Zork III, Parte 2
The Digital Antiquarian (la traduzione ufficiale italiana)

Cari Avventurieri, avete riempito le vostre borse di gioielli e danari (ovviamente del conio dei Testapiatta) per investirli in equipaggiamento e armi (o in una casetta bianca al margine del bosco se avete pensato di ritirarvi dall'attività)? Bene, perché è il momento di salutare il Regno Sotterraneo di Zork, e il nostro Antiquario Digitale preferito (nonché l'unico degno di tale nome), ma trattenete le lacrime, non è un addio. Dopo una serie di salti acrobatici che ci hanno portati dal 1979 fino al 1982, la traduzione ufficiale del The Digital Antiquarian tornerà e seguirà la normale cronologia, ripartendo proprio dal 1979, quando Zork I aveva rivoluzionato il mercato delle avventure testuali e decretato il successo della nascente Infocom.
Nel frattempo torneremo ad occuparci di Giochi di Ruolo per Computer, con il mitico CRPG Addict (vi mancava?) nella sua traduzione italiana ufficiale, sempre opera dell'instancabile e insaziabile The Ancient One.
L'argomento non ve lo rivelo, ma è davvero molto gustoso!
 
Prima dello struggente commiato, la completa lista degli articoli del ciclo di Zork:
 
Zork III, Parte 2
 
Buona lettura ... e non siate troppo nostalgici!
 
Festuceto

L’ultima volta abbiamo esplorato l’area a ovest dell’Incrocio. Oggi andiamo a est.
 
Lì troviamo il Museo Regale, che ospita una macchina del tempo che è il cuore dell’ultimo degli intricati enigmi escogitati da Blank appositamente per Zork III. È interessante confrontare il rigore con cui Zork III  tratta i viaggi nel tempo rispetto a quello di Time Zone, che, nonostante abbia proprio il viaggio nel tempo come tema centrale, si limita a nascondere sotto il tappeto la maggior parte delle implicazioni che vi sono connesse, rinunciando del tutto ad affrontarle. E, nonostante le sfide che i viaggi nel tempo offrono agli autori (perfino a quelli di narrativa tradizionale), gli enigmi “temporali” resteranno anche negli anni a venire fra i preferiti della Infocom.
 
E c’è da dire che, in questo primo tentativo, se la sono cavata piuttosto bene: non c’è un vero e proprio modo per “rompere” la simulazione, sia grazie a un modello sorprendentemente complesso, sia grazie a delle limitazioni molto astute che restringono il campo delle possibilità. Con un tocco di commedia leggera, che alleggerisce un po’ il tono generalmente opprimente del gioco, possiamo persino trovarci faccia a faccia (seppur solo brevemente) con Lord Dimwit Flathead the Excessive in persona, che per tutta la serie è stato oggetto di continue ironie:
 
>premi bottone
Sperimenti un breve disorientamento. Quando riacquisti la visti, ti ritrovi nel mezzo di una specie di cerimonia, con uno strano uomo dalla testa piatta con indosso i paramenti regali in procinto di rompere una bottiglia sulle sbarre di una gabbia di ferro che contiene dei magnificenti gioielli. Sembra lieto della tua presenza. Parla a voce molto alta, quasi assordando il povero servitore al suo fianco, il cui compito è quello di assicurarsi che i suoi desideri siano realizzati. “Ah! Un ladro! Te l’avevo detto che ci serviva più sicurezza! Ma, no! Tutti a dirmi che la mia idea, di costruire il museo sotto due miglia di montagna, circondato da centocinquanta metri di acciaio, era poco pratica! E ora che ce ne facciamo di questo… intruso? Ce l’ho! Costruiremo una grandissima fortezza sulla vetta della montagna più alta, con una stretta scala, lunga centinaia di metri, fino al pinnacolo. E lì resterà per tutta la sua vita!” Il suo vessato assistente sembra esitare. “Non pensa, Sua Maestà, che il Vostro piano sia un po’… ehm, un po’ troppo?” Il Testapiatta ci pensa sù. “No, non mi sembra.” esclama e così vieni portato via. Qualche anno dopo, la tua prigione è ultimata. Vi vieni condotto e vi trascorri il resto della tua misera esistenza.
 
** Sei morto **
 
Tutto quello di cui parlerò da qui in poi si riferisce a parti del gioco che sono state prese, sostanzialmente immutate, dalla versione di Zork per PDP-10. Per prima cosa, a sud del Museo Regale, c’è l’Enigma Regale, un elaborato gioco di logica che potrebbe ben essere il primo esempio di un enigma appartenente a quel genere dei “blocchi che scorrono”, che di lì a poco sarebbe diventato (tristemente) assai comune fra i giochi d’avventura. Questo però è più interessante di molti di quelli che gli faranno seguito. Dobbiamo spingere delle pareti di pietra arenaria su una griglia, per rinvenire un importante libro che è nascosto all’interno (facile) e per uscire fuori portandoselo dietro (difficile). Anche se è stato uno degli ultimi enigmi aggiunti alla versione PDP-10 di Zork, l’Enigma Regale era collocato da un punto di vista geografico piuttosto presto all’interno del gioco finito, vicino al grande labirinto e al covo del ladro. Questo enigma fu prevalentemente frutto delle fatiche del meno citato dei membri del team originale di Zork, Bruce Daniels. Fu eliminato da Zork I per ragioni di spazio, ma evidentemente alla Infocom lo consideravano troppo buono per restare fuori dai giochi per PC, e quindi lo inserirono qui, come aggiunta al Museo Regale.
 
Ed effettivamente è un buon enigma, che per essere risolto richiede un’attenta pianificazione e perfino qualche appunto cartaceo, pur restando sicuramente risolvibile. Ma, cosa ancora più importante, la sua risoluzione è divertente. Personalmente non ho mai capito la sua reputazione di enigma estremamente difficile (in questo senso è eloquente una frase di una vecchia soluzione: “E ora fate un bel respiro, perché state per entrare in uno degli enigmi più difficili di Zork III...”). In realtà, l’Enigma Regale richiede solo pazienza, un’accurata pianificazione, e - questo sì - la volontà di ricaricare molte volte: una pressione sbagliata su una parete è di solito sufficiente a rendere l’enigma irrisolvibile. Non è una passeggiata, è vero, ma è sicuramente molto meno sfiancante di certi altri enigmi disseminati per la versione PDP-10 di Zork e per i primi due giochi per PC, che fanno invece interamente affidamento su veri e propri “balzi intuitivi” (per usare un eufemismo). L’Enigma Regale avrebbe una sua dignità perfino come gioco a sé stante, separato cioè dal contesto di Zork. E infatti alcuni al MIT lo consideravano tale, sfidandosi non solo a risolverlo, ma anche a risolverlo nel minor numero possibile di mosse.
 
Con l’Enigma Regale alle nostre spalle, abbiamo adesso esplorato e concluso tutte le stanze inizialmente accessibili della mappa. In una delle scelte di design più discutibili, adesso il gioco ci lascia a vagare per la sua mappa, in cerca di una qualunque cosa nuova da fare. Alla fine entriamo nella Stanza delle Incisioni e ci imbattiamo in un vecchio addormentato, che (in cambio di un tozzo di pane) ci permette di accedere alla parte finale del gioco. Adesso si tratta solo di attraversare una serie lineare di enigmi, presi pari pari dal finale della versione per PDP-10 di Zork, tutti ideati da Dave Lebling. Questi enigmi sono adeguatamente ostici, ma (come l’Enigma Regale) lo sono per i giusti motivi. L’ostacolo principale è una specie di strano veicolo che dobbiamo capire come comandare. Come fa notare Jason Dyer nel suo interessante articolo sulla versione per PDP-10 di Zork, qui ci troviamo a faticare per visualizzare un elaborato marchingegno descritto solamente tramite testo; anzi, descritto con quello che, con ogni probabilità, è il passaggio più lungo di tutta la trilogia.
 
Dentro lo Specchio
Ti trovi in una scatola di legno rettangolare, la cui struttura è piuttosto complicata. Quattro dei suoi lati e il suo soffitto sono rivestiti, mentre il pavimento è aperto.
 
Guardando il lato opposto all’ingresso, due lati corti, alla tua sinistra e alla tua destra, sono fatti di legno intagliato e levigato. Il pannello di sinistra è di mogano, quello di destra è di pino. La parete che hai di fronte è rossa nella sua metà di sinistra e nera nella sua metà di destra. Sul lato dell’ingresso, la parete è bianca (in corrispondenza della parte rossa sulla parete opposta) e gialla (in corrispondenza della parte nera sulla parete opposta). Le pareti dipinte sono lunghe almeno il doppio di quelle non dipinte. Il soffitto è dipinto di blu.
 
Nel pavimento c’è un canale largo quindici centimetri e profondo trenta centimetri. Il canale è orientato in direzione nord-sud. Nel centro esatto della stanza, il canale si allarga, formando una depressione circolare, ampia forse sessanta centimetri. Incisa nella pietra, sulla superficie circolare di quest’area più bassa, c’è una rosa dei venti.
 
Da una parete corta all’altra corre, all’incirca ad altezza della vita, una sbarra di legno, incisa e forata con cura.  Questa sbarra è forata in due punti. Il primo foro si trova nel centro della sbarra (e quindi in corrispondenza del centro della stanza). Il secondo foro è all’estremità sinistra della stanza (sempre per chi guarda il lato opposto all’ingresso). In entrambi i fori corre un palo di legno.
 
Il palo all’estremità sinistra della sbarra è corto, allungandosi per circa trenta centimetri sopra la sbarra, e termina in un’impugnatura. Il palo è stato altresì inserito all’interno di un foro ricavato nel pavimento di pietra.
 
Il palo lungo al centro della sbarra si estende dal soffitto, attraverso la sbarra, fino all’area circolare nel canale di pietra. Questa estremità inferiore del palo ha attaccata sopra una sbarra a T, leggermente più corta di sessanta centimetri, e su tale sbarra a T è incisa una freccia. La freccia e la sbarra a T puntano verso ovest.
 
Dyer descrive questo enigma, in modo corretto, seppur anacronistico, come un enigma “Myst-like”. Ma, ovviamente, gli elaborati meccanismi di Myst vengono visualizzati e manipolati graficamente. E, effettivamente, per quanto meticolosamente descritto, dopo aver letto questo casino si desidererebbe un’immagine da osservare. Qui la Infocom, la principale fautrice mondiale del potere del testo puro, sta già scontrandosi con le sue limitazioni (basti pensare che Bruce Daniels ha scelto di rappresentare l’Enigma Regale con dei semplici diagrammi in ASCII, senza nemmeno provare a descriverli in prosa).
 
Proseguendo oltre, incontriamo finalmente il Dungeon Master. Per fortuna Zork III omette il quiz su Zork, che invece nella versione per PDP-10 era necessario per poter accedere al suo santuario interno, l’ultima area del gioco.
 
“Io sono il Dungeon Master!” tuona, “Ti ho osservato a lungo durante il tuo viaggio per il Grande Impero Sotterraneo. Sì!”, dice, come se stesse pensando a un passato quasi dimenticato, “ci siamo già incontrati, anche se io posso apparire diverso da come ti sono apparso un tempo.” Guardi attentamente il suo viso pieno di rughe e vedi le facce del vecchio della porta segreta, del tuo “amico” della scogliera e della figura incappucciata. “Hai mostrato gentilezza al vecchio, e compassione per l'incappucciato. Ti ho visto dare prova di pazienza durante gli enigmi e di fiducia alla scogliera. Hai dimostrato forza, ingegnosità e valore. Nonostante ciò, ti aspetta un'ultima prova. Ora! Dammi un ordine, e completa la tua missione!”
 
Il Dungeon Master diventa il nostro compagno; dobbiamo dargli comandi per risolvere l'enigma finale. Giocando questo enigma dopo quello, simile, con il robot di Zork II, ci si stupisce principalmente di quanto ora sia più facile e più diretto comunicare con gli altri, grazie al nuovo sistema di conversazione sviluppato da Infocom per Deadline e qui implementato.
 
Data la descrizione del Dungeon Master mostrata più sopra e il fatto che durante il gioco abbiamo collezionato pezzi di equipaggiamento per “diventare” Dungeon Master noi stessi – senza menzionare il tono serio e minaccioso di tutto quel che è avvenuto finora – il colpo di scena che chiude il gioco e la trilogia non sorprende del tutto. Lo stesso, ricoprire il nostro posto come Dungeon Master dà qualche brivido. Siamo arrivati molto oltre alle allegre cacce al tesoro.
 
Su una scrivania in fondo alla stanza possiamo trovare dei certificati che rappresentano un interesse di controllo nella FrobozzCo International, il conglomerato multinazionale e azienda madre della Frobozz Magic Boat Co., etc.
 
Mentre esamini felice le tue nuove ricchezze, il Dungeon Master si materializza accanto a te, e dice, “Ora che hai risolto tutti i misteri del Dungeon, è tempo che tu assuma il posto che ti sei guadagnato nello schema delle cose. Ho aspettato da troppo tempo qualcuno capace di liberarmi dal mio fardello!” Ti tocca leggermente con il suo bastone sulla testa, borbottando un paio di incantesimi ben scelti, e tu senti di star cambiando, di star diventando più anziano, più curvo. Per un momento, ci sono due maghi identici in piedi in mezzo al tesoro, poi la tua controparte diventa nebbia e sparisce, un ghigno sardonico sul viso.
 
Per un momento sei sollevato, tranquillo nella consapevolezza di aver completato la tua missione in ZORK. Cominci a sentire gli immensi poteri e la conoscenza che sono al tuo comando e brami per un'opportunità di usarli.
 
Molto di quello che è appena successo è ancora molto vago, la maggior parte dei dettagli, com'era tipico delle avventure di quest'era, lasciato all'immaginazione. Ma in questo caso, invece di sembrare il prodotto di limiti tecnologici o semplicemente una mancanza di talento nella narrazione, la vaghezza funziona. Si capisce che una spiegazione precisa rovinerebbe tutto. Vista la potenza di questo finale, dobbiamo essere contenti che Infocom abbia deciso di non sminuirlo con uno Zork IV. E, come nota anche Jason Dyer, è difficile non leggere questo finale in senso meta-letterale: “Ecco una nuova forma d'arte, grezza e non raffinata, che ha il potenziale di essere seria e profonda.” L'ultimo paragrafo, che non si trova nella versione originale ma solo in Zork III, aumenta questa impressione. L'ultima frase potrebbe persino riferirsi ai sentimenti della stessa Infocom in quel momento. E avrebbe senso – avevano in serbo un paio di anni memorabili.
 
Questo, quindi, è Zork III. Come hanno notato in molti, a volte con disapprovazione, è molto più corto di entrambi i suoi predecessori, con così pochi enigmi veri e propri che probabilmente li si potrebbe contare con le dita. Però, occupa circa lo stesso spazio dei giochi precedenti sul disco. Al posto di enigmi estesi e “scadenti” come labirinti e indovinelli, Blank ha implementato un numero minore di interazioni, ma più intricate e soddisfacenti. Ha implementato, in altre parole, più in profondità piuttosto che in vastità, dando inizio a una corrente che ha persistito, nell'interactive fiction, fino ai giorni nostri. Questo, combinato con quell'atmosfera riflessiva e tesa che sembra coinvolgere chiunque ci giochi e con il suo sovversivo fulcro tematico, fanno apparire Zork III come un passo avanti, non solo verso un approccio più soddisfacente alle avventure, ma anche verso quella cosa ineffabile chiamata Arte.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
Se anche voi apprezzerete questo interessantissimo blog, non mancate di visitare la pagina ufficiale (in lingua inglese) e di sostenerlo tramite Patreon.
Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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Zork III, Parte 1
The Digital Antiquarian (la traduzione ufficiale italiana)

Finalmente ci siamo, miei fedeli avventurieri, insieme abbiamo esplorato lugubri caverne ricolme di inquietanti creature e tesori luccicanti, sfidato il folle Mago di Frobozz e le sue stravaganti trappole, ma il nostro lunghissimo viaggio alla scoperta dei segreti del Regno Sotterraneo di Zork, è ormai quasi concluso. Non resta che l'ultimo capitolo della trilogia originale di Infocom, Zork III: The Dungeon Master. E se pensate che il terzo capitolo della saga, non possa eguagliare i primi due, come suggerirebbe l'esperienza in questi casi (qualcuno ha detto "Il Ritorno dello Jedi"?), ebbene, troverete nel prossimo articolo del The Digital Antiquarian parecchi validi argomenti per ricredervi.
Ma non perdete tempo a leggere le farneticazioni di un povero pazzo, asserragliato nella propria magione dalla notte dei tempi (circa un mese o due...), e fiondatevi subito nella lettura della prima parte dell'analisi di
Zork III, una tappa importante nella storia di Infocom e nell'evoluzione delle avventure.
 
 Non prima di aver sbirciato la succulenta lista degli articoli del ciclo Infocom:
 
Zork III, Parte 1
Zork III, Parte 2
 
Buona lettura e... salutatemi il marinaio!
 
Festuceto
 
Nel Settembre del 1982, la Infocom pubblicò simultaneamente il suo quarto e il suo quinto gioco, rispettivamente il secondo e il terzo di quell’anno. Starcross di Dave Lebling era un’avventura ambientata nello spazio profondo sullo stile di Incontro con Rama di Arthur C. Clarke. Ci arriveremo a breve [mentre i lettori del The Digital Antiquarian in italiano dovranno aspettare un po’ di più, perché dovremo prima recuperare gli articoli saltati per chiudere il ciclo di Zork; ndAncient]. Ma oggi voglio parlarvi di Zork III: The Dungeon Master, il capitolo successivo della serie ammiraglia della Infocom.
 
Anche se il finale e un enigma particolarmente intricato, sono presi in prestito dalla versione per PDP-10 di Zork, il resto di Zork III è un’opera originale realizzata dall’infaticabile Marc Blank, che sto imparando sempre di più a riconoscere come la principale influenza dietro allo “Stile Infocom”. Dopotutto è comunque la stessa persona che ha contribuito all’originale Zork per PDP-10, che ha lavorato senza sosta per rendere il parser migliore, che ha ideato la Z-Machine, e che ha allargato la definizione stessa di gioco d’avventura tramite Deadline [di cui, a questo punto, The Digital Antiquarian aveva già scritto, mentre noi dovremo aspettare ancora un po' per leggerne la versione italiana; ndAncient]. Zork III non è apertamente rivoluzionario come Deadline, ma è comunque un’opera migliore e più matura: migliore di qualunque altra cosa si fosse vista prima, non solo da parte della Infocom, ma anche da parte di chiunque altro. Il che non significa che sia un gioco facile. Anzi, è maledettamente difficile. Ma almeno è difficile per i giusti motivi. Non ci troverete labirinti o inutili difficoltà geografiche, niente indovinelli, nessuna difficoltà particolare con il parser, nessun conto alla rovescia per il cibo o per la durata della fonte di luce, né limiti all’inventario (o, meglio, nessun limite significativo). Niente stronzate. Ci troverete solo una piccola raccolta di enigmi più intricati e stimolanti di qualunque altra cosa si fosse vista fino ad allora, il tutto immerso nella più evocativa delle atmosfere.
 
Come dicevo prima, Zork ha sempre avuto una personalità schizofrenica. La serie non ha mai saputo decidere se voleva essere un’eccentrica commedia leggermente satirica piena degli esuberanti eccessi della famiglia dei Testapiatta, oppure una desolata tragedia che si svolge nella sbiadita grandeur del Grande Impero Sotterraneo che fu. La versione per PDP-10 del gioco e quella per PC del primo capitolo vacillavano ampiamente fra i due estremi, mentre Zork II (in gran parte grazie al lavoro di Dave Lebling) ha giocato alla commedia leggera. A Zork III non manca certo qualche battuta ben assestata sui Testapiatta, ma la sua atmosfera è prevalentemente quella di un’ampollosa austerità, con delle distinte stilettate di tristezza per i gloriosi tempi che furono. Inizia così:
 
Come in un sogno, ti vedi capitombolare giù per una grande scalinata oscura. Tutto intorno a te ci sono immagini confuse di lotte contro avversari fieri e diaboliche trappole. Queste però cedono il passo a un’altra serie di immagini: imponenti figure di pietra, un fresco lago di acque cristalline, e ora un uomo vecchio eppur stranamente giovanile. Si volta lentamente verso di te, con i lunghi capelli d’argento che danzano intorno a lui nella fresca brezza.  “Amico mio, hai raggiunto l’ultima prova! Ti sei dimostrato arguto e potente, ma ancora non basta! Vieni a cercarmi quando ti sentirai degno!” Il sogno intorno a te si dissolve, mentre le sue ultime parole riecheggiano nel vuoto...
 
“La tua vecchia amica, la lanterna d’ottone, è qui ai tuoi piedi”, ci viene presto detto; una frase che pare trasudare tutta la nuova visione espressa da Zork III. E infatti siamo ormai molto lontani dalla celebre casa bianca. Se Zork I (con la sua impostazione “punti in cambio di tesori”) è un po’ il prototipo dei giochi d’avventura, Zork III (un po’ come i giochi di The Prisoner) è tutto incentrato sul sovvertire le nostre aspettative di ciò che è un gioco d’avventura. E il suo traguardo più significativo e peculiare è proprio quello di essere un gioco dannatamente buono all’interno dei confini di quel genere che vuole allegramente sovvertire.
 
Ma andiamo avanti. Questa è una mappa della sua geografia, qualora vi vada di seguirmi nell’esplorazione, o (meglio ancora) vi vada di giocare insieme a me. Farò del mio meglio per non spoilerarvi Zork III in dettaglio, come faccio di solito in queste mie analisi; vale sicuramente la pena  faticarci un po’ su in prima persona. Le mie dritte, unite alla mappa e alla lista di oggetti da scoprire in ogni stanza, dovrebbero smussare un po’ gli angoli delle difficoltà principali, lasciando però intatto il cuore dell’esperienza.
 
 
 
 
Dalla Scalinata Senza Fine dove iniziamo, ci spostiamo a sud verso l’Incrocio. Un’altra vecchia amica, la nostra spada, è qui incastrata nella pietra, ma non riusciamo a estrarla in nessun modo. Questo “enigma” in realtà non è affatto un enigma: la spada verrà a noi, spontaneamente, quando sarà il momento.
 
E così ci spostiamo a ovest. Scendiamo una scogliera per scoprire l’oggetto dei sogni di ogni avventuriero come noi: uno scrigno del tesoro (peccato sia chiuso a chiave). E, mentre ci armeggiamo:
 
Sull’orlo della scogliera, sopra di te, appare un uomo. Ti guarda dall’alto e parla. “Salve, tu costaggiù! Si direbbe che hai un problema. Forse posso aiutarti...” Ride sotto i baffi, in modo un po’ inquietante. “Forse, se leghi codesto scrigno all’estremità della fune, potrei issarlo per te. Poi sarò più che lieto di aiutarti a risalire!” Ride di nuovo.
 
Il nostro istinto ci dice di non fidarci di questo tizio. Zork I e Zork II ci hanno insegnato che praticamente tutti coloro che incontriamo nel Grande Impero Sotterraneo ci sono ostili. Di sicuro questo tipo vuole solo scappare col nostro tesoro. E qual è il succo di un gioco d’avventura se non quello di raccogliere tesori? E ovviamente, se ci proviamo e facciamo come ci chiede, scopriamo che tutti i nostri sospetti erano corretti!
 
L’uomo inizia a issare la corda e in pochi momenti raggiungi la cima della scogliera. L’uomo rimuove gli ultimi oggetti di valore dallo scrigno e si accinge ad andarsene. “Sei stata una persona cortese! Ecco, prendi questo, buon pro ti faccia! A me non dovrebbe servire!” Ti passa un bastone di legno liscio, prelavato dal fondo dello scrigno, e inizia a esaminare i suoi oggetti preziosi.
 
La verità (ed è qui che avviene il sovvertimento del genere) è che il tesoro non conta. Tutto quel che ci serve è il bastone.
 
A questo punto abbiamo certamente già notato qualcosa di molto strano di Zork III: il suo sistema di punti sembra fuori fase. Ci sono solo 7 punti da collezionare e non più le centinaia a cui eravamo abituati fin dai tempi delle prime avventure testuali. In più, questi punti vengono assegnati per azioni del tutto anonime, come essere entrati in una certa stanza completamente accessibile, mentre i principali passaggi del gioco passano del tutto inosservati. È possibile avere anche 6 o 7 punti ed essere ancora in alto mare, nemmeno lontanamente vicini alla conclusione del gioco. Ancora una volta ci sembra che Zork III stia giocando con delle regole nuove, che non comprendiamo fino in fondo.
 
Eppure Zork III è un’avventura ben ideata, e non solo un’avventura che sovverte un genere; la prima delle avventure della Infocom priva di scelte di design terribilmente pessime. Questo ci viene ampiamente dimostrato sull’Oceano dei Testapiatta. Se restiamo nei paraggi per un numero casuale di turni, appare un’imbarcazione. A quel punto abbiamo solo un turno per esclamare “Salve, marinaio”, per ricevere così una pozione di invisibilità. Quello di “Hello, sailor” è una battuta che ci ha accompagnati per tutti e due i primi Zork; per questo appare qui, dove finalmente serve a qualcosa. Per i veri veterani, qui c’è addirittura della meta-meta-ironia in gioco: alla fine dell’originale Zork per PDP-10 c’era un quiz su Zork stesso. Una delle possibili domande era: “In quale stanza è utile ‘Hello, sailor’?” In quel gioco la risposta giusta era: “In nessuna”.
 
Meta-ironia a parte, questa faccenda sull’Oceano dei Testapiatta è un enigma sconvolgentemente orrendo. Per prima cosa dobbiamo magicamente predire che ciò che dobbiamo fare è aspettare in una location che all’apparenza è del tutto priva di interesse (il che è vagamente reminiscente della forcina di Caterina la Grande in Time Zone) [un altro gioco di cui il The Digital Antiquarian a questo punto aveva già trattato e che noi abbiamo momentaneamente saltato per lasciare spazio a questo speciale su Zork; ndAncient]; e poi dobbiamo digitare esattamente quell’unica frase giusta! Nessuna di queste due cose avrebbe, ovviamente, fermato la On-line (e forse neppure le precedenti incarnazioni della Infocom) dal ficcarcelo comunque e tirare dritto. È, del resto, esattamente il tipo di enigma che i primissimi programmatori di avventure adoravano: facile da programmare e in grado di estendere tantissimo il tempo di gioco in virtù della sua assoluta ottusità. Quello che accade qui, però, è che tale enigma non è necessario. La pozione è utile solo come soluzione alternativa a un enigma nella parte finale del gioco. Così l’enigma diventa in realtà un Easter egg per i giocatori più hardcore, che adorano esplorare ogni anfratto di ogni segreto. Non riesco a immaginare nessun esempio migliore della sensibilità, in rapida evoluzione, dei game designer della Infocom, della decisione di non rendere necessaria, per finire il gioco, la risoluzione di questo pessimo enigma.
 
Ma ci sono anche altri esempi positivi, invece che negativi, di tale sensibilità. Ad ovest del lago troviamo quello che probabilmente è il mio enigma preferito del gioco; un enigma che è tutto quello che non è l’arbitrario enigma della spiaggia. Un portale magico può trasportarci momentaneamente non solo in un’altra stanza all’interno di questo gioco, ma anche in alcune location di Zork I e Zork II. Qui si tratta di pianificare la fase successiva delle nostre esplorazioni, utilizzando il portale per lasciare una fonte di luce in una location critica. Questo è iniquo, almeno secondo certi criteri, perché quello che dobbiamo fare qui lo possiamo apprendere solo morendo un po’ più avanti nel gioco. Ma, al tempo stesso, è anche un enigma complesso, che ha le sue radici proprio nel genere di storyworld, credibile e intricato, che all’epoca solo la Infocom sapeva creare. Enigmi come questo ci paiono incredibilmente moderni, tanto più se paragonati a quelli ideati dagli autori contemporanei della Infocom.
 
È interessante notare che questo portale ci può anche trasportare in un quarto gioco di Zork, un’anteprima/pubblicità per un’opera che evidentemente Blank stava già covando nella sua mente. Zork IV come sappiamo non è mai apparso (almeno non con quel titolo). Quindi per me è stata una sorpresa realizzare che Zork su PC non è mai stato concepito dalla Infocom come una trilogia, cosa che sembra un po’ in contrasto con l’aria di triste fatalità che si fa sempre più forte mano a mano che ci addentriamo in Zork III. Ma in questa fase la Infocom considerava ancora Zork, la propria serie ammiraglia nonché gallina dalle uova d’oro, una serie che avrebbe potuto andare avanti in modo indefinito. Di certo qualche giocatore si sarà chiesto in che direzione stava però evolvendo la serie, visto che la scena di Zork IV a cui assistiamo è una delle più violente e inquietanti di tutto il canone della Infocom.
 
Altare Sacrificale
Questo è l’interno di un gigantesco tempio di fattura primitiva. Alcune torce tremolanti illuminano in modo vacuo l’altare, ancora zuppo del sangue di sacrifici umani. Dietro l’altare c’è l’enorme statua di un demone che sembra allungarsi verso di te con zanne bavose e artigli affilati come rasoi. Un debole rumore si avverte dietro di te e ti volti, per scoprire centinaia di ricurve figure pelose. Dalle loro gole emerge un cantico gutturale. Il cantico cresce di intensità, mano a mano che una figura ammantata si avvicina all’altare. La grande sagoma ti vede e ti si avvicina minacciosa. Dal mantello estrae un grande coltello luminoso. Ti spinge sull’altare e, con un mormorio di approvazione da parte delle folla, ti squarta l’addome.
 
**** Sei morto ****
 
Questa scena finirà, inalterata nella violenza, nel successivo gioco di Blank, dove cozzerà con il resto del gioco in modo ancor più drammatico di quanto non facesse qui. Tuttavia quel gioco, che effettivamente era iniziato come Zork IV, sarebbe poi stato saggiamente intitolato Enchanter, un’entità autonoma nonché primo capitolo di una nuova trilogia fantasy.
 
Zork III non è nemmeno lontanamente dinamico come Deadline. Nel rispetto della tradizione di così tanti giochi d’avventura, anche moderni, il suo mondo è in gran parte vuoto e statico. C’è però un’eccezione: in un momento casuale, all’incirca fra i 100 e i 150 turni, un terremoto fa franare l’Alto Arco sopra l’Acquedotto. Menziono adesso questa cosa, perché la nostra possibilità di scappare dall’area a sud del lago dipende dal fatto che questo arco sia ancora intatto (oltre che dall’aver opportunamente collocato la fonte di luce di cui ho parlato prima). In ogni caso, per quanto sia relativamente statico, Zork III richiede non meno programmazione e non meno tentativi falliti di Deadline. Ma, prima di venir accusato di un eccesso di lodi, lasciatemi segnalare che la zona dell’acquedotto contiene uno dei pochi inciampi di questo gioco altrimenti scritto tanto elegantemente, quando Blank ci dice come dobbiamo sentirci invece che lasciare che sia lo scenario a parlare per sé: “Avverti un senso di perdita e di tristezza mentre rifletti su questa struttura un tempo fiera, e sul fallimento dell’Impero che creo questa e altre meraviglie architettoniche.”
 
A questo punto non ci resta da esplorare che un’ultima area a ovest dell’Incrocio: la Terra dell’Ombra. Proprio come il marinaio dell’Oceano dei Testapiatta ha tutta l’aria di un enigma su cui Blank ha cambiato idea (per trasformarlo in una sorta di Easter egg e in una soluzione alternativa a un altro enigma), la Terra dell’Ombra nasce probabilmente come labirinto. Al suo interno troviamo una strana figura, apparentemente ostile. La spada, che avevamo visto conficcata nella pietra, di colpo ci appare in mano e, per l’ultima volta nel canone della Infocom, dobbiamo affrontare il combattimento casuale che Dave Lebling aveva sviluppato all’epoca per la versione PDP-10 di Zork. Tuttavia la parola d’ordine resta quella di sovvertire il genere e quindi in realtà non è possibile morire per davvero. Né noi vogliamo davvero uccidere. Giocare la situazione nel modo giusto produce una scena snervante, che ci ricorda (fra le varie cose) il momento climatico della serie TV de Il Prigioniero.
 
>prendi cappuccio
Lentamente rimuovi il cappuccio dal volto del tuo avversario gravemente ferito e ti ritrai con orrore alla vista della tua stessa faccia, stanca e ferita. Un debole sorriso appare sulle sue labbra e poi il volto inizia a cambiare, molto lentamente, in quello di un vecchio uomo rugoso. L’immagine svanisce e con essa il corpo del tuo avversario incappucciato. Per terra rimane il suo mantello.
 
Quel che sta succedendo qui sarà più chiaro (almeno in parte) in seguito. Ma per oggi ci fermiamo su questa nota nefasta. La prossima volta affronteremo l’area a est dell’Incrocio e la parte finale del gioco.

The Digital Antiquarian è un blog, scritto da Jimmy Maher, che si occupa di storia e di cultura del videogioco partendo dall'analisi di singoli videogiochi. OldGamesItalia è lieta di presentarvi la traduzione italiana, autorizzata dall'autore!
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Traduzione a cura di: The Ancient One
Editing a cura di: Festuceto


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