L.A. Noire, gioco sviluppato da Team Bondi per Rockstar nel 2011, ci porta nella Los Angeles dei tardi anni '40, nei panni del detective Cole Phelps, ex eroe della Seconda Guerra Mondiale entrato in polizia. Fin dall'inizio dello sviluppo, il gioco prometteva un detective game con grande enfasi sugli interrogatori e una componente free-roaming, simile a quella di un GTA. Recentemente ho terminato la versione pc del gioco, completa delle cinque DLC che erano state rilasciate per la versione console. Vediamo com'è andata.
La storia di L.A. Noire è una storia che ingrana *molto* lentamente. All'inizio seguiremo la carriera di Phelps, appena tornato da Okinawa ed entrato nel Distretto di Polizia di Los Angeles. Mentre passeremo di caso in caso e di promozione in promozione, verremo a conoscenza di conflitti più grandi, che riguardano non solo Phelps e non solo i suoi casi, ma tutta la città e, in una certa misura, tutta l'America di quegli anni. La corruzione dilagante nella politica e nella polizia, la difficoltà di reinserimento degli ex-soldati americani nella società americana, il diffondersi delle droghe, il razzismo e la misoginia rampanti... tutti questi conflitti verranno introdotti e mostrati nel corso nel gioco, per scontrarsi nel climax finale.
Ma, per le prime ore di gioco, avremo solo accenni di questa trama “globale”, e quel che staremo facendo ci sembrerà solo uno svolgersi di casi, più o meno interessanti, ma anche più o meno uguali nella loro risoluzione e sopratutto, poco connessi con Phelps personalmente. E' solo verso l'ultimo terzo del gioco che cominceremo veramente a capire dove la storia sta andando a parare, ed è sempre verso la fine che Phelps e l'altro personaggio che potremo brevemente interpretare, Jack Kelso, avranno qualcosa di personale da perdere o da guadagnare nella vicenda. Fino a quel momento seguiremo i vari casi, ma con un certo distacco, e anche le parentesi sul passato nella guerra di Phelps lasciano il tempo che trovano: dopo avranno un senso; in quel momento non sapremo che farcene.
Il rischio, ovviamente, è che un giocatore non arrivi all'ultimo terzo ma si fermi a metà gioco e non lo riprenda più. E non aiuta tantissimo il gameplay, abbastanza ripetitivo.
Il gameplay di L.A. Noire è diviso più o meno nettamente in due “pezzi”: l'investigazione vera e propria e la parte “action”.
Durante l'investigazione dovremo osservare la scena del crimine alla ricerca di indizi più o meno visibili. Il gioco si cura di farci sentire una musichetta particolare quando siamo vicino a qualcosa di importante, e se ci mettiamo ad analizzare un oggetto inutile ai fini investigativi, Phelps se ne uscirà con una frase del tipo: “Non credo sia importante”. E' un sistema a prova di rimbambito: basta girare per l'area e aspettare la musichetta, o toccare tutto il toccabile e avremo raccolto tutti gli indizi. Avremo anche a disposizione dei Punti Intuizione, che ci mostreranno a schermo tutti gli indizi rilevanti.
Una volta raccolti e analizzati gli indizi, di solito si passa all'interrogatorio di qualche sospetto o testimone. Phelps farà delle domande e l'interrogato risponderà; a questo punto noi dovremo decidere se l'interrogato ci sta dicendo la verità, se ci sta mentendo ma non ne siamo sicuri, o se ci sta mentendo e abbiamo le prove per dimostrarlo. A seconda della nostra scelta, Phels reagirà diversamente, e se ci avremo azzeccato otterremo più informazioni.
Gli interrogatori sono sicuramente la parte più curata dal Team Bondi, e d'altronde questa era la feature di richiamo del gioco: grazie al MotionScan, la nuova tecnologia di motion capture sviluppata da Depth Analysis, è stato possibile riprodurre i volti dei personaggi in maniera quasi foto-realistica. Basta vedere Phelps in qualche video del gioco, o trailer, per notare come il MotionScan sia stato applicato benissimo. I personaggi sembrano persone vere, le loro espressioni sono realistiche, e questo aspetto ci sarà molto utile per giudicare se un interrogato ci starà mentendo oppure no: basterà guardare che espressioni fa, se sposta lo sguardo o se ha qualche tic nervoso.
Purtroppo però, a volte c'è poca relazione fra quel che Phelps chiede, quel che l'interrogato risponde, e quel che noi dobbiamo selezionare. Più di un paio di volte mi è capitato che l'interrogato non dicesse qualcosa a cui potevo applicare il criterio “verità/bugia”, ma facesse una domanda a sua volta, per esempio, e non sapevo quindi che cosa selezionare. Ok, alla fine bene o male ci si può regolare (se il tizio sembra innocente, magari dice la verità e viceversa se è colpevole magari mente), ma situazioni del genere creano confusione e frustrazione nel giocatore, che sente di non avere il controllo di quel che sta facendo, che il gioco segua regole che lui non conosce.
A questo si aggiunge Phelps, un personaggio da prendere a calci in culo per tutta L.A. Nonostante abbia finito il gioco, non ho ancora capito se è la sua caratterizzazione a essere sballata o se è com'è per scelta deliberata dei programmatori. Ad ogni modo, Phelps è maleducato e schizofrenico. Cliccare “lie” (bugia) porta, 9 volte su 10, a una scenetta in cui Phelps accusa malamente il povero interrogato, gridandogli contro in maniera assolutamente fuori contesto – visto che due secondi prima tutti erano pacifici.
Non sono l'unica ad aver notato questa cosa.
Per i non-angofoni, riassumo l'esempio riportato nel link, che ben dimostra il problema che ho riscontrato. Phelps sta lavorando ad uno dei suoi primi casi, un possibile omicidio, e interroga la moglie del presunto morto (non si trova il cadavere). La moglie del morto si mostra affranta e terrorizzata, ma collaborativa. Ad una domanda, però, chiaramente sta mentendo: cliccate “bugia”, o “dubbio”, e Phelps le strillerà contro che è un'assassina, e che marcirà in galera assieme al figlio che deve partorire.
Quelle finesse, Phelps.
Altra assurdità, quando cliccheremo “bugia” senza avere una prova concreta, potremo semplicemente ritirare l'accusa e amici come prima. Immaginate la scena di cui sopra: Phelps accusa la tizia di essere un'assassina e le preannuncia che partorirà in una cella, poi aggiunge: “ehm, mi scusi, devo aver sbagliato”. La signora risponde: “Si figuri.”. Certo, come no.
Così come per la ricerca degli indizi, anche qui vediamo che il gioco ci viene facilitato in vari modi. Intanto, sono presenti i Punti Intuizione che potremo spendere per eliminare una delle tre scelte (verità, dubbio o bugia); in secondo luogo, quando sbaglieremo una scelta, Phelps ce lo farà presente subito. Sarà quindi facile interrompere il gioco e “caricare” la partita - “caricare” è fra virgolette perché i salvataggi sono automatici, ma potremo ricominciare dall'ultimo checkpoint, che di solito è sistemato all'inizio dell'area in cui stiamo effettuando l'indagine.
Ulteriore problema è la linearità del gioco. Che siamo bravi detective oppure no, che imbrocchiamo le scelte giuste oppure no, alla fine verremo comunque promossi, otterremo comunque quelle informazioni che ci servono per proseguire nella trama. E' impossibile restare bloccati.
E questo abbassa tantissimo la qualità del gioco; di fatto, rende la parte ludica del titolo totalmente inutile, e il giocatore si sente continuamente gabbato. A che serve spremersi le meningi sull'interrogatorio X o sull'indizio Y? Le uniche parti su cui noi abbiamo vera libertà d'azione sono quelle accessorie, quelle che non servono. Quelle veramente importanti e legate alla trama del gioco e al suo bellissimo climax, Phelps le fa da solo, noi dobbiamo solo stare a guardarlo. Mirabile esempio è il caso del serial killer che lascia dei messaggi criptici che alludono a diverse zone della città. A parte il fatto che magari un giocatore *non ha visto* la metà dei posti in cui lo manda il serial killer, perché nessun caso precedente ce lo ha mandato, ma di nuovo, basterà aspettare senza far niente per qualche minuto: Phelps risolverà l'enigma e ci comunicherà dove andare. Gioia.
Anche la parte free-roaming è simile a quella investigativa da questo punto di vista: tutto fumo e niente arrosto. In teoria, potremo andare ovunque nella città, che è stata ricostruita più o meno fedelmente dai ragazzi del Team Bondi (è stata presa qualche licenza poetica per alcune particolari locations). Ma... a che pro? Non c'è niente da fare o da vedere nella L.A. del gioco. Certo, ci sono delle auto imboscate in garage sparpagliati qua e là, ma basta teletrasportarsi con la mappa e le avremo tutte, perché sono segnalate. Per il resto, la città è vuota; non possiamo entrare nei locali o nelle case, a meno che non siano quelle legate a un'indagine. Non possiamo ordinare da bere nei pub, non possiamo vedere uno spettacolo, non possiamo fare niente. La città è uno scenario finto, dietro il quale c'è solo il vuoto. Possiamo, beh, guidare. La guida è riprodotta molto bene nel gioco, così come il traffico, tant'è che mi sono sorpresa di non poter accendere le frecce.
Restano le sequenze d'azione. In una parola, sono una piaga. Oltre a interrogare gente e a cercare indizi, dovremo occasionalmente partecipare a scazzottate, inseguimenti in auto, pedinamenti e sparatorie. Sono una peggio dell'altra. La scazzottata è macchinosa e dalle regole incomprensibili (quand'è che posso premere R per far terminare lo scontro? Solo quando il gioco mi avvisa con una frase? E' ridicolo); i pedinamenti sono frustranti perché molto spesso il dannato sospetto ci vedrà anche quando non dovrebbe e non ci vedrà anche se gli siamo a cinque centimetri (basta che osserviamo una vetrina); la sparatoria è una pena, con il sistema di copertura atroce e macchinoso che mi ha fatto ammazzare più volte. Se qualcuno ha provato Mass Effect o Deus Ex Human Revolution prima di L.A. Noire, tirerà delle maledizioni fino a capodanno. Ora, so che L.A. Noire non è Deus Ex, ma se ci vuoi mettere il sistema di cover, rendilo meno atroce.
Non mi esprimo sugli inseguimenti perché io ho seri problemi a tenere a bada l'auto di Phelps anche quando devo guidare a due all'ora in mezzo al traffico; negli inseguimenti mi portavo dietro mezza città. Ma potrei far notare che possiamo tirare giù tutta L.A., investire passanti e uccidere il nostro collega investendolo ripetutamente, tanto non ci succederà niente né verremo ricercati dalla polizia.
La “bella” notizia è che tutte queste sezioni è possibile saltarle a piè pari dopo averle fallite tre volte di fila, senza alcuna penalità per noi, né per quel che riguarda la storia, né per quel che riguarda il punteggio finale che ci verrà assegnato dopo ogni caso. Il che significa, di nuovo, che queste sono parti senza alcuna importanza, e/o che il gioco è pensato per gli incapaci e i rimbambiti. Personalmente ritengo che sia la seconda ipotesi quella giusta: il gioco è stato pensato per i casual gamers, per quelli che non sanno giocare e non vogliono imparare a farlo; ma vogliono solo accumulare gli achievements e andar avanti con la storia.
Dello stesso tipo sono le missioni secondarie. Andando in giro in auto per L.A., riceveremo delle chiamate dal Dipartimento che ci avviserà di alcuni crimini in questa o quella zona. Noi potremo rispondere oppure non rispondere. Se decideremo di rispondere, dovremo affrontare una piccola missioncina action. Sono missioni completamente opzionali, e dal punto di vista della storia hanno poco senso (se sto inseguendo un serial killer, non mi fermo a risolvere la lite domestica o la rapina: se ne occuperà il poliziotto di pattuglia in quella zona). Infatti, dopo qualche capitolo, ho smesso di farle: farmi venire il sangue amaro per dieci minuti di gameplay macchinoso e rozzo, non valeva la pena.
Tutto questo è un grandissimo peccato, perché il concept è buono, le premesse c'erano, e storia ed atmosfera ci sono tutte. Una volta superata la metà circa del gioco, infatti, la trama finalmente ingrana. Da un certo punto in poi, sono passata dal proseguire nel gioco nonostante la noia, al proseguire perché volevo capire cosa stesse succedendo e come finisse la storia. E il finale non delude: finalmente Phelps mostra il suo lato umano, tutti i nodi vengono al pettine e la storia che ne risulta è una storia matura, in cui non ci sono eroi e non ci sono soluzioni perfette per ogni cosa. Quel finale è uno degli unici due aspetti che non mi ha fatto pentire di aver speso così tante ore dietro il gioco.
L'altro è la città. Non sono mai stata a L.A., però l'atmosfera che si respira nel gioco è autentica. Girare in auto durante le missioni, ascoltando la radio, teletrasporta immediatamente in quegli anni. Restare bloccati nel traffico non pesa, perché tutto attorno a noi c'è qualcosa da osservare che ci dà la perfetta illusione di essere *lì*. E, Phelps a parte, tutti i personaggi, dai nostri colleghi alle comparse, alle vittime dei vari crimini, risultano, allo stesso modo, molto realistiche. Si può davvero toccare con mano non solo l'aspetto che la gente aveva all'epoca, ma quello che pensava, quello che leggeva, quello in cui credeva e per cui lottava. Anche le musiche create per il gioco sono perfette e alcune si rifanno molto chiaramente ad alcuni film noir (d'altronde, è possibile giocare in bianco e nero per ricreare maggiormente l'illusione di essere in uno di quei film).
Durante la stesura della recensione ho pensato spesso a come inserire – e se inserire – qualche riga sulla diatriba fra alcuni impiegati del Team Bondi e il loro capo, Brendan McNamara. Alla fine, come state leggendo, ho deciso di inserire un paragrafetto qua, perché mi son resa conto che in Italia non si è avuto sentore di nulla. Per farla breve, dopo la pubblicazione di L.A. Noire, alcuni ex-membri del team hanno pubblicato una lista rivenuta e corretta dei credits del gioco: più di 100 nominativi mancano nei credits ufficiali, e sono nomi di persone che hanno lavorato solo per qualche mese, o che comunque hanno mollato il Team Bondi prima della fine dello sviluppo, durato ben sette anni. Undici ex-impiegati Bondi hanno poi rilasciato alcune dichiarazioni spiegando gli orari massacranti a cui erano praticamente costretti (nel senso che nessuno li costringeva fisicamente, ma subivano una forte pressione psicologica affinché facessero anche 100 ore a settimana) e che si fosse comunque sempre in ritardo sulla scaletta, che molti abbiano mollato, non potendone più, e problemi di simile genere. Qui e qui potete leggere tutta la storia, comprese le risposte di McNamara, che negano e non negano quanto riferito dai suoi ex-impiegati. A quanto pare, tutto si è concluso in una pila di debiti. E, sempre a quanto pare, non è solo il Team Bondi a richiedere questi orari massacranti, ma la cosa è “la norma” in SH di una certa grandezza, come ha dimostrato un altro caso abbastanza famoso, quello di EA Spouse, che potete leggere qui (sì, EA, nessuno è sorpreso, lo so).
Questo non cambia di una virgola il giudizio su un gioco, naturalmente, ma è una riprova del fatto che a volte non è l'incompetenza dei singoli sviluppatori, quanto le deficienze – in tutti i sensi della parola – della produzione a causare problemi nel prodotto finale e nei poveri cristi che ci lavorano sopra.
E torniamo quindi al gioco. Nel complesso, definirei L.A. Noire “un'ottima premessa mal sviluppata”. C'era il potenziale per un gioco investigativo davvero senza precedenti per quanto riguarda l'immersione, se solo la parte free-roaming fosse stata sviluppata abbastanza bene. Sarebbe stato comunque un ottimo detective game se la parte investigativa fosse stata sviluppata meglio, ossia con la possibilità concreta di fallire dei casi e di dover affrontare le conseguenze di questo fallimento, senza arrivare al game over e senza assolutamente poter proseguire come se nulla fosse. Adesso come adesso, risolvere i casi è divertente, e i casi stessi sono interessanti e moralmente ambigui, ma il potenziale del gioco è molto sprecato. Quello svolto sul background e sull'atmosfera del periodo è invece un lavoro eccellente, ma questo non basta a fare un videogioco, non un *buon* videogioco, almeno.
GRAFICA
Questo sicuramente è uno dei punti delicati di questo titolo. Certamente, il colpo d'occhio è assolutamente impressionante, per capirci come livello di dettaglio siamo alla pari con Doom3, se non qualcosina di più...Il sistema di illuminazione e le ombre dettagliate in tempo reale sono qualcosa di stupefacente, rasentano il puro realismo.Ma allora perchè la valutazione è di 7/10 ? Perchè chiaramente cìè il rovescio della medaglia: mentre il titolo della Id-Software garantiva un eccellente compromesso tra impatto visivo-prestazioni, il motore grafico di Dx2 si è ben presto dimostrato il punto debole dell'intera opera. E infatti tutte queste finezze grafiche vanno a incidere in modo drastico, e a volte direi drammatico, sulle prestazioni, in particolare sulla fluidità di gioco, soprattutto quando è necessaria una certa precisione nella mira. Gli scatti rimangono una fastidiosa costante in tutto il gioco, sia nei momenti concitati delle sparatorie ma anche, ahimè!,durante un semplice giretto tranquillo per le strade di Seattle (tanto per fare un esempio). Questo a PRESCINDERE dal tipo di computer voi abbiate: il gioco fu testato su un Pc di ultimissima generazione, con scheda video all'avanguardia, e presentava questi fastidiosi difetti. In più occorre aggiungere la presenza anch'essa fastidiosa di numerosi bug, che causano il crash al desktop del gioco. Fortunanatamente tutto ciò accadeva nella versione americana: in Italia il gioco è stato distribuito già aggiornato alla versione 1.2, in cui tutti questi difetti (soprattutto i crash) sono stati eliminati, ed è stata introdotta la possibilità, per far girare il titolo anche su Pc meno potenti, di "scalare" gli effetti grafici più onerosi in termini di prestazioni e di fluidità di gioco. Anche così, però, tutto il comparto grafico rimane pesantissimo da gestire, anche sui Pc più potenti.
SONORO
Il comparto sonoro invece è di qualità eccellente, le voci dei personaggi sono estremamente realistiche (sebbene manchi la traduzione in italiano per il doppiaggio) e tutti gli effetti sonori sono sinceramente stupefacenti. La musica riveste una parte non eccessiva nel gioco, è presente solo in determinate situazioni, oltre che il brano introduttivo (stupenda rivisitazione dello stesso brano principale del primo episodio della saga), ma è pur sempre comunque estremante gradevole e ben azzeccata.
TRAMA
Un assoluto capolavoro dell'intrigo e del mistero, sicuramente rappresenta una evoluzione, una "summa" elevata all'infinito dei grandi precursori a cui questo gioco si ispira: The Elder Scrolls Arena ma soprattutto System Shock 2.
La storia riprende esattamente venti anni dopo la conclusione del primo episodio,quando il mitico JC Denton riportò la Terra allo stato primordiale, abbattendo il sistema mondiale delle telecomunicazioni, situato al di sotto della celeberrima Area 51. Tuttavia, l'uomo ha cercato di risorgere, aggrappandosi a due entità ben distinte: il noto WTO (World Trade Organization), una organizzazione ormai completamente militarizzata che fa della speculazione finanziaria il suo credo, per il controllo politico-economico del pianeta, e dall'altra parte la Chiesa dell'Ordine, un gruppo di pazzoidi pseudo-religiosi che rifiutano ogni altra organizzazione precostituita al di fuori della loro, anche se la loro fede si rifà alla violenza più oscurantista... Quando cominceremo a vestire i panni del fantomatico Alex Denton (vi ricorda niente il cognome...? ) un violentissimo attacco terroristico rade al suolo l'intera città di Chicago. Già da subito ci troveremo completamente disorientati dalla ricchezza di questo mondo, e verremo proiettati in una realtà corrotta, cosi ricca di personaggi con cui interagire da perdere la testa, in cui una sola cosa è certa: Alex D. non potrà fidarsi di nessuno, al di fuori di se stesso... Infatti assisteremo all'incontro con decine e decine di personaggi, ognuno con delle proprie idee, che si farà un'opinione su di voi a secondo di come gli parlerete e agirà di conseguenza, ognuno importante a modo, per rendere incredibilmente realistico l'universo post-apocalittico ricreato dinanzi ai nostri occhi.
E si consideri che per scoprire tutto di tutti non basterà assolutamente finire il gioco una sola volta, ma dovremo portarlo a termine più di una volta, affrontando le situazioni magari in modo diametralmente opposto rispetto alle volte precedenti: quelli che nella partita precedente erano nostri alleati, ora potrebbero essere nostri nemici. In Dx2 non esistono i "buoni" o i "cattivi"...
GIOCABILITA'
Se abbiamo giocato al primo Deus Ex, non avremo fatica a prendere immediatamente il controllo di Alex, ma anche se ci avviciniamo per la prima volta a un gioco di questo tipo. L'interfaccia di gioco è stata infatti notevolmente semplificata rispetto al primo episodio, e un semplice tutorial all'inizio del gioco ci guiderà passo passo, cosi non avremo alcun problema. La cosa che mi ha creato più fastidio sono stati tuttavia i numerosi e frequenti caricamente intermedi fra i vari livelli, che in certo modo spezzano troppo l'azione. Dall'altro lato bisogna però osservare come l'intelligenza artificiale dei nemici sia semplicemente incredibile, e come sia possibile interagire praticamente con QUALSIASI COSA presente nello scenario. Inoltre potremo diversificare a nostro piacimento il nostro personaggio, attraverso i biomod che troveremo via via durante l'avventura, affrontano il gioco magari in stile action, tuffandoci alla commando in una base piena di nemici, robot di sorveglianza, telecamere, etc...oppure magari seguendo un approccio più razionale e "meditato", in stile "stealth" alla "Thief", per intenderci. La scelta sta solo a noi.
LONGEVITA'
Purtroppo il gioco è abbastanza corto, si arriva appena a un terzo della lunghezza del primo mitico episodio della saga, con una lunghezza media di circa 15 ore effettive di gioco.Tuttavia, tutto il resto effettivamente ricompensa questa brevità, garantendo una intensità di gioco incredibile, che vi farà rimanere incollati allo schermo per ore e ore. Se poi si mette in conto che rigiocare daccapo il titolo magari seguendo un altro "approccio" alla storia (che può portare chiaramente ad un differente finale della storia stessa) comporta certamente nuovi stimoli, tutto sommato alla fine le ore di gioco sono sufficientemente elevate...!!
TOTALE: 4/5
Sebbene il titolo si presenti almeno in apparenza strutturato come un FPS, piano piano si verrà catturati dalla narrazione degli eventi e dall'enorme libertà concessa al giocatore,facendoci capire come questo titolo si discosti moltissimo dal FPS classico: si potrebbe definire un gioco di ruolo "dentro" un action game. Soprattutto, è un gioco che ci farà molto riflettere, soprattutto per spinose controversie teologiche-umanistiche. La morale è che non esiste una morale.
"E’ una torrida serata di mezza estate del 2001. Un mercoledì, o giovedì, non ricordo bene. Non ha importanza. Sono lì, davanti allo schermo del Pc, immerso totalmente nell’intreccio narrativo, conscio degli eventi che stanno per portare al collasso della rete globale delle telecomunicazioni e alla conseguente “nuova era primitiva” che esso comporterà. Intorno a me non c’è nulla, a parte il mio personaggio JC, e a tutti gli altri personaggi che hanno a che fare con lui. Sembrano veramente reali. Quando poi scorrono i titoli di coda, non riesco a credere a come sia stato possibile realizzare un’opera di tali proporzioni, e mi rendo conto immediatamente che ho appena portato a termine uno dei migliori giochi mai realizzati nella storia. E dire che potrebbe essere un eccellente film non è un luogo comune, poiché mai come ora si è raggiunto un simile livello di interazione del giocatore, una simile profondità nella storia narrata.”
UN VIAGGIO NEL TEMPO: da “Arena” a “Deus ex”, passando per “System shock”
All’inizio degli anni ’90 venne alla luce “Arena”, il quale insieme ad Ultima Underworld, diede nuova linfa vitale ad un genere, quello dei giochi di ruolo, che fino a quel momento aveva visto quasi esclusivamente trasposizioni caratterizzate da visuale isometrica, combattimenti a turni, sviluppo dei personaggi estremamente complesso e “costellato” da tabelle numeriche di non certo facile ed immediata comprensione. Insomma, prender parte ad un gioco di ruolo poteva risultare in tali casi dannatamente complicato e alla lunga noioso. Un esempio su tutti può essere i primi 3 capitoli della serie di “Ultima”: giochi noiosissimi e incomprensibili, con una infinità di tasti da ricordare (non esisteva ancora nemmeno una interfaccia grafica) e il loro sviluppo per il povero giocatore era pesantissimo.
Con “Arena” la musica cambia, e finalmente viene messa in atto la vera e propria rivoluzione: nascono i RPG con visuale in soggettiva! Finalmente si rielabora in modo più sostanziale il concetto di “libertà d’azione”, estremamente elevato in Arena. Abbiamo la possibilità di muoverci liberamente e di decidere quali quest affrontare e soprattutto quando farlo. Ovviamente le tabelle numeriche non scompaiono, ma per fortuna in Arena lo sviluppo del personaggio è gestito sicuramente attraverso una comoda interfaccia grafica di sicuro più “user-friendly” rispetto a molti altri giochi dello stesso periodo. Tuttavia, la vera e propria rivoluzione in Arena consisteva anche nella gestione dei combattimenti. La visuale in prima persona e gli scontri in tempo reale assomigliavano vagamente a quelli che potevano esserci ad esempio in un FPS, anche se poi in realtà erano presenti pesanti problemi di “manovrabilità” delle armi, visto che per sferrare l’attacco non era sufficiente la classica pressione del pulsante sinistro del mouse ma bisognava “simulare” in modo abbastanza pittoresco i fendenti e gli affondi di spada con il mouse stesso, attraverso dei movimenti di quest’ultimo per niente fluidi…
L’idea stessa però di unire in un gioco dall’impostazione tipica dei RPG anche elementi di azione che ne aumentassero la “giocabilità” e soprattutto il ritmo si dimostrò però vincente. Tant’è che molti titoli successivi seguirono il suo esempio: dal super osannato (e troppo sopravvalutato) seguito Daggerfall, fino ad arrivare alla svolta definitiva in “System Shock”.
Esso rappresenta a mio avviso un altro passo importante nello sviluppo definitivo di quel processo di involuzione del RPG che a suo tempo iniziò Arena. Risultato di un sapiente lavoro sia per quel che riguarda la grafica in SVGA (eccezionale all’epoca, ma ancor oggi mantiene il suo fascino pressochè inalterato) ma soprattutto per l’anbientazione hi-tech dalla quale poi anni dopo Deus ex avrebbe preso ispirazione, System Shock pose ancor di più l’accento sulla fase dei combattimenti, facendo rimanere però inalterato lo spirito di Arena e soprattutto di Ultima Underworld (gioco al quale System shock assomiglia di più). Ora gli scontri sono sapientemente gestiti, quasi alla stregua di un gioco d’azione, e il ritmo è incalzante.
System shock 2 ripropone ed amplifica ancor di più questi presupposti, risultando un geniale mix di molti generi differenti (RPG, FPS, Adventure, action, survival horror), e soprattutto di una complessità e di una profondità nella storia assolutamente impareggiabili. Stanno proprio in questo titolo i presupposti di Deus ex. Sostanzialmente osannato dalla critica, fu però purtroppo nobbato dal pubblico, fondamentalmente per la sua complessità e difficoltà, tant’è che le copie complessivamente vendute sul mercato furono pochine. Ovviamente nello scontro con Half life per l’assegnazione dell’ambito premio di “Game of the year”, System shock 2 uscì sconfitto proprio per questo motivo, anche se avrebbe meritato mille volte di più il titolo piuttosto che non Half life.
Un paio di anni più tardi, finalmente prendeva vita “Deus Ex”, che in un certo senso si può ritenere il “figlio prediletto” di quel capolavoro che fu System Shock 2.
E’ innegabile ed evidentissimo il suo legame con il “masterpiece” della “Looking Glass”, ma il titolo fa anche di più: raccoglie in un certo senso l’eredità di SS2, e ripropone il suo stile di gioco vincente, elevandolo all’ennesima potenza. Il risultato è un superbo modello di videogame che farà scuola anche per le generazioni future che verranno: visuale in prima persona, sviluppo della trama e dello stile di gioco basata prevalentemente sullo sviluppo del nostro personaggio, risoluzione degli enigmi legata alle nostre personali decisioni, ambientazione originalissima dalle tendenze hi-tech e soprattutto una profondità nella storia e nel coinvolgimento del giocatore a mio avviso ancor oggi ineguagliata.
L’ “allievo” (Deus Ex) aveva battuto il suo “maestro” (System shock 2).
Non fidatevi di nessuno…
New York, USA.
E’ un anno imprecisato di un prossimo futuro. La nanotecnologia ha fatto passi da gigante, e ormai nelle grandi metropoli del mondo uomini cibernetici con innesti bionici e cavi scoperti che escono in superficie dall’epidermide sono diffusi tanto quanto una nuova droga sintetica che sta rapidamente degradando le classi sociali inferiori. La economica politica globale è sull’orlo di una crisi irreversibile, e ciò porta ad una sempre più radicale distinzione delle classi sociali stesse. Tutte le principali istituzioni politico-governative sono decadute, ed ora l’unica organizzazione difensiva a livello mondiale è l’ UNATCO, una specie di ONU a mano armata, che tenta di spezzare attraverso la forza qualsiasi tipo di ribellione al regime anarchico che lentamente, ma inesorabilmente, si sta venendo a creare.
In particolare, un gruppo terroristico che si fa chiamare NSF sembra essere il nemico principale dell’UNATCO, e ad esso viene attribuita la diffusione della cosiddetta “Morte Grigia”, un devastante virus in grado di sterminare un numero impressionante di civili, più della metà della popolazione, soprattutto fra la gente più povera, che non può permettersi di comprare il vaccino (“Ambrosia”) che invece viene distribuito solo ai “potenti” del governo e alle persone che rivestono importanti cariche.
Noi impersoneremo JC Denton, un agente speciale dell’UNATCO, appena arruolato, che ha un passato oscuro, indecifrabile (per lo meno fino alla metà del gioco…) e degli innesti cibernetici che gli consentono di fare cose che un normale essere umano non potrebbe mai fare. Dovremo combattere questa organizzazione terroristica, ma ben presto ci ritroveremo coinvolti in una faccenda più grande di noi. Molto più grande di noi. Perché il mondo è arrivato sull’orlo del collasso? Chi sono in realtà li FSN? Ma soprattutto: perché non ricordiamo nulla del nostro passato se non vaghe immagini dei nostri genitori, frammenti di ricordi confusi e all’apparenza insignificanti? Tutte domande, queste, che troveranno una risposta man mano che proseguiremo la nostra avventura, grazie ad un plot davvero straordinario, in cui quella che ritenevamo essere la verità alla fine si dimostra essere menzogna. O viceversa. Solo alla fine, dopo oltre 50 ore effettive di gioco, e ben 3 finali differenti dipendentemente da come agiremo, verremo a scoprire la verità assoluta.
Il senso di coinvolgimento è elevatissimo, e riesce a regalare, alternandoli, momenti di tensione allo stato puro e di interattività del giocatore mai viste prima: quando si procede nel gioco, sembra veramente che esso stesso venga “modellato” in base alle nostre scelte e le nostre decisioni. Tutto ciò dona a Deus Ex una immersività totale del giocatore. E ricordate: non fidatevi di nessuno durante la vostra avventura…se non di voi stessi.
Parlando di gameplay…
Uno dei punti di forza di Deus Ex è senza dubbio l’estrema personalizzazione del nostro, per cosi dire, “modus operandi”. L’approccio alle diverse situazioni di gioco infatti può essere più d’uno, e alla fine a discrezione del giocatore, questo titolo può trasformarsi in un adrenalinico FPS, se decidiamo di adottare metodi poco ortodossi senza badare troppo alle sottigliezze… Oppure è possibile agire perennemente nell’ombra, seguendo metodi “stealth” molto raffinati e in tal caso il gioco risulterebbe come impostazione molto simile a un altro grande successo del passato, “Thief”, dal quale Deus Ex deve molto del suo successo. Altrimenti, si può diventare degli abilissimi hacker, e disattivare tutti i sistemi di sicurezza (telecamere, torrette di sorveglianza, etc…), oppure fare un po’ l’uno o un po’ l’altro. Insomma, tutto questo dipenderà dalle vostre scelte, ed è bene subito precisare che ogni vostra scelta avrà una ripercussione nell’azione di gioco. In questo senso, i miglioramenti rispetto a System shock 2 sono netti: anche nel titolo della Looking Glass infatti era possibile agire come volevamo, ma alla fine la trama del gioco era unica, e sostanzialmente (seppur era prevista una soluzione alternativa a vari enigmi) alla fine si veniva quasi automaticamente “incanalati” verso la direzione del plot principale della trama. Questo in Deus Ex non accade, e anzi, come prima evidenziato, le nostre azioni potrebbero portare a risultati anche considerevolmente differenti.
Esattamente poi come nel miglior stile dei RPG, nel corso della nostra avventura potremo migliorare le caratteristiche del nostro personaggio. Infatti portando a termine le quest principali e anche quelle secondarie (non indispensabili per il proseguimento della storia) guadagneremo un certo quantitativo di punti abilità che potremo distribuire a nostro piacimento tra le nostre capacità. Ad esempio, se decidiamo di specializzarci nell’uso dei fucili di precisione, mano a mano che miglioreremo questa abilità, si noterà che il mirino resterà più fermo quando miriamo e che la probabilità di centrare il bersaglio aumenterà. Altrimenti potremo specializzarci nello scassinare le serrature, bypassare i sistemi di sicurezza, nella medicina (per curarsi più velocemente), nell’uso dei computer, nel resistere alle scariche elettriche e alle tossine velenose, etc… Addirittura è prevista la possibilità di effettuare periodici “upgrade” dei nostri innesti cibernetici attraverso l’applicazione nel nostro organismo di speciali “contenitori di potenziamento” che ci conferiranno nuovi poteri bionici, come ad esempio il vedere attraverso i muri, il resistere alle pallottole, addirittura pilotare un piccolo drone spia che si infiltri nelle basi nemiche per spiare i loro movimenti (!!), e tante altre cose che adesso è impossibile elencare una per una. Rispetto a SS2, lo sviluppo del personaggio è reso più accurato, ed al tempo stesso molto più semplice da gestire, attraverso una comoda interfaccia con l’inventario ove stipare tutti gli oggetti che raccoglierete e un’UNICA tabella numerica dove vengono elencate le vostre abilità. Questo è un altro miglioramento sostanziale rispetto a SS2, dove invece si faticava e non poco a tenere sott’occhio tutte le vostre caratteristiche.
Ma il vero tocco di genio, quel “senso di realtà” che manca in SS2, e che invece contraddistingue Deus Ex, è rappresentato dai dialoghi con i personaggi (completamente assenti in SS2), curatissimi e cruciali per poter ricevere utili informazioni che altrimenti non riuscireste mai a carpire. Potete interrogare tutti i personaggi che troverete, anche più di una volta, per acquisire maggiori informazioni, ma la cosa straordinaria è che sembrano quasi “vivi”, e si ricorderanno di noi se con loro agiremo in un determinato modo.
La cura dei particolari, in questo contesto, viene resa addirittura in modo paranoico!
Un motore grafico per tutti…
Dal punto di vista tecnico, Deus Ex fa sfoggio di una versione modificata (piuttosto pesantemente) del motore grafico di Unreal. All’apparenza non sembra, ma se osserviamo per esempio i riflessi sul pavimento (ad esempio nelle stanze dell’UNATCO) o altri giochi di luce/ombra, sarà facile individuare quelle “chicche” che avevano contraddistinto Unreal. Gli ambienti di gioco sono molto grandi, ma gestiti in modo eccellente (non si nota alcun rallentamento nemmeno su Pc piuttosto datati, tant’è che è possibile effettuare un’ottima esperienza di gioco anche con un P2 a 350Mhz con 64Mb ram e una scheda video con 16 Mb di memoria). Anche in questo caso, il confronto con SS2 risulta vincente. Dove in verità ci sono dei problemi è nelle animazioni dei personaggi, piuttosto primitive e in taluni casi non propriamente convincenti, anche se nel complesso siamo sulla sufficienza piena. Inoltre, le numerose “scene di intermezzo”, anche se in realtà è improprio parlare di scene di intermezzo, poiché si tratta di una sorta di sequenze di gioco ove avviene una narrazione degli eventi che ci vede protagonisti (un po’ come in Half life, anche se qui si passa automaticamente, durante tali fasi, ad una visuale in terza persona e non è possibile muovere il personaggio) sono di fattura eccezionale .
Come in SS2, anche l’audio è ottimo, soprattutto per quel che riguarda la colonna sonora, davvero molto bella e composta da una serie di brani strumentali molto orecchiabili e che è possibile scaricare nel Web. Ottimo anche il parlato (in inglese con sottotitoli in italiano, ed infine un po’ carente invece la gestione dell’audio negli effetti ambientali (talvolta sembrano quasi irreali…)
In conclusione…
Deus Ex ha dato il via ad un nuovo genere di videogame, ha messo insieme il contributo di tanti altri giochi del passato, e rielaborandoli in un mix esplosivo, è stato capace di attirare l’attenzione di un’ampia fascia di pubblico. Questo è a mio avviso il maggior merito che va riconosciuto a questo gioco: è riuscito dove invece SS2 ha fallito (probabilmente a causa della sua estrema complessità, non era un titolo adatto a tutti i videogiocatori). Ciò non significa che Deus ex sia un gioco semplice, intendiamoci. Tutt’altro. Il fatto è che la gestione del gioco, pur mantenendo un’impostazione originalissima come in SS2, è più agevole rispetto al titolo della Looking Glass, ed ha incontrato un successo incredibile.
Forse è per questo che gli è stato assegnato l’ambito premio nel 2000 di “Game of the year”, surclassando praticamente tutti gli altri avversari.
Ed infatti coloro che si avvicineranno a Deus Ex saranno sia i maniaci “esperti” di giochi di ruolo, sia i giocatori più frenetici votati all’azione pura dei FPS, sia quelli più metodici, più “ragionati”, desiderosi di un’esperienza “stealth”, ma anche tutti coloro ai quali piace prendere parte a una vera storia, ricca, complessa, di spessore, spesa a fare conversazione con i personaggi di Deus Ex, o anche solamente ad ascoltare i loro discorsi.
Se siete uno di loro, allora correte subito a comprare Deus Ex!!!!
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