Nei primissimi giorni dei microcomputer, ogni grande città aveva un negozio che non solo vendeva hardware e software, ma che fungeva da punto di incontro per gli appassionati. Il ruolo che The Byte Shop giocò nella Silicon Valley e che The Computer Emporium giocò in Des Moines fu assunto a Los Angeles da Rainbow Computing. David Gordon (fondatore della Programma International) e Ken Williams avevano entrambi acquistato lì il loro primo Apple II ed erano diventati subito clienti abituali. Sherwin Steffin della Edu-Ware era un altro cliente fisso. Anzi, era qualcosa di più di un cliente: aveva infatti stipulato un accordo con Gene Sprouse (il proprietario), secondo cui Sprouse doveva fornire alla Edu-Ware un secondo sistema Apple II per il suo socio Steve Pederson, mentre Sprouse avrebbe avuto a prezzo di costo il primo gioco della Edu-Ware, Space.
Progettato e programmato - come tutti i primi sforzi della Edu-Ware - da Steffin e Pederson in persona, Space era un gioco di ruolo per computer a tema fantascientifico, il primo di una serie di giochi “veri e propri”, che la Edu-Ware aveva battezzato Interactive Fantasies per distinguerli dai loro prodotti didattici. Il giocatore genera un personaggio usando un modulo e poi (proprio come avviene in Eamon) lo importa in uno scenario per giocarci e (se sopravvive) lo esporta di nuovo per poi poterlo utilizzare in altri scenari. Ideato come il primo di una serie, Space I presentava cinque scenari oltre al generatore di personaggi. La sua palese ispirazione (dolorosamente palese, visto che in seguito la Edu-Ware sarebbe stata citata in giudizio per questo) era il gioco di ruolo cartaceo Traveller (1977) del Game Designers’ Workshop, il primo gioco di ruolo fantascientifico di lungo corso, nonché uno dei primi a essere pubblicato da un distributore che non fosse la TSR.
Un aspetto unico di Traveller è il suo dettagliatissimo sistema di generazione del personaggio. Anziché limitarsi a tirare delle statistiche, scegliere una classe e qualche incantesimo, comprare dell'equipaggiamento, per poi gettarsi all'avventura come avviene in Dungeons and Dragons, in Traveller la creazione del personaggio è un vero e proprio sotto-gioco di per sé: una specie di GdR dentro il GdR, seppur di un tipo che si svolge a un livello molto astratto. Il giocatore non crea solo delle statistiche vitali per il suo avatar, ma anche un'intera storia, che segue tutta la sua carriera nella milizia interstellare attraverso i suoi incarichi ufficiali. Ogni incarico porta abilità ed esperienza, ma anche età, che dopo un po' inizierà ad avere i suoi effetti debilitanti. Il giocatore deve così bilanciare l'esperienza con l'età, decidendo quando è il momento opportuno per abbandonare il servizio militare e iniziare la propria carriera d'avventuriero. Occupando più di 20 pagine del manuale originale, la creazione del personaggio era così dettagliata e appassionante che alcuni iniziarono a creare dei personaggi solo per il gusto di farlo.
Space può essere descritto non tanto come un adattamento di Traveller nel suo insieme, ma come un adattamento del suo sistema di generazione del personaggio. Tuttavia, anche una volta terminato il processo di creazione in sé, i singoli scenari si volgono a un insolito livello di astrattezza, facendoli apparire come una sorta di continuazione di tale processo. Se, come taluni affermano, l'essenza dei giochi di ruolo su computer è la creazione del personaggio, allora Space è uno degli esempi più puri mai esistiti.
Tuttavia Steffin e Pederson non poterono esprimersi al meglio in Space, né potevano esprimere al meglio molte altre loro idee, a causa della mancanza di un'istruzione formale nella programmazione e delle relative abilità. Quindi, quando alla Rainbow incontrarono un giovane programmatore dotato delle capacità tecniche che a loro mancavano e con una testa piena di idee, lo accolsero come la manna dal cielo. Il suo nome era David Mullich.
Mullich era arrivato ai computer per una strada piuttosto atipica. Da piccolo non era infatti rimasto affascinato dalla matematica e dalla scienza, come accadeva alla maggior parte degli hacker; come si addice a un ragazzo cresciuto a Los Angeles, Mullich era un appassionato di teatro e di film. Col sogno di diventare regista, aveva valutato seriamente di indirizzare i suoi studi universitari verso quel mondo, ma cambiò idea quando arrivò a Cal State Northridge e vide “centinaia di altri studenti che avevano la stessa ambizione”. Guardandosi in giro in cerca di un'alternativa, Mullich provò un corso di informatica e si innamorò dei computer e della programmazione. In breve si ritrovò laureato in informatica: un bambino con vocazioni artistiche diventato un hacker. Accadde che il suo professore del corso di COBOL fosse Russ Sprouse, il fratello di Gene, che assunse Mullich per il suo primo lavoro come programmatore e che in seguito lo fece assumere come dipendente regolare alla Rainbow.
Steffin e Pederson avevano inizialmente assunto Mullich (che all'epoca doveva ancora terminare l'università) come lavoratore part-time. Fu con tale contratto di lavoro che Mullich programmò del software didattico, ma scrisse anche un secondo pacchetto di scenari per Space, oltre ai giochi originali di Windfall e Network. È giusto precisare che non si limitò a programmare questi ultimi due, ma li ideò e progettò da zero in prima persona, e anche in tempi rapidissimi. Network, ad esempio, nacque quando Steffin chiamò Mullich e gli disse che gli serviva un nuovo gioco per una mostra commerciale che si sarebbe tenuta la settimana dopo. Mullich progettò e programmò Network in tre giorni precisi.
Appena Mullich ebbe terminato l'università nel 1980, si unì a Steffin, Pederson, e al direttore commerciale Mike Leiberman alla Edu-Ware come Dipendente n° 4. Lì iniziò a lavorare sul progetto più ambizioso che avesse mai affrontato: un videogioco basato sul celebre telefilm Britannico The Prisoner.
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Nel 1978 il Minnesota Educational Consortium (MECC), la casa di Don Rawitsch e del suo The Oregon Trail, era all'avanguardia nell'uso dei computer a scopi educativi: tanto è vero che, prima che il mondo delle aziende o il grande pubblico si accorgesse di ciò che stava accadendo, iniziarono a valutare come portare i microcomputer nelle aule del Minnesota, al fianco delle telescriventi, dei “dumb terminals” e dei grandi sistemi in time-sharing che all'epoca erano all'ordine del giorno. Fu così che il MECC si recò dai grandi produttori di microcomputer con una gara di appalto. Nella lista c'era ovviamente anche Radio Shack, che rispose col suo solito stile disinteressato.
Alcune di queste compagnie, e in particolare Radio Shack, erano tutt'altro che innamorate delle procedure di appalto e la ritennero una cosa innaturale (in particolare le regole di offerta e quelle di accesso alla gara) e non furono troppo meticolosi nel rispondere. Dicemmo a Radio Shack: “Dovete comprendere che, se non ci rispondente nel modo giusto, noi non possiamo accettare la vostra offerta”, ma loro non furono disposti ad adeguarsi. Del resto le cose per loro andavano a gonfie vele e stavano vendendo i TRS-80 a più non posso. |
Anche se i più all'interno dell'amministrazione del MECC avrebbero preferito avere a che fare con la grande e stabile Radio Shack, la minuscola Apple presentò un'offerta aggressiva ed entusiasta, e la spuntò. Il MECC ordinò 500 Apple II; un ordine gigantesco in un anno in cui la Apple avrebbe venduto in tutto solo 7.600 macchine. Bisogna però precisare che la Apple si era aggiudicata l'asta a un prezzo talmente scontato che, probabilmente, ci guadagnò poco o niente. Ma questo dettaglio era del tutto irrilevante. In una leggendaria carriera piena di scaltre scelte di marketing, Steve Jobs non ne ha mai fatte di più scaltre di questa.
Non solo il MECC iniziò a portare gli Apple nelle classi del Minnesota, ma iniziò anche a convertirvi la sua gigantesca libreria di programmi educativi scritti in BASIC. Fermiamoci quindi un attimo a riflettere su cosa potesse significare questo passaggio. Il MECC era già noto in tutta la nazione come il leader indiscusso nell'educazione tramite computer; era l'esempio che tutte le altre istituzioni didattiche (più conservatrici e con meno fondi a disposizione) tendevano a seguire in costante ritardo. E così, quando tutte queste istituzioni iniziarono a pensare ai microcomputer per le loro aule, si chiesero inevitabilmente che cosa stesse usando il MECC: l'Apple II. E quando valutarono il software da adottare, ancora una volta non poterono che prendere in considerazione la ricca libreria del MECC; una libreria che veniva rapidamente convertita per un unico microcomputer: l'Apple II.
Per spingere ancora di più l'adozione in ambito educativo, nel 1979 l'Apple iniziò a promuovere pesantemente l'Apple II come strumento didattico, utilizzando pubblicità di questo tenore:
Jobs comprese che introdurre i suoi computer nelle scuole era la chiave per conquistare un mercato molto più grande, quello casalingo. Del resto i motivi didattici erano una delle ragioni citate più frequentemente fra i motivi per i quali una famiglia acquistava un computer. Quando Mamma e Papà valutavano quale computer comprare a Junior, l'Apple II (il computer che aveva tutti i software didattici, il computer che Junior usava anche a scuola, il computer di cui lo stesso Junior aveva parlato in casa e che già sapeva adoperare) sembrò per molti la scelta più logica, anche se costava un po' di più e anche se, col passare del tempo, non aveva più delle specifiche tecniche così impressionanti in confronto alla concorrenza. Quegli Apple II venduti a un prezzo scontato alle scuole funsero da articoli di richiamo per i consumatori, e si ripagarono abbondantemente negli anni. E in seguito la Apple, appena ebbe abbastanza soldi per poterlo fare, si fece ancora più munifica, offrendosi di regalare un Apple II a ogni scuola elementare della nazione. Mosse come questa crearono una presa talmente forte che neppure la Apple stessa riuscì a spezzarla per molti anni, quando avrebbe semplicemente voluto che l'Apple II andasse a morire, per lasciare spazio all'Apple III e -in seguito- al Macintosh. Dal numero del 24 Settembre 1990 di InfoWorld:
A 10 anni di distanza le scuole elementari continuano a comprare la tecnologia Apple II. In conseguenza di ciò, tale strategia ha contribuito a mantenere nel mercato mainstream un sistema che molti osservatori nell'industria ritengono troppo costoso e tecnicamente obsoleto. E ha virtualmente incatenato la Apple al mercato delle scuole elementari fino al giorno d'oggi. |
Detto ciò, dietro al dominio dell'Apple II nelle aule, c'era però qualcosa di più di un marketing azzeccato. Grazie al chip di Woz (e al suo progetto nel complesso, che riduceva al minimo i circuiti, nonché alla natura ancora piuttosto basilare della macchina in sé) c'era ben poco nell'Apple II che potesse creare problemi. E, esternamente, era una specie di carrarmato. Questi fattori consentirono a quelle macchine di sopravvivere (letteralmente) per anni agli abusi perpetrati dalle mani di un'intera generazione di studenti, che percuotevano le tastiere in preda alla frustrazione, che puntavano le proprie dita appiccicose sugli schermi, e che occasionalmente ficcavano i floppy al contrario nei lettori! Gli insegnanti impararono ad amare questi loro piccoli colleghi resistenti, che gli offrivano degli occasionali momenti di tranquillità in classi di bambini strillanti.
Né sarebbe giusto, indipendentemente dalla purezza (o dalla mancanza di purezza) che spinse la Apple a promuovere così pesantemente l'aspetto didattico, incorniciare la discussione solo in termini di vendite e di quote di mercato. La creazione da vero hacker di Woz si ritrovò infatti a essere un giocatore chiave nel dibattito in corso sul miglior modo di avvicinarsi alla didattica digitale. Questo lo capiamo bene se osserviamo la carriera di una persona in particolare: Sherwin Steffin. Molto di ciò che segue è tratto dal ritratto di Steffin e della sua società (la Edu-Ware) apparso nel numero di Maggio1981 della rivista Softalk:
Steffin non era uno dei bambini prodigio della rivoluzione dei microcomputer. Quando gli Apple II iniziarono ad arrivare nelle aule, lui aveva quasi 45 anni, con alle spalle già un'impressionante carriera di docente. Oltre ad avere un bachelor’s degree in Psicologia Sperimentale e un master’s degree in Tecnologia Didattica, Steffin aveva anche fatto volontariato contro le bande giovanili a Detroit, aveva insegnato alle scuole superiori per sette anni, aveva lavorato come “media director” per un distretto scolastico di Chicago, aveva lavorato come coordinatore dello sviluppo dei sistemi didattici alla Northeastern University per quattro anni, e aveva sviluppato la televisione didattica per il National Technical Institute for the Deaf di Rochester (a New York). Dal 1977 ha lavorato come “senior research analyst” all'UCLA. Le presunte crisi nel sistema educativo che dovette affrontarvi sono tristemente familiare anche oggi:
La didattica tradizionale era in seria difficoltà. Il prodotto finale era percepito come meno competente, dotato di meno abilità, meno curioso, e del tutto carente nel desiderio di apprendere. Le scuole erano piene di frustrazione. Gli insegnanti subivano la grande animosità pubblica senza aver nessun mandato chiaro all'interno del quale lavorare. Insegnare a leggere, scrivere, e fare di calcolo sembrava importante quanto insegnare le abilità sociali con lo scopo di rendere gli studenti più patriottici, tenerli lontani dalle droghe e trasmettere loro un'educazione sessuale (senza però rivelare loro niente del sesso). |
Gli esperti di tecnologia educativa della generazione di Steffin erano profondamente innamorati delle teorie dello psicologo B.F. Skinner, l'inventore del comportamentismo. Skinner credeva che tutti i comportamenti umani fossero predeterminati dalla genetica e dalle esperienze precedenti; per lui l'idea di un quasi mistico “libero arbitrio” era solo un'inutile chimera. Scrisse un libro (“The Technology of Teaching”) in cui applicava il Comportamentismo alla didattica, definendo così la sua idea di “istruzione programmata”. Skinner propose una didattica basata essenzialmente su una ripetizione di atti di apprendimento mnemonico: allo studente viene posta una domanda, lui risponde, e gli viene immediatamente comunicato se la sua risposta è corretta, ad infinitum. Seguendo questa teoria, gli esperti di tecnologia educativa svilupparono delle “macchine di apprendimento programmato”: strumenti automatizzati che implementavano il concetto di istruzione programmata. Non c'è da sorprendersi se non furono un grande successo. In un rarissimo caso di unità, sia i professori sia gli studenti le odiavano. Utilizzarle non era solo monotono, ma gli insegnanti in particolare le consideravano totalmente disumanizzanti (un'opinione che Skinner -considerando la natura delle sue idee in proposito- probabilmente avrebbe abbracciato in pieno). Affermavano (correttamente) che molti aspetti della didattica, come l'arte e la capacità di apprezzare la letteratura e il pensiero critico, non potevano proprio essere trasmessi attraverso un mero apprendimento mnemonico.
Steffin iniziò a prendere le distanze dai suoi colleghi, ritenendo che le macchine di apprendimento programmato fossero inadeguate. A parte tutte le loro numerose mancanze, esse erano buone solo per ciò che lui definiva “il pensiero convergente, nel senso che vengono posti dei problemi e tutti gli studenti sono indotti a dare la medesima risposta”. Il pensiero divergente (cioè l'incoraggiamento delle abilità di pensiero e di opinioni critiche individuali) era come minimo altrettanto importante, perché lui era convinto che “il pensiero fosse il sentiero per la libertà”. Con l'arrivo dei microcomputer come l'Apple II a prezzi relativamente bassi, Steffin vi intravide degli strumenti didattici molto più flessibili delle rigidissime macchine di apprendimento programmato. Senza avere nessuna esperienza di programmazione e nessuna particolare attitudine innata, sviluppò un programma chiamato Compu-Read per insegnare a leggere, prima sul grande sistema istituzionale dell'UCLA e in seguito sull'Apple II, che aveva comprato per le sue ricerche. Come tanti altri programmatori semi-professionali / semi-amatoriali di quei primissimi anni dell'informatica, inizialmente sviluppò il suo software come secondo lavoro, cedendo la licenza di Compu-Read al più grande dei publisher degli albori dell'Apple II, la Programma International. Tuttavia, nella primavera del 1979, Steffin fu licenziato dal suo posto di lavoro all'UCLA e, piuttosto che cercare un'altra occupazione, decise di buttarsi a piè pari nella didattica digitale, fondando la Edu-Ware insieme a uno studente dell'UCLA, Steve Pederson. Insieme iniziarono a sfornare software a ritmi vorticosi, copiando da soli i dischetti e vendendoli nelle buste Ziploc tipiche dell'epoca.
L'offerta di Edu-Ware può essere divisa in tre ampie categorie. La maggior parte erano programmi istruttivi realizzati con competenza, ma piuttosto poveri, che a dire il vero non erano poi troppo differenti dalle vecchie macchine di apprendimento programmato. I loro nomi erano eccitanti quanto i loro contenuti: Compu-Read, Fractions, Decimals, Arithmetic Skills, Compu-Spell, Algebra (se non altro, non si poteva dire che i nomi traessero in inganno il consumatore...)
C'è da dire che di lì a pochissimo tempo altri programmi della Edu-Ware andarono ad occupare il vago spazio vuoto all'intersezione fra strumenti didattici, gioco, e simulazione. Windfall: The Oil Crisis Game metteva il giocatore al comando di una grande (seppur immaginaria) compagnia petrolifera. Il giocatore poteva (e, presumibilmente, voleva) vincere il gioco, ma nel farlo avrebbe inevitabilmente appreso del complesso sistema che era quasi andato in frantumi, producendo la crisi petrolifera del 1979. Network invece metteva il giocatore a capo di un'emittente televisiva, col compito di bilanciare i programmi, la programmazione, gli indici di ascolto e sperimentando nel frattempo le pressioni dei mass media. Terrorist, invece, si concentrava su un altro argomento di grande attualità, a causa della crisi iraniana che continua a trascinarsi avanti, mettendo il giocatore nel ruolo di un terrorista o di un'autorità governativa, inscenando il sequestro di ostaggi, il dirottamento di aerei, o degli scenari di ricatto nucleare.
Creati in un tempo in cui la maggior parte degli altri software o ignoravano completamente il mondo reale, o se ne occupavano esclusivamente dal punto di vista dell'hardware militare, questi programmi sono significativi per il modo in cui si occupano deliberatamente di questioni sociali vere e pressanti. Ma non sono solo delle sterili simulazioni. Ognuna ha uno scopo preciso, ha una posizione specifica rispetto alle vicende del mondo, diventando così quello che è probabilmente il primo esempio di quelli che saranno successivamente chiamati “persuasive game”. La loro retorica procedurale riflette con chiarezza la visione liberare del mondo che doveva essere propria della Edu-Ware. Network potrebbe perfino essere definita la prima satira procedurale, essendo ispirato all'omonima “black comedy” del 1976.
E la terza categoria? Non volevano essere simulazioni, ma solo giochi veri e propri, ma non per questo erano meno affascinanti. Ne parlerò più approfonditamente la prossima volta.
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