Tsam: Buongiorno e benvenuti sulle pagine di oldgamesitalia; potete presentarvi ai nostri lettori e raccontarci "da dove venite"?
Paolo: Buongiorno e grazie a te di ospitarci in questo spazio. Sono originario dell'Abruzzo e abito a Roma da una decina d'anni. Professionalmente "nasco" ingegnere nucleare, ma mi sono sempre occupato di matematica applicata e programmazione. Negli ultimi quindici anni ho lavorato presso una società inglese di ricerca e sviluppo nel settore dell'elaborazione immagini e video con tecniche statistiche, soprattutto reti neuronali. Oggi continuo ad occuparmi di AI (intelligenza artificiale) in proprio ma ho deciso di dedicare una parte rilevante del mio tempo allo sviluppo di avventure grafiche. Parallelamente ho scritto qualche romanzo, racconto e sceneggiatura nel corso degli anni.
Andrea: Dopo la mia laurea (in fisica teorica) ho subito dato una direzione ben precisa alla mia vita lavorativa, iniziando a lavorare nei videogiochi già nel 2000 come Game Designer. Successivamente ho lavorato come sceneggiatore per fiction televisive e programmi per ragazzi. Da alcuni anni coniugo l'interesse per i videogiochi e per la scrittura lavorando a progetti di storytelling interattivo.
Tsam: Le avventure grafiche sono sicuramente un genere amato fra il popolo degli oldgamer: quanto della vostra scelta è legata al vostro passato videoludico e quanto invece da ragioni opportunistiche (ovvero legato al tipo di messaggio che volevate veicolare?)
Paolo: Difficile stilare percentuali, ma certo entrambi gli elementi che citi hanno avuto un ruolo rilevante. Nei miei ricordi le avventure grafiche di fine anni ottanta/inizio novanta si sono ormai rivestite di un'aura mitologica che probabilmente non riflette il loro vero valore. Per l'epoca erano però innovative: finalmente si vedevano giochi che non pungolavono la compulsività ma, al contrario, spingevano alla riflessività lasciandoti immergere in mondi esotici o fantastici.
Oggi sono bei ricordi persino le interminabili ore passate a risolvere gli enigmi più complicati vagando per mondi virtuali, ponendo domande a questo o a quel personaggio improbabile. Ricordo che mi è anche capitato di lasciar perdere qualcuno di questi giochi per mesi, salvo avere l'illuminazione necessaria per un enigma mentre mangiavo una pizza o giocavo a calcio. E, dopo tanta attesa, erano momenti estatici, come essere promossi o vincere un torneo.
Non sono sicuro che queste sensazioni siano oggi riproducibili, con i walkthrough che vengono fuori una settimana dopo la release del gioco, ma quella era la mia/nostra intenzione: per riprodurre quel tipo di sensazioni abbiamo messo molta cura nello studio degli enigmi in modo che risultassero allo stesso tempo seminati e mascherati dagli eventi e cercando di pungolare, oltre che il senso logico, l'immaginazione dei giocatori; il tutto per favorire un modo di pensare "laterale".
A proposito delle ragioni "opportunistiche", invece, come dico spesso, le avventure grafiche sono un po' bestie aliene rispetto ai videogiochi in senso più stretto. Per realizzare un'avventura grafica bisogna scrivere una sceneggiatura, lavorare sulla storia, sui dialoghi e sui personaggi; scegliere gli ambienti e le musiche adatte a sottolineare i momenti topici. Insomma un'avventura grafica ha più aspetti in comune con la realizzazione di un film che con un videogioco come Space Invaders. Quindi per qualcuno che ambisce a raccontare storie, oltre che a proporre un'esperienza ludica, sono il compromesso ideale.
Tsam: Il vostro titolo di esordio è un'avventura grafica che richiama l'Italia fin dal titolo: quanto è difficile parlare di Italia da italiani?
Paolo: Abbiamo cercato di guardarci, come “prototipi di un popolo”, in un'ottica variegata (l’aver vissuto diversi anni all'estero ha aiutato molto). Da questo punto di vista "panoramico", abbiamo cercato di trovare un equillibrio tra la visione (un po' macchiettata) popolare all'estero, che vede gli italiani perennemente alle prese con l'arte di arrangiarsi, e la nostra tipica autoironia di massa.
Tsam: La scelta di perseguire una pubblicazione episodica ha motivazioni legate al budget a disposizione o è invece frutto di una precisa scelta legata al voler proporre questo tipo di narrazione?
Paolo: Credo che abbia maggiormente influito il budget, non solo in senso assoluto ma anche relativamente alla poca esperienza che avevamo (per me si è trattato della prima volta che mi occupavo di videogiochi, mentre Andrea ha molta più esperienza). Insomma: prima di buttarci nel mare abbiamo prima bagnato i piedi per vedere se l'acqua era troppo fredda, o troppo alta. A posteriori posso dire che è stata una bellissima esperienza. Nel nostro approccio senza compromessi (facendo riferimento ad uno stile retrò e perciò ignorando deliberatamente tutte quelle limature allo stile occorse negli anni) abbiamo certamente compiuto scelte poco furbe che oggi non rifaremmo. Ma lo spirito (sempre riferendoci alla metafora natatoria) era "bere o affogare" e oggi posso dire che abbiamo imparato molto dall'acqua che abbiamo bevuto.
Tsam: Spesso il mondo dei bundle è un mezzo efficace per ottenere una maggiore visibilità oltre che per fare cassa in maniera "veloce"; avete mai valutato questa alternativa e, se sì, quali criteri hanno guidato la vostra scelta fra i diversi player sul mercato?
Paolo: Fin dall'inizio la nostra priorità è stata quella di privilegiare la diffusione del gioco. Volevamo capire se ci fossero i presupposti per un secondo capitolo, che abbiamo già messo giù per macroenigmi, e che terremmo molto a sviluppare. Tuttavia il bundle è un po' un'arma a doppio taglio, con i pregi che menzioni anche tu ma che, se utilizzata male, rischia di svalutare il gioco.
Così, nonostante le varie offerte che ci sono arrivate sin dal giorno della release del gioco, abbiamo deciso di aspettare l'occasione gusta, che si è profilata quando Indiegala ci ha contattato. Si tratta di un gruppo italiano con un'ottima reputazione anche all'estero, e così ci siamo decisi: il nostro gioco uscirà in un loro bundle a partire dal 30 di Marzo
Tsam: Credete che il videogioco, e ancora di più le avventure grafiche, possano essere un mezzo adatto per proporre anche un messaggio politico/sociale? Quanto di questo c'è nel vostro titolo?
Paolo: Non so se i riferimenti politici del nostro gioco possano essere considerati alla stregua di un messaggio politico. Certo, un politicante simil-Trump che urla il discorso "maffato" di Hitler ai giochi di Berlino e che vorrebbe erigere muri contro i nudisti tedeschi potrebbe sembrare una presa di posizione, e per certi versi lo è. Ma il punto è un altro, ed è che la politica, oggi, fa ridere, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di un umorismo involontario e quindi anche un po' patetico.
Ed anche in questo noi Italiani possiamo dire di essere stati tra i primi. Una volta esportavamo Mastroianni, Fellini e la Loren, oggi esportiamo una ex-soubrette di Portobello assurta a deputato della Repubblica che polemizza con il premio Nobel Glashow (l'unificatore della forza nucleare debole e elettromagnetica, tanto per dirne una) bestemmiando di particelle elementari. Triste? Sì, ma dai, un po' fa ridere!
Tsam: Dal punto di vista tecnico, come avete sviluppato il gioco? Che engine avete utilizzato?
Paolo: Unity offriva il compromesso ideale tra semplicità e flessibilità. Come sovrastruttura specifica per le avventure grafiche, ho utilizzato AGE, un tool free che ho modificato opportunamente per il nostro gioco.
Tsam: Il riscontro del mercato è stato in linea con le vostre aspettative? Quali sono le difficoltà più grandi che avete incontrato?
Paolo: Per ora possiamo dire di aver avuto un ottimo riscontro di critica (riviste, recensioni su Google Play) e non di pubblico, ma continuiamo nel nostro lavoro certosino di comprendere le regole del marketing. Ecco, il marketing! Tra tutti i problemi che ci siamo trovati ad affrontare, il marketing è quello che ci ha dato (e ci dà) più grattacapi. Idealmente vorremmo trovare qualcuno che si occupi di questa parte e condivida la nostra stessa passione per il mondo delle avventure grafiche, ma finchè non lo troviamo, cerchiamo di carpire come possiamo le regole di questo mondo. È un problema di "reinforcement learning" per usare un linguaggio caro ai fan dell'AI: non conosci il mondo e le sue regole e tutto quello che puoi fare è imparare dagli schiaffi che prendi o dai passi che fai nella direzione giusta. Alla fine anche questa è una specie di avventura grafica.
Tsam: Quanto è importante per uno sviluppatore essere un giocatore? Quali sono i titoli da cui avete eventualmente tratto spunto?
Andrea: A mio avviso è essenziale per potersi calare sempre dal punto di vista del giocatore e porsi la fondamentale domanda: "A noi questo gioco piacerebbe?"
Tsam: Si è assistito negli anni a una contaminazione del genere, dove il classico punta e clicca ha visto sempre più elementi di altri contesti entrare all'interno del gameplay. Voi siete favorevoli a questa deriva o preferite un approccio "vecchia scuola?
Andrea: Sono favorevole a tutte le sperimentazioni, tenendo però sempre in considerazione che si tratta di giochi, anche quelli con gameplay più articolati, basati su storie e personaggi, e su di essi va posta molta cura: il rischio è di avere titoli un po' immaturi dal punto di vista della drammaturgia della storia.
Tsam: Realtà virtuale e videogiochi: un possibile futuro anche per le avventure grafiche?
Andrea: Realtà virtuale ed aumentata sono sicuramente uno sbocco quasi naturale per le avventure grafiche, che sono prodotti fortemente immersivi.
Tsam: Chiudiamo chiedendovi tre titoli che per voi non dovrebbero mancare nella collezione di un avventuriero.
Andrea: Mixando il vecchio e il nuovo: Day of the Tentacle, Broken Age, What Remains of Edith Finch.
Paolo: Aggiungo una menzione speciale per l’intramontabile “The Secret of Monkey Island”
Stati Uniti, 1860. Un magnate delle ferrovie muore in circostanze misteriose e la sua compagnia rischia di cadere nelle mani di uno speculatore senza scrupoli. Il figlio del tycoon torna dall'Europa per fermare le malvagie macchinazioni del rivale e riprendere il controllo della società di famiglia. Sullo sfondo, la tensione tra Nord e Sud ha raggiunto livelli di guardia e la Guerra di Secessione è ormai alle porte.
Premessa: la recensione è basata sulla versione Early Access e su alcune ore giocate con la versione di lancio. Ci riserviamo di modificare il giudizio in caso di modifiche sostanziali a quanto visto finora.
Bounty Train dei canadesi Corbie Games è all'apparenza un piccolo gioco che però nasconde un'energia niente male, riuscendo nella difficile impresa di coniugare tre generi diversi in maniera quasi sempre fluida e bilanciata.
In primo luogo, Bounty Train è un manageriale: alla guida del suo treno personale, il giocatore può spostarsi da una città all'altra degli States di metà '800, comprando e rivendendo beni di consumo e trasportando persone. Le dinamiche si mantengono molto semplici, per preservare l'immediatezza delle meccaniche di gioco: alcune città producono materiali (il che corrisponde a costi di acquisto bassi), mentre altre ne fanno uso intenso (alzando i prezzi, anche in maniera considerevole). Destreggiandosi tra i menu di un'interfaccia non proprio all'altezza del compito, il novello "mercante a vapore" sarà in grado di trovare le rotte più redditizie e di sfruttarle a dovere (chi ricorda Marco Polo, il gioco da tavolo?). Per ovviare al possibile sfruttamento ad nauseam di un unico tragitto, la quantità di beni in vendita è limitata dalle capacità produttive della città, per cui le riserve non sono infinite. E, contemporaneamente, i continui rifornimenti faranno diminuire la domanda e i prezzi caleranno. Non siamo di fronte alla più complessa delle simulazioni economiche, ma tutto funziona e i non esperti del genere saranno sicuramente lieti di doversi confrontare con pochi, essenziali parametri.
Siccome i beni acquistati non si spostano magicamente da A a B, diventa fondamentale la gestione del proprio treno: gli sviluppatori hanno messo a disposizione diverse locomotrici e tipologie di carrozza, che variano in base alle caratteristiche (cavalli vapore, velocità) e alla funzione (carro merci, carro blindato, carrozza passeggeri e così via). I motori a vapore proposti dal gioco sono piuttosto deboli, per cui bisogna scordarsi lunghi convogli carichi d'oro e affini: si deve invece valutare col bilancino quali vagoni attaccare e quante merci (carbone incluso!) trasportare. Attenzione perché il gioco è draconiano quando si tratta di stazza totale: anche un solo quintale in più rispetto al valore massimo, e il treno non si muoverà di un centimetro. Tale rigidità risulta forse esagerata, considerato che un altro parametro simile, il consumo di carbone, consente una maggiore flessibilità (se il carbone non è sufficiente a raggiungere la destinazione, si può diminuire il calore della caldaia con conseguente calo di velocità e risparmio di combustibile).
Per chi fa di "persone oltre le cose" il proprio motto, si segnala che la gestione dei passeggeri è soltanto abbozzata: invece di essere un vero e proprio servizio regolare, il trasporto di persone si limita allo spostare una o due persone da una città all'altra, su loro richiesta. Insomma, più che di un treno, sembra di trovarsi al comando di un taxi a vapore. E dato il pessimo rapporto tra costi (il vagone pesa!) e benefici (si guadagna di più con le merci), non ha senso perdere tempo con i pendolari ante litteram.
I vari mezzi possono essere migliorati in alcune componenti (si può persino aggiungere la possibilità di trasportare merci di contrabbando) e ognuno di essi è soggetto a usura: maggiore il numero di chilometri percorsi, maggiore la probabilità che qualche pezzo si rompa, rendendo il treno meno efficiente. È sicuramente una meccanica funzionale e che aggiunge imprevedibilità ai viaggi, ma anche un modo un po' semplicistico di gestire le noie meccaniche, risultando potenzialmente frustrante quando ci si accorge che la probabilità di subire nuovi danni non si abbassa dopo una riparazione. L'unica soluzione per evitare guasti diventa quindi l'acquisto di un mezzo nuovo.
Le sorprese durante il viaggio non si fermano qui: lungo il tragitto da città a città ci si imbatte spesso in incontri casuali che possono essere assolutamente pacifici (mercati di contadini, truppe amiche, semplici viandanti), ma non solo: bande di fuorilegge e tribù indiane ostili possono bloccare i binari o inseguire il treno a cavallo, sparando revolverate e lanciando frecce (o dinamite, quando gira male).
È qui che entra in scena il secondo genere abbracciato da Bounty Train: il tattico in tempo reale. Quando subisce un attacco, il giocatore prende direttamente il controllo del treno (può regolare velocità e temperatura, non scordandosi di alimentare la caldaia) e delle guardie a bordo dei vagoni blindati. Con le armi in pugno, e usando sapientemente la pausa tattica, bisogna respingere gli assalti uccidendo tutti i nemici o sopravvivere quel tanto che basta a raggiungere la prima galleria, lasciando gli inseguitori con un pugno di mosche. Durante questi frangenti, la grafica risulta molto confusa, soprattutto quando oltre a dover tener d'occhio gli avversari ci si ritrova a fare i conti con incendi e danni vari. Riuscire a capire chi sta facendo cosa, nei momenti più concitati, risulta più difficile di quanto dovrebbe essere. Ciò non toglie che i combattimenti siano un piacevole diversivo rispetto ai semplici spostamenti, grazie anche ad alcuni elementi da RPG (ecco il terzo genere da cui Bounty Train va a pescare) che entrano in ballo durante le fasi tattiche. Ogni personaggi ha caratteristiche e abilità che possono essere migliorate raccogliendo punti esperienza. Anche l'equipaggiamento può essere migliorato acquistandolo nei negozi o recuperandolo dai cadaveri dei nemici.
Il gioco di ruolo (all'acqua di rose, s'intende) è presente anche sottoforma di missioni che alcuni personaggi o le istituzioni cittadine possono affidare ai giocatori. Tali "quest" si limitano a compiti piuttosto banali, quali la consegna di una lettera o la fornitura di un determinato bene a una determinata città, ma sono presenti anche piccole storie con diversi passaggi, come la ricerca di un tesoro o la scorta di un personaggio famoso.
È su questo impianto di gioco che è strutturata la campagna in singolo: il protagonista, completando quest o partecipando ad aste (presenti anche nella modalità "libera"), deve riuscire a raccogliere il 51% delle azioni della società prima che un malvagio figuro lo preceda, prendendo il controllo della compagnia di famiglia. Il tutto mentre la Guerra di Secessione (raccontata tramite piccole note storiche) apre nuovi scenari e rende difficile spostarsi liberamente tra uno stato e l'altro. Una trama semplice, ma funzionale al ruolo da tutorial che la modalità storia pare ricoprire.
A tutto questo si aggiungono alcuni elementi interessanti, che tuttavia risultano incompiuti. Si è citata la guerra tra Nord e Sud, il cui impatto è davvero limitato (non si va oltre la modifica di qualche prezzo in alcune città) e che per qualche ragione (un bug?) non viene più nemmeno nominata dopo il 1862 (neppure nel 1864, anno della sconfitta della Confederazione).
Anche le aste, menzionate in precedenza, lasciano intravedere meccaniche non pienamente sviluppate: oltre alle azioni della compagnia è possibile comprare anche immobili e attività che danno un introito settimanale o producono a costo zero beni rivendibili in altre città. Sulla carta sembra interessante, ma in realtà la sensazione è di trovarsi di fronte a qualcosa che non esprime appieno il suo potenziale. Tanto più se si considera che non esiste alcuna compagnia rivale (se non timide apparizioni durante le aste) e dunque il giocatore è libero di manipolare il mercato come più gli aggrada. Un difetto, forse il più grave, che potrebbe limitare la rigiocabilità di un titolo che, pur garantendo diverse ore di gioco tra campagna in singolo e modalità libera, vede presto venir meno quell'elemento di "sfida" che il più delle volte è ciò che spinge ad avviare una nuova partita.
Bounty Train è un gioco che con la sua varietà e immediatezza riuscirà ad attirare l'attenzione di diversi giocatori. La poca profondità e la mancanza di sfida non ne minano la piacevolezza, ma lo rendono carente di quelle raffinatezze che fanno di un buon gioco un capolavoro. Pur con tutti i suoi numerosi limiti, questo gioco d'esordio dei Corbie Games assicurerà a molti un discreto numero di ore piacevoli, nella speranza che gli sviluppatori sappiano intervenire e portare la loro creatura a un livello ancora superiore.
Teslagrad è un platform che si presenta subito con una grafica carina e curata e intrattiene il giocatore per diversi livelli, senza affidarsi al backtracking per allungare il brodo. Il personaggio principale, un ragazzino che vive in una realtà distopica che si richiama alla Russia della Rivoluzione, deve lottare contro un dittatore sfruttando i poteri dell'elettricità (quella "magica" di Nikola Tesla), come la possibilità di creare degli scudi elettrici positivi e negativi e colpire con i pugni caricati con la giusta polarità, o di teletrasportarsi oltre degli ostacoli sottili.
Le schermate sono dei minipuzzle e il gioco salverà non appena avrete oltrepassato il minischema. Sembra un po' Braid per certi versi. Sono presenti numerose boss fight con dei boss caratterizzati piuttosto bene e interessanti.
Una boss fight non si riduce mai a "colpisci il mostro" ma si tratta di capire la debolezza dell'avversario per sfruttarla a nostro favore con l'ultimo potere scoperto e poi scappare e rifilare un nuovo colpo, così come insegnano serie storiche quali Zelda e Super Mario.
Alle volte bisogna combinare i poteri insieme per potergli recare danno.
Visto così, sembrerebbe un gioco carino e un buon passatempo, ma ha un problema che lo mina profondamente: la difficoltà esagerata da metà gioco in poi.
La curva di apprendimento sale gradualmente e per quanto all'inizio vi divertirete con un giusto equilibrio di difficoltà, già arrivati al blocco di livello precedente al terzo boss, vi salirà la frustrazione.
Ieri sono incappato in una schermata che mi ha bloccato per 1 ora e mezza. Non che non avessi capito come risolverla, è che non riuscivo a mettere in atto la soluzione. O colpivo delle punte e il personaggio esplodeva o non si apriva un passaggio per tempo e dovevo rifare tutto, fatto sta che dopo averla finita non mi sentivo appagato per avercela fatta ma enormemente frustrato. La boss fight successiva era un mezzo delirio e dopo un paio di tentativi, ancora distrutto dalla schermata precedente, ho disinstallato il gioco dicendo "ma chi me lo fa fare? ho 'Inside' installato sul pc."
Non posso quantificarvi la durata del gioco, che di solito è la pecca dei giochi indie, anche se non fosse particolarmente lungo, vi terrà impegnati per un quantitativo di ore altissimo, vista la difficoltà di fondo di alcune schermate.
Il comparto audio non mi ha lasciato nulla, non l'ho nemmeno notato, e concludo dicendo che per giocarlo bisogna assolutamente utilizzare un gamepad.
Come nota di contorno aggiungo che è presente oltre che su GOG e Steam anche su tutte le console Sony compresa PSvita, Xbox One, Wiiu
The Silent Age è un'esperienza soprattutto narrativa, un'avventura grafica dalle meccaniche classiche con enigmi onesti e semplici, talvolta quasi brillanti, grazie all'espediente del salto temporale che incoraggia al pensiero "quadridimensionale" (cit.).
Certo, i limiti di una piccola produzione indipendente si notano tutti, alcune piccole noiose imperfezioni, tutto sommato, trascurabili. Bella la grafica minimalista e le atmosfere suggestive da pellicola fantascientifica degli anni 60-70, molto "Ai confini della realtà".
Il protagonista, come del resto quasi tutti gli altri personaggi, può risultare simpatico, ma è sostanzialmente privo di spessore, tendenzialmente piatto, poco brillante, persino irritante all'inizio, del resto in un'avventura sci-fi classica è normale vi sia poco spazio per lo sviluppo dei personaggi: eppure assisteremo alla crescita del nostro "eroe" nel prendersi carico, suo malgrado, delle sorti del pianeta Terra.
I nostri amici di Calavera Cafè, Simone Pizzi e Cristiano Caliendo ci mostrano le prime fasi di gioco descrivendone gli aspetti principali e commentandoli con la loro consueta ironia.
Talvolta si scoprono piccole perle sepolte nella sabbia, insomma non proprio in profondità, ma celate da un sottile velo di indifferenza: accade per molti titoli indie, giochi realizzati da piccoli sviluppatori, persi in un oceano di titoli mediocri. Tuttavia esistono delle occasioni per emergere e lasciare una, pur labile, traccia della propria esistenza: ad esempio i concorsi, tra i tanti: il curioso “Ludum Dare”. Regola del Ludum Dare, competizione aperta ai soli sviluppatori indipendenti (praticamente a chiunque), è costruire dal nulla un gioco, intorno ad un tema sorteggiato, nel tempo limite di 48 o 72 ore: un'impresa formidabile! Con tali severissime restrizioni non molti riescono a creare giochi dignitosi e pochissimi creativi riescono a sorprendere la critica con opere innovative, curiose, o semplicemente divertenti. Si pensi al caso di "Unsolicited", in concorso al “Ludum Dare 33”, parto del geniale Lucas Pope, già autore dell’originalissimo e intenso “Papers, Please”.
Ebbene, in una così breve gestazione, molti “figli”, prematuramente dati alla luce, muoiono rapidamente per precipitare nell’oblio, ma non sarà tale il destino del simpatico The Maître D’ vincitore del “Ludum Dare 35” dell’Aprile 2016. The Maître D’ è un’opera degli esordienti (o quasi) Powerhoof, realizzata con il motore grafico “Unity”, sul tema dello “shapeshift”, ossia il mutamento di forma, inteso metaforicamente, o, come nel caso in esame, in senso assolutamente letterale.
Il concept è molto semplice: un maître, dalla “limitata” statura, dovrà condurre i clienti di una prestigiosa brasserie francese ai posti assegnati, un’impresa all’apparenza assai banale, eppure non priva di insidie.
L'architettura dei livelli, piuttosto eterogenea, talvolta vi costringerà a veri e propri miracoli per prelevare i clienti, ossia fisicamente caricarli sulle vostre spalle (che pigri i ricchi, eh?), e trasportarli a destinazione: dovrete raggiungere piattaforme altissime e persino superare file di enormi aculei mortali (una brasserie da incubo!). Per fortuna il nostro piccolo maître troverà delle portentose lozioni magiche, provvidenzialmente sparse qua e là nei livelli di gioco, le quali gli conferiranno il potere di allungarsi proprio come il celebre Mr. Fantastic dei Fantastici Quattro, sebbene braccia e gambe resteranno sempre della misura normale, a volte ciondolanti, determinando un certo effetto comico. Ogni flacone di lozione magica incrementa il potere di allungamento di una certa lunghezza fissa, così più ne raccoglieremo e più risulterà agevole superare gli ostacoli e raggiungere le piattaforme. Nel gioco è anche possibile saltare, azione fondamentale in molti frangenti, specie se usata in combinazione con il potere di allungamento, ma non mi addentrerò oltre nelle meccaniche di gioco, piuttosto intuitive, lasciando il piacere ed il divertimento di scoprirle ai giocatori attraverso i primi livelli di gioco, veri e propri tutorial: la curva di apprendimento sarà piuttosto dolce.
Piccola nota dolente: i controlli, leggermente troppo complessi e contorti per un puzzle/platform game. Innanzitutto, chiunque giochi da tastiera è abituato a spostare il proprio avatar con i tasti direzionali, in The Maître D' non è così: userete "A" e "D" (sinistra e destra) per camminare, "SPAZIO" per saltare e le frecce per allungarvi nelle quattro direzioni, infine "Q" per accorciarvi, ma saranno le gambe ad avvicinarsi alla testa e non viceversa (vi tornerà utilissimo per salire sulle piattaforme). Non sono pochi tasti per un gioco concettualmente così semplice, ma, per fortuna, la pratica premia e dopo l'iniziale disorientamento, riuscirete ad impadronirvi dei controlli. Inoltre, è bene precisarlo, esiste la possibilità, prima della partita, di settare i controlli ed impostarli secondo le proprie preferenze.
La grafica è in pixel art, decisamente “blocchettosa” e i disegni sono piuttosto divertenti in linea con lo stile del gameplay, inoltre i colori, le tinte pastello delicate e morbide descrivono bene l’atmosfera della sofisticata brasserie francese e non stancano la retina.
Il comparto sonoro è decisamente adeguato alla grafica “cartoonesca”: un frenetico e orecchiabile motivetto, non troppo invadente, ci accompagnerà attraverso tutti i livelli di gioco. Divertente e simpatico il parlato, con brevi, spesso indecifrabili, esclamazioni, farfugliate in lingua francese (o qualcosa di simile) dagli impettiti avventori della brasserie e dal nostro elastico maître nel corso delle sue peripezie; mi hanno ricordato molto i “dialoghi” della serie animata di Mr. Bean, con quel loro tono composto eppure così deliziosamente ridicoli. Il suono generato dal maître quando si stiracchia e si allunga è identico al rumore di un palloncino, del tipo utilizzato dai prestigiatori per realizzare sculture, e rende molto bene l’idea, suscitando pure una certa ilarità.
La durata dell’esperienza è limitata, circa 20-30 minuti a seconda della vostra abilità, ma la longevità è incrementata dalla possibilità di risolvere i puzzle adottando soluzioni differenti; insomma, piuttosto rigiocabile, non come un Tetris, ma non è il caso di lamentarsi per un gioco creato in tre giorni.
Superato l’ostacolo dei controlli e con un minimo di pratica, The Maître D’ si rivela un’esperienza piacevole e fresca, divertente e impegnativa al punto giusto, vi troverete a spremervi le meningi per capire come salire su una piattaforma o come trasportare un cliente da un punto all’altro della schermata, ma tutto senza frustrazione e imprecazioni, come si conviene ad un serio e raffinato maître.
“Trés bien!”
Vi avevamo già parlato del nuovo gioco di Lucas Pope, autore dell'ormai famoso Papers, Please. Si tratta del Return of the Obra Dinn, un mistery in prima persona dalla grafica oltremodo interessante.
Continuano i progressi sul gioco, anche se lentamente e tra mille difficoltà, come descrive lo stesso Pope in questo post, e finalmente viene completata una nuova demo, in tempo per la GDC. Vi mostriamo un'immagine del livello di completamento della nave "protagonista" del gioco.
Sembra proprio che Pope stia superando gli ostacoli lungo il percorso e che Return of the Obra Dinn sarà un titolo, graficamente, almeno, spettacolare!
Tutto accadde 5 anni fa, durante un picnic organizzato da Ronald in compagnia del suo migliore amico, Skinny.
Le cose procedevano per il meglio, fino a quando Ronald non tirò fuori dal cestino due prugne molto piccole, una per sè e l'altra per Skinny. Quest'ultimo, scambiando il frutto per un grosso acino d'uva, non ci pensò due volte a buttarlo giù e fu colpito da uno shock anafilattico che ne causò la morte istantanea, mentre Ronald fuggì terrorizzato.
Al suo risveglio Skinny scoprì di essere diventato uno scheletro e di essere relegato a vivere all'interno dell'armadio della camera di Ronald. Da allora Skinny ha vegliato costantemente su Ronald a sua totale insaputa... ma ora le cose stanno per cambiare!
Qui su OldGamesItalia lo teniamo d'occhio dai tempi dello Svilupparty 2014, e ora The Wardrobe dei Cinic Games apre una bella raccolta fondi tutta Italiana! In bocca al lupo!
Ringraziamo l'oldgamer MIK0 per averci segnalato per primo questa raccolta fondi!
Questa settimana, OGI vi presenta un'iniziativa in collaborazione con i ragazzi di FreankExpo, piattaforma italiana dedicata al mondo indie, che magari ricorderete da questa intervista.
Avete in hard disk un gioco indie, gratuito, non più reperibile in rete, il cui creatore è sparito senza lasciare tracce? Potete "adottare" voi il giochino in questione, e renderlo disponibile per il download gratuito grazie a FreankExpo, che ve lo farà caricare sulla sua piattaforma e gli darà visibilità! In questo modo, anche giochi non più supportati dal loro autore godranno di una "nuova vita".
Run, rabbit run.
Dig that hole, forget the sun,
And when at last the work is done
Don't sit down it's time to dig another one.
For long you live and high you fly
But only if you ride the tide
And balanced on the biggest wave
You race towards an early grave.
Il sito di OldGamesItalia è attualmente "in letargo". Nuovi contenuti saranno aggiunti con minore regolarità e con possibili lunghe pause tra un articolo e l'altro.
Il forum rimane attivo, ma meno legato al sito, e gli aggiornamenti riguarderanno principalmente le sezioni di IF Italia e della versione italiana del Digital Antiquarian e del CRPG Addict.
Grazie a chi ci è stato vicino nei vent'anni di attività "regolare" di OldGamesItalia, a chi ha collaborato o a chi ci ha soltanto consultati per scoprire il mondo del retrogaming. Speriamo di avere presto nuove energie per riprendere un discorso che non vogliamo davvero interrompere.
Grazie, OGI. Arrivederci!
Chi siamo | Contattaci | Policy | Manifesto