Prodi Avventurieri, vi siete infine ripresi dai bagordi delle festività natalizie? Io no! Ho ancora l'olezzo appiccicoso e penetrante di Grue e capitone nei peli della barba... Ma non importa, perché l'Avventura chiama! E noi, rispondiamo... Sempre! Riemersi dalle profondità del Regno Sotterraneo di Zork è già il momento di scoprire le origini dell'ineluttabile seguito del capolavoro di Infocom, ma, attenzione, solo per questa volta, ci concederemo la libertà di compiere un balzo nella cronologia del Blog del "The Digital Antiquarian", proprio per seguire il percorso che abbiamo tracciato e che porterà a Zork II e persino a ... Zork III (come già rivelato nella nostra lista degli articoli). Ma non temete, una volta concluso il ciclo degli articoli Infocom, riprenderemo la normale cronologia, recuperando tutti gli articoli "saltati" (il nostro traduttore, The Ancient One, rinchiuso in una stamberga da mesi, ne ha già tradotti a migliaia, perdendo così moglie e lavoro... ma è il giusto prezzo della gloria eterna!). Ora vi lascio alla vostra meritata lettura, la prima di un anno speciale per noi avventurieri! L'ineffabile lista degli articoli del ciclo Infocom: – Infocom: Come Cavarsela da Soli – Zork II, Parte 1 – Zork II, Parte 2 – Lo Zork User Group – Zork III, Parte 1 – Zork III, Parte 2 Stringete la cinghia e prendete la lanterna...si riparte per un lungo viaggio! Festuceto |
Congratulations! You are the privileged owner of a genuine ZORK Great Underground Empire (Part I), a self contained and self maintaining universe. As a legitimate owner, you have available to you both the Movement Assistance Planner (MAP) and Hierarchical Information for Novice Treasure Seekers (HINTS). For information about these and other services, send a stamped, self-addressed, business-size envelope to: Infocom, Inc. GUE I Maintenance Division PO Box 120, Kendall Station Cambridge, Mass. 02142 |
Lui [Meretzky], rientrando a casa, vide il computer e disse: “Lungi da me!”, con quel tono che solo Steve sapeva usare. Cercai di dirgli: “Steve, questo ti piacerà!”. Cercavo di spiegargli come iniziare a giocarci e lui si mise le mani sulle orecchie e iniziò a urlare per non sentirmi. Ma evidentemente sentì quanto bastava. Nel corso delle successive settimane, quando tornavo a casa e mi accingevo a rimettermi a fare il beta testing, mi accorgevo che la tastiera era stata spostata di qualche centimetro o che i miei appunti erano stati leggermente mossi. Compresi che Steve ci stava giocando, ma non voleva ammetterlo. Una notte alla fine scoppiò e mi disse: “Va bene! Va bene! Mi serve un indizio!”. Lì iniziò il tracollo di Steve. |
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Nel 1978 il Minnesota Educational Consortium (MECC), la casa di Don Rawitsch e del suo The Oregon Trail, era all'avanguardia nell'uso dei computer a scopi educativi: tanto è vero che, prima che il mondo delle aziende o il grande pubblico si accorgesse di ciò che stava accadendo, iniziarono a valutare come portare i microcomputer nelle aule del Minnesota, al fianco delle telescriventi, dei “dumb terminals” e dei grandi sistemi in time-sharing che all'epoca erano all'ordine del giorno. Fu così che il MECC si recò dai grandi produttori di microcomputer con una gara di appalto. Nella lista c'era ovviamente anche Radio Shack, che rispose col suo solito stile disinteressato.
Alcune di queste compagnie, e in particolare Radio Shack, erano tutt'altro che innamorate delle procedure di appalto e la ritennero una cosa innaturale (in particolare le regole di offerta e quelle di accesso alla gara) e non furono troppo meticolosi nel rispondere. Dicemmo a Radio Shack: “Dovete comprendere che, se non ci rispondente nel modo giusto, noi non possiamo accettare la vostra offerta”, ma loro non furono disposti ad adeguarsi. Del resto le cose per loro andavano a gonfie vele e stavano vendendo i TRS-80 a più non posso. |
Anche se i più all'interno dell'amministrazione del MECC avrebbero preferito avere a che fare con la grande e stabile Radio Shack, la minuscola Apple presentò un'offerta aggressiva ed entusiasta, e la spuntò. Il MECC ordinò 500 Apple II; un ordine gigantesco in un anno in cui la Apple avrebbe venduto in tutto solo 7.600 macchine. Bisogna però precisare che la Apple si era aggiudicata l'asta a un prezzo talmente scontato che, probabilmente, ci guadagnò poco o niente. Ma questo dettaglio era del tutto irrilevante. In una leggendaria carriera piena di scaltre scelte di marketing, Steve Jobs non ne ha mai fatte di più scaltre di questa.
Non solo il MECC iniziò a portare gli Apple nelle classi del Minnesota, ma iniziò anche a convertirvi la sua gigantesca libreria di programmi educativi scritti in BASIC. Fermiamoci quindi un attimo a riflettere su cosa potesse significare questo passaggio. Il MECC era già noto in tutta la nazione come il leader indiscusso nell'educazione tramite computer; era l'esempio che tutte le altre istituzioni didattiche (più conservatrici e con meno fondi a disposizione) tendevano a seguire in costante ritardo. E così, quando tutte queste istituzioni iniziarono a pensare ai microcomputer per le loro aule, si chiesero inevitabilmente che cosa stesse usando il MECC: l'Apple II. E quando valutarono il software da adottare, ancora una volta non poterono che prendere in considerazione la ricca libreria del MECC; una libreria che veniva rapidamente convertita per un unico microcomputer: l'Apple II.
Per spingere ancora di più l'adozione in ambito educativo, nel 1979 l'Apple iniziò a promuovere pesantemente l'Apple II come strumento didattico, utilizzando pubblicità di questo tenore:
Jobs comprese che introdurre i suoi computer nelle scuole era la chiave per conquistare un mercato molto più grande, quello casalingo. Del resto i motivi didattici erano una delle ragioni citate più frequentemente fra i motivi per i quali una famiglia acquistava un computer. Quando Mamma e Papà valutavano quale computer comprare a Junior, l'Apple II (il computer che aveva tutti i software didattici, il computer che Junior usava anche a scuola, il computer di cui lo stesso Junior aveva parlato in casa e che già sapeva adoperare) sembrò per molti la scelta più logica, anche se costava un po' di più e anche se, col passare del tempo, non aveva più delle specifiche tecniche così impressionanti in confronto alla concorrenza. Quegli Apple II venduti a un prezzo scontato alle scuole funsero da articoli di richiamo per i consumatori, e si ripagarono abbondantemente negli anni. E in seguito la Apple, appena ebbe abbastanza soldi per poterlo fare, si fece ancora più munifica, offrendosi di regalare un Apple II a ogni scuola elementare della nazione. Mosse come questa crearono una presa talmente forte che neppure la Apple stessa riuscì a spezzarla per molti anni, quando avrebbe semplicemente voluto che l'Apple II andasse a morire, per lasciare spazio all'Apple III e -in seguito- al Macintosh. Dal numero del 24 Settembre 1990 di InfoWorld:
A 10 anni di distanza le scuole elementari continuano a comprare la tecnologia Apple II. In conseguenza di ciò, tale strategia ha contribuito a mantenere nel mercato mainstream un sistema che molti osservatori nell'industria ritengono troppo costoso e tecnicamente obsoleto. E ha virtualmente incatenato la Apple al mercato delle scuole elementari fino al giorno d'oggi. |
Detto ciò, dietro al dominio dell'Apple II nelle aule, c'era però qualcosa di più di un marketing azzeccato. Grazie al chip di Woz (e al suo progetto nel complesso, che riduceva al minimo i circuiti, nonché alla natura ancora piuttosto basilare della macchina in sé) c'era ben poco nell'Apple II che potesse creare problemi. E, esternamente, era una specie di carrarmato. Questi fattori consentirono a quelle macchine di sopravvivere (letteralmente) per anni agli abusi perpetrati dalle mani di un'intera generazione di studenti, che percuotevano le tastiere in preda alla frustrazione, che puntavano le proprie dita appiccicose sugli schermi, e che occasionalmente ficcavano i floppy al contrario nei lettori! Gli insegnanti impararono ad amare questi loro piccoli colleghi resistenti, che gli offrivano degli occasionali momenti di tranquillità in classi di bambini strillanti.
Né sarebbe giusto, indipendentemente dalla purezza (o dalla mancanza di purezza) che spinse la Apple a promuovere così pesantemente l'aspetto didattico, incorniciare la discussione solo in termini di vendite e di quote di mercato. La creazione da vero hacker di Woz si ritrovò infatti a essere un giocatore chiave nel dibattito in corso sul miglior modo di avvicinarsi alla didattica digitale. Questo lo capiamo bene se osserviamo la carriera di una persona in particolare: Sherwin Steffin. Molto di ciò che segue è tratto dal ritratto di Steffin e della sua società (la Edu-Ware) apparso nel numero di Maggio1981 della rivista Softalk:
Steffin non era uno dei bambini prodigio della rivoluzione dei microcomputer. Quando gli Apple II iniziarono ad arrivare nelle aule, lui aveva quasi 45 anni, con alle spalle già un'impressionante carriera di docente. Oltre ad avere un bachelor’s degree in Psicologia Sperimentale e un master’s degree in Tecnologia Didattica, Steffin aveva anche fatto volontariato contro le bande giovanili a Detroit, aveva insegnato alle scuole superiori per sette anni, aveva lavorato come “media director” per un distretto scolastico di Chicago, aveva lavorato come coordinatore dello sviluppo dei sistemi didattici alla Northeastern University per quattro anni, e aveva sviluppato la televisione didattica per il National Technical Institute for the Deaf di Rochester (a New York). Dal 1977 ha lavorato come “senior research analyst” all'UCLA. Le presunte crisi nel sistema educativo che dovette affrontarvi sono tristemente familiare anche oggi:
La didattica tradizionale era in seria difficoltà. Il prodotto finale era percepito come meno competente, dotato di meno abilità, meno curioso, e del tutto carente nel desiderio di apprendere. Le scuole erano piene di frustrazione. Gli insegnanti subivano la grande animosità pubblica senza aver nessun mandato chiaro all'interno del quale lavorare. Insegnare a leggere, scrivere, e fare di calcolo sembrava importante quanto insegnare le abilità sociali con lo scopo di rendere gli studenti più patriottici, tenerli lontani dalle droghe e trasmettere loro un'educazione sessuale (senza però rivelare loro niente del sesso). |
Gli esperti di tecnologia educativa della generazione di Steffin erano profondamente innamorati delle teorie dello psicologo B.F. Skinner, l'inventore del comportamentismo. Skinner credeva che tutti i comportamenti umani fossero predeterminati dalla genetica e dalle esperienze precedenti; per lui l'idea di un quasi mistico “libero arbitrio” era solo un'inutile chimera. Scrisse un libro (“The Technology of Teaching”) in cui applicava il Comportamentismo alla didattica, definendo così la sua idea di “istruzione programmata”. Skinner propose una didattica basata essenzialmente su una ripetizione di atti di apprendimento mnemonico: allo studente viene posta una domanda, lui risponde, e gli viene immediatamente comunicato se la sua risposta è corretta, ad infinitum. Seguendo questa teoria, gli esperti di tecnologia educativa svilupparono delle “macchine di apprendimento programmato”: strumenti automatizzati che implementavano il concetto di istruzione programmata. Non c'è da sorprendersi se non furono un grande successo. In un rarissimo caso di unità, sia i professori sia gli studenti le odiavano. Utilizzarle non era solo monotono, ma gli insegnanti in particolare le consideravano totalmente disumanizzanti (un'opinione che Skinner -considerando la natura delle sue idee in proposito- probabilmente avrebbe abbracciato in pieno). Affermavano (correttamente) che molti aspetti della didattica, come l'arte e la capacità di apprezzare la letteratura e il pensiero critico, non potevano proprio essere trasmessi attraverso un mero apprendimento mnemonico.
Steffin iniziò a prendere le distanze dai suoi colleghi, ritenendo che le macchine di apprendimento programmato fossero inadeguate. A parte tutte le loro numerose mancanze, esse erano buone solo per ciò che lui definiva “il pensiero convergente, nel senso che vengono posti dei problemi e tutti gli studenti sono indotti a dare la medesima risposta”. Il pensiero divergente (cioè l'incoraggiamento delle abilità di pensiero e di opinioni critiche individuali) era come minimo altrettanto importante, perché lui era convinto che “il pensiero fosse il sentiero per la libertà”. Con l'arrivo dei microcomputer come l'Apple II a prezzi relativamente bassi, Steffin vi intravide degli strumenti didattici molto più flessibili delle rigidissime macchine di apprendimento programmato. Senza avere nessuna esperienza di programmazione e nessuna particolare attitudine innata, sviluppò un programma chiamato Compu-Read per insegnare a leggere, prima sul grande sistema istituzionale dell'UCLA e in seguito sull'Apple II, che aveva comprato per le sue ricerche. Come tanti altri programmatori semi-professionali / semi-amatoriali di quei primissimi anni dell'informatica, inizialmente sviluppò il suo software come secondo lavoro, cedendo la licenza di Compu-Read al più grande dei publisher degli albori dell'Apple II, la Programma International. Tuttavia, nella primavera del 1979, Steffin fu licenziato dal suo posto di lavoro all'UCLA e, piuttosto che cercare un'altra occupazione, decise di buttarsi a piè pari nella didattica digitale, fondando la Edu-Ware insieme a uno studente dell'UCLA, Steve Pederson. Insieme iniziarono a sfornare software a ritmi vorticosi, copiando da soli i dischetti e vendendoli nelle buste Ziploc tipiche dell'epoca.
L'offerta di Edu-Ware può essere divisa in tre ampie categorie. La maggior parte erano programmi istruttivi realizzati con competenza, ma piuttosto poveri, che a dire il vero non erano poi troppo differenti dalle vecchie macchine di apprendimento programmato. I loro nomi erano eccitanti quanto i loro contenuti: Compu-Read, Fractions, Decimals, Arithmetic Skills, Compu-Spell, Algebra (se non altro, non si poteva dire che i nomi traessero in inganno il consumatore...)
C'è da dire che di lì a pochissimo tempo altri programmi della Edu-Ware andarono ad occupare il vago spazio vuoto all'intersezione fra strumenti didattici, gioco, e simulazione. Windfall: The Oil Crisis Game metteva il giocatore al comando di una grande (seppur immaginaria) compagnia petrolifera. Il giocatore poteva (e, presumibilmente, voleva) vincere il gioco, ma nel farlo avrebbe inevitabilmente appreso del complesso sistema che era quasi andato in frantumi, producendo la crisi petrolifera del 1979. Network invece metteva il giocatore a capo di un'emittente televisiva, col compito di bilanciare i programmi, la programmazione, gli indici di ascolto e sperimentando nel frattempo le pressioni dei mass media. Terrorist, invece, si concentrava su un altro argomento di grande attualità, a causa della crisi iraniana che continua a trascinarsi avanti, mettendo il giocatore nel ruolo di un terrorista o di un'autorità governativa, inscenando il sequestro di ostaggi, il dirottamento di aerei, o degli scenari di ricatto nucleare.
Creati in un tempo in cui la maggior parte degli altri software o ignoravano completamente il mondo reale, o se ne occupavano esclusivamente dal punto di vista dell'hardware militare, questi programmi sono significativi per il modo in cui si occupano deliberatamente di questioni sociali vere e pressanti. Ma non sono solo delle sterili simulazioni. Ognuna ha uno scopo preciso, ha una posizione specifica rispetto alle vicende del mondo, diventando così quello che è probabilmente il primo esempio di quelli che saranno successivamente chiamati “persuasive game”. La loro retorica procedurale riflette con chiarezza la visione liberare del mondo che doveva essere propria della Edu-Ware. Network potrebbe perfino essere definita la prima satira procedurale, essendo ispirato all'omonima “black comedy” del 1976.
E la terza categoria? Non volevano essere simulazioni, ma solo giochi veri e propri, ma non per questo erano meno affascinanti. Ne parlerò più approfonditamente la prossima volta.
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Nel 1980 il panorama dei microcomputer appariva molto diverso rispetto ai tempi in cui la “trinità del 1977” irruppe sulle scene. Per gli hacker e gli altri utenti pionieri che ne avevano decretato il successo, il TRS-80 era un passo verso la sanità mentale (almeno rispetto alle follie da saldatori di chi si era costruito l'Altair in garage partendo da degli schemi e da un ammasso sciolto di chip), ma... si trattava proprio solo di un passo. Possedere e far funzionare un computer era ancora costoso e difficile, e alla domanda che era sulle labbra di mogli e fidanzate di tutta la nazione ("Ma, esattamente... a che serve?") in realtà non c'era ancora alcuna risposta veramente convincente. Tuttavia già nel 1980 le cose iniziavano a cambiare, quanto basta almeno perché dei segmenti di popolazione iniziassero ad acquistare computer non per il mero fascino della tecnologia in sé, ma piuttosto per ciò che la tecnologia avrebbe permesso loro di realizzare. E questo per merito del lavoro di tutti quegli utenti pionieri, che avevano hackerato come pazzi per creare delle cose utili che avessero potuto giustificare il tempo investito secondo gli standard dell'economia di mercato (e cioè in termini di dollari e centesimi), il tutto per potersi così permettere altro tempo per... hackerare ancora.
Oggi la più celebrata di queste prime "killer application" (tale, forse, per essere comparsa nel documentario The Triumph of the Nerds) è VisiCalc, il foglio di calcolo il cui approccio di base è ancora oggi echeggiato da quel Microsoft Excel che tutti noi conosciamo e amiamo (?). Introdotto alla fine del 1979, VisiCalc ha dato ai commercialisti, ai piccoli imprenditori, e perfino agli utenti comuni delle ragioni per possedere un microcomputer: che fosse per calcolare le tasse, o per preparare le fatture, o anche solo per tenere il saldo del blocchetto degli assegni. Ma ci sono anche altri esempi. Il primo rozzo programma per scrittura si chiamava The Electric Pencil, ed era perfino antecedente alla “trinità del 1977”, essendo apparso nel Dicembre 1976 per i primissimi computer assemblati a partire da un kit. Ci volle però WordStar per rifinire il concetto di programma di scrittura in uno strumento flessibile e abbastanza potente da poter rimpiazzare le costose macchine da videoscrittura che al tempo della sua pubblicazione nel Settembre 1978 occupavano ancora le scrivanie di tutte le segretarie della nazione. Invece dBase (il primo database relazionale programmabile per i microcomputer) fece la sua comparsa nel 1979. E poi, anche se venivano menzionati apertamente solo raramente come una buona ragione per acquistare uno dei primi computer, c'erano i giochi, sempre presenti come una sorta di piacere proibito e segreta motivazione all'acquisto. Nel 1980 i giochi per computer erano ancora grezzi e limitati, ma crescevano a passi da gigante (sia nelle ambizioni che nelle vendite) mano a mano che spuntavano i primi publisher specializzati nell'entertainment (come la Adventure International) e che i nuovi microcomputer (molto più adatti al gioco) iniziavano ad apparire sulla scia dello scalpore suscitato dalla console Atari VCS, che iniziò a diffondersi sul serio in tutta la nazione durante il periodo delle feste del 1979.
Ah, sì, le nuove macchine. Mano a mano che le nuove applicazioni mostravano quanto potevano essere utili e/o divertenti i computer, sia a lavoro che a casa, e mano a mano che le vendite rispondevano di conseguenza, tanti nuovi attori si affrettavano a gettarsi nel mercato. Alcuni, come lo Exidy Sorcerer e il Texas Instruments 99/4, vi trovarono ben poche soddisfazioni, diventando solo delle note al margine e degli oggetti per il moderno collezionismo. Altri invece portarono con sé dei significativi sviluppi tecnologici e culturali. Prima o poi ci occuperemo di loro, ma in questo articolo lasciate che provi a mettere un po' di ordine (vale a dire a costruire alcune categorie) nel pazzo intreccio dei microcomputer disponibili al pubblico nel 1980. Stranezze come il TI 99/4 (il primo microcomputer a 16 bit del mondo, basato su una CPU ideata dalla stessa Texas Instruments) a parte, la maggior parte dei computer erano basati su due CPU distinte, entrambe con architetture a 8 bit.
Erano l'Intel 8080 (il chip al cuore dell'originale "computer da assemblare" Altair e degli altri suoi contemporanei) e lo Z80 (una CPU per lo più compatibile prodotta dalla Zilog, che tuttavia offriva un design più flessibile ed efficiente); questo ultimo -come forse vi ricorderete- era il chip che la Tandy aveva scelto per il suo TRS-80. Al di là del TRS-80, che rimase nel bene e (come vedremo tra poco) nel male una cosa a parte, queste macchine generalmente montavano il primo sistema operativo "platform-agnostic" [tecnologicamente neutrale] ad ampia diffusione: il CP/M (Control Program for Microcomputers ["Programma di Controllo per Microcomputer"]). Sviluppato da Gary Kildall all'alba dell'era dei microcomputer e pubblicato dalla sua società Digital Research, il CP/M era l'MS-DOS (o, se preferite, il Microsoft Windows) di quest'epoca, uno standard -di fatto, se non ufficiale- che consentiva a un ampio numero di produttori di condividere software e informazioni (a dire il vero ci sarebbe anche un collegamento più tangibile fra CP/M e MS-DOS: a seconda di chi è l'interlocutore, l'MS-DOS originale del 1981 era o "ispirato dal" CP/M o addirittura un'opera di spudorato reverse engineering di quello. Ma su questo argomento torneremo sicuramente in futuro...).
Però, perché un computer potesse far funzionare il CP/M, aveva bisogno di due cose: di una CPU Intel 8080, o Zilog Z80, e di un certo design standard del bus per le comunicazioni con i "disk drive" e le altre periferiche, noto come S-100; un design che risaliva al primo Altair. (AGGIORNAMENTO: Come giustamente segnalato da Jonno nei commenti, strettamente parlando l'S-100 non era un requisito necessario per far funzionare il CP/M).
Il CP/M, e le architetture basate sulle CPU Intel e Zilog su cui funzionava, divennero l'ambiente standard per i microcomputer "seri" della fine degli anni '70 e dell'inizio degli '80, quelli cioè utilizzati dalle piccole e medie imprese. Fu su questi computer che nacquero WordStar e dBase, e che vi approdò rapidamente anche VisiCalc (pur se concepito sull'Apple II). Il CP/M tuttavia non aveva alcuna capacità grafica e aveva solo un supporto limitato per le operazioni in tempo reale, risultando di conseguenza una piattaforma difficile da usare per molti tipi di giochi e perfino per i programmi educativi. E poi si affidava alla presenza di almeno un "disk drive" sulla piattaforma che lo ospitava, in un periodo in cui tendevano a essere molto costosi. Questi fattori fecero sì che il CP/M e l'8080 fossero poco adatti per essere impiegati nei computer meno costosi, e solitamente funzionanti a cassette, destinati agli utenti domestici. Quella fascia di mercato era dominata da un'altra architettura hardware: la CPU 6502 delle MOS Technologies.
Quando il 6502 comparve per la prima volta nel 1975, la MOS era solo un minuscolo produttore indipendente di chip, ma le cose erano destinate a cambiare quando la Commodore acquistò l'intera società nel 1976. Questa mossa (una delle più astute mai fatte da Jack Tramiel, il capo della Commodore), mise la Commodore nell'invidiabile posizione di guadagnare non solo quando vendeva le proprie macchine come il PET, ma anche ogni volta che un rivale acquistava il 6502 per i suoi prodotti. Tali rivali inizialmente includevano solo la Apple con la linea Apple II e tutta una serie di computer da assemblare tramite kit di svariati produttori; ma anche questo era rapidamente destinato a cambiare.
Non fu però mai sviluppato l'equivalente del CP/M per le macchine basate su 6502; il che comportò che tali macchine restassero sostanzialmente incompatibili le une con le altre. Il BASIC funzionò in parte da "lingua franca", visto che praticamente tutte queste macchine ospitavano nelle loro ROM una versione del BASIC della Microsoft (che era ormai lo standard dell'industria), ma ogni implementazione di tale BASIC era sufficientemente diversa dalle altre da far sì che la maggior parte dei programmi necessitassero comunque di un minimo di ritocchi. E poi, ovviamente, quando ci si spostava dal BASIC al linguaggio assembly per sfruttare al meglio tutto quello che il 6502 aveva da offrire (e in particolare grafica e sonoro, capacità che oltretutto variavano enormemente da modello a modello), si doveva sostanzialmente riprogrammare tutto da zero per ogni macchina che si voleva supportare. Erano tempi folli, anche se con l'attuale [era il 2011; ndAncient] proliferazione di device mobili incompatibili fra loro, lo scenario inizia nuovamente ad assomigliare a quello del 1980.
Tuttavia quello che l'universo del 6502 perdeva in compatibilità, di certo lo acquistava in flessibilità. Liberi dal gravoso compito di dover lavorare con un sistema operativo relativamente complesso e inefficiente come il CP/M, i programmatori avevano molto più controllo su queste macchine, potendo manipolare direttamente ogni elemento dell'hardware per ottenere la massima efficienza. Inoltre le macchine basate sul 6502, generalmente indirizzate ai mercati domestici e educativi, erano tendenzialmente dotate di capacità grafiche e sonore, che erano invece del tutto assenti nell'universo spoglio e testuale del CP/M; l'Apple II per esempio era l'unico membro della “triade del 1977” a supportare una grafica bitmap vera e propria; ma di questo argomento inizierò a parlare in maggior dettaglio nel mio prossimo articolo.
Ora forse vi starete chiedendo in tutto questo dove fosse finito il TRS-80, che di diritto non apparteneva a nessuna delle due categorie appena descritte. Anche se il TRS-80 era costruito sulla CPU Z80, Radio Shack per spilorceria aveva scelto di non implementare il design del bus S-100 (AGGIORNAMENTO: Come accade di quando in quando da queste parti, quest'ultima affermazione non è corretta. In realtà il problema è relativo alla "memory map" del TRS-80, nella quale la ROM veniva prima della RAM; mentre invece una macchina CP/M richiedeva l'opposto. I miei ringraziamenti a Jonno per avermelo fatto notare nei commenti di questo post). Questo lo rendeva incompatibile con il CP/M. Nonostante l'enorme successo dei primi anni e nonostante avesse ancora la base di installato più ampia di qualunque altro microcomputer, il futuro del TRS-80 era (almeno col senno di poi) già offuscato nel 1980. La sua incompatibilità con il CP/M lo tagliava fuori da tutta la base del software professionale in netta espansione su quel sistema operativo. E poi, nonostante il prezzo abbastanza conveniente del TRS-80, la reputazione di Radio Shack di essere fornitori di spazzatura a buon mercato per le masse faceva ben poco per attrarre gli utenti "business" e -nel classico scenario del gatto che si morde la coda- a sua volta l'assenza di utenti "business" scoraggiava gli sviluppatori dal convertire i loro prodotti dal CP/M alla piccola macchina stravagante della Tandy. A questo si aggiunge il fatto che anche nell'altra metà del mercato dei microcomputer (e cioè nel mondo delle macchine da gioco e dell'informatica hobbistica, dominato dal 6502) il TRS-80 sembrava sempre più inadeguato a causa della sua assoluta mancanza di grafica e sonoro. L'arrivo dell'Atari 400 e dell'Atari 800 (due macchine piene di colori, basate sul 6502, e con capacità grafiche e sonore stupende per il tempo) e, poco dopo, all'inizio del 1981, del Commodore VIC-20 (una macchina con assai meno capacità al confronto, ma comunque dotata di grafica a colori e sonoro, e venduta ad un prezzo che non aveva precedenti) erano presagi particolarmente infausti.
Per quanto la saggezza di molte delle sue scelte fosse quantomeno discutibile, la Tandy se non altro non rimase inerme di fronte a questi sviluppi. Rilasciò infatti un gran numero di nuovo macchine, nessuna della quali però si avvicinò nemmeno lontanamente a recuperare la quota di mercato di cui godeva il TRS-80 alla fine degli anni '70.
La Tandy uscì con una nuova macchina chiamata TRS-80 Model 2 (il primo TRS-80 fu retroattivamente rinominato Model 1) a fine 1979. Il Model 2 era progettato per catturare il mercato aziendale che stava saltando a piè pari il Model 1; veniva venduto con i "disk drive" integrati e implementava correttamente il bus S-100 bus includeva una ROM di tipo bank switching, che gli consentiva di far girare il CP/M. Ma era anche una macchina molto più costosa del Model 1 e, cosa che era ancora peggio, del tutto incompatibile con esso. Grazie al tipico scarso acume per il marketing di Radio Shack, alla loro passione per le linee goffe e pacchiane unite a un prezzo molto alto, il Model 2 non fu un successo nel mercato "business" e al contempo la sua incompatibilità lo rese scarsamente appetibile anche per chi già possedeva un Model 1.
Il Model 3, che doveva rimpiazzare il Model 1 nell'estate del 1980, fu quasi un passo obbligato per Radio Shack. Il Model 1 infatti emetteva talmente tante interferenze radio che, in un classico esempio di sconfinata ingenuità tipica della prima era dei microcomputer, la gente iniziò a scrivere programmi che manipolando la memoria producessero musica utilizzando l'interferenza prodotta dal TRS-80 su una radio a transistor nelle vicinanze. Le nuove regole della FCC [la Commissione Federale per le Comunicazioni] del 1981 costrinsero Radio Shack a costruire un adeguato schermo per le interferenze radio, rovinando per sempre tutto quel divertimento. Oltre a risolvere questo problema, il Model 3 presentava anche una versione leggermente più veloce dello Z80 e (evviva!) fra le varie migliorie c'era anche il supporto per delle vere lettere minuscole sia in fase di input che di output. Non fece invece niente per migliorare le magre capacità di visualizzazione del Model 1. E, nel tipico balletto da un passo in avanti e due indietro che sembrava contraddistinguere sempre Radio Shack, il Model 3 era ottimisticamente definito come "compatibile all'80%" con il Model 1, nonostante ancora una volta l'assenza del bus S-100 la sua progettazione non gli consentisse di far girare il CP/M. A questo punto Radio Shack, autentico genio del marketing, aveva tre macchine separate, tutte etichettate come TRS-80, ognuna parzialmente o interamente incompatibile con le altre. Provate a immaginare cosa significava cercare di capire quale era il software compatibile con la vostra versione della macchina...
E -incredibile a dirsi!- nel 1980 fu rilasciato ancora un altro TRS-80 completamente incompatibile con gli altri, questo però si rivelò il più significativo di tutti. Anche se ufficialmente si chiamava TRS-80 Color Computer, era radicalmente diverso da tutto ciò che si era visto fino ad allora: costruito intorno a quella che probabilmente era la CPU a 8 bit più avanzata mai prodotta, il nuovo Motorola 6809E. Come tanti altri sistemi della Radio Shack, esso coniugava un potenziale interessante a delle debolezze sconfortanti. Gli aspetti positivi erano il potente 6809E e un Microsoft BASIC avanzato che gli fece conquistare i favori dei programmatori per hobby; fra gli aspetti negativi c'erano le sue capacità sonore e grafiche che, seppur un passo sopra agli altri modelli di TRS-80, non lo rendevano ancora competitivo con i modelli nuovi e in arrivo di compagnie come Atari e Commodore. Nonostante questo, il CoCo -come venne presto chiamato amichevolmente [abbreviando il nome di "Color Computer"; ndAncient]- fece bene nel lungo periodo, durante il quale restò costantemente lontano dalla portata dei radar del mercato mainstream (incapace di attirare poco o niente in termini di giochi e di applicazioni da parte della maggior parte dei publisher e perfino da parte della stessa Radio Shack), ma riuscì a sopravvivere eleggendosi a prodotto di culto dell'industria e sostenendosi grazie a una base utenti che si rivelò leale fino al fanatismo. La linea del CoCo uscì di produzione solo nel 1991.
Ci sarebbero moltissime altre storie interessanti da raccontare in merito agli stravaganti piccoli computer di Radio Shack, ma la verità è che nessuno di loro riuscì mai nemmeno lontanamente ad avvicinarsi al dominio dell'industria che fu del TRS-80 Model 1 in quei primissimi anni. In verità però va detto che lo stesso Model 1 era divenuto così popolare perché era ampiamente disponibile (in un tempo in cui i canali di distribuzione degli altri marchi erano quasi inesistenti) e perché il suo prezzo era assolutamente ragionevole, e non tanto in virtù delle sue eccellenti qualità tecniche. Il TRS-80 in realtà non era poi così diverso dagli altri prodotti di Radio Shack: nella sostanza faceva ciò che doveva fare, solo che lo faceva nel modo meno cool e meno sexy immaginabile. Tuttavia seppe stimolare l'industria degli home computer e portò i giochi di avventura nelle case della gente per la prima volta; ma nel 1980 era già superato.
Quindi ora non ci resta che cestinare tutto il TraSh del TRS-80 e passare oltre. La prossima volta esamineremo la macchina creata dalla società che è poi riuscita a definire tutto ciò che nella tecnologia è cool e sexy. Sì, sto parlando proprio di quei due ragazzini impavidi nel loro garage in California.
The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto
Articoli precedenti:
- Sulle tracce di The Oregon Trail
- In difesa del BASIC
- A Caccia del Wumpus
- L'Avventura di Crowther
- TOPS-10 in a Box
- L'Avventura completata
- Tutto il TRaSh del TRS-80
- Eliza
- Adventureland
- Dog Star Adventure
- Qualche domanda per Lance Micklus
- Un 1979 indaffarato
- The Count
- Due diverse culture di avventurieri
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- La Narrativa Ludica già nota come Storygame
- L'Ascesa dei Giochi Esperienziali
- Dungeons And Dragons
- Una Definizione per i Giochi di Ruolo per Computer
- Dal Tavolo al Computer
- I Primi Giochi di Ruolo per Computer
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- Un 1980 Indaffarato
- L'Interactive Fiction di Robert Lafore
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