ipotetici passaggi segreti, mentre serrature chiuse a profusione ostacolano l’incedere nei claustrofobici locali.
La donna, il sogno, il grande incubo
«Eri donna in una città di uomini, modellata da uomini, dominata per secoli dagli uomini e al centro di ogni attività la famiglia fondatrice: una dinastia di cui la storia ricordava soprattutto gli uomini. Eri donna. Eri sola. E avevi anche un po’ paura. Gli occhi rossi sarebbero venuti dopo, insieme agli incubi».
In A. viene affrescata una società patriarcale meglio simboleggiata da quell’odioso quadro: quel dipinto del progenitore che, come un grasso ragno, domina il salotto gettando il suo piglio sulla coppia indesiderata.
Una forte dominante maschile che, per contrappasso, chiama, esige, vuole una protagonista donna.
Il marito, sovente irreperibile, obbliga a esplorazioni in solitaria della cittadina che risulta popolata soprattutto da uomini fra cui si annoverano avventori beoni, erranti derelitti e scorbutici impiegati, fino a rintracciare le rade figure femminili fra cui spicca una segaligna bibliotecaria muta (i cui tratti sono tremendamente rassomiglianti alle donne pesce di L.).
Le donne di A. sono essenzialmente relegate ai ricordi (incapsulati in raffinati monili) e, quando effettivamente presenti, menomante nei sentimenti, abusate, ridotte all’angoscia e sempre sottomesse. E, non ultimo, private dei loro figli.
Io sono il parser
Impegnato a raccogliere feticci, amuleti e ossa, il parser si rivela generoso e ricco nel vocabolario, all’altezza di una sofisticata avventura come A. che prevede azioni complesse come le fasi di interrogatorio che intercorrono tra la protagonista e i loquaci NPC.
Parser che, all’occasione, si fa custode della morale, dacché impedisce quei comportamenti che il giocatore, frustrato dalla momentanea mancanza di progressi, vorrebbe sadicamente compiere; i.e.: brutalizzare incolpevoli npc, vandalizzare inestimabili opere d’arte… .
Hai appena fatto cinque punti
Dal punto di vista ludico, A. è essenzialmente suddivisa in tre aree di operazione.
La raccolta di appunti, diari, ritagli di giornale, il cui necessario ordinamento e perfetto incastro è solo una parte della bellezza di A., costituisce sfida a sé stante.
Puzzle più tradizionali, fra cui ritroviamo anche alcuni classici del genere, richiedono un’esplorazione minuziosa di ogni location e un’accorta gestione dell’inventario (peraltro illimitato).
La terza parte del gioco, infine, richiede all’avventuriero di entrare in una modalità di pensiero differente che si basa sul criterio di intuizione a ritroso. Certi eventi sono difatti a tempo (i.e. n° di mosse) e obbligano il giocatore a riconsiderare il percorso compiuto qualora le sue scelte lo abbiano condotto a un punto morto.
Sebbene un tale espediente narrativo consenta agli npc di acquisire una terza dimensione (tramite spostamento), e di instillare angoscia nelle fasi più concitate, non mi sento di lodare questo stratagemma: è abusato ed è cosa che, a titolo personale, interrompe invariabilmente la sospensione dell’incredulità, dacché è impossibile fare un reload della vita quotidiana.
Illogicità particolari non ve ne sono in A., nondimeno serve un acuto ragionamento anche nel rapportarsi con gli NPC che tendono a comportarsi in maniera capricciosa, rendendo l’acquisizione di oggetti chiave difficoltosa. Pure le loro necessità e le loro debolezze, talvolta elementari, sono ben evidenziate nelle sapienti descrizioni; i vizi esposti all’analisi del giocatore.
The End?
«Eri sposata di fresco, la fede al dito stretta come un vincolo ancora caro».
Successore spirituale dei classici Infocom, Anchorhead stupisce per la meticolosità delle ‘raffigurazioni’ e riceve un riconoscimento per la crudezza delle vicende narrate e la coerenza dello spaccato quotidiano. Nondimeno, come già detto, la terza tranche dilata oltremisura i tempi dell’avventura, aggiungendo poche novità a quanto visto nella prima parte, pertanto il giudizio finale non può essere superiore ad un comunque ottimo quattro stelline su cinque.
Se volete raccontarci l'orrore, passate sull'Ogi Forum
L'avventura di gruppo giocata dai baldi avventurieri dell'Ogi Forum
Teminato Dead Space, ed in vena di sperimentazioni, mi sono lanciato nell'acquisto di un altro titolo dei Visceral Games, questo Dante's Inferno, non senza qualche perplessità e mosso quasi esclusivamente dal richiamo della Divina Commedia.
Il gioco mi ha invece riservato qualche piacevole sorpresa, pur affinacata dalla conferma di tutte le perplessità iniziali. Scrivo quindi questa recensione (dall'alto della mai saccenza videoludica) non comprendendo le tante favolose recensioni che avevo letto.
L'AMBIENTAZIONE
Il gioco ha un grande pregio (forse l'unico e forse sufficiente a giustificarne l'acquisto): una grandissima carica immaginifica. Tutte le location del gioco sono ispirate, maestose e fortemente evocative.
Il viaggio di Dante è un'esperienza viva e vivida, che imprimerà nelle vostre teste le infernali immagini di un'onirica discesa agli inferi.
Ogni girone è unico, ricco di paesaggi spettacolari (arricchiti di lava, fiumi, fumo, ghiaccio, melma e tanti altri effetti speciali) e di piccoli particolari sfiziosi (i dannati dentro le mura, le porte che si aprano impalando il demone al loro interno e via di questo passo...).
L'atmosfera è resa egregiamente, con toni cupi su cui spiccano colori accesi, a dipingere un affresco fatto d'immagini maestose che lasciano il segno. Wayne Barlow, Art Director del gioco, ha fatto un capolavoro da questo punto di vista e dobbiamo rendergliene merito. Interessante anche il contenuto "forte" di certi passaggi. Niente di trascendentale, ma qualche nudo parziale e qualche dannato che vomita di qua e di là non si disdegna mai. Si sarebbe potuto osare ancora molto di più, ma nell'ipocrita odierna società del PEGI possiamo anche accontentarci...
Numerosi, imponenti ed arrabbiati sono invece i boss disseminati copiosi per tutti i livelli. Proprio quello che ci si aspetta: non tradiscono le aspettative e "buttarli giù" è decisamente appagante.
LA GRAFICA
La grafica fa il suo dovere dignitosamente, anche da un punto di vista puramente tecnico. I modelli poligonali sono sufficienti, ma quello che più conta è la grande fluidità con cui sono animati. Ottima anche la gestione della telecamera: fissa, ma sempre ben posizionata.
Il tutto è un po' troppo "plasticoso" (stile Oblivion, per capirci), ma del resto è un difetto comune a diversi titoli recenti.
LA FEDELTA' AL TESTO
Questo per qualcuno sarà un grosso difetto; per me è semplicemente una scelta neutra (che però non comprendo). Nel gioco Dante diventa un crociato fedifrago, con tanto di croce cucita sul petto, tormentato da un conflitto interiore da cui dipende la salvezza dell'anima di Beatrice, di cui si è innamorato Lucifero in persona...
Non capisco perché - con tutto il materiale della Divina Commedia a disposizione - abbiano dovuto "divagare" in questo modo. Comunque... Assurde sono invece le cut-scene, realizzate in uno stile simil-manga, senza personalità ed in assoluto contrasto con lo stile grafico di tutto il resto del gioco. Potevano risparmiarcelo...
Il percorso dentro l'inferno è invece adeguatamente fedele. I gironi sono quelli e tutti ben caratterizzati. Si incontrano anche le anime dei dannati più famosi della Divina Commedia (ed a noi è affidato il compito di perdonarli o condannarli). Incontri piacevoli, piacevoli ricordi di studi ormai lontani... potevano essere sfruttati molto meglio, ma per un gioco d'azione direi che è sufficiente.
Il tutto considerando anche che nel resto del mondo la Divina Commedia sarà certo famosa, ma sicuramente non conosciuta come qui in Italia. Non penso che noi Italiani potessimo pretendere molto più di quanto ci hanno dato.
IL GAMEPLAY
Dante's Inferno è un Hack'n'Slash selvaggio e primitivo.
Si picchia ininterrottamente dall'inizio alla fine, praticamente senza pause. E se a volte ci chiede di usare la testa... beh, tali circostanze sono talmente banali da non potersi fregiare della qualifica di enigmi. C'è da dire che l'inquadrature ed il numero di nemici sono sempre adeguati: la situazione non è mai confusionaria, e non è poco.
Assolutamente misera è invece la possibilità di poter personalizzare le capacità del protagonista; e questo è un difetto che pesa. Si uccidono i dannati, se ne mietono le anime, e con quelle si sbloccano nuovi poteri lungo due assi: quello del bene e quello del male. Il male corrisponde all'uso della falce (combattimento corpo a corpo), il bene all'uso dei poteri divini collegati alla croce di beatrice (combattimento a distanza). A questo si affianca qualche potere speciale (gli incantamenti) e la possibilità di equipaggiare alcune reliquie (con bonus annessi).
Complessivamente il combattimento è fluido, ma anche molto semplificato. Le combo a disposizione non sono tantissime ed in generale i combattimenti sono troppo lineari e semplificati. Non sono quell'elegante balletto di colpi che ci si potrebbe/dovrebbe aspettare. Ed alla fine si ricorre con troppa frequenza ai soliti colpi, con la ripetitività che fa subito capolino...
Mi dicono sia un clone spudorato di God of War (vedi recensione di Hikizune). Ne prendo atto. Personalmente l'ho trovato molto semplificato, a tratti quasi infantile.
Stringi stringi, il succo del gioco che è sempre il solito: si passa da un'arena all'altra, uccidendo tutto ciò che ci si para davanti. Le arene in questione saranno anche belle, ma sembre quelle sono: tante belle stanze lungo un percorso obbligato. A volte poi entrano in scena dei Quick Time Events. Pure questi brevi e ripetitivi, ben lontani da lasciare il segno.
CONCLUDENDO
Dante's Inferno è un Hack'n'Slash molto semplice. Troppo semplice per assomigliare ad un Diablo qualsiasi, al punto che la sua linearità fa quasi più pensare ad un moderno... Double Dragon.
Quel che c'è di buono va ricercato nell'ambientazione e nelle evocative immagini che continuamente ci propone, al punto che il gioco appare (ed ha un suo senso) quasi come un lungo slideshow di evocative immagini infernali, inframmezzate da qualche emozionante combattimento con i guardiani dell'Inferno.
Lascia qualcosa al giocatore, ma quai esclusivamente in virtù dell'immaginario dal quale attinge e che sa sfruttare solo da un punto di vista grafico.
I ragazzi dei Visceral Games confermano quanto hanno fatto vedere con Dead Space. Sanno fare dei buoni giochi, studiando e sfruttando bene il genere prescelto, dal quale prendono le caratteristiche salienti, cercando di esaltarle per tutto il gioco.
Ma sempre rigorosamente senza voler prendersi rischi: niente sprimentazioni, niente salti nel vuoto. Giochi modesti, nel solco di ciò che di collaudato c'è sul mercato, ma affiancato dalla grafica e dall'ambientazione giusta.
Ecco, questa è l'industria del videogioco. Rischi zero, niente passi falsi; more of the same, sempre rigorosamente ben confezionato, e supportato dalla giusta dose di hype. I Visceral Games sono destinati a restare.
NOTE SULLE VARIE EDIZIONI
St.Lucia Edition è l'ultima edizione del gioco andata alle stampe e contiene il DLC "I Tormenti di Santa Lucia" (un contenuto aggiuntivo con un interessante supporto per la modalità co-op), nonché il DLC "Selva Oscura".
In Europa è stata venduta anche una confezione speciale contenente, oltre al gioco:
Il decimo episodio di Tomb Raider è nato per essere il reboot della serie, un nuovo inizio che dovrebbe catapultare il mito di Lara Croft in modo convinto nella next gen; missione riuscita? La nostra Gwenelan ci propone la sua visione che, da buon oldgamer, paragona il passato con quanto portato sugli schermi da Crystal Dynamics.
Un buon gioco? Troppo poca avventura? I dubbi, come potrete leggere, sono tanti, a fronte di un comparto tecnico comunque di alto livello... e voi cosa ne pensate?
La recensione di Tomb Raider
Se volete cercare delle tombe sull'Ogi Forum
I fan di Lara Croft come la sottoscritta hanno potuto gioire del passaggio di Tomb Raider alla Crystal Dynamic negli ultimi anni. Legend non era un ottimo titolo, ma complice il fatto che fosse uscito dopo quell'orrore che è stato Angel of Darkness, ha riscosso parecchio successo e ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai giocatori; Anniversary e Underworld erano anche meglio – nonostante in Underworld già si notasse una certa semplificazione del gameplay.
Questa volta, la CD propone il re-boot della nostra Lara, con un nuovo Tomb Raider, il decimo della serie, che ci fa tornare alle origini, quando Lara era ancora una “ragazza normale” e non un'esploratrice di tombe amante del pericolo. Vediamo com'è andata.
Le premesse
Lara Croft fa parte della spedizione del Dott. James Withman, famoso archeologo in cerca della perduta isola di Yamatai, regno della misteriosa regina Himiko, nell'Arcipelago del Giappone. Mentre stanno attraversando il Triangolo del Drago, la loro nave viene colpita da una tempesta e tutto l'equipaggio naufraga su una misteriosa isola: proprio Yamatai.
Purtroppo per loro, l'isola è abitata da selvaggi cultisti, soldati giapponesi non-morti e mostruosi oni; Lara si trova subito separata dagli altri membri dell'equipaggio e dovrà contare solo sulle proprie forze per risolvere il mistero dell'isola e portare a casa la pelle.
Il gameplay
Chiariamo immediatamente la cosa principale: Tomb Raider 10 è un (facile) cover shooter. La maggior parte del tempo è spesa accovacciati dietro qualche cassa a sparare contro mille nemici che arrivano da tutti i lati. Ci si arrampica e c'è esplorazione, ci sono persino le tombe, ma sono tutte cose secondarie, non il vero fulcro del gameplay.
Sparare ai nemici è anche divertente. Inizialmente avremo a disposizione solo un arco misteriosamente ancora in ottime condizioni dopo essere rimasto per secoli appeso a un albero, ma pian piano troveremo una pistola, un fucile d'assalto, un lanciagranate e un bel fucile a canne mozze, aggeggino che fa sempre piacere brandire visto come scaraventa i nemici senza protezioni lontano da noi. Ma non c'è un'arma nettamente migliore di un'altra in assoluto, ognuna ha i suoi punti forza.
L'arco, specialmente, dà grandi soddisfazioni, perché è possibile usarlo sia in modalità “stealth”, headshottando (colpendo alla testa) i nemici senza caschi protettivi, in silenzio e senza farsi notare, sia, con un upgrade, lanciando frecce incendiarie verso barili esplosivi, o dando fuoco ai nemici stessi. Sì, ho parlato di upgrades: le armi possono essere upgradate raccogliendo “unità di materiale” non meglio identificato dalla flora locale, dai corpi dei nemici ammazzati, da casse random lasciate in giro per l'isola, o trovando specifici pezzi qui e là.
Per esempio, è possibile montare un silenziatore sul fucile d'assalto, o delle nuove corde, più robuste, sull'arco, o ancora attaccare una corda alle frecce dell'arco in modo da poter creare un “ponte” verso una zona altrimenti inaccessibile. Le munizioni non sono infinite, ma è difficile restare proprio a secco, specialmente di frecce; ben presto inoltre Lara avrà a disposizione un'arma corpo a corpo con cui poter azzoppare i nemici che si avvicinano troppo, o uccidere quelli in fin di vita, o, alla peggio, spaccare furiosamente i crani di tutti quelli che le capitano a tiro, quindi non si resta mai indifesi. Inoltre, nel caso si venga feriti, basta rimanere accucciati per qualche secondo dietro una copertura per avere la salute ripristinata immediatamente.
Non sempre questo è possibile: i nemici si muovo per lo scenario e ci inseguono, ci stanano, ma con un po' di furbizia, correndo qua e là ce la si cava sempre, e anche i totali imbranati negli shooter, come la sottoscritta, potranno tranquillamente superare queste sezioni. E' interessante anche notare come i nemici possano essere colpiti in zone diverse del corpo, ottenendo risultati diversi. Un headshot è sempre mortale, a meno che la testa del nemico non sia coperta da un elmo o un casco o una maschera; colpirli agli arti ci darà qualche minuto di respiro (ma gambe e braccia dei nemici continueranno a funzionare alla perfezione non appena questi avrà smesso di contorcersi) e colpirli al petto li spingerà soltanto indietro. Di contro, ci sono alcune situazioni alquanto assurde: per esempio, a meno di non colpire alla testa, serviranno due, tre frecce *incendiarie* per uccidere un nemico, anche se questo non ha alcun tipo di protezione indosso.
Ma dicevo che ci sono anche esplorazione, salti e tombe... beh, sì, ci sono, ma sono pezzi poco approfonditi e frammentati. L'isola è tutta “aperta”, teoricamente, ma alcuni ostacoli più o meno naturali ci bloccheranno convenientemente il passaggio verso le zone in cui il gioco non vuole ancora che andiamo. Ciononostante, capita di avere delle zone più o meno grandi da esplorare e in cui trovare anfratti e tombe nascoste, e sono i pezzi migliori del gioco, dove Tomb Raider sembra effettivamente un Tomb Raider.
E' anche possibile “teletrasportarsi” in zone dell'isola precedentemente visitate se si trova un fuoco da campo a cui fermarsi. Ma l'esperienza risulta quasi sempre molto lineare. Peggio, spesso è proprio forzatamente guidata: a volte la telecamera si blocca per costringerci ad andare in una certa direzione invece che in un'altra, e non possiamo neanche guardarci attorno pur sapendo che quello che siamo costretti a fare è un errore, o siamo forzati a camminare invece che correre.
Molto spesso il gioco prende direttamente il controllo di Lara, senza avvisarci, e più di una volta mi sono trovata a pigiare i tasti inutilmente. Altrettanto spesso il gioco ci ridà il controllo nel mezzo dell'azione, ma di nuovo senza il minimo segnale che la guida è passata a noi! Quindi capita di perdere secondi preziosi in cui Lara sta ferma come una scema, o proprio di morire perché non capiamo che “toccava a noi”.
Questo continuo “prendi il controllo-perdi il controllo” spesso crea scenari abbastanza frustranti e senza senso dal punto di vista narrativo. Per la maggior parte del gioco, Lara è sola, con una radio mal funzionante come unico collegamento con gli altri naufraghi, e sa che Sam, la sua amica, è nelle mani dei nemici. Sa anche che i nemici sono letteralmente decine e decine, perché li ha già incontrati e l'hanno pestata in ogni modo. Ciò nonostante, Lara si butta in mezzo al campo nemico gridando a squarciagola, senza preoccuparsi di nascondersi, o di fare silenzio, e ovviamente a quel punto l'approccio stealth che sarebbe stata la scelta ovvia, diventa impossibile da adottare.
In qualunque momento del gioco, Lara può entrare nella modalità Istinto di Sopravvivenza, che attenua tutti i rumori ed evidenzia ogni oggetto con cui si può interagire nell'area visibile e anche ogni nemico. Invano si tenterà di abbinare questa modalità all'approccio stealth! Il gioco ce lo consentirà un paio di volte, quando è previsto dalla trama, ma spesso aree che con l'Istinto di Sopravvivenza risultano deserte, verranno magicamente popolate da nemici sbucati fuori... dal terreno, immagino, appena Lara farà il suo ingresso correndo noncurante in bella vista di tutto l'accampamento.
I salti di Lara sono quasi automatici. Già in Underworld era difficile cadere, e si rischiava di sbagliare salto solo se c'era una trappola o se la telecamera decideva di giocarci un brutto scherzo. Qua si può cadere, o sbagliare salto, solo se ci si distrae di brutto, o se lo si fa apposta. Lara fa quasi tutto in automatico: si aggrappa da sola, si china da sola, si mette da sola in equilibrio – e ci rimane indefinitivamente, tanto che correre su un palo messo di traverso è esattamente come correre in pianura; si rialza da sola, decide da sola quando correre o camminare. Il giocatore deve solo premurarsi di premere il tasto di “salto” e premere il tasto “azione” *una volta sola* quando Lara deve aggrapparsi non a una sporgenza ma ad una parete rocciosa.
Se avete visto qualcuno dei trailer o video di gameplay di Tomb Raider, avrete forse assistito a una di quelle sequenze in cui l'intero mondo sembra star cadendo addosso a Lara. Montagne che franano, oggetti lanciati in aria dal vento, vetri che si spaccano, navi che crollano, fulmini che cadono dal cielo... capita di dover fare sequenze di salti in questo macello, ma è tutta scena. Ben presto si capisce che la maggior parte di tutto ciò è una falsa minaccia. Nessun fulmine o masso o oggetto volante può colpire la nostra Lara, al massimo crolla la piattaforma su cui ci troviamo, quindi basta concentrarsi sui salti e siamo a posto.
Dove invece si rischia continuamente di morire è nei maledettissimi Quick Time Events. Popolano il gioco, molto più che nei precedenti titoli Crystal Dynamics dedicati a Lara. C'è un QTE per liberarsi dalle strette, c'è un QTE per finire i boss, c'è un QTE per estrarsi le frecce dal corpo, c'è un QTE per tagliare le cose, c'è un QTE per bruciarle, c'è un QTE per azzoppare i nemici, c'è un QTE per accecarli, c'è un QTE per finire il gioco! A volte i comandi non sono subito comprensibili, e bisogna ripetere la sequenza allo sfinimento finché non si riesce a pestare il tasto giusto al momento giusto o finché non si trova il giusto ritmo, o fino ad avere i crampi alle dita.
Ci sono anche un paio di sequenze di... “scivolo”. Non saprei bene come altro definirle. Per esempio, ad un certo punto Lara cade in un fiume molto impetuoso, ed è trascinata dalla corrente. Quello che dobbiamo fare noi è muoverla a destra o a sinistra per evitare che resti infilzata dagli ostacoli (e la sequenza della morte in questi casi è sempre molto brutale). Qui a volte si suda parecchio.
Restano le tombe. Le tombe sono... aree bonus e totalmente facoltative. La location delle tombe si trova esplorando la zona o trovando delle “coordinate per GPS” gettate a terra, che faranno apparire il sito direttamente sulla mappa. Si può esplorarle quando si vuole, oppure saltare a piè pari, non sono fondamentali. Se si decide di esplorarle subito, l'effetto è di rottura dell'immersione, perché Lara passa da: “Oh, Dio, no! Devo salvare Sam e gli altri, devo sbrigarmi anche se mi sono appena rotta tutte le ossa!” a: “Una moneta dell'antico Giappone, risalente all'era X. E' rovinata da un lato, forse era un portafortuna per un soldato. Affascinante!”.
La cosa più “logica” è quindi tornare indietro dopo aver finito il gioco e farsele a quel punto... il che la dice lunga sul ruolo delle tombe nel gioco. Come la dice lunga il fatto che durino intorno ai cinque minuti l'una e non presentino puzzle particolarmente complessi. In realtà, ci sono due tombe che vanno esplorate durante la trama principale. La prima, è una di quelle tombe da cinque minuti, e la sua utilità è fornirci un indizio sul mistero dell'Isola. L'altra è il tempio di Himiko, il livello finale, in cui dovremo farci strada distruggendo tutti e tutto.
La cosa che fa innervosire è che il comparto tecnico che regge tutto questo è stupendo, e alcune trovate della CD sono davvero utili. La grafica è sotto gli occhi di tutti, e anche a livelli di dettaglio bassi rende abbastanza. Le animazioni sono una meraviglia, fluidissime e molto realistiche. Lara cambia il modo di camminare a seconda di quanto sia ferita: se sta molto male barcolla, ha la vista sfocata, non riesce a saltare. Quando, correndo, passa troppo vicino ad un muro, si appoggia con la mano. Passa dal salto alle armi in un momento, cade, si rialza e scivola che è una meraviglia. In quei cinque minuti in cui si esplora la tomba, o quando si può andare in giro liberamente tra una sparatoria e l'altra, si vede il potenziale perso.
L'isola non è proprio open world, ma a volte lo sembra. Sarebbe bastata un pizzico di eleganza in più nella gestione degli ostacoli, non farli così palesi, sarebbe bastato non togliere così spesso il controllo al giocatore, dargli più sfida, e Tomb Raider sarebbe stato stupendo. Giocando a questo Tomb Raider, ho spesso immaginato un Anniversary, o un Underworld, con questa fluidità e queste animazioni: sarebbe stato un salto di qualità enorme per la serie.
La parte finale della sezione gameplay l'ho lasciata per gli accenni di RPG. Uccidendo nemici o animali, Lara acquista esperienza che può spendere comprando abilità – da quella di accecare il nemico con la terra, a quella di estrarre le frecce dai nemici uccisi per recuperarle (ci vuole pure abilità per una cosa simile, neh!). E' un aspetto quasi ininfluente, sia perché il gioco è tranquillamente terminabile senza, sia perché uccidendo a volontà cervi, cinghiali, conigli, e quant'altro, si ha abbastanza esperienza per poter prendere tutte queste abilità.
Trama e personaggi
Qui passiamo alle note dolentissime. La trama di Tomb Raider 10 non è dissimile dalla trama di un qualunque altro Tomb Raider: banale e dimenticabile. Ho detto che Lara e l'equipaggio della Endurance sono alla ricerca dell'isola di Yamatai, regno della Principessa Himiko, e che finiscono naufraghi proprio sull'isola Yamatai. E' impossibile andarsene dall'isola per via di misteriose tempeste che colpiscono chiunque passi nella zona – lo stesso tipo di tempesta che ha fatto naufragare i nostri “eroi”.
I cultisti dell'isola sono alla ricerca di un metodo per placare le tempeste e riuscire finalmente ad andarsene, e credono di averlo trovato in Sam, l'amica giapponese di Lara e discendente degli abitanti di Yamatai. Senza fare spoiler, è facile immaginare la piega che prende la trama da qui in poi e ogni personaggio ha in essa il ruolo che si intuisce al primo sguardo, non c'è nessuna sorpresa. In più, si aggiungono i comportamenti cretini e quelli che è troppo chiamare “buchi logici”, perché dipendono più dal fatto che storia e gameplay sono mischiati male assieme, piuttosto che da un effettivo baco della trama.
I comportamenti cretini sono quelli che ho già citato: Lara che si fionda negli accampamenti nemici senza la minima precauzione, personaggi che si chiamano gridando a squarciagola, attirando i nemici, gli altri naufraghi che non fanno nulla per aiutare Lara (tranne uno, va detto). I “bachi-non bachi”, invece, sono quel genere di cose che si trovano in moltissimi videogiochi o anche film d'azione di serie B.
Lara uccide decine di uomini e non-morti, ma poi in una cutscene basta un misero proiettile per fermarla, perché serve per la trama, o non è capace di tirare una freccia, o ancora, nonostante ci sia un vento infernale usa l'arco invece della pistola o del fucile – e invece di sparare cammina verso il nemico. In realtà tutto questo non avrebbe grande peso, in nessun Tomb Raider la trama ha avuto grande peso, ma in questo la “mira” si era alzata, e sopratutto il gameplay è influenzato dalla sua presenza.
Questa doveva anche essere una trama più matura, con più psicologia del personaggio. Beh, non è così. Ci sono scene forti, gli altari dedicati a Himiko presentano persone bruciate vive, le uccisioni e le morti sono brutali, c'è letteralmente un fiume di sangue che scorre nell'isola. Ma da sola la violenza non fa “profondo”, fa solo virare l'atmosfera sull'horror. E il risultato è che il controllo del gioco viene tolto al giocatore per far sì che ci sia l'ennesima svolta cliché, o che Lara si comporti come una perfetta cretina, o per farci assistere a dialoghi da B-movie. na cosa simile è solo una presa in giro.
E qui aprirei una parentesi sul personaggio di Lara. Ci era stato detto che avremmo visto una Lara diversa, più umana, più vulnerabile. Ora, se con questo si intende che Lara, nel gioco, le prende, beh, è vero. La povera Lara ne prende tantissime. Viene infilzata, picchiata, quasi violentata. Cade nell'acqua gelida, sbatte contro le rocce, rotola giù dagli alberi, si cauterizza da sola le ferite. Le sue sofferenze sono rese benissimo, anche se qualcuna è palesemente esagerata (sfido chiunque a sbattere con violenza la spina dorsale contro il bordo della fiancata di una nave e poi ad arrampicarsi a mani nude per la fiancata di suddetta nave) e anche la forza d'animo con cui ogni volta si rialza e va avanti.
Ma psicologicamente? Sì, quando infilza il primo cervo, perché sta morendo di fame, piange, ed è una scena che può essere toccante. Quando uccide il primo uomo, è più o meno scioccata. Ma subito dopo fa fuori con non-chalance una marea di nemici – e di cervi, conigli, cinghiali, se glielo permettete (servono ad accumulare punti esperienza, dopotutto!).
L'intento della CD si intuisce: Lara non vuole uccidere tutta quella gente, e i suoi commenti in combattimento passano da: “Fermatevi, non voglio dovervi uccidere!”, a: “Sì, correte, bastardi, sto arrivando per tutti voi!”, perché andando avanti nel gioco è più arrabbiata ed esasperata, la situazione peggiora e Lara non ha scelta se vuole sopravvivere. Ma non è mostrata la sua crescita, o il suo cambiamento psicologico. Lara non gioisce mai apertamente di una morte, ma neanche esita, o si ferma a sorprendersi della facilità con cui riesce ad abituarsi a tutto quello che le accede – mentre gli altri personaggi, ovviamente, la riempiono di complimenti.
In realtà, non si vede bene neanche il cambiamento fisico. Lara è da subito micidiale, tant'è che i nemici se ne escono con il tristissimo: “Quella ragazza ci sta facendo un culo così!”. Dice di odiare le scalate, ma due secondi dopo sta facendo acrobazie sulle pareti della montagna di Yamatai, con un vento che lancia in aria interi edifici. Oltre che colpa di una sceneggiatura troppo “ridotta”, forse tagliata, questo è anche dovuto a disomogeneità del gameplay rispetto alla storia. Non appena abbiamo una pistola, le sparatorie si susseguono una dopo l'altra. Non è credibile parlare di “vulnerabilità psicologica” in questa situazione.
Avevo sperato in qualcosa che suonasse più autentico quando un personaggio spiega a Lara che i sacrifici “non sono cose che sei costretto ad abbandonare, ma cose che tu scegli volontariamente di abbandonare”, facendoci ovviamente capire che anche alla nostra ingenua eroina sarebbe toccato ben presto fare una simile scelta. Tuttavia anche dall'inevitabile sacrificio, su cui non posso dire molto senza spoilerare, ma che è qualcosa su cui noi giocatori non avevamo avuto il tempo di investire emotivamente, anche da questo, Lara si riprende in un secondo.
In Underworld – e Legend – Lara risulta più umana secondo me, perché lì è ben mostrato l'attaccamento che ha per la madre, e l'effetto che ha su di lei la scoperta di quale destino le è toccato, anche se la Lara di Underworld non è “vulnerabile psicologicamente”, ma è invece molto matura e riesce a riprendersi presto da tutti i colpi che prende. Come è stato detto altrove, c'è anche il problema che questo re-boot non è granché come re-boot.
Intanto, non si capisce bene fino a che punto gli eventi “classici” siano cambiati, perché ci sono solo accenni generici. Lara dice di avercela col padre – perché? Il padre viene preso in giro da tutta la comunità scientifica come nei precedenti titoli, perché lui crede nel paranormale? La madre è morta? Se sì, in quali circostanze, quelle che conosciamo? Le viene più volte detto: “Sei una Croft”, ma che vuol dire? Che è tosta? Che ha l'avventura nel sangue? Chi prende in mano questo Tomb Raider senza averne mai giocato uno prima, non ha assolutamente alcun punto di riferimento per capire l'universo della nuova Lara.
Non ci viene mai mostrato che tipo sia Lara prima del naufragio, tranne in una breve scena in cui capiamo che è appassionata di storia ed è testarda. Poi diventa “sopravvissuta”, ed è la nostra solita Lara, tosta, scalatrice, pronta a tutto per difendere gli amici – solo meno intelligente (ci arriviamo subito) e con meno carisma, anche a causa della voce che le hanno affibbiato, che non ha nulla di quella pacatezza e di quella classe che aveva la “sua” classica voce – mi riferisco a quella originale inglese.
Dicevo che è meno intelligente: sì, perché prima di capire le cose, ce ne mette, anche le cose più ovvie. Anche dopo aver visto con i suoi propri occhi un oni, ossia un mostro giapponese, gigante, corazzato e dal visto bestiale, ammazzare uomini attorno a lei, ancora non crede che ci sia qualcosa di soprannaturale sull'isola. Salvo poi avere l'illuminazione perché la trama ha deciso che è il momento, quando Lara decide improvvisamente di “fidarsi del proprio istinto”.
Anche gli altri personaggi non brillano per intelligenza o psicologia. Sono tutti bene o male degli stereotipi e i loro cambiamenti, quando ci sono, non sono preparati a sufficienza, e risultano improvvisi. Per fare un esempio: Reyes, la meccanica della nave, è la classica rompiscatole che odia la protagonista finché la trama non decide che è il momento che non lo sia più e che capisca che Lara non è la sbarbatella che pensava, ma una tipa tosta.
L'unico che si salva fra i personaggi secondari è Roth, il capitano della Endurance, prima di tutto perché è l'unico che non è una palla al piede, e che ragiona in modo credibile. Ha un rapporto paterno nei confronti di Lara, che avrebbe meritato di essere un filo più approfondito forse, e le sue scene sono quelle che risultano più vere nell'intero gioco.
Conclusioni
Tomb Raider non è più Tomb Raider. Il gioco in sé non è bruttissimo, se ci si tappa forte le orecchie durante i pezzi di trama e ci si dissocia dal proprio cervello durante l'ennesimo QTE. Le sparatorie sono divertenti e si può far finta che scalare le montagne nel vento che non ci sposta un capello e in mezzo ad rocce frananti che non ci sfiorano, richieda abilità. Ma Tomb Raider non è Tomb Raider. Dopo il carino ma un po' snaturato Legend, la CD ha tirato fuori Anniversary.
Non resta che sperare che dopo questo inizio totalmente estraneo alla saga e mezzo azzoppato da scelte infelici, la Crystal Dynamics torni in sé e ci dia il vero, decimo, Tomb Raider.
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