Giochiamo insieme a Neo Cab!

In Neo Cab, visual novel cyberpunk, indossiamo i panni di Lina, l'unica tassista umana rimasta in città che gira per le strade illuminate al neon in cerca di persone da accompagnare a destinazione, con il loro carico di vita, di opinioni e di problemi.

Anche se questa è solo una demo, Mr OjO non poteva resistere alla tentazione di aggirarsi a Los Ojos, la città a lui dedicata!

Acquista Neo Cab sostenendo OldGamesItalia!

Tales of the Neon Sea è un mix di mystery e cyberpunk!

E' in sviluppo una nuova avventura grafica a opera della Palm Pioneer per la cinese Zodiac Interactive.

Si tratta di Tales of the Neon Sea, un'avventura mystery cuberpunk che ci porterà a indagare nei meandri di una città futuristica.

Non sappiamo ancora molto della trama, ma abbiamo un trailer (visibile qui sopra) e un periodo di uscita: estate 2018!

The Red Strings Club

Donovan è il barista di The Red Strings Club, un bar dallo stile retrò che offre ai suoi clienti qualcosa di unico: drink preparati apposta per loro, in accordo con le loro emozioni. Ed è da questo piccolo bar, che Donovan e il suo ragazzo Brandeis cercano di sventare la cospirazione di una multinazionale, che mira a fare il lavaggio del cervello a tutta la popolazione... o no?

The Red Strings Club è un'avventura (circa) grafica ad ambientazione cyberpunk, qualcosa a metà fra Va-11 Hall-A e Read Only Memories, ma dal tono più cupo. Da Va-11 Hall-A riprende il minigioco del barman (qui sviluppato diversamente, poi vedremo come), mentre da ROM prende una certa attenzione per le tematiche sociali e l'interesse verso le IA e il libero arbitrio.

Ma la domanda fondamentale che The Red Strings Club ci pone è quanto siamo disposti, e a quale livello, a permettere la soppressione di determinati impulsi o derive emotive nell'essere umano.

È praticamente impossibile fare spoiler sulla storia di questo gioco, perché le cose sono chiare fin da subito. La multinazionale “kattiva”, Supercontinent, vuole lanciare un progetto che modificherà il comportamento umano, impedendo gli “eccessi”: dalla depressione alla mania omicida, all'isteria, all'entusiasmo “esagerato”.

I protagonisti del gioco sono contrari all'idea, perché la vedono come una manipolazione dell'essere umano, come qualcosa che toglie un pezzo di umanità – e di scelta – all'individuo.

Dall'altra parte, i sostenitori di questo progetto rimarcano che l'essere umano non verrà modificato nella sua essenza. Semplicemente, raggiungerà il suo “sé ideale” (in un senso molto zen del termine, pensate all'illuminazione, all'Higher Self e cose così), senza essere condizionato da ansie e paure. Insomma, un po' come uno psicofarmaco, ma che ha effetto su più impulsi ed è senza controindicazioni.

Questo è un conflitto che chiunque soffra di ansia più o meno cronica può capire, perché *sa* che questa ansia, e parte della paura che ne sta alla base, sono meccanismi che impediscono, o in ogni caso rendono molto difficile, vivere serenamente gli eventi quotidiani. E, se è vero che tecniche di autocontrollo e di mindfulness, o, appunto, farmaci, possono aiutare a uscire “in modo naturale” da questo genere di cose, è anche vero che chi ne soffre sa che non ne sarà mai veramente fuori e che anche per arrivare a una situazione stabile spesso occorrono anni.

Quindi, è “giusto”, e in quale accezione del termine, un progetto che elimina del tutto la possibilità di stare così male? Cosa viene a perdersi nel momento in cui non dobbiamo essere noi a fare lo sforzo di stare meglio? In che modo questo può incidere sulla creatività (pensiamo a tutte le opere d'arte nate dalla grande sofferenza del suo autore) o sull'intimità fra le persone (es, pensiamo a quelle amicizie nate e/o rinforzate dall'aver superato assieme un periodo difficile)?

E, assumendo che possiamo eliminare questi dubbi, o dare una risposta soddisfacente, a quale livello va bene fermarsi? Se questo progetto può eliminare – perché ne previene le cause – crimini come l'omicidio, lo stupro, e azioni estreme come il suicidio, è giusto imporlo a tutta la popolazione?
E, in ogni caso, se il “telecomando” di questa cosa finisce nelle mani sbagliate? Vale la pena di correre il rischio?

The Red Strings Club non solo si pone queste domande, ma le pone al giocatore, ripetutamente e in forma diversa. Un conto è parlare, dopotutto, un conto è trovarsi nella situazione in cui bisogna agire secondo la propria linea di pensiero. Il gioco riesce mirabilmente (nonostante alcuni problemi di fondo che poi vedremo) proprio perché sviscera il tema scelto in molteplici modi e ci mette sempre di fronte le conseguenze delle nostre scelte.

Dapprima, nei panni di Donovan, serviamo da bere ai clienti, rafforzando questa o quella delle loro emozioni. Così facendo, possiamo “strappargli” le informazioni che ci servono: se Tizio è incazzato, farà più facilmente il nome del collega che gli ha fregato la promozione, per esempio.

In seguito, nei panni di Akara, un androide particolarmente evoluto, dovremo realizzare degli “upgrade” da installare nelle persone, per modificarne alcuni aspetti. Per esempio, Caio potrebbe essere timido, e noi potremmo installargli un upgrade che gli aumenta il carisma, o un altro che sopprime il desiderio di essere accettati.

Infine, nei panni di Brandeis, dovremo “rubare” la voce ad altri personaggi in modo da manipolare, alla vecchia maniera (parlando) i loro colleghi per telefono.

Nei primi due casi, si tratta di una manipolazione relativamente consenziente: i clienti di Donovan sanno che effetto hanno i drink, e in ogni caso la cosa passa dopo qualche minuto. I “clienti” di Akara richiedono specificatamente gli upgrade, anche se non sanno esattamente quale verrà installato (e infatti il gioco ci porterà a fare un casino) e sopratutto non possono disattivarlo da soli.

Brandeis, invece, manipola persone ignare di quel che lui sta facendo e che assolutamente non vogliono dargli le informazioni che cerca. Ma è per una buona causa, right?

Akara è il mezzo attraverso il quale il gioco ci fa il terzo grado sulle nostre scelte “teoriche”. Donovan dovrà rispondere a parecchie delle sue domande sugli argomenti più disparati, fra cui, appunto, molte di quelle che ho riportato sopra. Le nostre risposte non servono solo per far sentire la nostra voce, hanno anche un effetto più profondo... e qui mi tocca segnalare spoiler, anche se è uno spoiler abbastanza telefonato.

SPOILER

A seconda del rapporto che instauriamo con Akara e delle risposte che daremo alle sue domande, influenzeremo l'androide ad abbracciare il nostro punto di vista. Questo sarà importante in seguito, in quanto Akara influenzerà le persone come abbiamo deciso noi.

FINE SPOILER

Quindi, in un certo senso, il messaggio di fondo è che non si è mai davvero, al 100%, liberi dall'influenza di qualcun altro, e non sempre si è in grado di capire a che livello siamo influenzati, come e perché.

Ora mi tocca passare un secondo ai problemi del gioco. Se The Red Strings riesce bene per quanto riguarda il “main theme”, per tutti gli altri... eeeehhh... mh.

Ho letto lodi riguardo al fatto che è queer-friendly, e ok, se intendiamo che nel gioco ci sono personaggi di diversa sessualità, ma questo argomento non è “affrontato”. Che va bene così, sia chiaro. Fa parte del background e basta; semplicemente, l'universo del gioco è più avanti rispetto al nostro da questo punto di vista, in maniera coerente con il resto del mondo di gioco che vediamo.

Il problema sorge con quegli argomenti che sono neanche affrontati, direi “addressed”, gli si fa un cenno, ma così, a cazzo, e il risultato è che il gioco risulta pedante. Per esempio, verso la fine del gioco per scovare una password dobbiamo farci dire il “deadname” di un trans. Così, a caso.

Non è questione che sia offensivo o meno, è questione che non c'entra una mazza col resto del gioco e della storia. Come se stessimo giocando a Tomb Raider e così, ad cazzum, Lara se ne uscisse con un pippone sullo stupro. Posso anche essere d'accordo con il contenuto del pippone, ma non c'entra nulla ed è fastidioso. Spreco diverse righe a ribadire il concetto perché voglio sottolineare che non è il messaggio che non mi garba, non è questo che sto criticando; il problema è che non è così che si scrive una storia, per qualsivoglia media.

In generale, la sensazione che il gioco “voglia fare la lezione” è presente spesso, tant'è che all'inizio mi sembrava che fosse tutto una lezione, e che il giocatore dovesse aderire all'idea del gioco sul tema principale oppure perire. Come abbiamo visto, non è così, ma questi piccoli momenti (perché sono piccoli, in realtà) in cui il gioco davvero sale in cattedra danno questa impressione e scocciano.

I dialoghi sono ben scritti e in generale non posso che apprezzare il writing. Il ritmo, invece, è un po' troppo piatto: per il 90% del tempo saremo al bar con Donovan e avremo una sfilza di clienti da servire, tutti bene o male utili, cosa che fa pensare: “che culo, passano tutti di qua!”. Il minigioco cerca di tenere alta l'attenzione, ma non sempre riesce, come vedremo. Anche nel finale, che di per sé è ben fatto, mi chiedo quanto tempo ci voglia perché uno cada da un grattacielo (non è spoiler, il gioco si apre con il finale...).
Diciamo che qualche cosa, qua e là, andava limata, e The Red Strings Club risulta un po' grezzo, ma i difetti sono compensati da tutti i pregi.

Passiamo al gameplay. Come dicevo, ci sono un paio di mini-giochi e la sezione di manipolazione telefonica.

Per servire i drink dovremo versare i giusti liquori nel bicchiere. Questi cambieranno la posizione di un indicatore a schermo, e noi dovremo farlo coincidere con un punto nell'”aura” del cliente, per beccare la giusta emozione. Se sbagliamo, possiamo buttare tutto e rifare. Non ci sono penalità. Il giochetto viene reso più complicato man a mano che si va avanti, ma niente di impossibile.

La vera difficoltà del giochetto sta nel capire che emozione ci serve per ottenere determinate risposte. Bisogna capire chi si ha davanti per scegliere la giusta emozione da sfruttare e le giuste domande da fare. È possibile “barare”, uscendo senza salvare, e ripetere tutto, volendo, ma inutile dire che non è così che il gioco è stato concepito.

Nel secondo giochetto, con Akara, dovremo costruire gli upgrade e inserirli. Questo è il giochetto più palloso, funziona coma una simulazione di lavorazione della creta, più o meno. Lascia il tempo che trova, se lo avessero cacciato o semplificato il gioco non avrebbe perso molto.

Con Brandeis affrontiamo la parte più classica di TRSC. Si tratta di scegliere che personaggio impersonare e quale altro personaggio contattare. Bisogna raccogliere indizi sulle varie password e su chi si occupa di cosa per evitare gaffe (tipo chiamare qualcuno con la voce sbagliata e rischiare di allertare la sicurezza).

Per tutto il gioco compiremo delle scelte. Cosa rispondere ad Akara, quali informazioni reperire, che upgrade inserire in chi. Non ho ben capito se c'è più di un finale, o meglio: il finale è sempre quello, ma non ho capito quante sfumature cambiano a seconda delle nostre scelte. Ma, in questo caso, il loro impatto in questi termini non è fondamentale, perché il significato delle scelte è un altro, ossia: quanto siamo liberi di fare o non fare determinate cose, e cosa conta davvero per noi? Questo è il motivo per cui, come Brandeis, cadendo dal grattacielo, quando ormai la possibilità di cambiare ogni cosa evidentemente non esiste più, possiamo ancora fare delle scelte.

Quello che invece mi ha lasciata insoddisfatta è l'assenza di libertà in alcuni punti. Per esempio, non possiamo mai dire “bon, basta, non voglio estrarre informazioni da Tizio o da Caio”. Non possiamo rifiutarci di inserire determinati upgrade, e il gioco continuerà a rimandarci alcuni clienti finché non avremo inserito gli upgrade “giusti”. Questi due casi sono ancora giustificabili: nel primo siamo Donovan, e Donovan non vede nulla di male in quel che fa; nel secondo caso, nei panni di Akara, siamo costretti dal sistema a restare bloccati in una stanza fino a che i clienti non sono soddisfatti.

Ho trovato un po' limitante anche un pezzo del finale, nel quale siamo in preda all'ansia, e non possiamo risolverla da soli, dobbiamo per forza chiamare aiuto. Anche qua, però, “ci sta” col personaggio che stiamo interpretando. Solo che tutti questi casi si scontrano un po' con le mille occasioni in cui possiamo esprimere la *nostra* opinione, sovraimponendola a quella dei pg. Come Donovan, possiamo arrivare a dire che il progetto della Supercontinental è in realtà utile e buono, per esempio.

Passiamo al lato tecnico. TRSC vanta una grafica stupenda. Le locations non sono molte, ma sono ben fatte, le animazioni dei personaggi sono adorabili e il font non è difficile da leggere.

La ost è stupenda, ma devo dire che raramente l'ho notata – è una cosa positiva: ha creato il mood giusto senza imporre la sua presenza, kudos al compositore.

Non c'è doppiaggio. Il gioco non presenta l'italiano, al momento. L'inglese non è molto difficile, fatta eccezione per alcuni termini o neologismi. C'è tempo di tradurre con calma, perché i dialoghi non vanno avanti da soli e, in genere, il ritmo del gioco è rilassato.

Non posso dare voto pieno a The Red Strings Club per via dei diversi difettucci che ho analizzato nel corso della recensione. Ma non posso non consigliarlo, perché riesce nel suo intento principale molto bene, dipinge personaggi fantastici, anche se non sempre in maniera elegante o perfetta. Se siete incuriositi, vi direi, magari, di aspettare uno sconto e farci un pensiero. Complimenti alla Deconstructeam e, per il prossimo gioco: UNA tematica alla volta, non buttate cose a caso nel gioco! 

Seven: The Days Long Gone

Teriel è un ladro esperto, e non rifugge dai lavori più pericolosi. Questa volta, ha deciso di introdursi in una magione super-sorvegliata per rubare un Cifrario, un Artefatto dal potere sconosciuto.
Purtroppo per lui, l'Artefatto è un realtà un test: nasconde un demone che tenta di possedere chiunque ne venga in contatto. La maggior parte della gente è debole e muore, ma Teriel (che culo!) sopravvive. Il demone, Artanak, gli regala quindi un biglietto sola andata per l'isola-prigione di Peh, dove Teriel dovrà compiere una missione per salvare il mondo. O una cosa del genere.

Seven: The Days Long Gone è un rpg/stealth game sviluppato dalla Fool's Theory e da IMGN.PRO. Era uno dei titoli originariamente supportati dalla Humble Production, ed il primo di questa categoria che mi capita sottomano. Chiudiamo il pedigree del giochetto citando il fatto che un paio degli sviluppatori hanno lavorato sul Witcher.
Quel che distingue Seven dagli altri rpg usciti di recente (Original Sin 2, TToN, Tyranny ecc) è il fatto che qui è possibile arrampicarsi ed esplorare le aree anche in verticale. Pensate, insomma, a un incrocio fra Baldur's Gate, Thief e Assassin's Creed. Che, ve lo dico, non è male come idea, anzi, è una figata. Purtroppo Seven unisce questa bella idea a un paio di problemi che ne azzoppano il potenziale.

Il primo di questi problemi, e apro la recensione con questo perché è proprio la prima “caratteristica del gioco” che vi darà il benvenuto, è la confusione. Nonostante la presenza di un tutorial (tutta la prima missione) che vi spiega passo passo le mosse base, e di una serie di tutorial più approfonditi a cui potrete accedere dal diario, in Seven c'è troppa roba poco chiara. Non è la confusione di Original Sin 2, dove sì, c'erano dubbi, ma comunque si gioca lo stesso. In Seven, certe informazioni sembrano proprio non pervenute, o sono relegate a quelle frasi che appaiono durante i caricamenti. Pessima scelta.
Anche quando le info sono pervenute, non ne è chiara l'applicazione, oppure è controintuitiva. Persino il conteggio delle risorse è strano, una semplice dicitura come “0/3” non indica quello che istintivamente uno potrebbe pensare che indichi.

Contribuisce alla confusione la mappa. La mappa è semplicemente inutile. Non è utilizzabile senza i segnalini delle missioni – ed è una delle cose prese da The Witcher 2. Ve lo dico, dal Witcher 2 hanno preso *solo* la roba che non andava. Tornando alla mappa, anche con lo zoom al massimo non si distinguono le strade dagli edifici, dai cespugli, ecc. Peggio, non si capiscono i vari livelli della mappa, quindi se un obiettivo è nel punto X, non si capisce se è in cima (tipo sul tetto) o sotto terra, o a livello della strada, o al secondo piano... vi assicuro che è un macello allucinante quando si gioca, anche perché spesso non è possibile (o preferibile) usare la stessa strada per arrivare ai vari livelli.

A tutto questo si aggiungono alcune scomodità. Per esempio, i save games, anche questi presi pari pari da Witcher 2, che ha uno dei peggiori sistemi di save della storia del videoludo. In sostanza, si clicca su Save e si ottiene una cosa chiamata “Save_Game_XXX.XXX”, impossibile da rinominare. Al posto delle X ci sono numeri vari. Non è neanche possibile sovrascrivere un save su uno slot vecchio. Arrivati a metà gioco non si capisce più nulla in quella cartella, e se si volesse fare una cosa tipo: “Ok, salvo qua, vediamo come va questa missione, se va male ricarico e faccio altro finché non trovo equip migliore” si fa prima a suicidarsi, perché durante la missione si saranno fatti un 15 save, rendendo introvabile il primo. Ah, non esiste il quick save. Avete letto bene, non esiste il quick save, ogni volta bisogna fare esc, save, conferma, torna al gioco. Again, vi assicuro che durante le missioni si salva spesso, è un gioco stealth, è facile mandare tutto a donnine allegre perché si viene sgamati a 4 passi dall'obiettivo.

Ultima fonte di scomodità, la telecamera durante la sense mode. La sense mode è una modalità speciale di cui parleremo più avanti. Per ora, quel che voglio puntualizzare è che, mentre nel gioco normale la telecamera funziona normalmente (io non ho avuto particolari problemi col mouse, ma altri sì, non saprei dire se sono io tollerante o meno), in sense mode è bloccata alla visuale corrente. Cioè, attivata la sense mode, il mouse non ruota la visuale, per ruotarla bisogna disattivare la sense mode, ruotare la visuale e riattivare la sense mode. I santi stanno ancora risalendo in Paradiso con la scaletta dall'ultima volta che li ho tirati giù.

Fattaci la croce che, per giocare a Seven, bisogna convivere con queste difficoltà, il gioco presenta finalmente le sue features migliori, che compongono il cuore del gameplay. Siccome interpretiamo un ladro, l'approccio diretto dello “spacco tutto” è possibile ma è il più difficile da attuare (a parte alcuni momenti in cui è obbligatorio, senza logica alcuna... tu costruisci un intero gioco basato sullo stealth e poi mi costringi ad affrontare il boss in singolar tenzone? Ok.). I metodi alternativi sono preferiti e sono parecchi. E' possibile nascondersi nelle ombre (e nei cespugli) e farsi strada così, evitando le guardie e le telecamere; è possibile darsi all'hackeraggio selvaggio e disattivare tutte le telecamere; è possibile colpire alle spalle singoli obiettivi, in modo da eliminarli strategicamente; è possibile, ancora, trovare o sottrarre un travestimento e usare quello per andare in giro liberamente in aree private; è possibile borseggiare la gente, recuperando password e chiavi per aprirci il passaggio, o è possibile usare i grimaldelli per aprire alcune porte.
Questa libertà d'azione è accentuata dalla possibilità di arrampicarsi: è figo trovare sistemi creativi per arrivare ai nostri obiettivi, o per sfuggire a una guardia. E' possibile, ad esempio, infiltrarsi in un palazzo “neutro” per poi saltare di tetto in tetto e arrivare alla zona che ci interessa, che dabbasso è pesantemente controllata, ma dall'alto è più vulnerabile.

Seven è open world e tende a dare molta libertà al giocatore. Cerca anche di essere abbastanza reattivo, sebbene qualche volta il risultato non sia l'ideale. Per esempio, è interessante il comportamento delle guardie quando siamo travestiti: ci ignorano finché siamo a distanza, ma se andiamo molto vicino a uno di loro o se ci comportiamo stranamente (es, ci arrampichiamo, corriamo invece di camminare ecc), loro cominceranno a sospettare. Se restiamo nella loro visuale troppo a lungo mentre siamo intenti a un “comportamento sospetto”, loro capiranno che non siamo chi diciamo di essere e diventeranno ostili. Molto bello e funzionale. Peccato invece per il sistema di “relax” delle guardie: basterà andare a nascondersi in una fratta per pochi secondi e amici come prima, le guardie smetteranno di seguirci e se ci vedranno di nuovo non ci riconosceranno.
Ancora, in alcuni casi il gioco limita la libertà d'azione senza motivo: per esempio, alcune porte non sono scassinabili senza chiave. Ma perché? Ho capito, il gioco vuole a tutti i costi che recuperiamo la chiave, ma perché? Non sarebbe stato meglio fare una missione ad hoc in cui Teriel recuperava un particolare grimaldello elettronico ed eventuali add-on per le porte più speciali? Se proprio vuoi bloccarmi, un po' di fantasia: se la serratura è normale e io sono un ladro fighissimo capace di aprire di tutto, non ha senso (ed è noioso) costringermi a cercare una stupida chiave.

Parlavo della sense mode, o modalità percezione: questa modalità ci permette di analizzare quel che ci circonda per ricavarne informazioni particolari. Ad esempio, se c'è una telecamera, vedremo il filo della corrente, in modo da capire da che punto bisogna disattivarla. Se puntiamo un nemico, vedremo il suo raggio visuale, quanta vita ha, e quanto è forte. Se cerchiamo indizi li scoveremo e scoveremo anche nascondigli segreti.
Durante la sense mode, il tempo viene rallentato, ma non si ferma. Questo vale per quasi tutto quel che facciamo in Seven: prendiamo roba da una cassa? Il tempo scorre, quindi qualcuno potrebbe passare e coglierci con le mani nel sacco. Hackiamo una porta? Il tempo scorre, quindi, di nuovo, qualcuno potrebbe beccarci. Scasso e hackeraggio sono due minigames, quindi più tempo ci mettiamo a completarli, più possibilità abbiamo di esser beccati (sono comunque facili).

Il combattimento di Seven è gestito quasi come un action. Dico quasi perché è più scomodo... e anche questo non si capisce bene come funziona. Il tutorial parla di combo, ma non sono mai riuscita a capire se le stavo facendo o meno, per esempio. Io mi limitavo a cliccare col sinistro furiosamente, o col destro se volevo fare l'attacco speciale.
Ci sono diversi colpi speciali ed è possibile schivare e rotolare via durante il combattimento, in modo molto simile a quanto visto in Witcher 2.
E' possibile dare colpi alle spalle, ma non è detto che si uccida l'obiettivo al primo colpo: se questi ha vita Bassa, sì; se ha vita Media o Alta, no. E' comunque possibile fuggire e nascondersi subito, per ri-colpirlo dall'ombra successivamente.

Un altro aspetto particolare è il modo in cui Teriel passa di livello e guadagna abilità. Teriel può installare dei Chip che gli danno delle competenze di base (lui parte con quelle del ladro, per esempio, ma c'è il Chip del cercatore, dell'assassino, ecc ecc.). Ogni chip ha diversi slot attivi e passivi: qui, Teriel può installare chip più piccini, che gli daranno abilità supplementari, da usare e/o da upgradare. L'installazione di questi chip è legata al Nettare, una sostanza che si trova sparsa per il mondo di gioco e che può essere accumulata.
Tutta questa storia viene spiegata malissimo dal gioco, tant'è che a diverse ore dall'inizio io non l'avevo capita. Non si passa di livello: si installano nuovi chip grazie al Nettare recuperato. Il sistema funziona, sia chiaro: la spiegazione no.

E' presente un sistema di crafting, pesantemente importat-erhm, ispirato a The Witcher 2. Non l'ho usato molto, non amo il crafting. Non è troppo complicato, comunque: si ottengono le varie ricette, si leggono gli ingredienti, e poi si va a caccia degli stessi. Per ottenerne alcuni bisogna smantellare roba che si ha già (es, smantellando una giacca di cuoio di ha un Elemento Cuoio, per dire).

Ma, direte, Gwen, ci hai parlato per tre ore del gameplay e tutto, ma non ci dici nulla della storia?
Non ve ne ho parlato perché questo è il secondo grande problema di Seven: la storia è lì tanto per esserci. Non è di per sé piatta e banale, ma è sterile, priva di emozione e di vita. L'ambientazione del gioco è anche interessante, ma non ci sono personaggi memorabili neanche a pagarli oro, e senza di loro l'ambientazione è solo una collezione di lore e, ricordiamolo, ammucchiare 10.000 entries di lore non è così difficile. Qualsiasi master di D&D avrà il suo mondo con centinaia di migliaia di anni di storia dell'universo pensati nei dettagli: è roba senza valore se non c'è qualcosa che dia vita a tutto questo.
Qui, non c'è. Teriel e Artanak sono un filo meno anonimi di tutti gli altri, ma anche loro non prendono mai davvero vita: non hanno complessità, non hanno conflitti, niente. Teriel è sborone, Artanak è un po' un so-tutto-io, sono simpatici da leggere, fine. Ve li scorderete dopo una settimana dalla fine del gioco.
I dialoghi, ovviamente, non sono meglio: quando va bene sono meramente funzionali, ossia danno le info che servono al giocatore; quando va male sono poco verosimili.
Non c'è una skill legata al dialogo né ci sono casi in cui qualcosa si risolve parlando.

Ho letto alcune recensioni in cui Seven è paragonato a Diablo, per la vena action e per la poca interazione con i personaggi: no. Non ho idea di chi abbia pensato di affrontare Seven come un Diablo, ma al di là del gameplay, questo non è vero per i personaggi e la storia. La storia di Diablo 1 è stata fatta mettendo assieme roba creata all'ammuzzo da uno degli sviluppatori: si son trovati sti pezzi di quest e li hanno legati insieme a caso. Non sto scherzando, leggete questo, è la verità.
Ebbene, Diablo 1, come storia e ambientazione, resta molto più impresso di Seven. Tutt'oggi, a più di 10 anni di distanza da quando giocai Diablo 1, ancora ricordo chiaramente frasi, dialoghi, quest, atmosfera... E sempre oggi, a meno di una settimana dall'ultima volta che ho toccato Seven, non ricordo un personaggio che sia uno, a parte Teriel, di cui comunque non ricordo neanche una battuta.
Quindi, reparto “storia e narrazione” = 2. Sorry.

Resta il comparto grafico e sonoro. La grafica è... fumettosa. Non so come altro definirla, ha una colorazione fumettosa, mi ricorda un pochino i giochi TellTale. L'ho vista criticata in molte rece, ma io l'ho trovata molto carina, invece. Teriel è un tipo sopra le righe, sempre pronto a sdrammatizzare: ci sta una grafica un po' “spaccona”. Inoltre, certe aree sono davvero ben fatte, con tanti dettagli e dei bellissimi colori. Mi son piaciute specialmente le aree più “strane” (non voglio fare spoiler, diciamo che Teriel non sempre agirà “nel mondo reale”), che sono ben rese.
Le aree sono anche molto vive: quasi tutto ciò che sembra apribile, è apribile; diversi pavimenti fanno rumori diversi (e attirano l'attenzione più o meno a seconda anche del materiale dei vostri stivali); è possibile nascondersi dietro edifici, oggetti o altro per ottenere copertura; si può spiare dalle finestre... insomma, kudos per le aree di gioco.
La OST è bellissima: dalla musica del menù, a quelle delle battaglie, alle musiche delle aree... splendide, tutte quante. Bene anche per gli effetti sonori.
Ottimo anche il supporto post-uscita: eventuali bug vengono aggiustati una volta segnalati, e comunque l'utenza non mi è parsa abbandonata a se stessa.

Il gioco è disponibile anche in italiano, nei sottotitoli, mentre il doppiaggio resta in inglese. Ho avuto modo di provare la traduzione italiana in anteprima, ed è di buona qualità; inoltre, il team è pronto a correggere eventuali refusi nelle varie patch.

In conclusione, mi dispiace dover dare a Seven solo un Da Provare. E' un gioco dal grande potenziale che regala tante ore di divertimento e fa spremere le meningi per trovare soluzioni nuove e alternative agli ostacoli lungo il percorso. Ma i due problemi da cui è afflitto lo azzoppano troppo. La confusione è il più grave, perché rende frustrante l'atto stesso di giocare. C'è stato chi ha provato il gioco e poi mi ha detto di averlo abbandonato perché era troppo faticoso: non posso dargli torto, se uno ha due orette di tempo per giocare, vorrebbe farsi una missioncina o due, non perdere 1 ora solo a capire i segreti del combattimento, che dovrebbero essere palesi fin da subito.
Il secondo problema è la storia; è un problema secondario perché la varietà e la ricchezza del gioco compensano questa mancanza e se non ci fosse anche la confusione non le darei grande risalto. Ma questo è uno degli elementi più importanti per far ricordare un gioco e per farci tornare i giocatori. Non serve neanche una storia complessa come quella del Witcher; ma servono elementi “umani” abbastanza verosimili e particolari da far interessare il giocatore. Sono moltissimi i giochi in cui la storia è secondaria al gameplay (molti RPG, peraltro: lo stesso Fallout 1 non è che uno se lo ricorda per la storia appassionante della ricerca del chip dell'acqua, per dire...), ma tutti questi giochi non solo hanno creato un'ambientazione figa, l'hanno anche resa in qualche modo “viva”, popolandola di esseri umani, non di bambole porta-quest. Come ho detto, Seven “perde” persino contro Diablo da questo punto di vista, ed è peccato.
Chi riesce a superare questi due scogli, si divertirà a giocare a Seven, perché è un gioco che ha molto da offrire. Ma per tutti gli altri, conviene passare a qualcos'altro.

Seven: The Days Long Gone ora disponibile sugli store online

Vi abbiamo già parlato di Seven: The Days Long Gone, l'rpg isometrico della Fool's Theory che ci permette di esplorare le aree di gioco in altezza, grazie alle doti da "arrampicatore" del protagonista.

Ebbene, il gioco è adesso disponibile su Steam, GOG e Humble Store.
Ricordiamo che nel gioco noi interpretiamo Teriel, un ladro gettato sull'isola-prigione di Peh, che dovrà dare fondo a tutte le sue abilità per riuscire a sopravvivere.

Il gioco è in sconto su tutti e tre gli store, al momento, e questa sera sarà possibile vedere un'anteprima delle prime aree sul nostro canale Twitch!

Giochiamo insieme a All Walls Must fall

Di rpg non siamo mai stanchi: oggi vi mostriamo All Walls Must Fall, rpg strategico della inbetweengames, ambientato nella Berlino del 2089, dove il comunismo non è mai terminato e il muro non è mai caduto.

Nel video vediamo, al solito, una mezz'ora del gioco, prendiamo confidenza con i comandi, impariamo a gestire il tempo e a pianificare i nostri attacci con accortezza... e passiamo una serata in un gay bar. Per la Missione, questo e altro!

Giochiamo insieme a Open Sorcery! E vinciamo una key!

Il buon Ancient continua a mostrarci Open Sorcery, l'avventura di Abigail Corfman in cui seguiamo le vicende di un Firewall Elementale, fra minacce e nuove scoperte.

Questa volta, abbiamo deciso di lanciare un piccolo contest per chi guarderà il video! Il primo che ci dirà qual è la soluzione del secondo indovinello del gioco, vincerà una chiave Steam di Open Sorcery! Commentate sul forum se conoscete la soluzione!

Open Sorcery su iOS

Open Sorcery su Android

The Mind Electric

 
Cosa è la mente se non movimento nella sfera intellettuale?
- Oscar Wilde
 
The Mind Electric è un'avventura testuale a parser scritta da Jason Dyer, autore abbastanza prolifico e attivo da molti anni, nonché autore di un bellissimo blog dedicato alla storia dell'interactive fiction.
Nel 1995 The Mind Electric si è classificata al secondo posto (parimerito con Toonesia di Jacob Weinstein) nella primissima edizione dell'IFComp, dietro ad A Change in the Weather
 
The Mind Electric è un'avventura testuale a parser, a tema cyberpunk, ambientata dentro un mondo virtuale che sembra preso direttamente dalla fantascienza degli anni '90. Nel gioco interpretiamo l'avatar della nostra mente, intrappolata in una strana prigione virtuale dalla quale dovrà riuscire a scappare con l'aiuto di un misterioso benefattore all'esterno della simulazione. 
L'idea è affascinante e durante il gioco ci vengono offerti alcuni interessanti accenni di un background più ampio: non sappiamo chi ci ha imprigionato, ma sappiamo che fuori dalla realtà virtuale c’è una guerra, che dura da molto tempo e che vede due fazioni contrapporsi fra loro.
Lo stile cyberpunk che domina il gioco è reso bene ed è perfettamente in linea con le tipiche fantasie degli anni '90, da William Gibson fino a Il Tagliaerbe
 
Il mondo di gioco è di dimensioni piuttosto ridotte, con una geografia che rende bene l'idea di trovarsi in strani spazi virtuali. 
Le descrizioni sono brevi, ma sufficientemente evocative, e mettono bene in risalto gli oggetti con cui è possibile interagire.
 
 
Il gameplay di The Mind Electric è prevalentemente di natura enigmistica, con puzzle ben congeniati e piuttosto intelligenti. Tuttavia, come era tipico di quegli anni, The Mind Electric resta un gioco molto difficile e -seppur non in modo sleale- la maggior parte degli enigmi ha veramente troppi pochi indizi per rappresentare una sfida appagante per il giocatore moderno; questo rischia di scoraggiare gli avventurieri meno motivati. Un vero peccato, perché gli enigmi -quando si riesce a risolverli senza ricorrere al sistema di indizi- danno veramente soddisfazione.
Questo mette in luce un aspetto della community dell'interactive fiction tipico di quegli anni: ai tempi della prima edizione dell'IFComp si iniziava a parlare di giochi troppo “crudeli”, dei limiti di tempo da eliminare, dei vicoli ciechi, dei giochi da rendere più brevi e accessibili; insomma, si iniziava a discutere di come rendere più accessibile e amichevole il genere. Tuttavia non si parlava ancora abbastanza del livello di difficoltà, che allora (un po' in tutti i generi, a dire il vero) era molto più alto di quello odierno (e che certamente rappresentava una barriera all'ingresso per molti giocatori). Basti dire che all'epoca questo The Mind Electric (ma anche il vincitore di quell'anno A Change in the Weather), era sì considerato un gioco con enigmi dotati di troppi pochi indizi, ma non un gioco troppo difficile in sé...
 
 
Tuttavia, per chi gioca con l'aiuto del sistema di hint o della soluzione, la principale occasione mancata di The Mind Electric resta l'insufficiente sviluppo della trama: nel corso della partita viene solo accennata, per poi essere svelata tutta insieme nel finale, in un unico grande blocco di testo. Un vero peccato, perché l'atmosfera c'era tutta e anche il messaggio veicolato dal gioco era interessante; avrebbe decisamente meritato uno sviluppo migliore. 
 
"È un fatto - o l'ho sognato - che, per mezzo dell'elettricità, il mondo della materia è diventato un grande nervo, vibrante migliaia di miglia in un impetuoso punto del tempo?"
- Nathaniel Hawthorne
 

Murder

Minori, agente della Polizia Metropolitana di Tokyo, ha un brutto incubo ricorrente che riguarda un robot senziente. Ormai ogni robot che vede le ricorda quello del sogno e riesce a innervosirla – e come se non bastasse, deve andare a indagare un nuovo caso di omicidio. Come andrà a finire?

Murder è un'avventura cyberpunk punta e clicca creata da Peter Moorhead, autore di Stranded. Dura circa 15 minuti e la storia è esattamente quella che vi ho riassunto sopra. Come dite? Manca il finale? No, il finale non c'è. In verità, manca proprio una storia di qualche tipo: al massimo possiamo dire che qui c'è l'inizio di una storia. Ho vagamente capito che l'idea sarebbe quella, originalissima, dei robot che prendono coscienza e si ribellano agli umani. Almeno, credo di aver capito questo. Ma è un'idea messa lì, non c'è uno sviluppo, non c'è un obiettivo, non c'è *niente*. Anche le poche azioni che facciamo nel gioco hanno poco o zero senso. Minori va alla scena del crimine, le comunicano che la sua presenza è inutile (che ci siamo andati a fare allora???), lei torna a casa e “scopre” il killer (cioè, presumibilmente. Lei ci dice che è così, ma non c'è alcun nesso logico che la faccia arrivare a questa conclusione. Potrebbe essere paranoia? Non lo sapremo mai).

L'ambientazione è altrettanto anonima: questa Tokyo cyberpunk non ha né il tempo né lo spazio di mostrarsi ai nostri occhi in qualsivoglia dettaglio. È tutto tecnologico, e ci sono i robot. Fine del dettaglio.

Enigmi non ce ne sono e l'interazione, di qualsiasi tipo, è scarsissima. Si tratta di cliccare per esaminare oggetti o per passare da una location all'altra. Minori compie le pochissime azioni bene o male da sola.

Si salvano l'aspetto grafico e quello sonoro. Le locations e i personaggi sono carinissimi, da fan della pixel art non ho potuto non apprezzare. E la ost è molto bella, crea la giusta atmosfera, senza la quale anche quel minimo di senso che si può raccogliere dalle scenette sparse verrebbe a mancare.

Il doppiaggio è bruttino, invece, e non se ne sarebbe sentita la mancanza (peraltro: sviluppare un minimo di trama invece di perdere tempo a doppiare dialoghi insulsi?).

Non posso consigliare questo Murder neanche agli appassionati di cyberpunk, perché sarebbe come consigliare uno slideshow su Legolas ai fan del Signore degli Anelli: ve lo potete fare a casa, gratis, e probabilmente meglio. Lo stesso vale per Murder: volete una detective story cyberpunk? Sedetevi sulla poltrona o stendetevi sul letto e immaginatela, avrete più di quanto avreste, pagando, con Murder.

Transistor

Red è una cantante a cui è stata rubata la voce. Ha appena scampato un tentativo di omicidio. Il suo amico non ha avuto la stessa fortuna. Red sfila la spada – il Transistor – dal suo petto. Lui è ancora lì, le parla attraverso il Transistor, e forse i suoi assassini conoscono un modo per ridargli un corpo. Tutto sta nel trovarli senza prima essere falcidiati da qualche robot.

Transistor , il gioco che INDIEtro Tutta vi presenta questa settimana, è un action-leggermente-rpg della Supergiant Games, gli stessi dietro la creazione di Bastion. Che la sottoscritta non è riuscita a giocare causa incapacità di controllare il personaggio principale, quindi non può fare paragoni approfonditi fra i due titoli.

Quello che sicuramente accomuna Transistor e Bastion è Logan Cunningham: voice actor del Narratore in Bastion, in Transistor è l'amico di Red, intrappolato nella spada, che le parla durante la loro avventura. Fa un po' da filo portate della storia, perché è quasi l'unica voce che sentiremo per tutto gioco e perché Transistor si degna di considerarci intelligenti e raramente spiega qualcosa al giocatore di quel che è successo, che rapporti ci sono fra i personaggi e cosa stiamo andando a fare. È tutto evidente dal contesto e dai commenti dell'amico di Red, che comunque non sono MAI rivolti a noi-giocatore ma sempre a Red nel contesto della storia. Vero, c'è una specie di Codex nel gioco – ne parliamo poi – ma non è essenziale alla comprensione della storia: aggiunge dettagli e flavor, ma se non ci fosse si capirebbe tutto benissimo lo stesso.

I personaggi principali, ossia Red stessa e il suo amico, sono ottimamente tratteggiati e le loro personalità risaltano da ogni loro linea di dialogo e mossa. La natura e i confini del loro rapporto sono ben delineati. Forse ancora meglio gestito dell'amico di Red – i cui commenti si adattano alle nostre azioni, come già succedeva coi commenti del Narratore in Bastion – è Red stessa. Nonostante non possa parlare, può esprimersi perfettamente tramite azioni, silenzi, esitazioni e qualche rara linea di dialogo scritta su un terminale. I suoi sentimenti e le sue motivazioni sono sempre ben chiare e il suo silenzio a volte si fa sentire molto più delle chiacchiere del suo amico.

In tutta questa meraviglia, qualche linea di dialogo un po' forzata c'è, ma la forzatura è in parte giustificata dal fatto che l'amico di Red parla *anche* per riempire il silenzio dell'amica. Dice cose che sanno entrambi non (solo) per farle sapere a noi giocatori, ma sopratutto per tenere vivo il contatto con Red, per farle capire che è ancora lì.

L'ambientazione, un cyber-punk molto “animoso”, risente un po' del fatto che noi la vediamo solo *dopo* l'incidente dell'inizio del gioco, ossia ormai desertificata e “invasa” da... cose di cui non voglio dirvi nulla. Qua e là vediamo sprazzi di come doveva essere in tempi più pacifici, ed è peccato che non ci sia dato esplorarla dal vivo in quelle situazioni. Ritiene gran parte del suo fascino, grazie anche alla colonna sonora, bellissima, che a volte fa da sfondo e a volte integra la vicenda, come quando potremo far canticchiare Red sul palcoscenico.

Per quanto bella, la storia non è perfetta e pecca nel finale, troppo affrettato e in un certo senso semplicistico. La minaccia che incombeva così feroce su tutta la città viene sedata in quattro e quattr'otto, scontro finale e poi... non ve lo dico. Si poteva fare di meglio, dando un po' più spazio alla risoluzione del problema principale del gioco e poi scivolando nel resto del finale (quello che riguarda Red e l'amico e che invece è perfetto).

I personaggi secondari sono pochi e a ognuno è dedicato il suo spazietto, sufficiente per il ruolo che devono ricoprire e capaci in questo poco spazio anche di regalare qualche sorpresa.

Veniamo al gameplay. Dicevo che Transistor è un action-leggermente-rpg, ma cosa significa questo? Essenzialmente, ogni area del gioco è divisa in due o più scenari ben delimitati, in cui una selva di robottini tenteranno di farvi la pelle. Voi potrete farli fuori in tempo reale o in un particolare scenario a turni. Red può infatti bloccare il tempo e inanellare una serie di “mosse” (abilità, spostamenti, la qualsiasi) per poi riavviare il tempo e vedere che effetto hanno avuto le sue mosse sugli avversari. A quel punto, prima di poter bloccare il tempo di nuovo, sarete costretti a qualche secondo di Real Time. È uno stile di combattimento molto tattico ma non per questo meno frenetico, grazie al susseguirsi di “turni/tempo reale” e all'elevato numero di nemici negli scenari. È anche possibile non usare mai i turni, ma il gioco non è stato pensato per questo approccio ed è un po' darsi la zappa sui piedi da soli.

Il peccato è che gli scontri non sono mai davvero difficili o complicati e raramente richiedono di aguzzare davvero l'ingegno. Sono fatti molto meglio quelli opzionali, che potrete affrontare in una location che fa da oasi per la nostra Red, una spiaggia privata accessibile qua e là per la città. Tutti gli scontri del gioco dovevano essere in *quel* modo. Forse potevano anche essere aggiunti più tipi di nemici: oltre un certo punto, sono sempre gli stessi, ma più potenti.

È ancora possibile complicarsi la vita attivando i Limiters, sbloccabili passando di livello. I Limiters vengono applicati ai nemici per aumentarne la difficoltà: è possibile aumentare il danno che fanno, oppure i loro scudi o il numero e così via. Praticamente, avete un controllo della difficoltà sempre sotto mano e molto flessibile, è fighissimo.

La componente RPG, e uso "RPG" in senso molto lato, sta nelle abilità a disposizione di Red. Ogni abilità può essere infatti usata in tre modi diversi: come abilità attiva (es. un'esplosione che colpisce i nemici); come modifica ad altre abilità (es., qualcosa che aumenta il raggio d'azione di un'altra abilità); e come abilità passiva (es. un aumento della difesa su Red). L'arsenale di Red è quindi molto personalizzabile a seconda dello stile che desiderate adottare. Il gioco incoraggia la sperimentazione di nuove combinazioni: ogni abilità è infatti legata a un personaggio e usandola almeno una volta in ognuno dei tre modi, sbloccheremo la biografia di quel dato personaggio, cosa carina per i più curiosi. Ci sono abilità o combinazioni decisamente più potente di altre, ma non mi è sembrato che ci fosse solo *una* soluzione migliore o una build assolutamente più buona delle altre.

Il gioco presenta una modalità Recursion, ossia la classica New Game +, che ovviamente è molto più tosta e permette di sbloccare abilità e limiters più potenti.

Graficamente, il gioco è stupendo. Lo stile dei disegni delle cutscenes, la palette dei colori, la stessa grafica del gioco creano un'atmosfera dark ma “animosa” molto carina. La OST è ottima, risaltano forse i pezzi cantati da Red, ma anche quelli orchestrali sono molto suggestivi.
Bonus point per le animazioni, che forse sono poche (per me no, ma mi pare di aver letto così online e io potrei non aver notato la carenza, giocando) ma sono molto ben fatte e caratterizzano bene i personaggi, specialmente Red.
Piccolo problema grafico: qualche volta gli oggetti dello scenario nascondono i nemici. È scocciante e si poteva evitare con un effetto “fantasma” quando il mouse passa sul punto in questione. Come sapere dove mirare, se non si vede il nemico?

Quando ho cominciato Transistor mi aspettavo il classico “gioco narrativo”, ossia una cosa molto bella da vedere, dai controlli difficili e comunque dal gameplay scialbo. Invece, ho trovato un gioco molto curato, non sono dal punto di vista narrativo. Transistor ha le sue pecche, ma il risultato è lo stesso un bel gioco che vale la pena, se appena piace il genere.

Dex

Cyberpunk, IA pazze, malefiche mega-corporazioni, la VeraAmicizia, città buie invase dallo smog e dalla corruzione... Tutto già visto e già sentito, ma è qualcosa che i fan del genere continuano ad apprezzare. D'altronde, il genere non ha esaurito le sorprese che può riservarci, come abbiamo visto con l'ultimo Deus Ex e con la serie di Shadowrun. Cos'avrà in serbo per noi Dex, allora? Scopriamolo con INDIEtro Tutta.

Dex è un picchiaduro a scorrimento barra RPG barra platformer, ambientato in un mondo cyberpunk in cui noi impersoniamo, appunto, Dex, la tizia dai capelli blu che vedete qua in giro.
Ve lo dico subito, l'originalità non è proprio il pane quotidiano di questo gioco. Partiamo dalla trama.

Immaginate. Vi trovate nella vostra casetta, il classico buco che gli scenari cyberpunk affibbiano ai poveri cittadini schiavi del sistema. È comunque il vostro buco, e ci restate un po' male quando dei mercenari armati fino ai denti ci entrano, cercando di ammazzarvi e costringendovi a fuggire. Per fortuna, avete un aiuto: Raycast, l'hacker supremo, che vi guida verso un'isola di salvezza e vi spiega che la pacchia è finita: a quanto pare voi siete il seme di una terribile IA, Kether, e vi danno la caccia per uccidervi. Dovete rimboccarvi le maniche e combattere il Complex, un mega-gruppo di tizi pronti a rilasciare una versione controllata di questa IA, che garantirà loro il totale controllo su tutti i mezzi d'informazione (cioè, incluso internet: lo so che per quel che riguarda radio e TV abbiamo già abbandonato le speranze).

Al vostro fianco ci saranno Decker, amico/figura paterna/possibile amante; Tony, simpatico ciccione orientale; e lo stesso Raycast, Hacker della Madonna nonché l'unico che fino ad ora è stato capace di assestare qualche colpo al Complex.

Come vedete, le premesse non sono da strapparsi i capelli e bene o male anche gli sviluppi della storia sono facilmente immaginabili. Anche i personaggi ricadono nei soliti stereotipi: peccato che almeno Dex non sia stata approfondita maggiormente, perché in questo modo tutta la storia cade piatta, visto che ha zero effetti sull'inesistente psicologia della nostra protagonista.

Più interessanti alcune missioni secondarie, di cui il gioco è pieno. Non offrono la varietà che si vede in titoli dal diverso budget (beh), ma spaziano dal classico “elimina quella banda di stronzi” al “trova una persona scomparsa”, “recupera il mio oggetto” e via così. Come vedremo, possono essere affrontate in modi diversi. Soprattutto, presentano personaggi e conflitti un minimo interessanti: carina la quest del ragazzo scomparso, per esempio, o quella della diva che sta invecchiando e perde quindi la sua voce. In generale, le sotto-quest mostrano la società di Dex molto meglio della storia principale e lo fanno graziandoci con personaggi che sembrano almeno un po' tridimensionali.

Il gameplay, invece, è più complesso. È a scorrimento, ma nelle aree si avverte comunque una certa complessità grazie al fatto che sono costruite in verticale. Dex può arrampicarsi sui palazzi, sulle scale, sui balconi e, se equipaggiata con un particolare upgrade, può arrivare ancora più in alto, a zone prima inaccessibili. Esplorare è un piacere in Dex, perché quasi ogni anfratto nasconde una piccola ricompensa. Anche entrare nell'appartamento di uno sconosciuto e leggergli la posta, per esempio (ehm) – sconosciuto che poi magari incontreremo in una missione e potremo fare tesoro di quanto spiato in casa sua ^^.

Ma dicevamo. Il grosso del combattimento avviene in corpo a corpo o con la pistola. La pistola, imho, è molto più scomoda: richiede di tenere premuto CTRL, puntare col mouse, sparare... mentre per il corpo a corpo basta premere il tasto sinistro del mouse e SHIFT per parare. Senza contare che arma e proiettili costano, mentre pestare con i pugni è gratis.

È comunque possibile scegliere la via che si vuole per completare il gioco, anche se occasionalmente saremo quasi costretti a usare l'uno o l'altro mezzo. Le abilità contano tanto quanto: sono molto più importanti i nostri (del giocatore) riflessi, anche se spendere qualche punto per aumentare il danno del 50% di certo aiuta.

Questo vale per tutte le abilità di Dex, tranne lo scassinamento. Per esempio, ho giocato quasi tutto il gioco con zero punti in una qualsiasi forma di combattimento. È solo questione di pazienza: parare i colpi nemici, scappare quando vengono caricati quelli che non è possibile bloccare e durante le aperture piegarli di colpi. Non mi disturbavo neanche a curarmi, e ho girato per gran parte della storia con tipo 50 HP scarsi. Con la pistola, il discorso si complica, e quando incontrate nemici armati di mitra qualche colpo ve lo prendete (a meno di aver già trovato un'armatura fighissima che vi rende quasi immuni). Ma, fino alle aree finali, la vostra abilità sarà più importante dei punti della vostra Dex.

La stessa cosa vale per l'hacking. Sì, perché Dex è anche lei una Hacker della Madonna, può connettersi senza impianto neurale a qualsiasi cosa, quindi saranno numerose le incursioni nel cyberspazio. In verità, alcune sono facoltative, ma il discorso cambia verso la fine del gioco, le cui sequenze finali sono tutte, obbligatoriamente, nel cyberspazio.

Comunque, durante l'hacking ci troveremo di fronte a uno shoot' em up: dovremo farci strada fino ai file che ci servono sparando selvaggiamente a qualsiasi cosa ci venga incontro (o quasi. I cosi viola meglio non toccarli...). Alcune sequenze di hacking sono abbastanza toste, dovremo essere svelti e fare giri assurdi per non esser colpiti. Essere colpiti ci fa perdere Focus. Finendo il Focus, verremo disconnessi a forza e perderemo 50 HP. È sempre possibile riprovare l'hackeraggio, se si ha Focus a disposizione.

Durante le fasi finali del gioco, come dicevo, la musica cambia. I nemici saranno *a pacchi* e a quel punto investire qualche punto in una delle abilità di combattimento diventa obbligatorio. Anche l'hacking si fa selvaggio e obbligatorio, quindi tocca spendere qualche punto nella relativa abilità.

Tutto sommato, l'ago della bilancia pende sempre in favore delle vostre abilità: se spendete pochi punti ce la farete lo stesso, probabilmente in più tempo, ma non è proprio impossibile.

Discorso diverso per l'abilità di scassinamento, che o ce l'avete, o non scassinate niente, fine. Anche il Carisma funziona in maniera simile: avere dei punti nell'abilità sblocca alcune linee di dialogo... ma alla fine dovrete capire voi qual è quella giusta per convincere il pg con cui state parlando.

Questo mix di “abilità del pg” + “abilità del giocatore” non mi è dispiaciuto. Il problema, secondo me, sta più nell'improvviso picco di difficoltà verso la fine del gioco, che costringe un po' a cambiare strategia. Gli sviluppatori si sono sforzati di prevedere diversi approcci alle varie situazioni, ed è possibile quasi sempre scegliere se ammazzare tutti, nascondersi, o hackerare ogni cosa che ci si piazzi di fronte. Questa varietà manca alla fine, quando alcuni passaggi diventano obbligatori e allora o li fai o li fai.

Anche a questo scopo, sospetto, sono state inserite le tre armature speciali, che facilitano parecchio una l'hackeraggio, una il corpo a corpo, una lo stealth. In questo modo, anche chi ha scelto, per esempio, di focalizzarsi sull'hacker, ha una chance nelle fasi finali piene di combattimento.

La grafica e il sonoro sono nella media. La palette utilizzata mi piace molto e anche i disegni che costituiscono le cutscenes sono graziosi. Ho apprezzato molto le animazioni di Dex, specialmente quelle del salto. Quelle dei nemici sono ripetitive, ma è voluto, per far sì che il giocatore capisca che tipo di colpo stanno preparando e possa quindi parare/scappare/contrattaccare all'occorrenza.

Nel complesso, Dex non è un gioco che vi ricorderete per tutta la vita, ma la varietà di approcci e situazioni che presenta può farvelo apprezzare. Il mix di "gioco di ruolo e picchiaduro" funziona così così: il gioco è fortemente sbilanciato. Se ne rende conto, però, e dà degli strumenti al giocatore per ri-bilanciare la questione; che non è la soluzione migliore, ma meglio di niente. Dex può divertire per qualche ora e chi ama il cyberpunk si troverà a casa, ma non rivoluziona nulla di nulla.

Last Word

Nel mondo di Last Word, il massimo potere è esercitato da chi riesce ad avere l'Ultima Parola nei discorsi: in quei preziosi momenti in cui l'avversario non sa cosa ribattere, è possibile suggestionarlo e fargli fare tutto quello che vogliamo. L'efficacia dell'Ultima Parola è dimostrata dalle scaramucce verbali in cui perdono il loro tempo gli aristocratici e anche dalle battaglie contro altre nazioni, che è possibile piegare con la giusta sequenza di frasi.

L'eminente professor Chatters sta lavorando proprio al prototipo di un'arma capace di avere sempre l'Ultima Parola... e ha deciso di testarla sui suoi ospiti! Nei panni di Whitty Gawship, nobile decaduta, dovremo riuscire a scoprire come sfuggire all'influenza del professore.

Last Word, il gioco che INDIEtro Tutta vi presenta questo venerdì, è un RPG che sostituisce i cazzotti e le magie con le battaglie di parole fra i personaggi. Se, leggendo questa frase, pensate che avrete a che fare con un complesso dialogue system con cui insultare il nostro avversario, sarete (purtroppo) delusi. Il sistema di combattimento di Last Word è molto simile a un qualsiasi sistema di combattimento a turni: semplicemente, le varie “mosse” con cui potremo colpire l'avversario e “curarci” sono legate all'arte della discussione e non a quella spada.
Immaginate che invece di cliccare: “Magia – Palla di Fuoco”, clicchiate “Aggressivo – Comune” (a indicare l'uso di una frase aggressiva di tipo comune).

Con questo non voglio dire che il sistema di combattimento di Last Word sia banale o semplicistico. Però, mi aspettavo qualcosa di più specifico al tipo di gioco e di universo proposto.

Il sistema che invece troviamo è abbastanza complesso da essere interessante da padroneggiare e molto più facile da usare che da descrivere. Avremo a disposizione due barre: quella del Potere e quella del Tatto. Bisogna accumulare Potere, tramite l'uso di frasi “disturbanti” (Disruptive), per poi trasformarlo in Tatto, con frasi “remissive” (Submissive) che poi verrà usato, con frasi “aggressive” (Aggressive) per spostare il discorso a nostro favore (questo simboleggiato dalla posizione di un segnapunti su una barra nella parte sottostante dello schermo).

Ogni tipo di frase può essere “declinata” con tre toni diversi: sfumato, comune e diretto (più o meno, subtle, common e overt). Questi tre toni funzionano un po' con la logica del sasso-carta-forbice: il tono common magari “sconfigge” il tono “subtle”, facendo perdere contegno (composure) al nostro avversario. Meno contegno ha il nostro avversario, più potenti saranno le nostre frasi aggressive.

Un casino, eh? In verità, benché in rete abbia letto di quanto è difficile il combattimento, una volta capito come funziona non è così arduo. Bisogna, naturalmente, fare attenzione a quel è la strategia adeguata al singolo incontro, esaminando le abilità del nostro interlocutore e le nostre.

Last Word è, infatti, più un gioco di strategia che un RPG. Avremo la possibilità di acquistare delle abilità, da equipaggiare tramite l'uso di papillon che accumuleremo col passare dei livelli. Possiamo, in teoria, scegliere quali abilità acquistare e quindi che tipo di personaggio costruire, ma in verità con un po' di grind potremo comprare ed equipaggiare *tutte* le abilità, rendendo di fatto la parte “rpg-istica” nulla.

È utile specificare, a questo punto, che il grind in Last Word è obbligatorio a un certo punto, almeno per una mezz'oretta. È però possibilissimo terminare il gioco senza arrivare al massimo livello e senza, quindi, aver comprato ed equipaggiato tutte le abilità. Ovviamente sarà molto più difficile, ma è possibile.

Questa è una delle due parti preponderanti del gioco. L'altra è costituita dalla ricerca di argomenti “chiusi a chiave”, da sbloccare parlando con i vari ospiti. Sarà importante spettegolare di tutto con tutti, in modo da esaminare la casa del professor Chatters e scoprirne tutti i segreti. Alcuni sono “accessori”, ossia non sono indispensabili per portare a termine il gioco, ma danno bonus se vengono scoperti. Altri, segnalati da una bella icona lucchettosa, sono invece fondamentali.
Sono infine presenti un paio di puzzle, non particolarmente geniali o difficili, che danno un po' di varietà al tutto.

La storia di Last Word è graziosa, sebbene non particolarmente originale o complessa. Gli ospiti hanno tutti un loro tratto caratteristico, portato un po' all'eccesso a fini comici, e i dialoghi sono decenti. L'unico personaggio che davvero spicca, forse, è Seymour Saymore, che ha una sua quest (facoltativa) personale che lo trasformerà da timido ragazzino a capo della sua casata.

Si sente invece la mancanza di profondità psicologica di Whitty e del professor Chatters, più che altro perché i due personaggi hanno delle scene che, senza approfondimento psicologico, risultano un po' vuote e sprecate.

Il gioco è solo in inglese. Non usa molti vocaboli strani, ma dal momento che i personaggi sono tutti aristocratici, parlano in un modo un po' inusuale per chi è abituato all'inglese scolastico: questo potrebbe creare qualche difficoltà nei meno esperti.

Passiamo agli aspetti tecnici. Ho apprezzato moltissimo la grafica, colorata e sopra le righe al punto giusto. Le silhouette colorate dei personaggi fanno molto “effetto Cluedo”, e anche il disegno della casa mi ha ricordato questo gioco da tavola. L'unica pecca è che la risoluzione è davvero davvero bassa: è possibile mettere il gioco in full-screen, ma così le immagini si distorcono e sgranano un po'. Ci voleva qualcosa di un filino più grandicello.
Le musiche sono piacevoli da ascoltare, anche se quella principale mi ha veramente scocciata dopo un po' – ma ammetto che ho dovuto sorbirmela veramente a lungo per motivi extra-gioco
Appunto: non è possibile saltare né i credits né altre parti del gioco che abbiamo già visto. Questo è stato parzialmente corretto dall'ultima patch, per fortuna.

Sono stata soddisfatta del mio tempo speso con Last Word: non sarà il gioco dell'anno, ma regala delle belle mezz'ore, con i suoi dialoghi leggeri, il suo combattimento intricato quanto basta e il grind non eccessivo. Bel titolo.

Termina il kickstarter di System Shock: un successo?

E' terminata da pochissimo la campagna kickstarter di System Shock, dei Night Dive Studios. Il gioco ha superato l'obbiettivo che si era fissato, arrivando a raccogliere più di 1.350.000 dollari, ma alcune dichiarazioni degli ultimi giorni hanno lasciato la fanbase un po' perplessa e delusa.

Forse anche per questo non si è riusciti ad arrivare ai 1,4 milioni, che avrebbero sbloccato aree e contenuti aggiuntivi per il gioco. Al momento, l'ultimo stretch goal raggiunto è quello relativo alla narrativa, che vede l'introduzione di nuovi log audio nel gioco e nuove aree e la partecipazione al progetto di Chris Avellone.

Che ne dite? Un successo?

VA-11 HALL-A

Ci troviamo a Glitch City, paradiso fiscale dove le corporazioni possono usare la popolazione come “cavia” per i loro prodotti, più o meno legali e più o meno invasivi. Tutti i cittadini sono invasi da nanomacchine che ne tracciano attività e spostamenti, e l'ordine è mantenuto da una milizia privata, quella dei White Knight, al soldo di una delle corporazioni che gestisce la città.

E' su questo sfondo che entriamo in scena noi: la nostra protagonista è infatti Jill, la barista del VA-11 HALL-A, un bar situato nei bassifondi di Glitch City. Il nostro compito sarà preparare drink per i clienti e offrire qualche parola di incoraggiamento... ma chi la darà a noi, quando avremo bisogno?

VA-11 HALL-A è una visual novel/simulatore di barista, sviluppata dai Sukeban Games, un gruppo di sviluppatori indie originario del Venezuela. Il gameplay, che ben mostro nel video che trovate più sotto, consiste essenzialmente nel creare i drink che ci verranno richiesti. Ogni giorno avremo da gestire 5-6 clienti, ognuno dei quali avrà gusti ed esigenze particolari. Noi avremo a disposizione una comoda (circa) interfaccia che ci mostrerà tutte le ricette dei vari drink, elencate per nome, per gusto (dolce, amaro, ecc) o per tipo (per ragazze, promozionali, ecc). Basterà cliccare sulla ricetta per svelare il numero di ingredienti e la modalità di preparazione; a quel punto dovremo aggiungere i giusti ingredienti nel mixer, aggiungere ghiaccio o “invecchiare” la bevanda se necessario, e mescolare. Voilà, il drink sarà pronto. Torneremo fra un minuto sui risvolti di questo gameplay.

VA-11 HALL-A non ha una storia vera e propria, come nella maggior parte delle visual novel. Sì, ci sono delle sotto-trame che si dipanano più o meno per tutta la durata del gioco, come il fatto che il nostro bar rischia di chiudere e l'arrivo di una misteriosa lettera per la nostra Jill. Ma queste “trame” non sono preponderanti e non sono quelle che ci portano da un giorno di gioco all'altro. Per lunghi pezzi non ne sapremo più nulla, per esempio, e il focus viene spostato su questo o quel cliente e sulla sua “mini-storia” personale.

L'impressione generale è quella di un paio di mesi passati proprio a servire drink alla gente. Immaginate di fare il barista: avete quei clienti regolari che vengono quasi ogni giorno e di cui “seguite” quindi le vicende, perché vi raccontano, di volta in volta, come stanno e cosa fanno; poi avete quei clienti occasionali, che ogni tanto passano, che magari vi raccontano qualcosa di interessante e poi non li rivedete più. VA-11 HALL-A presenta proprio questo tipo di esperienza, raccontata però in modo tale che non sembri poi così random e inutile. Intanto, quasi tutti i clienti che verranno da voi sono interessanti, o per via della loro personalità, o per i rapporti che creeranno con Jill e i suoi colleghi, o per i dettagli che i fanno scoprire del mondo di gioco. Spesso, queste caratteristiche si uniscono fra loro: Sei, per esempio, uno dei personaggi che compare più di frequente e a cui è più facile affezionarsi, non solo è interessante da conoscere, ma a lei è collegata una “crisi” del sistema politico di Glitch City che ci colpirà direttamente perché lei ne sarà coinvolta.

Il lato negativo è che, ovviamente, noi verremo a sapere tutte queste cose per interposta persona e non saremo protagonisti quasi di nulla. Ma il fulcro di VA-11 HALL-A non è l'azione più o meno eroica di un personaggio o le missioni badass per salvare il mondo dalla crudeltà capitalista. Il suo fulcro sono relazioni e il modo in cui fatti esterni le modificano, le creano e/o le distruggono. Il punto non è tanto la disfatta politica, ma il fatto che essa pesi sulla nostra amica e sulla possibilità di darle un supporto morale.

Ci sarebbe un po' da limare: ho trovato molto sottotono, per esempio, l'unica parte dedicata a Jill, perché veramente ne abbiamo visto poco. Inoltre, a seconda dei finali che sbloccheremo, alcune parti sembrano inconcludenti, cosa che fa soffrire il gioco nel suo complesso. La cosa più grave, forse, è un personaggio, che resta inspiegato e abbastanza campato in aria.

Il gioco presenta 6 finali, ma non sono finali alternativi. Si tratta scenette che chiudono la “trama” di alcuni personaggi. Potremo sbloccarli, tutti tranne uno, durante la stessa partita, basta azzeccare alcuni drink particolari. Azzeccare i drink non è difficile, tranne in un caso in cui è quasi obbligatorio fare una seconda partita. Il problema è che alcuni finali, se non vengono sbloccati, lasciano un po' l'amaro in bocca perché i personaggi sembrano “inconclusi”.

Parentesi sul mondo di gioco, che mi è sembrato interessante e abbastanza complesso da non essere ridicolo. È interessante come ci si sia sforzati di non creare una netta divisione fra “bianco e nero”. Per esempio, è vero che Glitch City fa da cavia per i nuovi prodotti che vengono posti in commercio, e questo crea tanti problemi ai cittadini. Ma è anche vero che, grazie a questo, Glitch City ha accesso ai prodotti prima di chiunque altro e che è una delle città in cui i robot (senzienti, of course) hanno più diritti e possono condurre una vita “normale”.

I dialoghi sono per la maggior parte buoni, con quel tocco di “giapponesità” tipico dei giochi a cui i Sukeban si sono ispirati. A proposito, kudos per aver replicato quasi alla perfezione lo stile giapponese! È molto difficile imitarlo senza scadere nel ridicolo o nello stucchevole e i Sukeban sono riusciti benissimo nell'impresa.

Torniamo quindi a parlare di gameplay. Come potete vedere dal video, è molto semplice. Si complica un po' quando si tratta di indovinare che drink vuole il cliente, ma sono bazzecole risolvibili veramente in cinque minuti. Il problema principale è che, passata l'entusiasmo iniziale del: “oh, posso creare i drink, oh, gli ingredienti sono colorati, oh, si muove il mixer!!!”, entusiasmo che come capirete scema abbastanza in fretta, quel che resta non è che sia molto divertente. Anzi, è noiosetto quando bisogna mettere 9 ingredienti identici nel mixer, per esempio, e bisogna farlo a mano, uno per uno. Che palle. Peggio ancora al secondo playthrough, quando vorremmo solo poter saltare queste parti. Chiariamo, non è un'angoscia, ma non è neanche spassoso. Il sistema della creazione dei drink andava reso più interessante e creativo, secondo me, e bisognava dare più peso agli errori: ora come ora, si può sbagliare il drink quante volte si vuole, non c'è penalità finché non lo serviamo al cliente. Bisogna impegnarsi per arrivare al game over.

Jill avrà anche delle scadenze di cui occuparsi: per il 17 deve pagare internet, poi dopo altri 7 giorni la luce, poi l'affitto. Anche in questo caso, è difficile spendere troppo e arrivare senza dindi alla scadenza. E sì, ho detto “spendere”. Potremo infatti decorare la stanza di Jill e riempirla di cianfrusaglie più o meno utili, alcune delle quali possono esserci utili per il lavoro. Questa è una sezione puramente estetica, la cui funzione nel gioco è quasi nulla.

“Quasi” perché ogni giorno Jill vorrà qualcosa. Se non riusciremo a prenderla, lei sarà distratta al lavoro – il che significa che non ricorderà gli ordini e dovremo farlo noi, niente di complicato.

Queste meccaniche andavano tutte “inasprite” un po', specialmente la parte della creazione drink, su cui ci si poteva davvero sbizzarrire. Ora come ora non tolgono troppi punti al gioco, ma sicuramente non ne aggiungono.

La grafica è veramente ben fatta, l'ho adorata. Riprende chiaramente uno stile di gioco ben preciso – chi pensa che somigli a quella di Read Only Memories non sbaglia mica... - e calza a pennello nell'ambientazione. Menu e interfaccia sono adatte anche loro. Le uniche “pecche” si hanno in alcuni dettagli tecnici. Intanto, le dissolvenze sono davvero troppo lente. Ok, sarà lo spirito dei giochi dell'epoca, ma che palle. Sì, ho una soglia di attenzione molto bassa, ma in certi momenti sembra che il gioco s'incanti, e invece sta solo partendo una lentissima transizione fra due scene.

In secondo luogo, e davvero questa una pecca del titolo, il tasto CTRL che normalmente fa saltare i dialoghi già detti nelle visual novel, salta TUTTI i dialoghi, compresi quelli ancora da leggere! Terribile, specialmente al secondo playthrough, quando uno non ha certo voglia di rileggere tutto e neanche di cliccare come un pazzo per mandare avanti i dialoghi uno per uno... ma quelli nuovi vorrebbe leggerli! Spero che si ponga rimedio con una bella patch.

Ultima ma non ultima, la colonna sonora, variegata e molto bella. Più di 30 le tracce ascoltabili e sbloccabili, o tramite alcuni personaggi o acquistandole nel negozio del gioco per Jill (con soldi del gioco, ovviamente).

Quindi, promosso o bocciato? Direi promosso! Si poteva osare di più, specialmente nella creazione dei drink, ma il fulcro del gioco, ossia le storie dei personaggi, i dialoghi e il mondo di gioco, funziona ed è interessante. Si chiude con la voglia di saperne di più, di stare con i personaggi un altro po' e di conoscere qualche altro dettaglio che sicuramente è lì da qualche parte. Nonostante la storia sia tutto sommato positiva e rinforzi i “buoni sentimenti”, non l'ho trovata stupida e stucchevole come succede di solito in questi casi. Complimenti alla Sukeban Games.