Partisans 1941 è un gioco tattico in tempo reale con elementi furtivi, ambientato sul fronte orientale della seconda guerra mondiale.
Come comandante dell’Armata Rossa dietro le linee nemiche, il vostro OjO vi mostrerà le basi per guidare un gruppo di partigiani russi contro gli invasori tedeschi.
Molte sono le leggende che circondano la terra araba. Una di queste narra della città di Iram delle Colonne, del cui sovrano voi siete l'erede. E siccome avete raggiunto la maggiore età, è ora che prendiate bagagli e cammello e cominciate a imparare una professione: quella del mercante, ovviamente, come da tradizione per la vostra famiglia.
Partite dunque con vostro zio Yussuf ma, durante il viaggio, si scatena una terribile tempesta di sabbia, che vi isola dalla vostra carovana. E come se non fosse abbastanza, pare che Iram delle Colonne sia scomparsa.
Queste le premesse di Caravan, manageriale con elementi RPG, sviluppato da it Matters Games e pubblicato da Daedalic Entertainment. Noi interpretiamo l'erede di Iram delle Colonne e il nostro scopo è formare una carovana, guidarla saggiamente e farle guadagnare un patrimonio e, se possibile, capire cosa sia successo alla nostra città e ai nostri familiari.
Il cuore del gioco, in realtà, è la parte manageriale, ossia il commercio effettuato con la nostra carovana. Viaggeremo in lungo e in largo, da villaggio a città a oasi, e in ogni luogo potremo comprare delle merci, per poi rivenderle in altri posti. Com'è naturale, bisogna cercare di comprare dove i prezzi son bassi e vendere dove i prezzi sono alti.
Purtroppo... questo è il grosso del gioco. Ci sono delle varianti a questo scenario, che vedremo fra pochissimo, ma il 90% del tempo è speso a viaggiare da una città all'altra, fra schermate di inventario fra cui spostare gli oggetti acquistati o venduti. La cosa è bellina nelle prime 2-3 ore di gioco, quando è tutto una novità e si stanno scoprendo le meccaniche, ma superato questo lasso di tempo subentra la ripetitività e c'è poco che invogli a continuare.
Come dicevo, ci sono delle meccaniche un po' diverse. È possibile acquistare (o “trovare”) altri membri per la nostra carovana: degli altri mercanti, per esempio, o dei mercenari o ancora degli scout, ognuno con delle abilità diverse, che ci saranno di aiuto durante il viaggio. È possibile acquistare muli, cavalli e cammelli per il trasporto di merce supplementare. Saremo attaccati da banditi lungo la strada. Dovremo badare ad avere abbastanza acqua per il tragitto: questa è l'unica cosa da tenere davvero in conto, perché senz'acqua moriremo. Dovremo acquistarne sempre a sufficienza per il viaggio e più la nostra carovana sarà grande, più acqua sarà necessaria, anche se alcune abilità dei nostri personaggi potranno ridurne il consumo.
Le abilità dei nostri personaggi fanno parte della componente RPG del titolo. Ogni personaggio può appartenere a una diversa “classe”, ognuna specializzata in un determinato compito (anche se tutti possono tentare di far tutto, volendo). Il Mercante è più bravo a mercanteggiare (ma dai...), il Ladro saprà ingannare e rubare, il Mercenario protegge la carovana, e così via. Ogni personaggio ha 6 Attributi, che aumentano in modo autonomo con il passaggio di livello a seconda della classe a cui appartiene il personaggio (e, no, non possiamo scegliere la nostra classe, noi siamo Maestro Carovaniere). Questi Attributi verranno usati per fare qualsiasi azione in gioco: ottenere prezzi migliori, convincere l'occasionale bandito a lasciarci stare, combattere. Potremo di volta in volta scegliere quale personaggio usare per fare determinati check, perché, sì, il Mercenario combatte meglio del Ladro, ma magari un Ladro di livello 8 combatte meglio di un Mercenario di livello 2.
Le abilità, invece, possono essere attivate e disattivate a piacere e danno bonus o riducono malus in diverse circostanze. Per esempio, ci sono abilità per diminuire il consumo di acqua, altre per dare bonus ai nostri guerrieri, altre per allargare il cerchio di "visione" sulla mappa, che ci fa scoprire oggetti perduti ed eventi...
Si passa di livello... spendendo soldi. I personaggi accumulano punti esperienza principalmente risolvendo le quest, sia quelle principali che quelle 4 sotto-quest che ci affidano NPC secondari, e vincendo i combattimenti. Giunti in una città abbastanza grande, potremo pagare per essere “allenati” e passare effettivamente di livello. I soldi sono quindi molto importanti, perché questo allenamento costa sempre di più. Spesso mi sono trovata a dover scegliere chi far passare di livello, perché non avevo soldi bastevoli per tutti i personaggi.
Il combattimento è una specie di Sasso-Carta-Forbice con un tocco di casualità. Tre dei nostri Attributi sono legati al combattimento: si tratta di Offensive, Defensive e Guile. Offensive batte Guile, che batte Defensive che batte Offensive. Nella schermata di combattimento verranno lanciati 6 dadi, che rappresentano dei punteggi bonus casuali. Noi e il nostro nemico, a turno, potremo associare un dado a uno dei nostri 3 Attributi, "boostandolo". Vince, naturalmente, chi nel complesso ha punteggi più alti.
È un sistema carino, che però rischia di essere un po' frustrante perché possono capitare “tiri” schifosi, anche caricando più volte la partita.
Lo stesso sistema è utilizzato per il mercanteggiare, per tirare sul prezzo: qui, verranno usati gli Attributi legati alla vendita, ossia: Aggression, Rationality, Emotionality. La meccanica è esattamente la stessa usata per il combattimento: Sasso-Carta-Forbice, i 6 dadi e poi i turni per assegnare i boost agli Attributi. Mi è sembrato che vincere queste “battaglie” fosse più difficile rispetto a vincere i combattimenti, ma forse questo è stato colpa mia, perché ho sempre fatto passare di livello i guerrieri prima dei mercanti.
Un ultimo scenario all'interno del gioco è dato dall'esplorazione e dagli eventi: viaggiando fra una città e l'altra, verremo spesso bloccati: degli eremiti che ci chiedono qualcosa, delle rovine che potremo esplorare, un animale abbandonato che potremo portare con noi, ecc. Questi eventi sono pochi e non passa tanto tempo prima che diventino anch'essi ripetitivi.
Non ho detto nulla della storia, ma c'è un motivo: la storia è bene o male una “scusa” per portarci da una città all'altra. Non è molto approfondita, direi appena abbozzata e non è costituita da personaggi memorabili o eventi particolarmente originali. Difficilmente un giocatore porterà a termine il gioco per sapere come finisce... il problema è che neanche il gameplay riesce a divertire fino alla fine.
Dal punto di vista tecnico, Caravan cerca di restare sul semplice, e fa bene. Le animazioni sono poche ma sufficienti ad animare i personaggi e alcune aree. Le città, però, risultano veramente troppo statiche, anche perché i punti di interesse sono pochissimi (in alcune città avremo un solo punto di interesse!). La musica è molto bella, un po' generica ma arabeggiante al punto giusto, diciamo.
Caravan è un giochino che doveva essere un po' più corto e un po' meno ripetitivo per essere molto più bello. L'idea non è male, per quanto semplice, e mi sono divertita nelle prime ore di gioco. Ma, ben prima della fine del gioco, è subentrata la noia e finirlo è diventato più un dovere che un piacere. Lo raccomando con riserva, magari in sconto.
Ken Follet's The Pillars of the Earth è un gioco realizzato dalla Daedalic Entertainment, basato sul romanzo di Ken Follet (ma dai?) dall'omonimo titolo. Devo premettere di non averlo letto; non credo neanche di aver mai visto la serie che è stata tratta, sempre dal romanzo. Di conseguenza, nessuna parte della recensione è basata in alcun modo sull'opera originale, ma solo ed esclusivamente sul gioco.
Il gioco si presenta come un'avventura grafica, non molto dissimile dalle altre avventure Daedalic come Memoria, The Night of the Rabbit eccetera. In realtà, questo The Pillars of the Earth è una versione molto semplificata delle avventure grafiche: non proprio film interattivo, stile The Walking Dead, ma quasi.
Questo incrocio purtroppo è uno dei problemi del titolo, perché il gioco non ha i punti forza di nessuno dei due generi: da un lato, non è abbastanza cinematografico, e in genere la storia non è mostrata con abbastanza attenzione; dall'altro, gli enigmi sono a stento definibili tali e in genere interagire non porta grandissima soddisfazione. Ma vediamo questi due aspetti un po' più nel dettaglio.
La storia, di per sé, non è giudicabile perché ne abbiamo davanti solo un pezzo, una specie di prologo, che introduce personaggi e premesse e poco più. E' un po' la situazione in cui mi ero trovata con gli episodi di The Raven: non posso dire, adesso, “la storia è bella/brutta, ben fatta/fatta male”, perché sarebbe come dirlo dopo aver visto i primi 20 minuti di un film. Ok, in alcuni casi si intuisce subito se si ha davanti una ciofeca o meno, qui il caso non è così netto.
Posso però parlare di questi “20 minuti di film” (un 5-6 ore di gioco, forse un po' meno). Sono molto lenti. Ho letto recensioni che dicono che questo gioco “non è per tutti”, o che “richiede pazienza”, come se questa lentezza fosse un fattore neutro: non è così. Il gioco è diviso in capitoletti, e per più della metà di questi capitoli salteremo da un pg all'altro senza avere una chiara idea di dove tutta questa storia, in generale, voglia andare a parare. Questo, di norma, è un problema in qualsiasi forma di narrativa: quello che succede è che facciamo giusto in tempo a farci prendere dalla storia di un pg (diciamo, il Costruttore) che saltiamo a un *altro* pg, di cui non sappiamo nulla, e ricomincia la fase di “orientamento” nel personaggio. Appena riusciamo a calarci nella sua situazione – bam! Siamo in un altro personaggio ancora.
Non è solo fastidioso il passaggio da un pg all'altro, apparentemente a caso, ma anche il cambiamento di tono e focus: all'inizio, sembra che ci troviamo di fronte a una storia di un certo tipo, con il Costruttore; poi passiamo al monaco e sembra di essere finiti in una specie di “Game of Thrones Meets Downtown Abbey”; poi passiamo a Jack e non sappiamo che ha a che fare lui con le cose di prima... Sono sicura che nel romanzo tutte queste diverse trame sono intrecciate con attenzione; qui, l'effetto è di confusione per più di metà del tempo di gioco.
Tutto ciò non è un problema insormontabile, ma può scoraggiare molti giocatori, che non si sentono abbastanza dentro la storia per appassionarsi e proseguire (immagino che i fan di Follett siano esclusi, se il gioco è fedele al romanzo come sembra dalla wikipedia, perché loro sono appassionati prima ancora di cominciare, quindi se siete fan del romanzo o della serie, ovviamente quello che sto dicendo non si applica).
A questo si aggiunge una gestione “poco cool” di tutto l'impianto narrativo – in poche parole, The Pillars of the Earth è poco cinematografico. Le battute sono tutte doppiate, anche abbastanza bene, ma c'è una pausa innaturale fra una e l'altra. Non è neanche possibile cliccare selvaggiamente per farle passare avanti, c'è sempre da attendere quei secondi sufficienti a dare fastidio. Riescono meglio le descrizioni degli oggetti: praticamente, cliccando con il tasto destro sugli oggetti, li esamineremo, ma invece della classica frase da avventura grafica, appariranno i pensieri dei personaggi in merito a quel particolare oggetto/persona. Sono i momenti in cui vedremo i personaggi più da vicino, e in alcuni casi, specialmente, sono davvero ben fatti.
Verso la fine di questo Book I, tutte le vicende che abbiamo seguito si intrecceranno e potremo dire, finalmente, di essere appieno dentro la storia. Ovviamente, poco dopo il gioco finisce XD. Ma, diciamo, si auspica che il Book II non avrà gli stessi problemi con l'introduzione di personaggi e trame varie.
I personaggi principali sembrano abbastanza sfaccettati, in particolare il monaco (che è quello che seguiremo di più, forse per questo mi è rimasto più impresso). Ci sarà da vedere come verranno sviluppati in futuro, ma diciamo che promettono bene.
Non si può dire lo stesso dei “kattivi”, ossia di quei personaggi che chiaramente sono lì solo per rompere l'anima ai protagonisti. Questi sono delle macchiette: si va dal monaco manesco e accentratore, al nobile porco, ignorante e violento, per arrivare al super-prete avido di ricchezza e potere. Questi devono essere usciti dalla mente di un consulente narrativo dodicenne (non so se di Follett o della Daedalic).
A parte i cattivi, tutto il resto mi è sembrato avere un senso: non ci troviamo di fronte alle stupidate da facepalm di Dreamfall Chapters, per intenderci, il che è già una vittoria.
Devo citare il fatto che, per gli appassionati di storia, giocando si sbloccheranno dei documenti bonus che spiegano la storia di tizi famosi o di eventi realmente accaduti o simile. Non è necessario leggerli per capire la storia (ci mancherebbe pure). Qua e là sbloccheremo anche “veri” documenti in game, come la lettera che un monaco invia al fratello da noi controllato: questi, ovviamente, contengono informazioni utili ai fini del gioco e andrebbero letti.
Passiamo al gameplay. Il gameplay si divide in “enigmi”, scelte durante i dialoghi e l'occasionale gioco di tempismo per usare la fionda.
Ah, possiamo usare la fionda di Jack per picchiare la gente, 10 punti in più alla Daedalic per questa possibilità!
Tornando a noi, gli enigmi non sono definibili tali: si tratta di prendere un oggetto e usarlo su qualcosa, fine. Non serve ragionarci, perché gli oggetti sono 4 in croce e gli obiettivi sempre molto logici. Come bruci della paglia? Con la ciotola o la candela? Come ammazzi il cervo? Con la fionda o con... ehm, non ci sono altri oggetti. Ok, è possibile fare cose palesemente stupide (es, usare la fionda sulla guardia del nobile), e si finisce al game over, ma bisogna andarsela a cercare.
Alcune volte, delle informazioni saranno rappresentate come “oggetti”. Per esempio, se sappiamo di dover cercare cose rotte, possiamo usare l'oggetto “cose rotte” con i personaggi per interrogarli in proposito.
Più frequenti degli enigmi sono le scelte durante i dialoghi. Ogni personaggio può fare un gran numero di scelte; il gioco si comporta come se queste scelte avessero un impatto, per esempio, alla fine di ogni capitolo c'è un elenco delle cose che abbiamo fatto (“Hai detto al monaco il tuo vero nome!”). In realtà, l'impatto sulla storia è limitato, da quel che ho potuto vedere, ma c'è sempre lo stesso problema con i giochi episodici: chi può dire che queste scelte non avranno grande impatto nel Book II o nel III? Io scommetto di no, ma non posso dirlo per certo.
Dal punto di vista tecnico, non posso non citare la presenza di un tutorial! Forse nell'unico gioco che non ne aveva bisogno, ma c'è, sono contenta!
A parte questo, ho trovato i disegni molto belli. Le animazioni sono poche e un po' povere, e in genere ho detto che il gioco non è cinematografico; lo stesso, la Daedalic si è sforzata di creare cutscenes graziose e di imprimere bene nello stile l'atmosfera insieme disperata e speranzosa della storia. E' stata questa, più del resto, a spingermi a giocare lungo i primi capitoli, lenti e fastidiosi. I disegni contribuiscono a questa atmosfera; ottima la palette utilizzata, forse un po' meno lo stile troppo “fumettoso” di certi personaggi (i bambini, in special modo).
Le musiche sono molto belle; ad un certo punto c'è anche una canzone (non skippabile... SIGH) che nonostante non sia affatto il mio genere, ho apprezzato molto.
Da notare anche che il gioco presenta solo Inglese e Tedesco come lingue parlate, ma ha i sottotitoli in italiano. La traduzione mi è parsa abbastanza buona, ma non perfetta (il classico “location” tradotto con “locazione”: ok, lo facciamo tutti, ma da un team professionista non te lo aspetti).
E' difficile tirare un giudizio per questo The Pillars of the Earth Book I, sia perché è solo un terzo di gioco, sia perché è un mix strano, che abbandona i punti forza di entrambi i generi a cui si ispira. Quel che ne risulta non è molto soddisfacente, ma non posso neanche dire sia orribile.
Ma al di là del giudizio vero e proprio, questo gioco mi fa sorgere un altro dubbio. La maggior parte dei giochi narrativi, in cui dobbiamo compiere delle scelte, fa come questo Pillars of the Earth, ossia mette in campo scelte più o meno “ornamentali”. Il punto, però, è che in questo caso la storia è stata già raccontata come romanzo e come serie televisiva. Cosa può aggiungere questa trasposizione, che non sia già presente nelle altre forme in cui la storia è stata modellata? In che cosa la forma videogioco modifica quello che c'era prima? E' così fondamentale poter decidere di costruire cattedrali per far provare meraviglia, o decidere di rappresentare l'Inferno piuttosto che il Paradiso?
Ovviamente, le mie sono domande farlocche, la risposta è ovvia: no, non è fondamentale e “poco o nulla” è quello che il videogioco sta regalando all'opera di Follett, perché questa trasposizione si limita a sfiorare le potenzialità del media. Non posso incolpare particolarmente la Daedalic, che da questo punto di vista non fa né meglio né peggio delle sue cuginette più “grandi” (o più esperte, non so quante risorse abbia la TellTale rispetto alla Daedalic, ma non credo ci sia questo grande divario); però in questo caso la vacuità del gameplay si sente particolarmente, sia perché la realizzazione di tutto il resto pecca, sia perché ci troviamo davanti a un caso in cui “la storia” c'era già.
The Pillars of the Earth non è un brutto “terzo di gioco”, ma è lento e pecca di ultra-semplificazione sotto diversi aspetti. Ci sono buone speranze per i Book successivi, in quanto i personaggi principali sembrano promettere molto bene e la storia ha una premessa interessante. Ma forse vi conviene leggere direttamente il romanzo, o guardare la serie TV.
Kafka è uno di quegli autori famosi catalogati come “difficili da capire”, per via delle situazioni surreali che spesso sono al centro delle sue opere. Però, sfido chiunque a leggere le Metamorfosi o il Processo e a non capire esattamente quel che succede nella storia e il significato allegorico che questa veicola, significato che in realtà è espresso molto chiaramente dagli eventi della trama.
Perché questa premessa letteraria? Perché The Franz Kafka Videogame prende dall'autore a cui si ispira il “difficile da capire” e lancia dalla finestra tutto il resto. Vediamo come, con INDIEtro Tutta.
The Franz Kafka Videogame (da qui in avanti TFKV) è un'avventura punta e clicca molto minimale, pubblicata da Daedalic Entertainment e realizzata da mif2000, autore anche dell'avventura Hamlet, ispirata ovviamente all'Amleto.
Dico che è un'avventura minimale perché, come già Hamlet, ogni location ha pochissime interazioni e poca o nessuna esplorazione. Somiglia un po' a Samorost o Botanicula come impostazione, piuttosto che a un'avventura grafica classica. A differenza dei titoli della Amanita, che presentano enigmi di diversa complessità e che si dipanano per più aree, liberamente esplorabili, TFKV è un gioco molto lineare e i suoi enigmi sono in realtà dei puzzle, spesso la versione digitale di quelli della settimana enigmistica. Per esempio, troviamo una variante del gioco del 15, oppure dobbiamo comporre un'ombra spostando delle sagome, o unire dei puntini per creare una scritta, e via così.
Di solito sono enigmi semplici di per sé, ma spesso non se ne capisce la logica e bisogna andare a caso. Il gioco del 15, per dirne uno, prevede che noi mettiamo i numeri in un certo ordine... che non è un ordine crescente o decrescente. Tutt'ora non ho capito quale sarebbe. Capite bene che un puzzle così fa solo innervosire, perché è (o quantomeno sembra, assumendo che ci sia una logica che io non ho colto) arbitrario.
Preciso che non tutti i puzzle sono arbitrari: c'è una variante del Gioco dell'Oca, per esempio, che è molto comprensibile, e anche il puzzle in cui bisogna formare una sagoma ha un senso. La sfida è poca, ma l'idea è graziosa, specialmente quella del gioco dell'oca.
Ma passiamo un attimino alla trama, vero punto debole di quest'opera. TFKV mescola elementi di diverse opere di Kafka, principalmente America e Le Metamorfosi (ma numerosi sono i richiami al Processo, o quantomeno ai suoi temi di fondo). Il problema è che la storia che ne viene fuori non ha né capo né coda e i personaggi non hanno spessore. Non si può neanche parlare di storia, in realtà, visto che gli eventi non si capisce come siano collegati fra loro, neanche in senso molto lato.
Non ho neanche capito il senso di alcuni rimaneggiamenti: per esempio, Gregor Samsa, protagonista di Le Metamorfosi, è qui Zamza, un detective trasformato in insetto e “protagonista” (in senso lato, perché non c'è una storia di cui possa essere davvero protagonista... diciamo che lo guidiamo) di una sezione noir del gioco. Il fatto che si sia trasformato in insetto ha zero rilevanza: potrebbe essere insettoide, umano, alieno, una capra, sarebbe la stessa cosa. I temi del racconto sono inesistenti. Non dico che non vada bene, dico che non colgo il senso di prendere un aspetto a caso di un'opera eliminando il resto, quando si vuole fare un tributo, o comunque qualcosa che sia *dichiaratamente ispirato* all'opera in questione. Come se io facessi il Videogame di Zorro, in cui il protagonista è un uomo in carriera alla ricerca di un affare propizio, che si diverte a firmare con una Z e si chiama Zarro. Il nesso fra il mio Zarro e il famoso Zorro sarebbe...?
Uno collega Zamza a Samsa solo se già conosce le Metamorfosi, ma per il resto non c'è alcun nesso fra i due personaggi.
Tornando alla “trama”, dicevo che non si capisce nulla. Quello che ho capito, perché i personaggi lo ripetono costamente come nelle peggio soap opera, è che il punto che l'autore voleva mostrare è che l'esistenza non ha senso; ma, semplicemente, non è così che si mostra in un'opera, meno che mai in una storia. E qui sta secondo me la dimostrazione del fatto che l'autore non abbia capito una mazza delle opere di Kafka, se non appunto la parte più superficiale, il "non si kapisce niente!!!".
Come dicevo sopra, le opere di Kafka hanno un senso preciso. Prendiamo le Metamorfosi (spoiler sul libro!): un uomo si trova improvvisamente trasformato in uno scarafaggio. Non mi sembra difficile da capire. La sua famiglia lo schifa, benché capisca che sia sempre lui, e alla fine lo uccide. Mi sembra altrettanto facile da capire, e anche abbastanza logico nell'universo del racconto (dove gli uomini diventano scarafaggi, direi che ci sta che i familiari possano reagire male a questa trasformazione). Ok, ci vuole forse un pochino a collegare questi eventi al loro significato allegorico, ma confido che l'intelligenza media di una persona sia sufficiente.
Il punto è che c'è una serie di eventi che, pur essendo surreali, hanno perfettamente senso e che mostrano “in azione” il significato allegorico che Kafka voleva esprimere.
Prendiamo anche America, la seconda opera a cui questo gioco si ispira. Leggete la trama nella wiki. Vedete come il romanzo è riassunto in una serie di eventi comprensibilissimi, benché sia un'opera molto “bizzarra”, per usare le parole della wiki stessa?
“Surreale” e “nonsense” non sono sinonimi.
In TFKV, invece, non c'è collegamento apparente fra le cose che succedono (es, prima siamo nella visione di una signora, poi siamo nella nostra, poi ci rapiscono (?), così, a caso) e il significato allegorico (“nulla ha senso”) non è più allegorico, è spiattellato davanti al giocatore tramite i personaggi, come se Gregor Samsa si fosse messo a dire: “Ah, com'è crudele l'alienazione!”. L'effetto è ridicolo.
Si capisce quindi che i puzzle arbitrari sono tali perché appunto l'autore voleva dare l'ennesima dimostrazione di “cose a caso” nell'esistenza, ma, di nuovo, non è così che funziona, così si crea solo un'accozzaglia di roba messa insieme, senza spessore alcuno.
TFKV ha lo stesso problema che affliggeva Memoranda, l'opera ispirata a Murakami, ossia quello di essere tanto fumo e niente arrosto, tanta bella atmosfera surreale dietro la quale si nasconde il nulla. E' ironico come qui la confusione sia molto maggiore e che si capisca ancora meno che in Memoranda, perché fra Kafka e Murakami, è quest'ultimo quello che tende al nonsense!
Parlando del “fumo” dietro cui dovrebbe trovarsi l'arrosto, TFKV presenta un'atmosfera magnifica: i disegni sono molto belli, lo stile è adatto all'idea che si voleva dare (vorrei scrivere “alla storia”, ma non c'è una storia, in realtà, quindi... ehm...), la musica di intro e dei credits è simpatica e gli effetti sonori durante il gioco sono adeguati. L'atmosfera è resa quindi benissimo e dà l'idea di trovarsi davanti a un'opera surreale. Peccato però che la sostanza scarseggi.
TFKV è disponibile anche in italiano. Non c'è doppiaggio, e non c'è molto da leggere in ogni caso. Porterete a termine l'avventura in un'oretta, massimo due se un puzzle vi blocca per molto tempo. Sono disponibili degli hint, a tempo: dopo qualche minuto se ne sblocca uno, e dopo qualche minuto ancora, se ne sblocca un altro. L'avventura è lineare al massimo, quindi non potete abbandonare un puzzle per farne un altro nel frattempo – ma d'altronde, molti puzzle sono arbitrari, quindi il ragionamento che ci mettete è irrilevante, dovrete andare a tentativi.
Memoranda non l'avevo bocciato per un pelo, ma qui non trovo niente che mi faccia promuovere questo titolo. I puzzle in sé non sono divertenti né innovativi: quando va bene sono graziosi, quando va male sono arbitrari. La storia non è pervenuta, di Kafka c'è molto poco, i personaggi non hanno psicologia alcuna... sono belli i disegni, e la canzone dei credits merita, ma niente di tutto questo vale 10 euro, ma neanche 5.
Stati Uniti, 1860. Un magnate delle ferrovie muore in circostanze misteriose e la sua compagnia rischia di cadere nelle mani di uno speculatore senza scrupoli. Il figlio del tycoon torna dall'Europa per fermare le malvagie macchinazioni del rivale e riprendere il controllo della società di famiglia. Sullo sfondo, la tensione tra Nord e Sud ha raggiunto livelli di guardia e la Guerra di Secessione è ormai alle porte.
Premessa: la recensione è basata sulla versione Early Access e su alcune ore giocate con la versione di lancio. Ci riserviamo di modificare il giudizio in caso di modifiche sostanziali a quanto visto finora.
Bounty Train dei canadesi Corbie Games è all'apparenza un piccolo gioco che però nasconde un'energia niente male, riuscendo nella difficile impresa di coniugare tre generi diversi in maniera quasi sempre fluida e bilanciata.
In primo luogo, Bounty Train è un manageriale: alla guida del suo treno personale, il giocatore può spostarsi da una città all'altra degli States di metà '800, comprando e rivendendo beni di consumo e trasportando persone. Le dinamiche si mantengono molto semplici, per preservare l'immediatezza delle meccaniche di gioco: alcune città producono materiali (il che corrisponde a costi di acquisto bassi), mentre altre ne fanno uso intenso (alzando i prezzi, anche in maniera considerevole). Destreggiandosi tra i menu di un'interfaccia non proprio all'altezza del compito, il novello "mercante a vapore" sarà in grado di trovare le rotte più redditizie e di sfruttarle a dovere (chi ricorda Marco Polo, il gioco da tavolo?). Per ovviare al possibile sfruttamento ad nauseam di un unico tragitto, la quantità di beni in vendita è limitata dalle capacità produttive della città, per cui le riserve non sono infinite. E, contemporaneamente, i continui rifornimenti faranno diminuire la domanda e i prezzi caleranno. Non siamo di fronte alla più complessa delle simulazioni economiche, ma tutto funziona e i non esperti del genere saranno sicuramente lieti di doversi confrontare con pochi, essenziali parametri.
Siccome i beni acquistati non si spostano magicamente da A a B, diventa fondamentale la gestione del proprio treno: gli sviluppatori hanno messo a disposizione diverse locomotrici e tipologie di carrozza, che variano in base alle caratteristiche (cavalli vapore, velocità) e alla funzione (carro merci, carro blindato, carrozza passeggeri e così via). I motori a vapore proposti dal gioco sono piuttosto deboli, per cui bisogna scordarsi lunghi convogli carichi d'oro e affini: si deve invece valutare col bilancino quali vagoni attaccare e quante merci (carbone incluso!) trasportare. Attenzione perché il gioco è draconiano quando si tratta di stazza totale: anche un solo quintale in più rispetto al valore massimo, e il treno non si muoverà di un centimetro. Tale rigidità risulta forse esagerata, considerato che un altro parametro simile, il consumo di carbone, consente una maggiore flessibilità (se il carbone non è sufficiente a raggiungere la destinazione, si può diminuire il calore della caldaia con conseguente calo di velocità e risparmio di combustibile).
Per chi fa di "persone oltre le cose" il proprio motto, si segnala che la gestione dei passeggeri è soltanto abbozzata: invece di essere un vero e proprio servizio regolare, il trasporto di persone si limita allo spostare una o due persone da una città all'altra, su loro richiesta. Insomma, più che di un treno, sembra di trovarsi al comando di un taxi a vapore. E dato il pessimo rapporto tra costi (il vagone pesa!) e benefici (si guadagna di più con le merci), non ha senso perdere tempo con i pendolari ante litteram.
I vari mezzi possono essere migliorati in alcune componenti (si può persino aggiungere la possibilità di trasportare merci di contrabbando) e ognuno di essi è soggetto a usura: maggiore il numero di chilometri percorsi, maggiore la probabilità che qualche pezzo si rompa, rendendo il treno meno efficiente. È sicuramente una meccanica funzionale e che aggiunge imprevedibilità ai viaggi, ma anche un modo un po' semplicistico di gestire le noie meccaniche, risultando potenzialmente frustrante quando ci si accorge che la probabilità di subire nuovi danni non si abbassa dopo una riparazione. L'unica soluzione per evitare guasti diventa quindi l'acquisto di un mezzo nuovo.
Le sorprese durante il viaggio non si fermano qui: lungo il tragitto da città a città ci si imbatte spesso in incontri casuali che possono essere assolutamente pacifici (mercati di contadini, truppe amiche, semplici viandanti), ma non solo: bande di fuorilegge e tribù indiane ostili possono bloccare i binari o inseguire il treno a cavallo, sparando revolverate e lanciando frecce (o dinamite, quando gira male).
È qui che entra in scena il secondo genere abbracciato da Bounty Train: il tattico in tempo reale. Quando subisce un attacco, il giocatore prende direttamente il controllo del treno (può regolare velocità e temperatura, non scordandosi di alimentare la caldaia) e delle guardie a bordo dei vagoni blindati. Con le armi in pugno, e usando sapientemente la pausa tattica, bisogna respingere gli assalti uccidendo tutti i nemici o sopravvivere quel tanto che basta a raggiungere la prima galleria, lasciando gli inseguitori con un pugno di mosche. Durante questi frangenti, la grafica risulta molto confusa, soprattutto quando oltre a dover tener d'occhio gli avversari ci si ritrova a fare i conti con incendi e danni vari. Riuscire a capire chi sta facendo cosa, nei momenti più concitati, risulta più difficile di quanto dovrebbe essere. Ciò non toglie che i combattimenti siano un piacevole diversivo rispetto ai semplici spostamenti, grazie anche ad alcuni elementi da RPG (ecco il terzo genere da cui Bounty Train va a pescare) che entrano in ballo durante le fasi tattiche. Ogni personaggi ha caratteristiche e abilità che possono essere migliorate raccogliendo punti esperienza. Anche l'equipaggiamento può essere migliorato acquistandolo nei negozi o recuperandolo dai cadaveri dei nemici.
Il gioco di ruolo (all'acqua di rose, s'intende) è presente anche sottoforma di missioni che alcuni personaggi o le istituzioni cittadine possono affidare ai giocatori. Tali "quest" si limitano a compiti piuttosto banali, quali la consegna di una lettera o la fornitura di un determinato bene a una determinata città, ma sono presenti anche piccole storie con diversi passaggi, come la ricerca di un tesoro o la scorta di un personaggio famoso.
È su questo impianto di gioco che è strutturata la campagna in singolo: il protagonista, completando quest o partecipando ad aste (presenti anche nella modalità "libera"), deve riuscire a raccogliere il 51% delle azioni della società prima che un malvagio figuro lo preceda, prendendo il controllo della compagnia di famiglia. Il tutto mentre la Guerra di Secessione (raccontata tramite piccole note storiche) apre nuovi scenari e rende difficile spostarsi liberamente tra uno stato e l'altro. Una trama semplice, ma funzionale al ruolo da tutorial che la modalità storia pare ricoprire.
A tutto questo si aggiungono alcuni elementi interessanti, che tuttavia risultano incompiuti. Si è citata la guerra tra Nord e Sud, il cui impatto è davvero limitato (non si va oltre la modifica di qualche prezzo in alcune città) e che per qualche ragione (un bug?) non viene più nemmeno nominata dopo il 1862 (neppure nel 1864, anno della sconfitta della Confederazione).
Anche le aste, menzionate in precedenza, lasciano intravedere meccaniche non pienamente sviluppate: oltre alle azioni della compagnia è possibile comprare anche immobili e attività che danno un introito settimanale o producono a costo zero beni rivendibili in altre città. Sulla carta sembra interessante, ma in realtà la sensazione è di trovarsi di fronte a qualcosa che non esprime appieno il suo potenziale. Tanto più se si considera che non esiste alcuna compagnia rivale (se non timide apparizioni durante le aste) e dunque il giocatore è libero di manipolare il mercato come più gli aggrada. Un difetto, forse il più grave, che potrebbe limitare la rigiocabilità di un titolo che, pur garantendo diverse ore di gioco tra campagna in singolo e modalità libera, vede presto venir meno quell'elemento di "sfida" che il più delle volte è ciò che spinge ad avviare una nuova partita.
Bounty Train è un gioco che con la sua varietà e immediatezza riuscirà ad attirare l'attenzione di diversi giocatori. La poca profondità e la mancanza di sfida non ne minano la piacevolezza, ma lo rendono carente di quelle raffinatezze che fanno di un buon gioco un capolavoro. Pur con tutti i suoi numerosi limiti, questo gioco d'esordio dei Corbie Games assicurerà a molti un discreto numero di ore piacevoli, nella speranza che gli sviluppatori sappiano intervenire e portare la loro creatura a un livello ancora superiore.
Titolo: 5x00 - Speciale Gamescom |
Arriva finalmente la registrazione della live del 25 agosto, in cui abbiamo accolto i nostri amici della Stelex Software (Stefano e Tania Maccarinelli) per chiacchierare a lungo del Gamescom, la fiera di videogiochi più importante d'Europa. Insieme alla partecipazione in diretta dei nostri ascoltatori, abbiamo snocciolato curiosità, anteprime e - sopratutto - simpatici aneddoti del nostro idolo incontrastato: l'epico-epico Charles Cecil!
Ma si parlerà anche di Syberia 3, Yesterday Origins, Detroit: Become Human, i nuovi giochi Daedalic e Revolution e tanto altro! Buon ascolto!
E' partita la campagna Eppela per il doppiaggio del quarto capitolo di Deponia, intitolato Deponia: Il Giorno del Giudizio.
Promossa da Adventures Production, JingleBell Communication e Daedalic Entertainment, la nuova campagna ha in verità due obiettivi: uno, quello base, è la versione deluxe del gioco, l'altro, inserito come stretch goal, è il doppiaggio. E' possibile donare sia tramite Eppela che tramite Paypal e le somme raccolte sulle due piattaforme verranno poi unificate a fine campagna. Trovate tutte le informazioni, compresa una bella FAQ, sulla pagina Eppela dedicata.
La piccola Anna vive spensierata in una fattoria insieme al suo amato nonnino finché un giorno questi si ammala gravemente. Nonostante l'avvertimento di non avventurarsi nei boschi che circondano l'abitazione, Anna decide che la vita del nonno vale di più dei pericoli che il bosco contiene e vi si avventura in cerca di una cura. Presto cade prigioniera di una strega malvagia, le cui mire attentano alla Regina stessa. Anna si ritrova così in una vicenda inaspettatamente molto estesa e che la riguarda da vicino.
Anna's Quest è un'avventura grafica pubblicata dagli odierni mastri del genere, i Daedalic, ma sviluppata da uno studio indipendente australiano composto grossomodo da un'unica persona — Dane Krams — che prende il nome di Krams Design. Lo sviluppo è stato lungo, iniziato nel 2010, ben presto si arresta dopo il primo dei tre episodi previsti Anna's Quest Volume 1: Winfriede's Tower (2012) e per qualche anno rimane in sospeso finché Daedalic decide di recuperarlo e finanziare il suo autore. Fin dall'esordio episodico, programmato con AGS e disegnato alla sbalorditiva risoluzione di 1024x768, è chiara l'impronta professionale che Krams intende dare al suo progetto: personaggi ben delineati, contesto ben studiato, grafica nitida, buon doppiaggio e delle belle musiche.
Tutto viene attinto dall'immaginario più classico che ci sia, la fiaba popolare, condito da quell'inclinazione cupa caratteristica della fiaba modernizzata, o sarebbe da dire della fiaba non edulcorata. Già nelle trascrizioni delle fiabe tedesche raccolte dai Grimm troviamo una disposizione all'umorismo nero, all'angosciosa inquietudine, alle immagini cruente; amore e morte sono i binari che guidano le avventure di Pollicino, Hansel e Gretel, Cappuccetto Rosso, I Sette Capretti e via discorrendo. Ad ogni modo, Anna's Quest non perde di vista la sua connotazione infantile, e dunque preferisce il tenero tocco tenebroso di Tim Burton, l'algido incedere delle vecchie fiabe Disney (soprattutto de La Bella Addormentata Nel Bosco, la cui mescolanza di leggerezza e cupezza sono le cifre stilistiche della fiaba moderna di consumo) e l'irruenza del primo Don Bluth, alla crudeltà delle storie dei Grimm.
I personaggi risultano così mai veramente ambigui. La bontà dell'eroina Anna, simbolo dell'innocenza e della purezza dell'infanzia stessa, è estremizzante e totale, il suo ottimismo granitico è insensibile alle avversità e proprio per questo non esistono minacce che possano nuocerle. L'antagonista, la strega Winfriede, incarnazione dell'acrimoniosa smania di rivalsa, della bramosia di potere, dell'invidia e dell'odio incrollabile, risulta più vittima di se stessa che carnefice, il cui destino, segnato, non può che essere spietato, si contrappone al bene assoluto, quello rappresentato dalla regina Jannicke: savia, misurata, vivida, potentissima. Il vettore che condurrà il Male dal Bene e il Bene dal Male, sarà proprio la piccola Anna e noialtri in veste di giocatori.
Anna's Quest rivela ben presto, al di là di una semplice missione — trovare una cura per il nonno —, un'ambizioso tentativo di ricreare un intreccio a più livelli tra i vari personaggi incontrati e, sebbene non si fuoriesca mai dai canoni della fiaba, riesce bene nel suo tentativo di racconto corale, senza lasciare niente di infondato o poco chiaro. E si apprezza la moltitudine di rimandi al folklore: fantasmi, troll, animali parlanti, fattucchiere, maghi, draghi, amuleti magici ecc. che ricrea ed arricchisce l'impianto fiabesco e lo completa.
Il game design si piega alle esigenze tipiche di questo genere ed è banale come ogni classico che si rispetti. Non esiste una sola quest per la piccola Anna, bensì svariate sotto-quest che si risolvono tutte nel rintracciare e utilizzare oggetti per i fini più disparati. Non serve a molto la telecinesi di cui Anna è dotata e che si rivela poco più che una prolunga alle sue braccia (raccolta di oggetti lontani) o un moltiplicatore della forza (deformazione di metalli o serrature). La sua esistenza, ha piuttosto funzione narrativa, nel senso che giustifica alcune virate secche del plot, ma non porta grande originalità nel game design che rimane strettamente quello delle avventure alla Curse Of Monkey Island, peraltro fonte d'ispirazione per la grafica.
Le animazioni e gli sfondi, rigorosamente bidimensionali, sono anch'essi ad opera di Dane Krams e ricordano le illustrazioni dei libri per bambini, la pulizia della ligne claire di Hergé e in definitiva lo stile di Monkey Island 3 (Anna è grossomodo il Guybrush bambino) e soprattutto della serie del Professor Layton. Una grafica non omogenea che dapprima è scarna e che si arricchisce di particolari dalla seconda metà del gioco in poi, colorata con tonalità pastello con scarse sfumature (a ricordare le serie animate televisive) e animata rozzamente (il solito «pattinare» dei personaggi che camminano, l'assenza della rappresentazione delle azioni più comuni come la raccolta di oggetti e le interazioni con l'ambiente).
Un buon risultato l'ottiene la colonna sonora, il cui tema epico dei titoli rimanda esplicitamente all'avventura con la A maiuscola e che sostiene con discrezione senza manie di protagonismo. Il doppiaggio, pure buono, sebbene prodotto da pochi attori, è sempre misurato e mai troppo caricaturale. Contribuisce se non altro a sopportare meglio la quantità di dialoghi che la sceneggiatura contiene, e che è estesa. Una prolissità tipica delle avventure moderne che non permettono che il videogiocatore possa essere lasciato in silenzio per più di cinque minuti, nemmeno quando si agisce in solitaria.
I difetti sono comunque poco evidenti. Il gioco è facile eppure ben strutturato così da risultare anche relativamente lungo. Si apprezzano i timidi tentativi di creare sezioni non lineari pur nella limitatezza degli ambienti in numero e si apprezza la discrezione nell'utilizzo dello humor, purtroppo sempre così poco dosato nelle avventure marcate Daedalic (Deponia e Randal's Monday su tutti), e che qui cede volentieri il posto alle tinte drammatiche della vicenda.
Gustoso.
«La vita ne ha per tutti i gusti. Belle sorprese, tragiche perdite, nuovi compagni, tradimenti... Desideriamo tutti poter tornare indietro nel tempo per rimediare agli errori commessi nella nostra vita, ma cosa succederebbe se questa opportunità toccasse ad un sociopatico, cleptomane, coglione buono a nulla?»
Qualcuno ha promosso Randal's Monday ad acquisto obbligato per gli amanti delle avventure LucasArts. «Bah, che lancio pubblicitario scontato», avrebbe sbottato a questo punto un famoso pirata. Non si può stritolare un'intera filosofia che fu, in primo luogo, un rigoroso vademecum sul game design, e solamente in seguito un marchio di fabbrica, sotto un quintale di citazioni sparpagliate e senza utilità, un'estenuante logorrea e soprattutto una progettazione degli enigmi così manichea. Il metalinguismo caro ai primi autori di avventure grafiche della LucasArts, agevolato dai due famosi marchi della casa madre — Guerre Stellari e Indiana Jones — era presente in modo discreto o faceva parte di battute brillanti in situazioni lievemente parodistiche; in Randal's Monday invece è gettato a piene mani come i vestiti da poco sulle bancarelle dei mercati rionali; e non c'è capo né coda, e il più delle volte non ha risultati comici o umoristici. E come potrebbe essere differente, è venuto da chiedermi, quando la quasi totalità dei soggetti citati è rappresentata come soprammobile o appesa al muro come poster? Lì per lì è divertente vedere vie intitolate a Fred Edison o a Guybrush Threepwood; è divertente vedere che qualche personaggio abbia sembianze piuttosto note — Matt Griffin/Dave Grossman su tutti —; è divertente riportare qualche, e sottolineo qualche, battuta cult da film come Pulp Fiction o Le ali della libertà. Non è divertente quando su ogni scaffale, stipetto, libreria ci sono dai tre ai cinque oggetti provenienti da cinema e videogiochi, non è divertente quando invece della freddura fulminea o parodistica si ricreano interi dialoghi o spezzoni di film.
Randal's Monday è frutto dei classici espedienti per coprire la mancanza di idee originali e dimostrare tutta l'inesperienza dei suoi autori. Si prende a prestito una situazione paradossale, Ricomincio da capo è alla base di tutto, Sonny e Cher compresi; si introducono personaggi macchiettistici come ogni mediocre copione comico propone; si colma ogni situazione di una sequela sterminata di dialoghi brillanti, ma poco o punto divertenti e l'azione attiva da parte del giocatore è resa impegnativa da enigmi a scatole cinesi tendenzialmente illogici e talvolta decontestualizzati. Come se non fosse già abbastanza, non si evita neppure di riempire di citazioni ogni angolo dei fondali quasi fosse un valore aggiunto di per sé.
Entriamo nel dettaglio. Randall è un tipo alla Clerks, ma senza il fascino crepuscolare della Generazione X. È uno scansafatiche, antipatico, idiota e incosciente. I suoi amici, Matt Griffin e la fidanzata Sandy, sono l'uno un geek (come va di moda in questo periodo, grazie a The big bang theory) con la testa imbottita di stupidaggini fantascientifiche, l'altra la ragazza carina che lo sopporta e in qualche modo lo asseconda bonariamente. Il contorno è composto da poliziotti ossessivamente ligi al dovere o tremendamente indolenti, venditori di hot dog italoamericani unti, loschi rigattieri e collerici datori di lavoro o affittacamere, segretarie cocciute o impiegate fannullone, nerd che gestiscono botteghe di fumetti, madri distratte perennemente al cellulare con figlio pestifero e sboccato al seguito. Tutti i personaggi hanno la psicologia elementare di colui che è chiamato a interpretare strettamente il proprio ruolo, d'altra parte hanno la funzione di suggeritori o vittime dell'umorismo da quattro soldi di Randal; talvolta come il genere insegna sono solo pedine nelle mani del videogiocatore al lavoro su un enigma.
Enigma che una volta risolto non dà poi tanta soddisfazione. Il gioco ne è colmo, gli sviluppatori hanno semplicemente pensato che un'avventura vecchia scuola fosse tale poiché zeppa di enigmi contorti. Certo, è pure vero, come lo è che oggi nessuno giocherebbe mai a quelle avventure, tanto sono invecchiate male. Il contesto paradossale fa da spalla ad una serie di enigmi stravaganti che non sono fuori dalle corde in generale, ma soffrono di due grandi difetti: sono tendenzialmente illogici — [SPOILER] a chi verrebbe in mente, portandosi dietro un martello in inventario, di piegare un fil di ferro mettendolo in un frullatore per realizzare un grimaldello? [SPOILER] —, altri sono diluiti in più tappe risolutive in modo da allungare il brodo — [SPOILER] prendi un laser, lo usi sulla portiera di un furgone che non si apre facendoci un bel buco passante, ma per aprire la portiera hai bisogno di attaccarci un magnete da ottenere in un altro modo stravagante; non bastava mettere la mano nel buco e tirare? [SPOILER]
Certe sviste si possono perdonare dato che Randal's Monday è l'opera prima degli spagnoli Nexus Game Studio prodotta da Daedalic Entertainment, si tratta di un lavoro manicheo come lo può essere un prodotto a metà tra l'ammiccante e il sincero omaggio. Ma c'è da contenere l'entusiasmo e la deriva citazionista. Nel gioco compaiono perfino Jay e Silent Bob (comparsi in alcuni film di Kevin Smith) che sono assolutamente ridondanti. C'è da contenersi un attimo anche sull'umorismo scatologico-emetofilo: un conto è l'inquadratura sullo sputazzo di Largo LaGrande di Monkey Island che è assieme indizio e disgustosa scenetta comica; tutt'altro è il disquisire con soggetti in preda a spasmi e conati, le inquadrature ravvicinate su getti di vomito, i bagni inondati di urina, gli attacchi di dissenteria ecc. perché si sente lontano un chilometro la puzza di provocazione studiata a tavolino, contorno efficace alle battutacce condite da turpiloquio e surreali quanto insulse reminescenze. Non ci si scandalizza certamente per la scorrettezza di alcune trovate, sia chiaro, ma è la quantità a risultare, alla lunga, fastidiosa se non tediosa.
Il resto è nella media. La grafica sembra realizzata in Shockwave come quei corti che impestavano le caselle mail nei primi Duemila. Le animazioni sono rozze, nel 2015 vedere così poca uniformità tra personaggio animato e sfondo non è granché passabile, come la irritante pattinata dei personaggi che camminano come fossero su ghiaccio. A livello stilistico è chiaramente ispirata a certa animazione americana dell'ultimo periodo, sono d'accordo con chi ci ha visto un po' di Seth MacFarlane anche se a me ricorda di più Brickleberry della Fox — e non solo a livello grafico, il tenore dell'umorismo è spesso simile.
Nella media anche la colonna sonora. Una collezione di pezzi strumentali a metà strada tra il post rocj, il blues elettrico e la colonna sonora di un documentario in VHS sulle fonderie. Accompagna l'azione in modo ora impalpabile ora ingombrante. Ci sono alcuni pezzi ficcanti, il resto si dimentica ben presto. Scarsi gli effetti sonori, in qualità, i passi dei personaggi restituiscono sempre lo stesso rumore qualsiasi superficie calpestino, e in quantità. Non male il doppiaggio. Randall è impersonato da Jeff Anderson (uno dei Clerks) ed è piuttosto adatto al ruolo, riuscendo bene a caratterizzare le fanfaronate del nostro alter ego; abbastanza buoni gli altri personaggi, tranne il doppiatore di Matt che risulta spesso insopportabile per la cadenza di cui si dota (o forse ciò è dovuto al personaggio di Matt stesso, non saprei). Il gioco è in inglese, e ci sono spesso giochi di parole e, come si è detto, un certo uso di gergo e oscenità. Il livello di complessità della lingua è però piuttosto basso ed è perfettamente comprensibile. In ogni caso un'edizione italiana è imminente.
Facciamola corta: questo gioco non ci è piaciuto. Randal's Monday è un coacervo di difetti antichi dell'avventura grafica (enigmi illogici e decontestualizzati, personaggi insignificanti) e di difetti moderni (logorrea, umorismo un tanto al chilo sparato senza sosta come a sperare che prima o poi qualcosa vada a segno). Randal's Monday poteva essere Discworld che aveva degli enigmi contorti, ma era uno spasso da giocare per via dell'ambientazione e delle situazioni gagliarde; poteva essere Sam & Max se i personaggi non fossero delle trote in salamoia; poteva essere Simon The Sorcerer se avesse ceduto maggiormente alla volontà di raccontare qualcosa; poteva essere anche un Day Of The Tentacle se si fosse dato una regolata generale. Invece risulta essere il fratello deforme di A Vampyre Story, di Still Life, di Hollywood Monsters e di Drascula. Peccato.
Peccato perché l'idea che vede Randall costretto a ripetere le proprie giornate come Bill Murray era molto stuzzicante e dapprima ben condotta, ma presto lasciata deragliare in un'accozzaglia di banalità ed esagerazioni che francamente fanno passare la voglia di guardare con occhio benevolo al fatto che gli sviluppatori si considerino amanti del genere e che, parafraso, abbiano avuto l'intenzione di ricreare l'atmosfera dell'avventura dei tempi d'oro. E non ce la fanno nemmeno i pochi personaggi davvero divertenti presenti nel gioco, dall'iracondo Sergente Kramer — con le fattezze di Clint Eastwood — al violento cuoco della prigione; dal rigattiere tossicomane sui generis al barbone filosofo fino al supercomputer ossessionato da Daisy Bell.
I Nexus hanno comunque una certa disinvoltura nel saper attingere da un immaginario pop quantomai in voga in questi anni. S'è già detto di Tarantino, della “cultura nerd” fumettistica e videoludica. Aggiungerei anche i continui rimandi metalinguistici al genere dell'avventura grafica e ai suoi cliché (invero poco originali, ma non troppo utilizzati), un'ambientazione contemporanea e verosimile che una volta tanto non prende la via del fantastico o del fantascientifico in senso assoluto (come spesso è nelle corde dei produttori, i Daedalic) e infine la giustificazione delle azioni da compiere. Come poche altre volte nel genere, in Randal's Monday la trovata di ripetere ogni giorno lo stesso giorno dà la possibilità di compiere qualsiasi azione assurda ai danni dei personaggi presenti nel gioco dato che che l'indomani non ricorderebbero niente. Ciò rappresenta una giustificazione più che valida per molti degli enigmi presenti, giustificazione che spesso in molte avventure è pretestuosa. E qua torna la sensazione di occasione sprecata: a fronte di una certa libertà potenziale data proprio dal paradosso temporale cardine dell'avventura, gli sviluppatori hanno deciso di calcare troppo la mano inserendo tra gli enigmi un numero sovrabbondante di riempitivi, ponendo scarsa cura in un aspetto di primaria importanza. Soltanto dopo viene tutto il resto: i personaggi mediocri, le situazioni banali, il citazionismo a briglie sciolte.
Un pub semideserto, al bancone una barista brutta, seduto isolato un panzone dall'aspetto malaticcio; l'universo nel quale si muovono i protagonisti di Randal's Monday è tipico.
Appena ho il controllo della situazione esco per salvare così da non dovermi sorbire il dialogo daccapo. Il gioco risponde che è troppo presto per salvare, è necessario superare il prologo, che non si può saltare nemmeno dopo averlo già visto.
Alcune citazioni: Maniac Mansion, il Grog e la Scimmia a tre teste, Tentacolo Viola, il poster di Fox Mulder, il videogioco fantasma Polybius, la piantina di Resident Evil, Balrog di Cave Story, il grande Lebowski, Link di Legend Of Zelda, Pulp Fiction, Shining, Star Trek, il NES Max, Wall Street, Half Life, Donkey Kong, Dune, Wolfenstein, Tron, Cast Away, i Simpson, gli Acchiappafantasmi
Le scelte di dialogo spesso tentano di essere brillanti e audaci, ma sono soltanto stupide e noiose. L'affittuario di Randal gli dice che lo ritiene come un figlio e gli chiede se sa cosa intende con questo: tra le scelte di Randall: «Che se lo facessimo sarebbe un incesto?», «Che sono pronto per quella storia su come si fanno i bambini?»
Si dice comunemente che il genere delle avventure grafiche avrebbe bisogno di essere innovato e sono tanti i game designer che ci hanno provato in questi ultimi anni.
Poiché considero il genere come un mezzo per raccontare delle storie, sono fra quelli che vorrebbero che questa innovazione provenisse innanzitutto dall'aspetto narrativo delle avventure grafiche (sia dalla forma che dai contenuti).
In questo Edna & Harvey: "Harvey's New Eyes" centra in pieno l'obbiettivo: un gameplay forse un po' abusato, ma una storia che vale sicuramente la pena di essere ascoltata.
LA STORIA:
"Harvey's New Eyes" racconta la storia di Lilli, una giovanissima orfana che vive, insieme ad altri orfani, in un convento gestito da una suora che odia i bambini.
Quella che vivremo è l'orripilante, spaventosa, e oltremodo triste storia della pazzia di Lilli.
Incapace di esprimere sé stessa, la piccola Lilli asseconda i malsani voleri di chi la circonda: ubbidendo ciecamente agli ordini degli adulti, finisce per combinare conseguenze disastrose. Incapace di decidere autonomamente della propria vita, la piccola Lilli vive in un mondo fatto di ordini categorici e di divieti assoluti.
Non fate però caso al PEGI 12 ("Bad language") con cui è etichettato il gioco.
Come tutti i censori, anche quelli del PEGI conoscono e temono un'unica forma di violenza: quella esplicita (fatta di sparatorie e sangue). Un tipo di violenza che invece non trova posto nel colorato e fantasioso mondo di Lilli.
Infatti la nostra piccola orfana, ormai pazza, per non impazzire (!) ha dalla sua un esercito di gnomi-patata pronti a trasformare il sangue in una allegra vernice rosa, che spalmano allegramente sulle mura del convento. Se non si fosse capito, Edna & Harvey: "Harvey's New Eyes" è un gioco violento come pochi se ne sono visti. Di quella stessa violenza che ha segnato per sempre la vita di Lilli: la violenza sottile e invisibile, quotidiana e continua, che ognuno di noi subisce dalla società che ci circonda.
Questa ambivalenza fra ordini categorici e divieti assoluti è il pilastro di gran parte del gioco. E tutta la trama sarà un racconto di maturazione, in cui la piccola Lilli imparerà a scoprire la propria indipendenza, controllando le proprie paure. E forse, alla fine, riuscirà anche a parlare. Forse.
Si affronta un enigma eseguendo l'ordine di un adulto, ma poi le conseguenze sono inaspettate e ben poco gradevoli.
Un meccanismo funzionale a raccontare la storia, ma anche molto stimolante per il giocatore, che vorrà andare avanti per scoprire cos'altro combinerà Lilli: è un'avventura che, se iniziata, si fa giocare fino in fondo.
UN CONFRONTO COL PRIMO CAPITOLO.
Sul fronte del gameplay, lo scarto col primo capitolo della serie (Edna & Harvey: "The Breakout") è nettissimo, ben più di quanto appare a prima vista.
Si riduce notevolmente il numero di locazioni accessibili contemporaneamente, il numero degli hot spot, degli oggetti presenti contemporaneamente nell'inventario, dei personaggi. Tutto si fa più concentrato, meno "verboso", più funzionale alla storia.
Insomma, questo secondo capitolo è complessivamente un'avventura più... normale. E sicuramente molto più semplice e più breve.
È un bene? Chi scrive si è divertito a giocare al primo capitolo della serie, ma di sicuro quello non era un gioco per tutti. "Harvey's New Eyes" invece può piacere a tutti gli avventurieri. Tutto è più semplice e tutto è più funzionale a raccontare la storia che ci viene proposta, che stavolta è ancora più violenta, cinica e appassionante di quella del primo capitolo.
La saga ha fatto un passo in avanti, pur perdendo le sue peculiarità a livello di gameplay.
GLI ENIGMI:
La maggior parte degli enigmi sono di stampo classico, basati sulla ricerca e la combinazione di oggetti. Un punta e clicca 2D assolutamente standard. C'è perfino la possibilità di evidenziare automaticamente tutti gli hotspot di ogni location.
Nonostante l'atmosfera surreale di certi passaggi, gli enigmi mantengono una certa logica e non ricorrano troppo a ragionamenti di "pensiero laterale". Il che, per chi scrive, è un bene. Fanno eccezione un paio di enigmi sul finale, oltretutto basati su un gioco di parole inglese.
Deludano invece -e spezzano anche il ritmo della narrazione!- quei tre o quattro rompicapo che sono inseriti a casaccio per "allungare il brodo". Enigmi di logica stretta, perfino una specie di sudoku; potevano risparmiarseli, perché il resto del gioco poteva camminare da solo. E, per fortuna, ci permettano di risparmiarceli con l'apposito pulsante per saltarli.
Segnalo poi una trovata interessante che -ahimè!- poteva essere sfruttata molto di più, apportando un po' di varietà anche a livello di gameplay. Parlo del meccanismo dei divieti inculcati nella mente di Lilli. Superando determinate sezioni di gioco autonome (e ancora più surreali di tutto il resto, essendo ambientate nel subconscio della bambina), Lilli imparerà ad aggirare certi divieti, come quello di "giocare col fuoco" o quello di "usare oggetti acuminati". L'idea di fondo è che Lilli può superare solo un divieto alla volta e spetta al giocatore scegliere quale. Quindi, se volete bruciare qualcosa, non potrete farlo fintanto che non avrete sbloccato il divieto di "giocare col fuoco". Una bella idea, che poteva aggiungere originalità e varietà, ma che è stata usata troppo poco.
Come piccolo bonus, segnalo che il gioco supporta anche gli achievements di Steam.
LA GRAFICA:
Lo stile fumettoso e deformed adottato (mutuato dal primo capitolo, ma più evoluto e ricercato rispetto a quello) è particolarissimo. Assolutamente funzionale a descrivere il mondo dagli occhi di una bambina piccola.
I colori sgargianti vi attireranno e vi incuriosiranno, proprio come ne sarebbe incuriosita una bambina. Ma presto scoprirete quale orrido abisso vi si cela dietro.
Se la grafica statica è veramente interessante, l'animazione è penosa. Spia di un gioco realizzato con un budget modesto. La nostra Lilli ha forse perfino meno frame di animazione di Zak McKracken...
Un difetto ben visibile che però sinceramente non mi ha minimamente infastidito. Meglio una grafica mal animata ma dotata di una personalità, che il contrario.
CONCLUSIONI:
Come avventura grafica in senso stretto questo secondo capitolo della saga di Edna & Harvey è nella norma delle produzioni odierne: enigmi sufficienti, difficoltà bassa, umorismo e scorrevolezza per tutto il gioco. Un'avventura normale, se dovessimo guardare solo il gameplay. Adatta a tutti i palati, a differenza del primo capitolo; probabilmente migliore di questo da tutti i punti vista.
Tecnicamente parlando invece è un'avventura molto povera, seppur con un comparto grafico ispirato e dotato di tratti forti e ben riconoscibili.
Dal punto di vista della trama invece "Harvey's New Eyes" è un'avventura davvero molto interessante. Originale per i temi trattati. Originale nel suo approccio alla violenza. Non è adatta a tutti però: molte sensibilità ne risulterebbero offese.
Piacerà a chi cerca un'avventura grafica con contenuti originali. Una AG che parli veramente ad un pubblico adulto.
Piacerà a chi è in cerca di un gioco politicamente scorretto.
Non piacerà a chi di AG non vuole sentirne parlare.
Non piacerà a chi non parla veramente bene l'inglese.
Non piacerà a chi ha una sensibilità facilmente urtabile: è un gioco politicamente scorretto.
Edna & Harvey: "The Breakout" è un'avventura grafica poco conosciuta in Italia. Nasce come progetto universitario di due studenti tedeschi, per poi diventare a tutti gli effetti un prodotto commerciale pubblicato dai Daedalic (celebre etichetta Tedesca di avventure grafiche, autrice fra gli altri della saga di Deponia).
Edna & Harvey si è guadagnato la brutta fama di essere pieno di bug, di essere pessimamente tradotto in Inglese e, più in generale, di non essere una grande avventura. Ma ci sarà anche qualcosa di buono?
TECNICAMENTE:
La prima cosa da sottolineare è che oggi il gioco è *assolutamente* privo di bug, sia l'ottimo porting per iOS, che la versione PC.
In particolare su iPad il gioco funziona alla perfezione, con un'ottima precisione dei controlli e una meravigliosa resa dei colori pastello sul display retina.
Edna & Harvey ha uno stile grafico molto personale, con un tratto deliziosamente infantile che rispecchia perfettamente la giovane protagonista del gioco. È proprio questo disegno, infantile ma anche assai ricco di dettagli, a donare al gioco un look originale, che riesce veramente a trasmettere emozioni al giocatore. A questo si aggiungo i colori sgargianti degli ambienti, "edulcorazione" del reale che immedesima il giocatore in maniera perfetta nell'atmosfera del manicomio e nelle vicende narrate.
Come accade fin troppo spesso nelle AG, le animazioni sono molto povere, quasi da gioco in flash dei primi anni 2000, ma ciò non nuoce minimamente all'atmosfera, poiché ogni sprite (per quanto mal animato) è davvero ben caratterizzato.
IL GAMEPLAY:
In molti lo hanno trovato lento e "verboso".
E, effettivamente, Edna & Harvey è decisamente... lento e "verboso".
È un gioco "all'antica": fatto per durare, richiede impegno, costanza e attenzione da parte del giocatore.
Strutturalmente è un'avventura che più classica non si può.
Classica nell'interfaccia one-click, classica negli enigmi e nei meccanismi interni.
Ogni elemento è presente in copiosa quantità:
- un numero di oggetti come non si vedeva dai tempi di Discworld 2.
- un numero di location da far impallidire King's Quest 6;
- tanti personaggi strampalati con cui interagire, ognuno con *decine e decine* di linee di dialogo strampalato;
- un numero di hotspot per ogni location veramente, *veramente* elevato.
Ma ciò che impressiona di più è proprio la combinazione di tutti questi fattori.
E qui sta la novità e, probabilmente, l'elemento più interessante (ma difficile da digerire) del gioco. Ogni singola combinazione possibile di tipo "oggetto-oggetto" o "oggetto-hotspot" restituisce (anche quando non produce alcun risultato concreto) una risposta unica del gioco. E ognuna di queste risposte è una battuta umoristica/demenziale.
IL risultato è che il numero di linee di testo e di battute umoristiche scritte per questo gioco non ha forse uguali in tutta la storia delle avventure grafiche.
L'idea di gratificare il giocatore che sperimenta le possibili interazioni del gioco con delle frasi umoristiche, che lo ripaghino anche quando non ha fatto un'azione utile al proseguimento del gioco, non è certo nuova. Anzi, si può dire che sia il marchio di fabbrica della Sierra.
Ma anche rispetto ai giochi Sierra che hanno un'impostazione simile (per esempio Leisure Suit Larry 6), in Edna & Harvey il tutto è esasperato e amplificato al massimo, diventando un vero elemento cardine del gameplay.
Giocare a Edna & Harvey significa necessariamente provare sistematicamente "tutto con tutto", andando a leggere e a sorridere di tutte le migliaia di battute che contiene.
Certo non tutte sono all'altezza di quelle di Al Lowe, ma dalla loro quantità (prima ancora che dalla loro qualità) emerge una certa soddisfazione per il giocatore.
LA TRAMA:
La trama ci racconta, a piccole gocce diluite dentro il mare di enigmi del gioco, la tragica storia di Edna e del suo coniglio di pezza, Harvey.
Edna è chiusa in un manicomio. Ma non si sa se è veramente pazza. Né si sa se è veramente colpevole del crimine di cui è accusata. Di certo il dottore che la cura non è per lei un estraneo. Altrettanto certo è che il suo caro Harvey il coniglio di pezza è solito... parlarle. E, per essere un coniglio di pezza, è anche spiccatamente sadico e pazzo.
La storia ci porterà a dissotterrare il passato dei Edna, scoprendo i retroscena della sua (presunta?) pazzia.
E alla fine sarà proprio solo il giocatore stesso a poter intuire, dentro di sé, se è Edna è davvero pazza o no.
Il gioco è un sapiente mix di ambientazione realistica e enigmi surreali, fra dialogi ironici/demenziali e quella che è invece una tematica di fondo di tragica realtà.
Una combinazione vincente, che ci racconta una storia vera attraverso la realtà ovattata di un pazzo sotto sedativi.
La violenza a cui assisteremo si mischia a spensierate battute da ragazzini nerd.
Il sangue si mischia ai colori brillanti dei background, forse accentuati dagli psicofarmaci assunti dalla protagonista.
Il ricordo di un passato spensierato si alterna costantemente ad un eterno presente agghiacciante, tragicamente privo di ogni futuro.
Edna ha forse una sola speranza di salvarsi: il suo coniglio Harvey (e chi può dire cosa sia?!? La sua coscienza? La sua fantasia? La sua innocenza perduta?).
Peccato solo che Harvey, lui sì, sia sicuramente folle, cinico e spietato. Al di là di ogni dubbio.
A mio modo di vedere, Edna e Harvey sono una delle coppie di protagonisti più originali e interessanti prodotti in questi ultimi anni dall'industria delle avventure grafiche.
DA GIOCARE?
Per me sì.
Ed è anche una delle avventure grafiche più interessanti attualmente presenti sull'AppStore.
È un titolo interessante, insieme anche al suo seguito Enda & Harvey 2: "Harvey's New Eyes" (molto più accessibile e mainstream), purché ne possiate accettare la difficoltà e la "verbosità". Se ci riuscite, vivrete una storia non banale, che vi imprimerà per sempre nella mente la figura di Edna e del suo cinico coniglio di pezza.
Journey of a Roach è una strana e simpatica avventura grafica pubblicata da Daedalic, lo sviluppatore tedesco meglio conosciuto come la LucasArts di Germania. Quei rudi dei dietrologici come ci si troveranno? Gameplay di Marco Gualdi e commento di Andreozzi, Pizzi, Saso.
La Daedalic Entertainment pubblica talvolta gioiellini non da poco. Ultimo titolo di questo periodo, sviluppato dalla Kobold Games, è Journey of a Roach.
A volte, si ha la sensazione che da un momento all'altro la nostra vita possa presentarci di fronte paure insormontabili, davanti le quali possiamo soltanto che dannarci l'anima perché ne soffriamo. Altre volte, invece, scopriamo che le nostre fobie possono venire ingannate con trucchi base.
Cosa basta? Un comparto grafico in stile cartoon - che ci ricorda un po' i Telltale e i loro zombie - accompagnati all'assenza totale di dialoghi, sostituiti da vignette esplicative, uniti a personaggi che trasmettono simpatia e tenerezza, e puff. Fobia degli scarafaggi? Non so di cosa state parlando!
Journey of a Roach è un'avventura grafica che, nel pieno stile dei titoli scelti dalla Daedalic, ha un appeal visivo non da poco, punto che diventa fondamentale accostato a dei puzzle non difficili, mai frustranti, e tanti piccoli "prestiti" e citazioni ad altre avventure grafiche, come il sistema di balloon di Machinarium, ed altre cosette che vi lascio scoprire quando lo giocherete.
Siamo Jim, un superstite di una guerra nucleare devastante. Non siamo mutanti, non sono morti tutti i nostri parenti, non viviamo in mezzo a cannibali mutanti. Siamo uno scarafaggio.
È scientificamente appurato che gli scarafaggi sono così resistenti che si dice sopravviverebbero ad una guerra nucleare, ed appunto, noi siamo uno di loro, ed all'improvviso, dalla terra brulla e raggrinzita, spunta fuori una rarità: una margherita. Mentre il nostro amico ci racconta del fiore che ha visto fuori, diversi avvenimenti portano Jim ad aiutarlo visto che, Fantozzi docet, l'amico si fracassa in una serie di eventi a dir poco sfortunati e noi dobbiamo pressoché inseguirlo nella sua caduta nella base militare in cui sembrano abitare insetti di vario tipo.
Molte cutscenes ci spiegheranno con più semplicità la storia, ma non sono sempre molto divertenti da guardare. Paiono ricalcare lo stile da "fumetto a slide", senza animazioni vere e proprie, ma anche questi "slide" a volte sono piuttosto statici, risultando uno slide-show e basta.
Al di là del comparto grafico, il sonoro ci trasmette tutto quello che deve trasmettere, forse in misura addirittura esagerata: i passetti del nostro scarafaggio, rumori di cose che gocciolano, chiacchiericcio nel bar, e musica - quando c'è nell'ambientazione - godibile.
I comandi sono molto comodi ed offrono la meccanica della "rotazione dello schermo": il personaggio si controlla con WASD o ←↑→↓ e si interagisce con il click del mouse. Jim può - essendo uno scarafaggio - camminare sui muri e sul soffitto, meccanica che chiaramente viene usata nella maggior parte dell'esplorazione e dei puzzle. Ammetto che, anche se non soffro particolarmente queste cose, la rotazione continua può risultare esagerata in alcuni puzzle. Tuttavia, non è un punto a sfavore, anzi, è una meccanica che in qualche modo "simula" l'essere scarafaggio ed aggiunge particolarità al gameplay.
Tuttavia, per la parte dolente - ma nemmeno tanto - c'è la longevità. Finito in quattro ore, andando MOLTO lento, Journey of a Roach è un'avventura grafica "one-shot", tanto da esserci un achievement per finirlo in diciotto (18!) minuti. La storia è godibile, il gioco in sé è davvero simpatico e leggero, quasi una boccata d'aria rispetto i titoli "seriosi", pur non raggiungendo la fastidiosa "semplicità da app". Un gioco leggero, ma che diverte e anche molto, che riesce a far ridere, a creare personaggi iconici, quasi come un film Pixar, la cui longevità non intacca il valore narrativo. La giusta durata, per la giusta storia.
Non vi è un gran fattore di rigiocabilità, tranne per il cercare di risolvere i puzzle e il gioco in sempre minor tempo. Per questo ed altre cosucce minime - come il non poter camminare su alcuni punti del muro, per pura limitazione meccanica, o l'eccessiva genericità dei fumetti "di dialogo" - il gioco non è un "MUST-BUY" per qualsiasi categoria, ma certo è che se vi piacciono le avventure grafiche, o se avete o conoscete bambini a cui volete regalare un bel gioco, che lo faccia divertire e ridere, Journey of a Roach è il gioco giusto.
Potrebbe essere anche un buon punto di partenza per riconsiderare degli insetti che, alla fine, ci fanno molto schifo, ma sono piuttosto innocui. Mi sto sforzando a scriverlo, smettiamola qui che è meglio.
Comunque, Journey of a Roach è un bel gioco, con o senza scopo terapeutico! Perlopiù completamente tradotto in italiano! (per quel poco che c'è da leggere in ogni caso)
In sostanza: un gioco divertente, leggero e nemmeno troppo scanzonato. Corto ma non così tanto da risultare un giochino anonimo.
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