Intervista a Fazz Brothers, autori di BELPAESE: Homecoming

Tsam: Buongiorno e benvenuti sulle pagine di oldgamesitalia; potete presentarvi ai nostri lettori e raccontarci "da dove venite"?

Paolo: Buongiorno e grazie a te di ospitarci in questo spazio.  Sono originario dell'Abruzzo e abito a Roma da una decina d'anni. Professionalmente "nasco" ingegnere nucleare, ma mi sono sempre occupato di matematica applicata e programmazione. Negli ultimi quindici anni ho lavorato presso una società inglese di ricerca e sviluppo nel settore dell'elaborazione immagini e video con tecniche statistiche, soprattutto reti neuronali. Oggi continuo ad occuparmi di AI (intelligenza artificiale) in proprio ma ho deciso di dedicare una parte rilevante del mio tempo allo sviluppo di avventure grafiche. Parallelamente ho scritto qualche romanzo, racconto e sceneggiatura nel corso degli anni.

Andrea: Dopo la mia laurea (in fisica teorica) ho subito dato una direzione ben precisa alla mia vita lavorativa, iniziando a lavorare nei videogiochi già nel 2000 come Game Designer. Successivamente ho lavorato come sceneggiatore per fiction televisive e programmi per ragazzi. Da alcuni anni coniugo l'interesse per i videogiochi e per la scrittura lavorando a progetti di storytelling interattivo.

Tsam: Le avventure grafiche sono sicuramente un genere amato fra il popolo degli oldgamer: quanto della vostra scelta è legata al vostro passato videoludico e quanto invece da ragioni opportunistiche (ovvero legato al tipo di messaggio che volevate veicolare?)

Paolo: Difficile stilare percentuali, ma certo entrambi gli elementi che citi hanno avuto un ruolo rilevante. Nei miei ricordi le avventure grafiche di fine anni ottanta/inizio novanta si sono ormai rivestite di un'aura mitologica che probabilmente non riflette il loro vero valore. Per l'epoca erano però innovative: finalmente si vedevano giochi che non pungolavono la compulsività ma, al contrario, spingevano alla riflessività lasciandoti immergere in mondi esotici o fantastici.

Oggi sono bei ricordi persino le interminabili ore passate a risolvere gli enigmi più complicati vagando per mondi virtuali, ponendo domande a questo o a quel personaggio improbabile. Ricordo che mi è anche capitato di lasciar perdere qualcuno di questi giochi per mesi, salvo avere l'illuminazione necessaria per un enigma mentre mangiavo una pizza o giocavo a calcio. E, dopo tanta attesa, erano momenti estatici, come essere promossi o vincere un torneo.

Non sono sicuro che queste sensazioni siano oggi riproducibili, con i walkthrough che vengono fuori una settimana dopo la release del gioco, ma quella era la mia/nostra intenzione: per riprodurre quel tipo di sensazioni abbiamo messo molta cura nello studio degli enigmi in modo che risultassero allo stesso tempo seminati e mascherati dagli eventi e cercando di pungolare, oltre che il senso logico, l'immaginazione dei giocatori; il tutto per favorire un modo di pensare "laterale".

A proposito delle ragioni "opportunistiche", invece, come dico spesso, le avventure grafiche sono un po' bestie aliene rispetto ai videogiochi in senso più stretto. Per realizzare un'avventura grafica bisogna scrivere una sceneggiatura, lavorare sulla storia, sui dialoghi e sui personaggi; scegliere gli ambienti e le musiche adatte a sottolineare i momenti topici. Insomma un'avventura grafica ha più aspetti in comune con la realizzazione di un film che con un videogioco come Space Invaders. Quindi per qualcuno che ambisce a raccontare storie, oltre che a proporre un'esperienza ludica, sono il compromesso ideale.

Tsam: Il vostro titolo di esordio è un'avventura grafica che richiama l'Italia fin dal titolo: quanto è difficile parlare di Italia da italiani?

Paolo: Abbiamo cercato di guardarci, come “prototipi di un popolo”, in un'ottica variegata (l’aver vissuto diversi anni all'estero ha aiutato molto). Da questo punto di vista "panoramico", abbiamo cercato di trovare un equillibrio tra la visione (un po' macchiettata) popolare all'estero, che vede gli italiani perennemente alle prese con l'arte di arrangiarsi, e la nostra tipica autoironia di massa.

Tsam: La scelta di perseguire una pubblicazione episodica ha motivazioni legate al budget a disposizione o è invece frutto di una precisa scelta legata al voler proporre questo tipo di narrazione?

Paolo: Credo che abbia maggiormente influito il budget, non solo in senso assoluto ma anche relativamente alla poca esperienza che avevamo (per me si è trattato della prima volta che mi occupavo di videogiochi, mentre Andrea ha molta più esperienza). Insomma: prima di buttarci nel mare abbiamo prima bagnato i piedi per vedere se l'acqua era troppo fredda, o troppo alta. A posteriori posso dire che è stata una bellissima esperienza. Nel nostro approccio senza compromessi (facendo riferimento ad uno stile retrò e perciò ignorando deliberatamente tutte quelle limature allo stile occorse negli anni) abbiamo certamente compiuto scelte poco furbe che oggi non rifaremmo. Ma lo spirito (sempre riferendoci alla metafora natatoria) era "bere o affogare" e oggi posso dire che abbiamo imparato molto dall'acqua che abbiamo bevuto.

Tsam: Spesso il mondo dei bundle è un mezzo efficace per ottenere una maggiore visibilità oltre che per fare cassa in maniera "veloce"; avete mai valutato questa alternativa e, se sì, quali criteri hanno guidato la vostra scelta fra i diversi player sul mercato?

Paolo: Fin dall'inizio la nostra priorità è stata quella di privilegiare la diffusione del gioco. Volevamo capire se ci fossero i presupposti per un secondo capitolo, che abbiamo già messo giù per macroenigmi, e che terremmo molto a sviluppare. Tuttavia il bundle è un po' un'arma a doppio taglio, con i pregi che menzioni anche tu ma che, se utilizzata male, rischia di svalutare il gioco.

Così, nonostante le varie offerte che ci sono arrivate sin dal giorno della release del gioco, abbiamo deciso di aspettare l'occasione gusta, che si è profilata quando Indiegala ci ha contattato. Si tratta di un gruppo italiano con un'ottima reputazione anche all'estero, e così ci siamo decisi: il nostro gioco uscirà in un loro bundle a partire dal 30 di Marzo

Tsam: Credete che il videogioco, e ancora di più le avventure grafiche, possano essere un mezzo adatto per proporre anche un messaggio politico/sociale? Quanto di questo c'è nel vostro titolo?

Paolo: Non so se i riferimenti politici del nostro gioco possano essere considerati alla stregua di un messaggio politico. Certo, un politicante simil-Trump che urla il discorso "maffato" di Hitler ai giochi di Berlino e che vorrebbe erigere muri contro i nudisti tedeschi potrebbe sembrare una presa di posizione, e per certi versi lo è. Ma il punto è un altro, ed è che la politica, oggi, fa ridere, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di un umorismo involontario e quindi anche un po' patetico.

Ed anche in questo noi Italiani possiamo dire di essere stati tra i primi. Una volta esportavamo Mastroianni, Fellini e la Loren, oggi esportiamo una ex-soubrette di Portobello assurta a deputato della Repubblica che polemizza con il premio Nobel Glashow (l'unificatore della forza nucleare debole e elettromagnetica, tanto per dirne una) bestemmiando di particelle elementari. Triste? Sì, ma dai, un po' fa ridere!

Tsam: Dal punto di vista tecnico, come avete sviluppato il gioco? Che engine avete utilizzato?

Paolo:  Unity offriva il compromesso ideale tra semplicità e flessibilità. Come sovrastruttura specifica per le avventure grafiche, ho utilizzato AGE, un tool free che ho modificato opportunamente per il nostro gioco.

Tsam: Il riscontro del mercato è stato in linea con le vostre aspettative? Quali sono le difficoltà più grandi che avete incontrato?

Paolo: Per ora possiamo dire di aver avuto un ottimo riscontro di critica (riviste, recensioni su Google Play) e non di pubblico, ma continuiamo nel nostro lavoro certosino di comprendere le regole del marketing. Ecco, il marketing! Tra tutti i problemi che ci siamo trovati ad affrontare, il marketing è quello che ci ha dato (e ci dà) più grattacapi. Idealmente vorremmo trovare qualcuno che si occupi di questa parte e condivida la nostra stessa passione per il mondo delle avventure grafiche, ma finchè non lo troviamo, cerchiamo di carpire come possiamo le regole di questo mondo. È un problema di "reinforcement learning" per usare un linguaggio caro ai fan dell'AI: non conosci il mondo e le sue regole e tutto quello che puoi fare è imparare dagli schiaffi che prendi o dai passi che fai nella direzione giusta. Alla fine anche questa è una specie di avventura grafica.

Tsam: Quanto è importante per uno sviluppatore essere un giocatore? Quali sono i titoli da cui avete eventualmente tratto spunto?

Andrea: A mio avviso è essenziale per potersi calare sempre dal punto di vista del giocatore e porsi la fondamentale domanda: "A noi questo gioco piacerebbe?"

Tsam: Si è assistito negli anni a una contaminazione del genere, dove il classico punta e clicca ha visto sempre più elementi di altri contesti entrare all'interno del gameplay. Voi siete favorevoli a questa deriva o preferite un approccio "vecchia scuola?

Andrea: Sono favorevole a tutte le sperimentazioni, tenendo però sempre in considerazione che si tratta di giochi, anche quelli con gameplay più articolati, basati su storie e personaggi, e su di essi va posta molta cura: il rischio è di avere titoli un po' immaturi dal punto di vista della drammaturgia della storia. 



Tsam: Realtà virtuale e videogiochi: un possibile futuro anche per le avventure grafiche?

Andrea: Realtà virtuale ed aumentata sono sicuramente uno sbocco quasi naturale per le avventure grafiche, che sono prodotti fortemente immersivi.

Tsam: Chiudiamo chiedendovi tre titoli che per voi non dovrebbero mancare nella collezione di un avventuriero.

Andrea: Mixando il vecchio e il nuovo: Day of the Tentacle, Broken Age, What Remains of Edith Finch.

Paolo: Aggiungo una menzione speciale per l’intramontabile “The Secret of Monkey Island”

Parliamone insieme nell'OGI Forum!

Intervista a Giancarlo Personeni (Lo Smarrito)

Ah, che cavaliere triste
in realtà avevo dato il cuore alla luna
e la luna l'ho barattata col temporale
e il temporale con un tempo ancor meno normale
e il tempo stesso con una spada
che mi accompagnasse
fuori dei confini di quello che è reale
(Ivano Fossati)

Quella che segue è un'intervista che Lo Smarrito ci ha concesso, sottoponendosi nel corso di diverse settimane alle pressanti domande di Diavolo dei Crocicchi e The Ancient One.
Nell'intervista si parla dell'esperienza de Lo Smarrito come autore di avventure testuali e dei suoi primi due titoli: La volontà dei morti e Le Orme del Chisciano.

Le immagini, scelte da Lo Smarrito, sono opera di NanoMortis e con l'occasione vi consigliamo di visitare la sua splendida galleria.

Buona lettura!

- Ciao! Rompiamo subito il ghiaccio: chi è e cosa fa nella vita, Lo Smarrito?
Mi chiamo Giancarlo Personeni, sono di Bergamo, ho 29 anni e di professione faccio l'essere umano. Scherzi a parte, sono laureato in ingegneria, però sono uno a cui piace anche il lato umanistico della cultura, ho sempre letto molti libri e racconti (soprattutto a tema storico). Sono una persona eclettica, che ci posso fare?

- Sei anche un videogiocatore?
Ti stupirò dicendo "Ni." Nel senso, non sono mai stato un hardcore gamer. Gioco relativamente poco, un paio di titoli "grossi" all'anno, anche se cerco di spolparli bene fino all'osso, controllandone ogni aspetto. Però, di tanto in tanto, mi piace anche andare a cercare qualche perla freeware o addirittura open source (giochi fatti con RPG Maker, con AGS, oppure giochi come Battle for Wesnoth o Super Tux Kart).

- Frequenti le avventure testuali? Ce n'è qualcuna che preferisci?
Le conoscevo da un po', ma non praticavo il genere. La prima che ho giocato è stato "Beyond the Titanic", tanti anni or sono, però era stata un'esperienza isolata, fino a poco tempo fa. Solo di recente ho preso a giocarci con più costanza... Ho cominciato da quelli più recenti, giusto per avere giochi da poter eseguire senza problemi di compatibilità, ma in futuro ho intenzione di tornare indietro. Ovviamente, avendo pochi titoli completati non me la sento di dire qual'è stata la preferita, sarebbe poco significativa come opinione.
Cosa penso sul genere? So bene che siamo una nicchia e che non raggiungeremo mai grandi numeri, ma una buona strategia potrebbe essere, per esempio, porsi come alternativa ad una certa deriva dei giochi moderni. Parlo in particolare del proliferare, negli ultimi tempi, dei "Simulator" realizzati male e che vendono appunto perchè fatti male (per chi non sa di cosa sto parlando, può vedere questo video). Darsi un'immagine di "genere ragionato diverso dai giochi usa e getta", in modo da attirare i videogiocatori che non gradiscono questo tipo di tendenze.

- Perché e quando hai deciso di cimentarti nella creazione di una avventura testuale? Cosa hai utilizzato per programmarla?
Quando, qualche mese fa, quando ho cominciato a giocarci. Solitamente, quando vedo giochi realizzati da una sola persona (e direi che per l'AT questa è la prassi...), una delle cose che controllo è sapere con quale programma ha realizzato il gioco, e quindi cerco di farmi almeno un'idea su quell'utility, di provarla, nel caso sia disponibile gratuitamente. E' un vezzo. E' successo con RPG Maker, è successo con Ren'py, è successo con AGS, è successo anche con Inform.
Con quest'ultimo poi mi sono trovato bene, per due motivi.... Il primo è che ogni tanto mi diverto a scrivere di mio racconti, e quindi l'ho trovato naturale. Il secondo è che le avventure di testo sono appunto di testo, per me che non riesco a disegnare come Cristo comanda non è un vantaggio da poco, in fase di programmazione! Certo, in futuro dovrò pensare a dar uno straccio di grafica alle eventuali prossime opere, però...

- Qual è il tuo genere preferito (anche in generale: videogiochi, libri, fumetti - da quel che mi è parso di capire dovresti essere anche un buon lettore)?

Se devo dirti miei i generi videoludici preferiti, a parte le AT, ti risponderei sportivi (soprattutto manageriali), visual novel, puzzle game, avventure grafiche, RPG e strategici a turni. A livello di fumetti, da ragazzino ero un PKer (=fan di PK)... anche se ora non ne leggo praticamente più. Come libri ti dico soprattutto romanzi storici e gialli, anche se non dico di no a quasi nessun genere: il libro di "Fantozzi" rimane uno dei miei preferiti, per esempio... Guardo saltuariamente anche qualche anime, di solito mi interesso a quelli che derivano da visual novel, perchè mi permette di sperare su di una trama decente, o perlomeno coerente...

LA VOLONTA' DEI MORTI, IL PRIMO GIOCO DI GIANCARLO:
- Noto che per la tua prima at (La volontà dei morti) hai sfruttato diversi meccanismi abbastanza "pro", tipo il citato uso dei menu come interfaccia per la mail; sei per caso un programmatore?
Vedi la domanda precedente. Non sono programmatore di professione, però qualche nozione ce l'ho, e mi piace molto sperimentare ed usare i tool in modi originali ed alternativi.
Certo, RPG Maker e Ren'py le ho provate poco, in realtà, mentre ho passato parecchio tempo su Adventure Game Studio, programmando 4-5 titoli. Peccato solo che una formattazione dolorosa abbia cancellato quasi tutto, mi sono rimasti solo due giochi che in realtà non sono neppure avventure grafiche (e che non pubblico neanche sotto tortura, lo dico subito, sono prodotti incompleti).

- Qualche raccontarci qualche retroscena su La volontà dei morti?
L'ho già detto che si basa su di un racconto che ho scritto io? No, eh? Beh, la prima versione del racconto era di un genere totalmente diverso, aveva un forte elemento sovrannaturale... Quando l'ho proposta e pubblicata, mi hanno detto in tanti "Ma togli un po' sta specie di fantasmi che girano per casa, sarebbe una bella crime..." e così ho fatto. Sai, da un lato preferiresti sempre che ti dicano subito "Sei un Dio, questo lavoro è uno sballo"... Ma dall'altro, probabilmente è meglio così, ascoltando i pareri degli altri e mutando anche nella sostanza quello che realizzi, no? In un certo senso, è un racconto che ho scritto due volte. Anzi, fai tre, questa AT è la terza... E la prova è il fatto che ho cambiato qualche dettaglio, e ho cambiato i nomi di buona parte dei personaggi.

- E la domanda super domanda ad uso e consumo personale: c'è la possibilità che mi spedisca il racconto da cui è stata tratta la at? Sarei davvero curioso di leggerlo.
Lo puoi leggere a questo link.

LE ORME DEL CHISCIANO, LA NUOVA AVVENTURA TESTUALE DI GIANCARLO:

- Parliamo ore del tuo secondo gioco, Le Orme del Chisciano. Che tipo di enigmi dobbiamo aspettarci?
Di tipi diversi, grazie a dio. Si va da quelli classici in cui devi usare e recuperare oggetti a quelli in cui devi azzeccare l'azione giusta da compiere (cercando ovviamente di non trasformare il tutto in una caccia al verbo). La tipologia degli enigmi varierà con il proseguire della storia. In un certo senso, è la trama stessa che ha imposto la creazione di un certo tipo di enigmi piuttosto che altri.
Secondariamente, la difficoltà degli enigmi dipenderà anche da certe azioni: una sfida potrebbe risultare più o meno ostica a seconda o meno che si sia compiuta una certa azione in precedenza.
Soprattutto verso il finale, poi, per risolvere certe sfide bisognerà davvero uscire dagli schemi. Un veterano delle AT, per intenderci, avrà la stessa difficoltà di un novellino proprio perchè le risposte saranno sui generis... O almeno questa è la mia intenzione. Ho comunque cercato di evitare picchi di difficoltà tipo l'ormai famigerato enigma della seconda password in "La volontà dei morti", anche se, allo stato attuale della pre-alpha, la difficoltà della storia non sia banale, soprattutto nel finale. Nel caso dovrò calibrare bene.

- Quali considerazioni hai fatto quando hai deciso di usare anche grafica e sonoro?
Il fatto che come programmazione io provenga da AGS ha influito non poco. Avrei inserito il sonoro anche nella volontà dei morti, ma purtroppo Inform 6 supportava solo gli .aiff, proibitivi come peso e dimensioni dei file. Il fatto che Inform 7 accetti anche gli .ogg, invece, ha cambiato tutto.

- Ti sei ispirato a qualche altra IF?
NO! E questo si ricollega a quanto ho detto sopra. La storia è una mia creazione e mappa ed enigmi sono una diretta conseguenza dell'intreccio (almeno per la maggior parte), quindi oltre a delle citazioni non si va. Personalmente sono uno che ha sempre cercato di prendere meno spunti possibile proprio per dare una maggiore idea di originalità a chi gioca.

- Ci saranno personaggi non giocanti? Se sì, come ci si interagirà?
Decisamente sì... Per parlarci si userà il classico "parla a", con menu a scelta multipla in cui scegliere cosa dire. Niente "chiedi a x riguardo y" e simili. Tra l'altro uno degli NPC ci starà dietro per un po' come guida e assistente (*cough* Manca Solo un Verso a Quella Poesia  *cough* Beyond *cough*)

- Quanto tempo hai dedicato rispettivamente a trama / enigmi / programmazione?
Durata elaborazione Trama: non quantificabile. Solitamente le idee per un lavoro mi nascono anche quando mi dedico ad altri lavori, quindi parlare di durata di elaborazione della storia non avrebbe senso. Per intenderci, grosso modo avrei già in testa la trama per un ipotetico sequel spirituale...
Enigmi: parlando di enigmi "originali", quindi non del tipo "prendi a e portalo a b", si parla di un paio di ore ad enigma. Poi anche qui vale quanto detto per la trama, ci sono idee che mi nascono settimane prima e che sviluppo in seguito
Programmazione: Quand'è che ho rilasciato La volontà dei morti? Considera comunque che non avevo mai usato Inform7, ed è totalmente diverso dal 6. E poi si tratta più di una questione di tempo che di difficoltà, per la maggior parte dell'implementazione.

- Cinquanta location non sono poche. Servirà una mappa?
Non tanto per sapere dove sono i posti, perchè si potrà tranquillamente scrivere nel parser il comando "vai in cucina", per esempio, e se è raggiungibile il programma ti ci porterà direttamente (ovviamente dovrò testare per bene il sistema). Sarà dunque difficile perdersi... Ma per il giocatore sarà piuttosto importante ricordare dove sono i vari oggetti all'interno dei locali, anche perchè non sono il tipo da mettere due oggetti a stanza.

- Limiti di inventario? Limiti di tempo? Vicoli ciechi? Labirinti?
Limite d'inventario: Praticamente assente.
Limiti di tempo: non ci sono dei limiti di tempo vero e proprio. Ci sono dei punti in cui bisogna risolvere certe situazioni in poche mosse, ma nulla di sistematico.
Vicoli ciechi: Ormai chi li fa? :p Onestamente non mi piacciono proprio, come giocatore, quindi assurdo aggiungerli come programmatore. Ho reso delle parti più difficili se non si compiono certe azioni in precedenza (una in particolare diventa quasi impossibile, senza un indizio...), ma si potrà sempre andare avanti nel gioco.
Labirinti: Nel mio gioco non c'è un vero e proprio labirinto. La trama praticamente me lo impediva. Ci sono comunque stanze non immediatamente raggiungibili, e da "sbloccare".

- Ma il multiplayer online c'è, vero?!?
Rispeditelo fuori a calci, grazie, e assicuratevi che non entri più.

- Ma quanto è lunga, almeno?
Abbastanza. Il gioco è diviso in sette atti più un prologo ed un epilogo (questi ultimi brevissimi), ed al momento in cui scrivo nessuno dei betatester ha raggiunto ancora il secondo, che io sappia... Vi sono poi tante azioni particolari con descrizione e tutto, ma che non sono necessari per completare il gioco, servono piuttosto ad aggiungere atmosfera, a caratterizzare protagonista ed NPC: quindi chiunque potrà scegliere se andare avanti od esplorare anche per il gusto di farlo (vi sono due o tre punti nella trama in cui sarà chiaro quale posto o quale azione permetterà di avanzare, però si potrebbe scegliere di esplorare per vedere se si nota qualcosa di più, solo per il piacere di scoprire. Non vi sono punteggi che scorrono in alto, solo il gusto dell'esplorazione.

- Una volta fatta la release che deciderai di fare? Passi ad un nuovo progetto, traduci questo in inglese o ti prendi una pausa?
Bella domanda. Tradurre QUESTO gioco in inglese sarebbe un lavoro lungo: primo, perchè ci sono parecchie descrizioni lunghe (credo che se li mettessi insieme verrebbe fuori un testo lungo come un piccolo romanzo, e non credo sia un'esagerazione...) Secondo, perchè, per genere di AT e per ambientazione, la traduzione non dovrebbe essere fatta in maniera scolastica, quanto con una certa incisività. L'inglese lo conosco, però hai sempre il dubbio che il tuo livello non sia mai abbastanza.... Diciamo che prima aspetterò di sentire quali sono i giudizi complessivi su questo gioco.

- Non hai ancora parlato dei protagonisti...
Vero. Chi ha giocato alla "volontà dei morti" si ricorderà che la prospettiva del gioco è in prima persona (mentre nella maggior parte delle IF è in seconda persona) e che del protagonista si poteva scoprire il nome solo attraverso uno dei "prodotti collaterali" di un enigma. Ora, nelle "orme del Chisciano" il nome del protagonista sarà rivelato piuttosto presto (sempre per vie traverse), ma anche qui sarà come se non ci fosse... Per il giocatore sarà "il protagonista", punto. Ed anche di molti altri personaggi non si sapranno i nomi, a occhio me ne vengono in mentre tre su una ventina di NPC totali. Aspettatevi comunque dei tipi... Uff, non voglio spoilerare! Va beh, aspettatevi dei tipi, come saranno lo vedrete a tempo debito.
Una nota in più sul protagonista. Ora, Chisciano è un chiaro (chiaro?) riferimento a Don Chisciotte, personaggio la cui fine mi colpi molto a suo tempo. Bloccato a casa dopo aver promesso che avrebbe smesso di fare il cavaliere errante a seguito di un duello perso, si ammala perchè non riesce a superare il trauma di non poter più inseguire i suoi sogni e muore, rinsavendo solo sul letto di morte.
In un certo senso, anche il protagonista si ritroverà in una situazione non molto diversa: è un sognatore e visionario, come si noterà fin dalla prima riga di gioco. Ed è destinato ad avere molti altri punti in comune con il cavaliere della Trista Figura. Tranne forse che per il rapporto con il gentil sesso, dove spesso le situazioni saranno invece rovesciate...

- Quanto è autobiografico?
Un po' credo di sì (ma i fatti raccontati non mi sono accaduti, sia chiaro!). Ripensando a quello della volontà dei morti, un esempio è la meteoropatia (il fatto cioè di essere influenzato dal tempo atmosferico, io con la pioggia mi rilasso tantissimo...) Mentre se pensiamo alle Orme del Chisciano mi vengono in mente il fatto di immaginarsi un mondo interiore diverso da quello reale è un qualcosa che rientra decisamente nella mia personalità, soprattutto da piccolo. E pure il fatto di farsi un giudizio ben preciso sulle persone ma senza rivelarlo agli altri.
Caratterialmente parlando, anche i protagonisti delle mie due AT si somigliano, questo è vero. Anche se non sono la stessa persona. Per la prossima però, se riuscirò a realizzarla, pensavo ad una donna come personaggio principale e dal carattere profondamente diverso...



- Di tutto il testo di cui è composto il gioco, quanto se ne legge obbligatoriamente per finirlo e quanto invece è il "premio" del giocatore che esplora tutto?

Considerando tutto? Ti direi 60 obbligatorio - 40 facoltativo a spanne. Per capirci, nel gioco ci sono 4-5 personaggi che, a seconda delle scelte e delle azioni fatti, potresti non incontrare proprio in tutta la partita...

- Una parte importante de Le Orme del Chisciano si svolge nell'abitazione del protagonista. Ma è stessa casa de La volontà dei morti?
 No, la casa non è la stessa. Nelle orme del chisciano il protagonista è figlio unico (lo dice lui stesso, durante una delle sue riflessioni). Per esempio, nella VdM la camera è collegata al piano terra da delle scale, mentre nelle OdC non c'è proprio un piano rialzato. Le due famiglie, ed in generale le due storie, non hanno nulla in comune.

- Quanti bivi ci sono nel gioco? Quanto è interattiva la sua storia?
Sulla seconda domanda, che è più complessa: di bivi "espliciti", cioè dove il giocatore capisce di essere ad un bivio, ce n'è soltanto uno, che voi betatester non avete ancora raggiunto. Di bivi "nascosti", invece, caratterizzati da azioni che portano a sbloccare aree e personaggi, invece, ce ne sono cinque o sei. Nessuno di questi è decisivo per concludere il gioco, ovviamente, serve solo a dare al giocatore più possibilità di scelta, oppure serve per "aprire" nuovi modi di risolvere un enigma e chiuderne altri. Alcune azioni possono essere svolte "in ordine sparso", lasciando a chi gioca la possibilità di scegliere cosa fare prima, altri punti possono essere risolti in due modi diversi, dipende solo da quello che vuole fare il giocatore (una volta che si è reso conto che ci sono effettivamente due modi per risolvere...).
C'è comunque un solo finale, essendo l'AT molto "plot-oriented" volevo che si arrivasse al finale che avevo pensato.
Inoltre, aggiungo che molte delle descrizioni "facoltative" di cui parlavo prima permettono di capire meglio la psicologia dei vari personaggi, e l'ambientazione del gioco. Uno, in particolare, è nascosto in un punto particolarissimo... (inizialmente era un enigma obbligatorio, ma alla fine l'ho solo aggiunto come chicca perchè per alcuni sarebbe stato impossibile arrivarci...)

- Puoi rispondere ad altre domande?
Certo. Possiamo parlare direttamente sul forum di IFItalia su OldGamesItalia!

Leggi la recensione de La Volontà dei morti su OldGamesItalia

Leggi la recensione de Le Orme del Chisciano su OldGamesItalia

Scarica gratuitamente Le Orme del Chisciano!

Discuti con l'autore sul forum di IFItalia

Intervista a Paolo Paglianti

Di seguito potete gustare un'intervista fatta a Paolo Paglianti, vera colonna storica dell'editoria videoludica italiana che ringraziamo calorosamente per la sua cortesia oltre che per averci lanciato diverse vere "perle da oldgamer".

Come avrete modo di vedere gli argomenti trattati sono diversi e spaziano dal passato al futuro del nostro passatempo preferito, con un occhio di riguardo a quello che è il mondo del retrogame e a come potrebbe essere vissuto ai giorni nostri senza arroccarsi su posizioni "integraliste"; sono quindi sicuro che avrete piacere a leggere le sue parole così come io ho avuto il piacere di conoscerlo, seppur virtualmente.

Buona lettura!




Intervista a Wariopunk (Pietro Turri)

La scena dello sviluppo italiano non mostra molti esponenti di cui andare orgogliosi: ci sono onesti professionisti capaci di sfornare buoni titoli, qualche eccellenza, ma (purtroppo e a volte a torto) è difficile veder parlare dell'Italia in ambito produttivo se non all'interno dei circoli degli addetti ai lavori.

Capita però talvolta di trovare qualche piccolo lampo come quello che ha riguardato i recenti European Games Award dove fra i candidati per la migliore avventura grafica indie dell'anno abbiamo avuto il piacere di  leggere il nome di Pietro Turri con il suo A Cat's Night, titolo pronto a competere con produzioni ben più blasonate come la recente Botanicula.

Incuriositi e colpevolmente colti alla sprovvista abbiamo quindi deciso di scambiare due parole con questo prolifico game designer per capire come lavora, quali sono i suoi sogni e soprattutto conoscere il suo parere su un genere dai più dato per morto ma ancora capace di alzare la testa. Buona lettura! 




Intervista a Jane Jensen

Di quella che possiamo definire come la nuova età d'oro per gli amanti delle avventure grafiche ne abbiamo parlato a più riprese: Ron Gilbert, Tim Schafer, Al Lowe e diversi altri esponenti della vecchia scuola sono infatti tornati alla ribalta grazie alle mirabolanti sorti della piattaforma kickstarter, apparentemente vera manna dal cielo per tutti gli oldgamers.

Fra i ritorni più graditi sicuramente annoveriamo quello di Jane Jensen che, dopo il successo mancato di Gray Matter, torna alla carica con addirittura una stagione di avventure grafiche; potevamo dunque perdere l'occasione e non farle qualche domanda sui suoi progetti passati e futuri? Certo che no e quindi per la gioia dei suoi numerosi  fan italiani ecco di seguito il frutto di questo scambio dove la nostra dimostra di avere le idee ben chiare circa il futuro del genere e della sua software house.

Buona lettura!




Intervista a Mattia Traverso

Piccoli Game Designer crescono: potrebbe essere questo il sottotitolo all'intervista che il nostro Andrea Milana ha realizzato con Mattia Traverso, giovane game designer di Roma, autore del romantico One and One Story.

Nel corso della chiacchierata sono stati molti i temi trattati, da come un giovane vede la game industry, a quelle che sono le basi per un buon videogioco. Buona lettura! 

Link all'intervista
Link al sito di One and One Story
Link all'Ogi Forum

Intervista a Mattia Ravanelli

Nuova intervista di Oldgamesitalia che a questo giro porta ai suoi microfoni virtuali Mattia "Zave" Ravanelli, giornalista videoludico da diversi anni sulla scena e capace di offrire un punto di vista mai banale nei suoi interventi .

La chiaccherata che ne è scaturita presenta diversi motivi di interesse e pertanto vi invitiamo a leggervela tutta di un fiato per cogliere anche aspetti o spunti che spesso non emergono ad uno sguardo superficiale. Insomma un bel regalo per un weekend da veri oldgamers... Buona lettura!

Link all'intervista
Link alla discussione sul forum dedicata all'intervista
Link al blog di Mattia Ravanelli

Intervista a Mattia Ravanelli

Giornalista, blogger, appassionato di musica e autore dal poliedrico gusto in ambito videoludico, Mattia Ravanelli ha probabilmente come unico difetto quello di essere juventino.
Nonostante ciò oldgamesitalia ha scelto lui per parlare del mestiere di giornalista videoludico, di quello che ci aspetta nel prossimo futuro e soprattutto poter cogliere sfumature che nella nostra passione rimangono spesso sotto traccia. Se siete curiosi, come detto in apertura, Mattia "Zave" Ravanelli ha anche un suo blog che potete seguire qui, per il resto vi rimandiamo all'intervista sotto riportata.
Buona lettura!

Tsam: Mattia Ravanelli: chi sei, da dove vieni e soprattutto dove vai?

Mattia Ravanelli: Sono uno a cui piace un sacco scrivere, soprattutto di videogiochi e di faccende che mi appassionano (mi piacerebbe da morire saper scrivere decentemente pure di musica, per intenderci). Vengo da un po' di anni passati prima come collaboratore per un certo numero di riviste e siti di videogiochi, quindi come coordinatore delle stesse.
Dove vado sarebbe decisamente comodo che fosse reso noto anche a me. Per ora vado in ufficio dal lunedì al venerdì e a trovare il divano il sabato e la domenica.

_
Tsam: Da diversi anni ti occupi di giornalismo videoludico e hai avuto modo di viver sia quello che può essere definito come il periodo d'oro della carta stampata, sia l'avvento del web con tutto quello che ne consegue. Quali sono a tuo modo di vedere i punti di forza di un "veicolo" rispetto ad un altro e soprattutto possono, nel 2011 coesistere?

MR: Rispondere non è affatto facile e probabilmente serve una conoscenza più approfondita e una visione d'insieme più "universale" di quanto non sia la mia.
Mi sembra però evidente che, oggi come oggi, in Italia il settore delle riviste cartacee di videogiochi sia in preda a una prevedibile e ovvia depressione. Gli sforzi da parte degli editori sono ai minimi storici e le proposte sono fossilizzate sul modello di rivista che si era abituati a presentare dieci anni fa almeno.
D'altronde non è detto che esista un pubblico per una tipologia di rivista differente, così come è vero che questo stesso pubblico non è più particolarmente interessato a queste riviste (visti i dati di vendita in edicola, in caduta libera). Per ora non c'è coesistenza, ma sopravvivenza affannosa della carta rispetto al web.

I punti di forza del web sulla carta sono ovviamente... tutti. Non ha punti di svantaggio, anche se personalmente non trovo di particolare fascino nessun magazine online italiano dedito ai videogiochi (chiaramente non ci conosceva ndTsam). Poi c'è una preferenza personale che è anche fuori moda: mi piace l'impaginazione, la grafica, lo stile, l'ordine e la pulizia che solo (per ora?) un impaginato può dare.
Questo è un punto di forza della carta sul web, ma è davvero poca cosa.

Tsam: A tuo modo di vedere, un'informazione videoludica considerabile qualitativamente "buona" può essere gratuita? Perchè?

MR: Non vedo, più che altro, perché dovrebbe esserlo. Un lavoro si paga. I professionisti si pagano. Più dimostri di essere una persona abile e affidabile nel tuo lavoro, più chi cerca quelle caratteristiche (che evidentemente dovrebbe risultare vincenti anche "al botteghino") dovrebbe essere disposto a pagarti. Questo in un mondo ideale.
Se si riduce l'attività giornalistica di settore a un hobby (perché nessuno può pagarsi affitto e bollette e spesa con i complimenti dei lettori), allora la qualità per forza di cose tenderà a scendere fino ad annullarsi. Semplicemente perché non potrà più essere un lavoro, ma uno svago.

Una professionalità va costruita con anni di gavetta e ottimi maestri. Non con due o tre stagioni di collaborazioni gratuite "e poi cerco un lavoro", altrimenti si ricomincia sempre da zero. Dentro nuovi giovani studenti che amano scrivere di giochini per un po', finché non ci sarà qualcosa di "vero" (= retribuito) da fare nella vita. Pagare qualcuno per un lavoro è investire anche e soprattutto sulla persona perché si crede che possa contribuire al successo della propria impresa.
Almeno finché a gestire questo settore erano realtà imprenditoriali (editoriali) vere e non improvvisazioni da Web 2.0 fuckyeah!
 _

Tsam: La critica italiana fatica a produrre una risposta ad un fenomeno, quello videoludico, che vede diversi attori alternarsi per studiarlo e "smontarlo" in tutte le sue sfaccettature e influenze. Spesso, se si pensa alla situazione all'estero sembra proprio che siamo agli albori con una concezione simile a "videogioco = prodotto per bambini". Sono luoghi comuni, quanto per te c'è di vero e soprattutto qual è il tuo pensiero al riguardo?

MR: Giuro che non ho capito la domanda. Se intendi dire che dalle nostre parti la critica è appiattita su uno schema primordiale e che non c'è un Gamasutra o equivalente... be', sì, in buona parte è vero.
Ma nessuno nasce imparato, come si suol dire. E per arrivare a proporre qualcosa di sempre più corposo e interessante servono sia i maestri, che gli allievi pronti in futuro a diventare maestri. Rimando quindi alla risposta su "ti piace lavorare gratis?", poco più in alto.
Ovviamente questo è un discorso generalizzato e, come tutti i discorsi generalizzati, tendenzialmente ingiusto. Perché di gente brava ce n'era, ce n'è e ce ne sarà. Ma è gente brava "nonostante tutto", cioé che sopravvive per suo merito a una situazione generalmente deprecabile.
_

Tsam: Tu che spesso hai dovuto parlare del videogioco come un prodotto, credi che sia possibile qualificarlo come arte? Ritieni che si stia forzando la mano in questo senso?

MR: Sì, decisamente si sta forzando la mano. Non ricordo nessun discorso tipo "ma il calcio è arte?" sulla Gazzetta dello Sport, eppure una punizione sotto al sette è una gran bella pennellata.
E poi, scusate, come facciamo a sapere quando è arte e quando no? Esiste un Organo Mondiale Ufficiale di cui aspettiamo un comunicato che ufficializzi la cosa? Quando, chi è interessato alla questione, si riterrà soddisfatto? A me, detta fuori di bocca, frega davvero pochissimo.
 _

Tsam: In quale momento hai deciso che avresti voluto lavorare con i videogiochi?

MR: Per caso, nel 1999: ero al primo (fallimentare) anno di università. In quell'anno (e in quello prima, e in quello dopo) qualsiasi editore si buttava disperatamente in edicola con una rivista PlayStation. All'epoca già ne coordinavo una (PlayStation World) e sul finire dell'anno un altro editore (l'allora debuttante, nel campo, Edizioni Master) mi contattò per chiedere se fossi interessato a curare una rivista multipiattaforma.

Tsam:  Se pensi alle diverse figure che hai incontrato durante la tua carriera, a quale professionista ti senti più legato e verso chi ti senti maggiormente debitore?

MR: Ahhh, ottima domanda. Cui rispondo con felicità estrema facendo tre nomi e sperando che non leggano: 1) Giorgio Baratto, che nel 1996, allora caporedattore di Game Power, ha avuto l'ardire non solo di permettere a un ragazzino di iniziare a scrivere, ma gli ha anche insegnato a calci un sacco di roba utile su come si faccia questo lavoro; 2) Claudio Tradardi, che mi ha insegnato tutto il resto negli anni sia dello Studio Vit che di Future, quando abbiamo lavorato assieme a Nintendo la Rivista Ufficiale (e non solo); 3) Andrea Minini Saldini, che non si capisce bene come mai, ma mi ha dato la possibilità di imparare tutto quello che ho imparato sotto l'ala del Tradardi di cui sopra, dato che è stato lui ad assumermi in Future e a decidere che potessi svolgere il ruolo prima di Deputy Editor e poi di Editor.
I tre nomi sono in rigoroso "ordine cronologico".
 _

Tsam: Se dovessi pensare al titolo che più ti ha colpito nella tua carriera quale indicheresti?

MR: Facciamo che ne metto tre. Il primo è Bubble Bobble, perché come il 99% dei miei coetanei è stato il motivo singolo per andare in un bar/in una sala giochi per un sacco di tempo.
Il secondo è Phoenix, perché è il primo videogioco che mi ha messo addosso una certa voglia di diventare bravo a giocare, per davvero (non che poi lo sia diventato).
Il terzo è Super Mario 64, perché mi ha definitivamente convinto che non potevo più solo giocare, ma dovevo anche abborfare le guglie al prossimo con delle recensioni e degli articoli e via andando... tanta era la classe del gioco di Nintendo.
"Abborfare le guglie" è kaibano, non siete tenuti a sapere cosa voglia dire.
 _

Tsam:  Quali sono le doti che a tuo modo di vedere un buon giornalista videoludico dovrebbe avere?

MR: Dovrebbe avere delle idee e una vera e sana passione per la comunicazione (della propria idea ai lettori). Dovrebbe avere davvero qualcosa da dire, una sua visione da comunicare, una lettura intelligente, interessante e peculiare. Aiuterebbe anche saper scrivere più che decentemente in italiano.


Mattia Ravanelli in una storica riunione redazionale di NRU

Tsam: Sei nato e cresciuto nel periodo del supporto fisico: come ti poni rispetto al fenomeno del digital download e quanto a tuo modo di vedere il videogioco perde nella sua smaterializzazione? Voli mentali dei collezionisti o impoverimento della cura riposta nella creazione di un videogioco?

MR: Cioé, a parte che tra queste domande e quelle prima continui a darmi del vecchio e non è che proprio sia carino. Detto questo: mi piace ogni tanto rigirarmi le confezioni dei giochi NES, Megadrive, Super Nintendo e Master System che ho a casa, più per ricordo che per altro. La possibilità di scaricare il giorno di uscita Metal Gear Solid 5, piuttosto che andare a comprarlo, mi interessa, più per comodità che per altro.
Bisogna però, e qui siamo proprio alla scoperta dell'acqua calda, ipotizzare nuovi modelli di vendita, nuove fasce di prezzo e tutto quanto faccia sentire nel giusto chi decide di comprare in digitale e non, come spesso accade, vittima di uno stupro con la sabbia (relativamente parlando). Tendenzialmente sono uno fiducioso, quindi suppongo che se compro Mario Kart XY dal futuro servizio di digital download di Nintendo, non dovrò preoccuparmi nel caso mi esplodesse la console o l'account o che so io.

Comunque deve succedere e tendenzialmente succederà, quindi meglio fare buon viso a prescindere. Poi vabbé, il fascino e la malattia mentale della confezione occupano un altro capitolo. Per dire, sono un appassionato di musica e i nuovi album li compro in vinile: perché la confezione grossa arreda (non per velleità audiofile, sono sordo) e perché tanto il CD non lo infilo più da nessuna parte.
Per quanto riguarda la cura nella creazione di una confezione e di un manuale... se mai è esistita, è morta da alcune generazioni. I casi sono più unici che rari, in particolar modo ricordo con affetto tanta roba giapponese sempre dell'epoca 16bit, ma anche la fase GameCube e GBA è stata ricca di roba sugosa in tal senso (su tutti i vari Wario Ware). C'è comunque modo di fare qualcosa di carino (anche se non comparabile) anche nel mondo del digital download, vedi alla voce iTunes LP (ma qualcosa di meglio, grazie).
 _

Tsam: Violenza, videogiochi e stampa generalista: un connubio spesso ad alto pericolo aggiunto. Quanto è deleterio a tuo modo di vedere l'approccio dei "non addetti al settore" al tema videogioco?

MR: Non è deleterio, è solo che il livello medio del giornalista "generalista" in Italia è scoraggiante (forse anche altrove, non so).
 _

Tsam: Un salto veloce nel passato: dove il mondo dei videogiochi per te (nella tua esperienza personale) ha incontrato il suo punto di non ritorno? Del tipo "da qui non sarà più lo stesso?"

MR: Ci sono tanti punti di non ritorno: c'è il successo di Atari negli anni '70, quando i coin-op erano ovunque. C'è Super Mario Bros. 3 sul finire degli '80 che segna l'irrimediabile Mario Mania negli Stati Uniti (e non solo). C'è PlayStation e WipEout e i Prodigy e RedBull, un mistone di cultura pop che ha saputo dove e come colpire... tutti momenti in cui i videogiochi si sono incontestabilmente fissati nell'immaginario collettivo.
Vorrei avere una risposta più arguta, qualcosa tipo "dopo il motore poligonale di Virtua Racing niente è stato più come prima", o "lo scrolling dello schermo di Super Mario Bros. ha cambiato tutto", ma non saprei dirlo senza sentire che sto sparando a caso, quindi evito.

Tsam: Spesso il mondo dei videogiochi presenta casi di prodotti che anticipando il futuro o sbagliando le tempistiche sono andati incontro a morti premature, una su tutte ad esempio la mitica Dreamcast. Pescando dal
tuo retaggio e dalla tua esperienza professionale, se dovessi fare una valutazione sul futuro che ci aspetta quale sarà a tuo modo di vere la direzione vincente per imporsi sul mercato dei prossimi anni?

MR: Ahhhh, ma non ne ho la più pallida idea. Qualche anno fa in redazione discutevo con qualcuno del perché non mi facessero noleggiare "via digitale" la potenza di calcolo che mi serviva per giocare ad Half Life 2 e tanti saluti... in pratica OnLive.
Ecco, le poche idee decenti che ho relativamente a dove potrebbe finire il mondo dei videogiochi assomigliano al concetto che sta dietro a OnLive: niente scatole a casa, tutto in cloud. Però davvero, è tutto molto bello perché è tutto molto imprevedibile.Se mi avessero detto dieci anni fa che il futuro sarebbe stato nella profilazione del giocatore e nel gamerscore e nel multiplayer a tutti i costi... non ci avrei creduto un granché, eppure è forse l'eredità più significativa che si lascerà dietro questa generazione quando finalmente deciderà di togliersi di torno.

Questione Dreamcast (che ci voglio bene e tutto): il suo problema, a mio modo di vedere, non è certo stato quello di anticipare i tempi, ma di arrivare quando la fiducia del mercato (i publisher, prima ancora che il pubblico) verso Sega era irrimediabilmente compromessa. Si aggiunga una situazione finanziara dell'ex colosso semplicemente atroce et voilà, un morto in più da sotterrare.
 _

Tsam:  Quanto a tuo modo di vedere è importante conoscere il passato per poter valutare correttamente un videgioco uscito, ad esempio nel 2011? E' importante una filologia videoludica alle spalle?

MR: Filologia l'ho appena cercato su Garzantilinguistica.it e quindi okei, ne ho imparata una nuova. La domanda, comunque, è interessante e per quanto mi riguarda è difficile dare una risposta. Credo che, fondamentalmente, recensire un videogioco sia molto più facile (non meno faticoso però, sono due questioni differenti) che recensire un film o un disco.
Nel senso: se oggi devi recensire Mortal Kombat 9 ha veramente senso aver giocato al primo Street Fighter? No. Ha senso aver giocato all'ultimo Tekken, all'ultimo Soul Calibur e via andando. Quel che conta, per come la vedo io, è riuscire a mettere nel giusto contesto il gioco che si va ad analizzare, anche perché i giochi di venti anni fa sono ormai archeologia pura.

Non riesco a immaginare un caso in cui recensire un gioco oggi senza avere una conoscenza enciclopedica del mercato a 8bit possa portare a chissà quale figuraccia. Tralasciando i soliti remake à la Sabrewulf su Game Boy Advance et similia, certo. Se, invece, ti ritrovi a recensire oggi un disco dei Fleet Foxes (2011) è dura farlo senza parlare con cognizione di causa di Simon & Garfunkel (anni '60 e '70), di Beach Boys (anni '60) e di un sacco di altro pop/country/americana, perché fondamentalmente è quella roba lì.
Gears of War e Operation Wolf invece?
 _

Tsam: Ultima domanda sul presente; di cosa ti occupi ora?

MR: Di un lavoro più prosa e meno poesia per le solite otto ore al giorno, ma anche e con amore di Dailyrando.it, una community piccola ma con delle potenzialità interessanti, gestita dal sottoscritto, da Andrea Minini e da Claudio Tradardi. Poi di One|Game|Shot che è un esperimento a tempo perso, in soldoni un piccolo blog che offre 'una notizia al giorno, ma fatta bene', ovviamente dedicato al mondo dei videogiochi.

E poi del mio blog personale, quando proprio non ho di meglio da fare e voglio rovinare un po' qualche style.css

 

Intervista a Chris Huelsbeck

Per allietare il vostro fine settimana vi proponiamo una di quelle interviste che si possono definire "con il botto", ovvero nientemeno che a Chris Huelsbeck, nome che se forse a qualcuno potrà suonare nuovo, risulterà sicuramente più famigliare se associato a giochi del calibro di Turrican per i quali si è occupato di sviluppare la parte sonora.

Ringraziamo quindi Chris e soprattutto il mitico (neo staffista!) Andrea "Vintage" Milana che si è occupato di intervistare questo eroe della musica videoludica, regalandoci un pezzo ricco di curiosità e considerazioni interessanti.

Nei prossimi giorni poi pubblicheremo anche la versione originale della stessa (in inglese). Buona lettura!

Link all'intervista
Link alla discussione sul forum
Link al sito di Chris Huelsbeck
Link al sito di Andrea "Vintage" Milana

 

Intervista a Virginia Petrarca

Nel panorama italiano capita di incontrare persone che, partendo da una propria passione, ne fanno poi il loro lavoro. Ogi questa volta ha avuto il piacere di scambiare due chiacchere con Virginia Petrarca, deputy editor di Game Pro (rivista di cui abbiamo già parlato con Metalmark, responsabile della rivista stessa e di cui potete trovare anche un thread dedicato qui; la ringraziamo anticipatamente per la cortesia dimostrata, invitandovi a visitare anche il suo sito dedicato alla saga di Zelda: http://www.thelostwoods.net/index.shtml .

Buona lettura! 


Tsam: Virginia Petrarca, chi è, da dove viene e dove andrà?

Virginia: Non sono davvero né più né meno che una inguaribile nerd. Ho avuto la fortuna di poter sbirciare nella mia passione tramite un lavoro, quello di redattrice per riviste specializzate di videogiochi online e cartacee, che mi interessava moltissimo poter svolgere, ma il modo in cui preferisco definirmi è in effetti proprio quello di grandissima appassionata, e non solo di videogiochi, anche se restano comunque uno dei miei interessi principali.

Provengo da una famiglia di professori e sono stata tirata su a suon di film che ormai sono ultraclassici d'intrattenimento, da Ritorno al Futuro a Indiana Jones e Ghostbusters, per tacere di Star Wars, ovviamente. Per questo innanzitutto, nella mia vita, sono stata una cinefila. Sono una lettrice vorace, soprattutto dell'opera omnia di Lovecraft, dei gialli di Camilleri e della serie di Harry Potter (ma anche di molti altri), e non so stare senza un buon romanzo o un saggio da leggere; colleziono riviste di videogiochi, amo i fumetti, soprattutto i manga, e l'animazione, e mi piacciono molto i giochi di ruolo cartacei. Sono un'appassionata di fantascienza e di fantasy in perenne ricerca di mondi immaginari atipici e affascinanti.

Cerco anche di partecipare creativamente ad alcune delle mie passioni e, oltre a curare il mio sito, cosa che mi è stata di grande aiuto per mantenere in esercizio e migliorare lo stile di scrittura e mi ha dato la possibilità di iniziare a far sentire la mia voce, creo e disegno personaggi e storie di mia ideazione oppure mi cimento nella realizzazione di fanfiction (i racconti amatoriali basati su film, fumetti, libri o videogiochi), fanart (disegni ispirati ai suddetti) e cosplay (abiti dei propri personaggi preferiti). Mi diverte moltissimo, ed è una cosa che mi sta molto a cuore, anche fare traduzioni in italiano di videogiochi, fumetti o articoli. Ma tutto questo non sarebbe completo se non aggiungessi che sono letteralmente innamorata del Giappone, grazie all'esposizione massiccia alla sua cultura cui sono stata sottoposta nella mia passione per i manga: studio la storia, la letteratura e in generale le tradizioni del Paese e ormai da sei anni studio anche la lingua giapponese, una cosa su cui mi tengo in allenamento esaminando i dialoghi originali dei videogiochi... il che sarebbe poi anche uno degli scopi per cui imparo la lingua. Questi sono, in breve, i punti salienti del mio background. Circa il dove andrò, beh... se posso rispondere con una battuta, spero verso un lungo viaggio in Giappone il più presto possibile: è il mio sogno irrealizzato!

T: Per iniziare, puoi spiegarci un po qual'è il tuo rapporto con il videogioco? quando sei entrata per la prima volta in questo fantastico mondo?

V: Ho praticamente sempre vissuto a fianco dei videogiochi: mio padre, fra le altre cose, è un programmatore e un compositore di musica elettronica, e fin dalla tenera età sono stata circondata dai computer. Ovviamente, all'inizio mi limitavo a vedere mio padre giocare con il Commodore 64, poi verso i dieci anni cominciai ad usarlo anche io, e non ci volle molto perché scoprissi anche il PC (e a tal proposito ricordo la prima rivista specializzata che acquistai, PC Game Parade, e uno dei miei primi grandi amori, Wolfenstein 3-D) e le console, grazie a Game Boy e SNES e ai giochi di Mario.

Ricordo che giocavo i miei primi platform insieme a mio padre, e quando sono stata più grandicella ci alternavamo il possesso del pad: ho finito in questo modo giochi come Yoshi's Island, Donkey Kong Country e Jazz Jackrabbit su PC. Quegli anni hanno forgiato le basi della mia passione, con la lettura delle riviste e la selezione dei titoli che più mi interessava seguire. Su molti giochi mi sono fatta una cultura semplicemente leggendone speciali e recensioni! Una delle svolte della mia vita di videogiocatrice, e non posso proprio non citarlo, è stato sicuramente il contatto con la serie di Zelda, prima avvenuto con A Link to the Past e poi, grazie a quella prima esperienza, con Ocarina of Time, che mi ha seriamente cambiato l'esistenza. Ocarina è stato il mio primo gioco per il Nintendo 64, il motivo per cui acquistai la console, e non avevo mai visto prima di quel momento qualcosa che gli somigliasse anche solo lontanamente. Quel gioco mi ha talmente influenzato che non solo sono diventata una fervente seguace della serie, ma proprio per lui ho aperto la prima versione del mio sito, The Lost Woods.net.

In generale sono una videogiocatrice accanita, anche se come tutti ho dei generi e degli approcci che preferisco rispetto ad altri. Col passare del tempo ho sviluppato un certo interesse per aspetti che vanno anche al di là del gameplay, come la storia, i personaggi o la cura stilistica: un videogioco, per affascinarmi, deve avere una certa atmosfera e lasciar trasparire, in un aspetto o nell'altro, la cura e l'amore di chi se ne è occupato. Non mi diverto meno con giochi in cui la parte narrativa abbia un peso rilevante, anzi. Do importanza alle emozioni che un gioco, ma anche opere appartenenti a media diversi, mi suscitano: in poche parole non ho problemi finché ciò che fruisco mi resta dentro per un motivo o per l'altro. Credo anzi che l'immedesimazione garantita dall'interattività possa essere un mezzo eccellente per veicolare storie emozionanti e personaggi che lasciano il segno, e non disconosco di certo simili elementi nel mezzo videogioco.

T: Il videogioco che per te è IL videogioco, qualcosa che niente e nessuno potrà o dovrà criticare.

V: Domanda difficilissima... non perché non ne abbia uno, ma perché ne ho davvero troppi! Sono un tipo molto viscerale, e quando mi 'innamoro' di qualcosa mi infervoro davvero contro le critiche che non condivido. Se dovessi fare una scelta dettata dalla ragione, tuttavia, a costo di risultare scontata direi gran parte della serie di Zelda, ma soprattutto il trittico A Link to the Past/Ocarina of Time/Twilight Princess. Perché non uno soltanto? Per il semplice motivo che li considero l'uno l'evoluzione dell'altro, in modo inscindibile e continuo. Si tratta, per quanto mi riguarda, degli esempi più completi del Videogioco nella sua forma più alta. Ciascuno di essi ha salito qualche gradino in più sulla strada della perfezione formale e dei contenuti.

Sono l'epitome del gameplay, tanto in ambito di formula di gioco quanto sotto il profilo della struttura e dell'organicità, ma possiedono anche un fascino che va al di là del gioco in sé e una cura per il mondo e il background culturale incredibile, e oltre a questo anche una trama non invasiva ma allo stesso tempo più rilevante di uno scarno canovaccio. In poche parole, li considero il connubio perfetto tra gameplay e storia, e non ho quasi trovato critiche in merito che non potessero ricondursi a una mera questione di gusti personali ed evidenziassero problemi "convenzionali" di progettazione. Anche Twilight Princess, che è stato molto criticato, a mio modo di vedere viene denigrato per ragioni opinabili che non tengono conto di quanto sia rifinito sotto ogni profilo.

Se posso aggiungere una scelta assolutamente parziale e dettata dall'emotività, invece, non comprendo molte delle critiche rivolte ai primi tre capitoli della serie di Phoenix Wright: Ace Attorney, critiche che sembrano peraltro essere copia-incollate da una recensione all'altra senza essere comprese. La linearità, ad esempio: le vecchie avventure punta e clicca, tra le quali spiccano giochi come Monkey Island, peraltro annoverati anche tra i migliori di tutti i tempi, seguivano soprattutto dei personaggi e delle storie e per farlo nel migliore dei modi preferivano presentare una successione di eventi in sequenze lineari, senza che per questo il divertimento ne venisse inficiato. Se non fosse così e se si fosse totalmente liberi ci ritroveremmo tra le mani giochi completamente diversi. Seconda cosa, l'essere sempre uguali a se stessi: non credevo che fosse un crimine avere una formula fresca, originale e soprattutto valida e tentare di non mandarla sprecata.

Comprendo che il genere sia più difficile da far piacere a un'ampia fetta di videogiocatori rispetto ad altri, ma, a parte che non considero ciò un difetto intrinseco al gioco, credo anche che le critiche vadano rivolte con cognizione di causa, fermandosi a considerarle, e non solo automaticamente, perché "le fanno anche gli altri".

T: E invece la tua esperienza videludica peggiore in assoluto e perchè... (risatina sadica...)

V: Solitamente sto molto attenta a selezionare giochi che possano interessarmi e divertirmi, anche perché con tutta la buona volontà nessuno ha a disposizione l'eternità per giocare XD capita comunque che anche giochi del genere mi deludano. Per quanto riguarda l'esperienza peggiore in assoluto, non saprei risponderti: sicuramente alcuni tie-in mi hanno fatto venir l'ulcera per il fastidio che mi provocavano giocando.

Non li ho però giocati perché ne avevo voglia, ma per esigenze di lavoro, e in questa categoria posso senz'altro mettere Batman: Rise of Sin-Tzu (una delle esperienze più smorte e tediose che mi siano capitate: praticamente una sequenza di livelli tutti uguali pieni di tre o quattro modelli di nemici ripetuti fino alla nausea). Sotto il profilo dei giochi giocati 'per voglia', la trasposizione del primo Sonic Adventure per GameCube: la fiera del bug, dei salti approssimativi e delle morti inspiegabili. Se posso citare un gioco che 'a freddo' mi restava dentro dopo ogni sessione, ma che mi ha fatto infuriare al punto di abbandonarlo dopo pochissime sezioni, allora ritiro fuori il Forbidden Siren di cui ho già parlato più sopra: certo, la difficoltà era voluta per dare la sensazione di essere persone comuni calate in una città d'incubo, di dover scoprire la causa della degenerazione dei suoi abitanti con pochi mezzi a disposizione.

Ma tagliare fuori una fetta così consistente di giocatori costringendo a un trial & error così esteso da succhiare via ogni briciolo di paura non si è rivelata, a parer mio, una scelta vincente. Certe parti sono così implacabili da spingere a finir tutto nel modo più veloce possibile, togliendo la voglia di esplorare per scovare gli oggetti segreti e i documenti, che vanno a formare un quadro narrativo interessante e assolutamente non lineare, peraltro coadiuvato da uno sfondo culturale davvero notevole. La mia rabbia nei confronti di questo titolo è proprio dovuta al fatto che con una mano mostra premesse veramente interessanti e potenzialità incredibili, mentre con l'altra le nasconde dietro un velo di approssimazione e una difficoltà semplicemente troppo elevata (e spesso dovuta più alle manchevolezze della IA che al gameplay vero e proprio) per essere godibile in qualunque modo.

T: Qual'è per te l'elemento maggiormente importante all'interno di un videogioco; quell'elemento che se manca può rendere vano qualsiasi risultato raggiunto in altri ambiti?

V: Un gioco, per me, può essere tanta trama e poco gameplay o tutto gameplay e poca trama, basta che sotto certi aspetti, anche molto circoscritti, sia interessante e che la somma delle parti valga qualcosa in più.

C'è una cosa, però, che se mancante può rovinare, a parer mio, anche un'esperienza potenzialmente splendida: l'onestà e il rispetto verso il giocatore. Molte caratteristiche spesso criticate sono per me semplici scelte dello sviluppatore, ma quello che proprio non posso perdonare, che rimprovero anche a chi ha avuto buone idee, sono la realizzazione sciatta e a tirar via, la calibrazione casuale della difficoltà ma, soprattutto, la sensazione che il controllo delle proprie azioni sfugga dalle dita e sia delegato a qualcos'altro le cui decisioni non sempre (o quasi mai) sono comprensibili. Non intendo con questo essere costretti a guardare cut scene interminabili, ma proprio il fatto che certi eventi non possano essere previsti né evitati con un po' d'attenzione, o che addirittura il computer 'bari' per mettere in difficoltà il giocatore, o che la cattiva realizzazione di qualcosa porti a sconfitte frustranti che costringono a ricominciare da capo mille volte.

Prendo ad esempio un gioco che ho giocato, o meglio, provato a giocare quest'anno (e ritornerà nell'intervista): Forbidden Siren. In certe sezioni bisogna scortare dei personaggi deboli e indifesi: sarebbe tutto molto bello (dopotutto anche Yorda in ICO è un personaggio debole e indifeso che bisogna scortare per tutta l'avventura, no?) se l'intelligenza artificiale di detti personaggi non fosse talmente scarsa che a volte restano fermi dove si trovano senza seguire il proprio protagonista, anche se sono presi di mira da un piccolo esercito di mostri (shibito), che oltretutto possono utilizzare armi da fuoco e cecchinare sulla lunga distanza. E questo è solo uno di tanti. Anche la 'casualità' con cui certi risultati fondamentali per un gioco vengono a volte decisi, soprattutto se un risultato negativo è fortemente penalizzante, è per me una mancanza di correttezza e limpidezza nei confronti di chi videogioca da parte degli sviluppatori.

In poche parole, quando un videogioco ti assoggetta alle sue regole senza darti spiegazioni e ti impedisce di prevedere quello che verrà, oppure 'schiavizza' su operazioni ben poco divertenti per proseguire, magari dandole anche in pasto per idee innovative e geniali, non sprona ad andare avanti, ma solo a riporre il disco nella custodia e a metterlo sullo scaffale per non riprenderlo più, citando un controeditoriale apparso tanto tempo fa sulla mitica PC ZETA.

T: Domanda da un milione di dollari: il pc come macchina di gioco ha ancora senso di esistere, oppure è destinato a veder sempre più scemare il suo mercato? Nintendo stessa con i suoi prodotti "casual" ha eroso importanti fette di utenza, dedicate al casual gaming da 5 minuti? Questo comporta anche la fatidica questione: le avventure grafiche sono morte?

V: Certo che il PC-macchina da gioco ha ancora senso di esistere, e te lo dice una che negli ultimi dieci anni non riesce più a mettersi davanti a un computer per giocare.  Io credo che il centro dell'attenzione su PC si sia spostato su altri settori, altre aree: solo perché i grandi circuiti dell'industria sembrano ricoprire più attenzioni per il mercato delle console non significa che la scena videoludica del PC sia morta. Su personal computer vengono distribuiti, per il mercato cosiddetto 'hardcore', quasi solo FPS e strategici in tempo reale, senza contare che il preconcetto che gli shooter in prima persona non siano roba da console è stato sdoganato non dai tempi di Halo, ma addirittura da quelli di Goldeneye per N64.

Ciononostante, il PC è ancora la piattaforma privilegiata per un genere di enorme diffusione, e non solo tra i videogiocatori abitudinari: i MMORPG. Questo tipo di titoli, forte una scena online che non trova assolutamente rivali su nessuna console (nemmeno ora che Microsoft, Sony e Nintendo hanno degli esaustivi servizi in tal senso), fiorisce su PC e ancora attira decine di milioni di utenti di tutti i tipi. Ce n'è per tutti i gusti: titoli di alto profilo come l'onnipresente World of Warcraft, giochi 'per l'utenza orientale' come Lineage II e (in misura molto minore) Final Fantasy XI, prodotti easy come Guild Wars, 'indie' e gratuiti con equipaggiamento a pagamento come Maple Story... niente del genere è ancora pronto ad approdare su console, e a mio parere non lo sarà per moltissimo tempo, se pure mai lo sarà, visto il grado di controllo che i produttori di hardware esercitano sui loro servizi online, che è una sorta di anatema contro la libertà richiesta da questi giochi.

Oltre a questo, i titoli indipendenti sviluppati da studio di pochissimi appassionati sono appannaggio del PC: i cataloghi come il Live Arcade sono decisamente troppo addomesticati per questo genere di prodotti. Il PC, a mio parere, è una scena anarchica e vitale per giochi di questo tipo, senza contare che i maniaci della grafica vi trovano cose che su console sarebbe impossibile anche solo enpsare.

Circa le avventure grafiche... il mio editoriale sul numero 8 di Game Pro esplora proprio tale questione, ma posso dire, a costo di farmi nemica una buona fetta di giocatori PC, che a malgrado dell'attuale proliferare di nuovi adventure punta e clicca credo che i fasti di giochi come Indy, Sam & Max e Monkey Island non saranno mai più ripetuti, perlomeno non in quella forma 'classica'. Credo anche che l'adventure dovrebbe trovare una nuova strada per scampare all'estinzione: io, personalmente, mi rassegno alla morte del punta e clicca come lo conoscevano gli appassionati di un tempo, e lo dico a malincuore perché è un genere che amo.

T: Come è iniziata la tua avventura nel mondo dell'editoria per videogiochi?

V :Prima per preciso disegno, poi per caso (o sarebbe meglio dire fortuna). Ho sempre ammirato i redattori delle mie riviste preferite come una sorta di figure mitiche, ergo come persone irraggiungibili e quasi sacre, dei veri e propri personaggi più che ‘semplici’ appassionati. Poi cominciai ad accorgermi che quelli che un tempo venivano pubblicati negli angoli della posta passavano, uno ad uno, dall’altra parte della barricata, per così dire, e provai un po’ d’invidia per loro. Qualche anno dopo conobbi i forum di discussione online e feci amicizia con dei ragazzi che collaboravano con realtà editoriali, cosa che mi spinse a provare a propormi. Purtroppo, quella volta i miei tentativi non diedero frutti, ma entrai comunque a far parte dello staff di un importante portale italiano di videogiochi per cui ho continuato a scrivere anteprime, recensioni e soluzioni fino a pochi mesi fa. Era comunque un’esperienza che sognavo da tanto tempo di fare, e anche se le mie parole non finivano su carta, ma online, non faceva differenza per me.

Ed ecco che qui entra in gioco il fattore “fortuna”: sono entrata in Idra Editing (e quindi ho avuto l’opportunità di scrivere per Game Pro) rispondendo a un annuncio per un traduttore dal giapponese, perché avevo appena concluso il mio corso di lingua e cultura. Mi chiesero invece di scrivere l’anteprima di un videogioco come prova e pochi giorni dopo mi contattò Metalmark, che seguivo ai tempi di Game Republic. Mi domandò se desideravo diventare una redattrice e io, ovviamente, risposi di sì! Fu una vera e propria coincidenza, e il fatto che oggi lavori tanto come redattrice quanto come traduttrice in un sol colpo mi fa pensare che molto probabilmente nessun altro mestiere oltre a quelli nel campo potrebbe fare al caso mio.

T: Entriamo un po' in quello che può essere considerato un terreno "scottante" ed estremamente attuale: GamePro rappresenta probabilmente la rivista videoludica più approfondita e specializzata presente in Italia; secondo te, anche considerando le vendite della vostra antenata Videogiochi, siamo pronti nel Bel Paese per trattare un argomento come i videogiochi in modo così critico e "professionale"?

V: A mio parere, che qualcuno senta l'esigenza di trattare questo tema con serietà e piglio critico è già di suo il segnale che si è pronti per farlo. Restando sempre rintanati in un angolo per paura che le proprie riflessioni possano non incontrare i favori di un ampio pubblico di lettori non si va avanti né indietro, e poco importa, da un punto di vista puramente teorico, che ad essere ricettiva sia solo una fetta di appassionati. Sono comunque dell'idea che, pur essendo sacrosanto rendere disponibili a tutti gli strumenti critici per analizzare un medium in un modo che vada al di là del "è bello/fa schifo", una disamina approfondita (che sia dell'ultimo film uscito, di un fumetto, di un videogioco o quant'altro) interesserà in ogni suo riguardo soltanto chi avrà gli strumenti e la voglia per seguirla e decodificarla, che è già in sé una percentuale di persone irrisoria rispetto alla cosiddetta 'massa': ovvero è normale che non sia la stragrande maggioranza ad amare questo approccio. Mi piace pensare, in un certo senso, che il rapporto di causa-effetto della domanda possa ribaltarsi: proprio la stessa esistenza di riviste come Videogiochi e Game Pro può aiutare a "stanare" chi magari sarebbe anche pronto a vedere il videogioco con occhi diversi ma non è ancora uscito allo scoperto.

T: Cosa ne pensi della censura nell'ambito videoludico? mi riferisco come penso tu immagini anche allo stra citato Manhunt 2.

V: Ne penso tutto il male possibile, così come nell'ambito di tutte le altre forme di comunicazione. È inevitabile che qualcuno si faccia venire dubbi sulla liceità morale di un'opera, è inevitabile che alcuni si sentano in diritto di decidere per tutti gli altri ed è inevitabile che ogni cultura e convenzione sociale ritenga accettabili cose diverse. Ma a parte il fatto che censurando si sa sempre dove si inizia e mai dove si va a finire (io tolgo quello spruzzo di sangue perché mi sembra troppo violento o quell'allusione sessuale perché è troppo esplicita, ma chi mi dice che non sia meglio fare un lavoro completo e togliere direttamente tutto? Il rischio è sempre quello di spingersi troppo in là), sono assolutamente convinta del fatto che se un autore o un gruppo di autori ha deciso di presentarci un'opera in un certo modo c'è un motivo. Alle volte, è vero, la buona fede e l'onestà nel proporre un prodotto vengono a mancare, e accade che un publisher faccia leva su contenuti cosiddetti 'discutibili' per far parlare di sé, ma in questo caso deve essere sempre il pubblico finale a condannare lo scarso valore dell'opera: una sola persona (o un gruppo di persone) non può scegliere cosa gli altri debbano vedere, perché non avrà la mia stessa concezione di ciò che è bene o male, e io ho il diritto di fruire di un prodotto nel modo in cui è stato concepito originariamente. La censura, peraltro, può azzoppare il significato artistico e culturale di certe scelte: mi riferisco alla notizia che No More Heroes, il nuovo gioco di Suda 51 (autore di killer7), verrà censurato non solo in Giappone ma anche in Europa, con il sangue ridotto a una pioggia di sfere nere.

L'idea iniziale dell'autore era probabilmente quella di citare i film giapponesi di samurai e Kill Bill, cosa che avrebbe avuto un senso nella linea estetica del gioco. In questo modo tale intento artistico viene stroncato sul nascere e il nuovo effetto visivo non si adatta alla linea estetica del gioco, rendendolo decisamente più blando di quanto avrebbe potuto essere. La cosa più triste è vedere lo stesso autore rassegnarsi chinando la testa e avallare l'operazione per 'motivi di sicurezza', per timore che la sua opera possa addirittura non vedere la luce nei due territori incriminati!

T: Sempre più spesso si assiste ad una sfrenato ricorso alla serialità; le IP originali faticano ad emergere rispetto a brand consolidati. Ritieni questo fenomeno inevitabile? Porta con se solamente aspetti negativi? penso ad esempio da una parte alla saga di metal gear solid che è riuscita a coniungare con il proseguio degli episodi una visione a 360° del mondo (attuale e non) e dall'altra un tomb raider qualunque.

V: Come per qualsiasi cosa, tutto dipende dai risultati. Lo dici anche tu: esistono saghe che si arricchiscono e arricchiscono (tanto il giocatore quanto l'industria) man mano che passa il tempo, e altre che non fanno altro che fossilizzarsi sempre più, riducendosi a pupazzi inanimati quando un singolo titolo sarebbe stato più che sufficiente. Senz'altro la tendenza a serializzare ogni cosa, se portata alla saturazione, è spesso negativa, specie quando di questa operazione vengono fatti oggetto giochi importanti proprio per la loro unicità. D'altronde, è comprensibile soprattutto da un punto di vista produttivo: creare un nuovo brand efficace e riconoscibile, specie man mano che il mercato se ne riempie sempre più, è decisamente più difficile che sfruttarne uno già rodato.

Spesso un seguito serve a evolvere titoli che, pur geniali, erano magari ancora acerbi, o aggiunge, come dicevamo in apertura, nuovi tocchi e dettagli a mondi che per questo diventano sempre più rigogliosi e pieni di motivi d'interesse anche per i profani. Bisogna anche dire che, oltre all'abilità dei singoli sviluppatori nel portare avanti le visioni originarie, certi franchise si prestano più, per loro natura, a essere serializzati di altri, proprio perché si tratta di canovacci più aperti e 'astratti', di idee più di ampio respiro che possono essere rielaborate, modificate o arricchite di altri dettagli e nuove idee (ogni riferimento alla serie di Zelda è puramente causale XD ), evolvendosi nel tempo in qualcosa anche di parecchio diverso che però conserva intatto lo spirito degli albori. Equilibrio, simmetria e assolutismo sono verità che esistono solo nei videogiochi.

Credo che certe serie e certi giochi, specie quelli pesantemente basati sull'aspetto narrativo, anche se non solo, andrebbero forse 'lasciati morire' entro certe date di scadenza, per mantenere intatto il loro valore agli occhi del mondo. O almeno, questo dovrebbe accadere nel migliore dei mondi possibili...

T: Ritieni che il prossimo passo nell'evoluzione dei videogiochi sia nell'evoluzione ancora del software (e quindi di tutto il gioco nel suo insieme) oppure finalmente sia pronti per vedere un'evoluzione nelle periferi che (ancorate al binomio mouse/tastiera)? Penso ad esempio al Wii e alla Nintendo o a quello che è l'arrembante Apple.

V: A parer mio, si potrebbe affermare che l'evoluzione hardware sia pronta ad affiancarsi a quella software, che comunque ha ancora parecchia strada da percorrere. E sicuramente sì, grazie al successo su larga scala del Wii: Nintendo non è certo stata la prima a proporre meccanismi di motion sensing (per quanto magari le offerte passate fossero meno sofisticate e funzionali), ma è sicuramente la prima a proporli con tale successo e con un simile strascico di imitatori.

D'altronde, questa mia affermazione non è dovuta a presunta 'parzialità' nei confronti di Nintendo data dalla mia passione: sono i dati di mercato a parlare. Ma non per questo, appunto, trascurerei l'evoluzione del medium quanto a contenuti: così facendo, si rischia di tornare indietro, di usare l'evoluzione dell'hardware come 'scusa' per non impegnarsi sul software, e qualche avvisaglia, proprio nel parco titoli del Wii, c'è già stata. Il software può ancora cambiare molto, e tra le altre cose, conto molto in una evoluzione del concetto di stile nel videogioco, visto che molti sono ancora fermi alla riproduzione assolutamente fedele della realtà senza la relativa rielaborazione.

T: Cosa ne pensi dell'attuale situazione del mercato italiano e cosa suggeriresti per migliorarla?

V: In Italia, diversamente che in molti altri Paesi dove la cultura videoludica è radicata, ci sono ancora un'ignoranza e una disinformazione veramente esagerate in materia, sotto tutte le angolazioni. Fa specie anche notare come, benché molti altri Paesi a volte si scandalizzino facilmente per certi contenuti, sia in Italia che si manifesta il maggior qualunquismo e la più grande disinformazione: troppe sono ancora le persone che generalizzano e sparano stupidaggini colossali, tanto per parlare, attorno a molte cose (non solo i videogiochi, comunque). Non ho alcuna 'ricetta magica' o ipotesi su come migliorare la situazione, ma senz'altro posso suggerire umilmente una cosa a tutti quelli che ancora si vergognano perché 'a trent'anni ancora giocano coi videogiochi' oppure pensano di dover formare una casta chiusa riconoscendosi solo tra loro: non nascondete la vostra passione, siatene orgogliosi e fate vedere che si tratta di qualcosa che arricchisce e non danneggia.

Mostratevi responsabili e non nascondete il DS o la PSP, oppure la vostra rivista preferita (non avevo e non ho certo timore di sfoggiare Videogiochi prima o adesso Game Pro in treno, anzi!), quando siete sull'autobus o in sala d'aspetto. Spesso chi ama i videogiochi e ha amici che non condividono la sua passione pensa che la cosa migliore sia metterli da parte a favore degli interessi comuni del gruppo: perché dovrebbe essere la nostra la passione a venir sempre messa in ombra da tutte le altre?

T: Approfitto della tua passione per il giappone per porti una domanda spero non troppo difficile. In che modo pensi che la cultura giapponese si sia declinata all'interno del videogame come mezzo di espressione e quanto di questo modo di vivere la nostra passione ha poi permeato anche il mercato/cultura occidentale?

V: Questa è una bellissima domanda, anche se in effetti non è facilissimo rispondere. Più che altro, sono ancora in fase di studio della cultura (non si finisce mai di imparare) e viste le moltissime implicazioni del discorso posso dare solo una panoramica molto limitata. La prima cosa che salta all'occhio della cultura giapponese (e ovviamente dei videogiochi stessi), dal lato estetico, è che non si è mai cercato il naturalismo nellaraffigurazione grafica. Visto che si tratta di uno dei maggiori pregiudizi che pesano sui prodotti nipponici, mi sembrava giusto iniziare da qui: l'arte giapponese, storicamente, non si è mai preoccupata di riprodurre fedelmente la realtà, preferendo operare una ricerca stilistica e uno stabilirsi di diversi simboli fissi (tendenza che trova il suo seguito naturale nei manga, nonostante questi ultimi siano stati inizialmente influenzati anche dalla scuola disneyana, dal momento che il fumetto è per sua stessa natura un linguaggio iconico e pregno di simboli) che ancor oggi porta molti titoli videoludici nipponici a vantare una coerenza visiva rara da individuare altrove.

Può piacere o non piacere, ma credo che sia innegabile che l'attenzione verso la stilizzazione sia sempre elevata. Secondo, i giapponesi amano le piccole cose, i dettagli. Terzo, una storia coerente e spiegazioni esaurienti, per il giapponese medio, non sono necessarie in ambito narrativo: molto si concede all'ellissi, e spesso si preferisce l'atmosfera di un momento colto nella sua immobilità, la poesia, il carisma o l'intensità di una scena, all'azione frenetica. È per questo che a volte certi elementi dello scenario di giochi giapponesi (come i JRPG) ci sembano poco coerenti, o poco spiegati: a volte si preferisce puntare sull'effetto e sulla suggestione di un evento piuttosto che preoccuparsi di conferirgli un significato 'coi piedi per terra'.

È anche per questo che i giapponesi amano il nonsense e idee bizzarre che magari a gran parte degli occidentali sembrano troppo assurde per essere logicamente accettabili. Ultimo punto, questo di natura sociale, è che i giapponesi che videogiocano non amano affatto sentirsi sperduti in un mondo immaginario senza niente e nessuno a determinare cosa dovranno fare in seguito: se pure avranno la possibilità di scegliere come agire, tali scelte devono comunque essere poste in un modo chiaro ed evidente, tramite bivi espliciti e testuali del dialogo o dell'azione. Per questo molti titoli fortemente incentrati sulla storia e provenienti dal Giappone vengono bollati come "troppo lineari": per un giapponese, non si tratta di un difetto, così come non si tratta di un difetto che un gioco sia facile (anche se questo non significa che, prendendo i giochi anche molto sul serio, non esistano videogiocatori di ogni età dalla bravura sovrumana: la dedizione è un'altra qualità molto giapponese). Si tratta solo di punti di vista diversi, non ce n'è uno migliore o peggiore. Dimenticavo di aggiungere che i giapponesi amano sentirsi parte di un gruppo e si infastidiscono se qualcuno cerca di affermare o imporre la propria individualità. Per questo i giochi in multiplayer interamente competitivo sono molto rari in Giappone, e quando vengono prodotti sono generalmente rivolti a un pubblico occidentale.

Detto questo, mi sposterei sul fronte opposto, ovvero i gusti forgiati dall'oriente. Sembrerà scontato dirlo, ma il fascino dell'esotico è una forza trainante di un certo spicco, e quando cresci abituandoti sin da bambino a qualcosa di completamente diverso da quello che ti circonda, specie se poi viene studiato con attenzione per avere un fascino e un'atmosfera che 'catturano' immediatamente lo spettatore o il giocatore, è molto facile restarne tanto accattivati da non riuscire più a staccarsi. Il fatto che la generazione degli adulti trenta-quarantenni di oggi sia cresciuta a suon di anime e videogiochi giapponesi, poi, sicuramente ha fatto la sua parte nell'affermare lo stile nipponico anche nell'immaginario e nello sviluppo creativo occidentale. Il fatto è che dopotutto a molti piace vedere la cura nei dettagli, nel character design e nella costruzione dello scenario che gli autori nipponici riversano nelle loro produzioni!

T: Rimango sempre nell'ambito dei tuoi interessi; quanto è importante la traduzione nel permettere poi una corretta fruizione del videogioco? Mi spiego: a volte nella traduzione si perdono delle sfumature o dei riferimenti presenti nelle versioni "originali". Quale pensi sia la giusta via per ridurre al minimo questi problemi e quali invece purtroppo sono problemi insormontabili?

V: Anzitutto, mi scuso in anticipo se questo mio discorso dovesse suonare troppo tecnico. Una traduzione, se ben fatta, è importantissima per rendere accessibile il testo anche a chi non conosce una lingua, anche se l'attuale ossessione per le localizzazioni in italiano dei videogiochi non tiene conto del fatto che fino a poco tempo fa essi venivano fruiti in inglese, cosa che ha permesso a molti di imparare la lingua.

Personalmente, se sono in grado di tradurre un testo in inglese al livello di EDGE, non lo devo allo studio scolastico, ma al fatto che da quindici anni gioco esclusivamente in tale lingua (anche se bisogna aggiungere che molti videogiochi sono in origine giapponesi, e quindi sono già passati attraverso un processo di localizzazione quando li si fruisce in inglese). Detto questo, ovviamente, non intendo che chi non ha la voglia o la possibilità di apprendere una lingua debba essere obbligato a non giocare nel proprio idioma: è senz'altro meglio avere la possibilità di leggere un testo localizzato che non averla. Purtroppo, però, molti degli attuali adattamenti italiani di videogiochi (mi riferisco alla sfera professionale, ovviamente: è ovvio che nella scena amatoriale operino solo persone che amano la materia) lasciano a desiderare, che sia per scarsità di mezzi, per mancanza di rispetto e considerazione nei confronti del medium o per entrambi i motivi.

Essendo io stessa una traduttrice amatoriale ho ovviamente le mie linee guida: anzitutto, trovo assai poco professionale tradurre a partire da materiale a sua volta localizzato, come accade spesso oggi, in quanto nel doppio passaggio si perde davvero troppa aderenza al testo perché la cosa sia accettabile. Spesso, gli adattatori fraintendono l'elasticità e la creatività richieste dal loro lavoro per fantasiosità e licenza creativa sfrenata: occorre senz'altro adattarsi alla cultura di destinazione, poiché questa è una delle linee guida del processo di localizzazione, ma occorre anche porre in essere riflessioni, considerazioni, ripensamenti e correzioni che devono avvenire a ritmo continuo. Il lavoro del traduttore non è assolutamente un lavoro automatico: a volte, una soluzione che appare buona in un caso non lo sarà in un altro, anche se sono parimenti convinta che esistano delle regole per gran parte universali con solo poche eccezioni (non tradurre nomi che sono stranieri anche per la lingua in cui è redatto un testo, ad esempio).

Un altro errore compiuto spesso dai traduttori nostrani è quello di "appiattire" i dialoghi, livellando registri e parlate diverse su un noiosissimo "italiano medio" che spesso non aiuta assolutamente a caratterizzare i personaggi laddove il testo originale e la localizzazione inglese sono spesso pregne di personalità in questo senso. C'è una sorta di esitazione a diversificare il lessico dei diversi personaggi e la cadenza delle loro frasi per attenersi a quelle che sono le loro caratteristiche peculiari (e ai corrispondenti registri dell'italiano), e questo distingue sovente negativamente gli adattamenti italiani da molti altri.

È anche vero che, parlando di traduzione dal giapponese (una delle più complesse, nel mondo dei videogiochi), ci sono Paesi, come l'America e la Francia, in cui la conoscenza della lingua e della cultura giapponesi è decisamente più radicata che da noi, ma come al solito, se nessuno comincia, non si andrà mai da nessuna parte! Ovviamente, una traduzione "perfetta" a parer mio non può esistere, perché pur presupponendo la presenza di numerosi traduttori validi non ce ne saranno due con gli stessi, identici criteri. Esisteranno solo traduzioni più riuscite e fedeli (e per fedeli non intendo per forza "letterali": intendo "fedeli allo spirito" dell'originale) e altre, molte altre, che lo sono meno. È inevitabile, comunque, che certe sfumature si perderanno. Sarebbe bello essere tutti in grado di leggere sempre un testo nella sua versione originale, ma è proprio perché ciò non è pensabile che esiste la localizzazione, e che tale localizzazione dovrebbe essere condotta con quanta più serietà possibile, ben tenendo presente l'importanza del proprio compito: veicolare il messaggio dell'opera con il minor numero di fraintendimenti possibile.

T: L'attuale tendenza al "ripescare" vecchi titoli per riproporli sul mercato ha riportato alla ribalta la lotta fra il popolo dell'abandonware e software house/publisher, spesso disposti a tutto pur di mantenere il controllo di proprietà intellettuali spesso obsolete. Il tutto potrebbe probabilmente essere risolto da una modifica dei termini di decadimento del copyright, quantomeno in ambito informatico dove dopo 6 mesi un software può già essere considerato "vecchio"; tu "da che parte stai"?

V: Diciamo che io sono per la 'legge', ma in modo ragionato. Mi spiego: ritengo sacrosanta l'esistenza dei diritti d'autore, trovo intollerabile che qualcuno si attribuisca il merito del lavoro di qualcun altro e sono convinta che, se si apprezza l'opera di un autore, la si debba premiare con il proprio supporto anche economico, acquistando gli originali. Non sono, però, tanto rigorosa se la cosiddetta 'legge' diventa di ostacolo alla fruizione di un'opera che è patrimonio della cultura, con i publisher che trattengono i diritti di prodotti ormai obsoleti e introvabili, nel caso (non si sa mai, no?) in cui dovessero decidere di realizzare una lucrosa riedizione ma di fatto bloccandoli e rendendone difficile, se non impossibile, il reperimento.

Io sono dell'idea che, rendendo pubblica un'opera dell'ingegno, si debba accettare e dare per scontato che tutti abbiano il diritto di goderne: altrimenti la si tiene per sé. Credo che sei mesi siano un po' pochi per dichiarare un software "obsoleto", ma sicuramente titoli vecchi che non è possibile trovare se non usati a prezzi vertiginosi (e nemmeno sempre) dovrebbero, a mio parere, essere resi disponibili a tutti. D'altronde, non credo che la cosa recherebbe un danno economico, se una casa produttrice ha comunque archiviato un certo gioco.

T: Zelda e la sua saga; da fonti anonime, so che sei profondamente innamorata di questa serie tanto da averci dedicato un sito. Ritieni che la riproposizione dei primi episodi sarebbe apprezzata dal pubblico attuale? e quanto lo "studio" degli stessi risulta importante per comprendere ad esempio twilight? In generale infatti ritengo che il conoscere il più possibile l'intorno ad un videogioco permetta di coglierne l'essenza più profonda; Zelda però riesce, come ad esempio anche Ico, a comunicare molto anche nella singola fruizione. Cosa ne pensi?

V: Forse la mia risposta ti stupirà, ma non credo che, se prendiamo i primi due Zelda, si tratti di una proposta ancora attuale e adatta a un pubblico che vada oltre quello dei retrogamer, degli appassionati hardcore della serie e degli "studiosi" del videogioco, anche se restano perfettamente validi all'interno del discorso che sto per fare. Lo Zelda moderno inizia con A Link to the Past, ed è da qui che la serie è effettivamente godibile anche oggi come lo era allora, costituendo un recupero più che valido e anzi doveroso per chiunque si appassioni alla saga a partire dai capitoli odierni. Come hai detto anche tu, uno Zelda rappresenta un'esperienza validissima e "unica" anche se preso a sé: nessun capitolo pretende veramente la conoscenza pregressa della saga per essere godibile, anche quando si richiama esplicitamente al passato. L'appassionato di videogiochi, però, dovrebbe ritenere assolutamente imprescidibile, dopo aver giocato uno Zelda, andare a ritroso nella sua storia (non importa davvero in che ordine) per comprendere il cammino che la serie ha intrapreso per arrivare sino a quel momento. Non solo perché in generale conoscere la storia di una serie permette di coglierne l'essenza più a fondo che non limitandosi a conoscerne solo il presente, ma perché in effetti l'evoluzione di Zelda è palese in molti dei suoi aspetti: ogni episodio, pur cambiando notevolmente rispetto ai precedenti, mantiene comunque una base comune a tutti i suoi "fratelli", e gli elementi ricorrenti sono davvero molti.

Per dire di "conoscere" veramente un titolo come Twilight Princess, in effetti, o anche il più recente Phantom Hourglass, è necessario andare a ritroso (meglio ancora se si conosceva la serie da prima, ovviamente, ma non ci stiamo riferendo a questo caso in particolare): le somiglianze allora diverranno veramente chiare, e si capirà meglio da dove arrivano moltissime delle caratteristiche di questi titoli. Lo stesso vale ovviamente per i loro predecessori: ogni singolo Zelda è una miniera di autocitazioni, una fucina in cui idee appena abbozzate dal "progenitore" vengono espanse, elaborate e approfondite. Faccio un esempio: l'ocarina di Ocarina of Time e il suo ruolo centrale provengono da A Link to the Past (di cui OOT è a tutti gli effetti una "versione tridimensionale", pur essendo comunque profondamente diverso per atmosfera e formula) e Link's Awakening, il primo episodio per Game Boy, che utilizzavano l'ocarina rispettivamente come sistema di teletrasporto e come strumento "multiuso" per provocare diversi effetti. La funzionalità dell'ocarina nel primo capitolo tridimensionale della saga è di fatto una combinazione di queste due "versioni preliminari".

T: Che ruolo ricopre per te il videogioco nella società attuale? Penso all'influenza da e verso gli altri media e mezzi d'espressione; penso anche a quelli che una volta erano i cantori dei poemi epici. Il videogioco può essere la moderna Alessandria della cultura moderna?

V: Nonostante il 'complesso d'inferiorità' che il videogioco prova nei confronti del cinema, e nonostante i pregiudizi che ancora trovano campo nella società 'generalista', io credo che il videogioco abbia un grandissimo potenziale culturale, e che possa trasformarsi in un veicolo di conoscenza come e più di altre forme espressive moderne proprio grazie alle sue proprietà intrinseche, prima tra tutte l'interattività e dunque il coinvolgimento. BioShock, ad esempio, mi ha spinto a ricercare altre informazioni sulle correnti di pensiero citate al suo interno, come l'individualismo umanista di Ayn Rand e dei suoi romanzi, che il gioco quota ampiamente. Senza averlo giocato, non me ne sarei mai interessata! Inoltre, il videogioco già influenza le opere di diversi altri media, sia su un piano diretto (film o fumetti tratti da videogiochi) sia su uno più indiretto, con i linguaggi tipici del videogioco trasportati all'interno del cinema (anche se spesso con accezione negativa) e figure ed eventi 'di spicco' della scena citate o mutuate altrove da parte della cultura 'nerd'.

T: Grazie mille per l'intervista!!

V: Grazie a te per avermi dato l'opportunità di rispondere a queste interessantissime domande.

 

Intervista a Fabio Viola

Eccovi una per noi interessantissima intervista a Fabio Viola, autore di quel Gamification di cui vi abbiamo parlato poco tempo fa; in questa chiacchierata abbiamo affrontato diversi argomenti, con l'intento di cogliere al meglio le dinamiche sottostanti un fenomeno oramai parte integrante della vita di molti.

Nei prossimi giorni pubblicheremo anche una recensione al suo volume, ma nel frattempo vi invitamo a leggere questo pezzo, commentandoci e segnalandoci eventuali vostre riflessioni o spunti che non mancheremo di girare al disponibilissimo Fabio.

Buona lettura!

Link all'intervista
Link alla discussione sul forum
Link alla discussione su Gamification
Link al sito di Gamification

 

Intervista a Mad Orange

Lo sviluppo italiano è una selva oscura da cui si fa fatica ad emergere, vuoi per alcune carenze del sistema, vuoi per una difficoltà intrinseca a fare impresa della nostra penisola, vuoi per motivi storici che è difficile anche ipotizzare.

Esistono però alcune realtà che, seppur faticosamente, provano ad emergere giocando l'arma della qualità, una scelta coraggiosa che per questo merita di essere portata ad esempio; da qui l'idea di intervistare Mad Orange che, con il loro prossimo titolo Face Noir, promettono di dire la lora nel difficile panaorama delle avventure grafiche.

Un particolare ringraziamento quindi a Gabriele "Eniac" Papalini, a Marco "Azrael" Sgolmin e a tutto il team per l'intervista dove abbiamo cercato di delineare un quadro di un team in cui crediamo molto.Buona lettura!

Tsam: Ciao! Innanzitutto grazie per l'intervista che ci concedete! Cominciamo con presentare Mad Orange: chi siete, da dove venite e dove andate?




Intervista a Mad Orange

Amanti delle avventure grafiche, il vostro nuovo eroe potrebbe essere italiano e rispondere al nome di Mad Orange! Team indipendente con base a Roma, questo gruppo di talentuosi ragazzi sta infatti per portare sui nostri schermi Face Noir, avventura grafica che promette di rinfrescare un genere non esattamente innovativo.

Abbiamo così colto l'occasione per una bella intervista per saperne di più e comprendere cosa ci aspetta nei prossimi mesi; a voi il responso e buona lettura!

Link all'intervista
Link alla discussione sul forum
Link alla discussione dedicata a Face Noir
Link al sito di Mad Orange
Link al sito di Face Noir

Intervista a Raffaele Sogni

Per chi è cresciuto a pane e videogiochi negli anni '90 e aveva come punto di riferimento il pc, è abbastanza facile che si sia imbattutto in The Games Machine, storica rivista dedicata al mondo del computer e casa di un eroico manipolo di redattori che diedero vita ad un piccolo sogno editoriale.

Come Oldgamesitalia non potevamo pertanto non provare a contattare una di queste figure e il primo a concedersi ai microfoni virtuali di Ogi è nientemeno che Raffaele Sogni, alias Il Raffo, storico redattore della rivista ora edita da Sprea Editori.

Speriamo che l'intervista piaccia a voi come è piaciuta a noi scrivendola, invitandovi a commentarla per avere un vostro riscontro. Buona lettura!

Link all'intervista
Link alla discussione dedicata sul forum