C'è del marcio nel Mondo Disco! L'agenzia investigativa ONG (OjO & Gwenelan) ha da poco aperto i battenti ad Ankh-Morpork e subito si presenta un caso importante: scoprire che fine ha fatto Mundy, l'amico speciale della femme fatale Carlotta. Riusciranno i nostri eroi ecc. ecc.?
Vi riproponiamo il longplay di questa avventura grafica che i nostri hanno riscoperto insieme!
I detective Mordred e Hera sono stati scagionati dall'accusa di aver incastrato i colpevoli del caso a cui stavano lavorando, ma l'opinione pubblica non è stata davvero convinta della loro innocenza. La loro carriera sembra quindi finita... finché non arriva un nuovo, inaspettato cliente: il candidato del partito delle Bande Nere che, prossimo alle elezioni, vuole essere sicuro di evitare una piccola accusa di omicidio in cui è rimasto invischiato.
Per Mordred e Hera il caso è più complesso ancora, perché l'omicidio sembra essere stato compiuto proprio dal serial killer che loro avrebbero “incastrato”: il terribile Pandora. Che il politico sia effettivamente innocente?
Dry Drowning è una visual novel con un tocco di avventura grafica sviluppata da Studio V e pubblicata da VLG Publishing, un publisher associato alla Fondazione Vigamus. Quindi, sì, Dry Drowning è un gioco italiano.
Partiamo con il dare un'occhiata al gameplay, che, devo dire, mi ha sorpresa in positivo. Dry Drowning è una visual novel e come tale ci presenta dialoghi e scelte da compiere. Il gioco ci consiglia di “scegliere d'istinto” perché non ci sono scelte sbagliate, ma non è esattamente così ^^'. Alcune nostre scelte possono portare a quello che considererei un Bad Ending, anche se il gioco non lo chiama così. Non è comunque possibile raggiungere un Game Over con le nostre scelte, ossia rovinare permanentemente le indagini e/o uccidere il nostro personaggio. Nel complesso, le scelte che possiamo fare sono sensate e hanno un peso sostanziale nella storia, quindi bene da questo punto di vista. I finali che è possibile raggiungere sono in tutto 3, un numero sufficiente, direi.
Un'altra grossa parte del gameplay è costituita dalle indagini vere e proprie, quel tocco di avventura grafica che vi dicevo. Bisognerà infatti esplorare le location, cercando i punti importanti che Mordred analizzerà per conto suo, e successivamente dovremo affrontare i sospettati, facendoli confessare, e ricostruire la dinamica del delitto.
L'esplorazione delle location, sebbene non ci metta a disposizione aiuti come tasti che rivelano tutti gli hotspot, è semplice. Mordred ci avviserà quando avremo scoperto tutto quel che c'era da scoprire in un dato luogo.
Le fasi successive sono più interessanti, perché lì dovremo dimostrare di aver capito davvero come sono andate le cose, usando al momento giusto gli indizi raccolti o selezionando la giusta opzione per completare una ricostruzione. Potremo sbagliare solo 2 volte: alla terza, raggiungeremo un Game Over. Sono contenta che il gioco cerchi di farmi usare la materia grigia, ben fatto.
Quindi, nel complesso, il gameplay viaggia su due binari paralleli, entrambi ben sviluppati: da un lato le scelte che influenzano la storia, dall'altro la nostra capacità di portare a termine le indagini con successo. Ottimo mix.
Ma veniamo alla parte problematica, perché lo sapevate che c'era... La storia. La storia di Dry Drowning è, in generale inverosimile, a partire dalle premesse. L'ambientazione, che pure ci viene presentata sotto diversi aspetti, segno che è stata frutto di sforzi, manca di coerenza. Già ha poco senso che una città venga costruita in una “zona deserta dell'Europa” e che tale città diventi stato a sé e che sembri uscita da un film americano di serie B, piuttosto che avere una cultura di stampo europeo. È anche molto improbabile che tutti i personaggi principali, o quasi, abbiano nomi “parlanti” (nomi che significano cose, di solito connessi al loro ruolo nella vicenda... che coincidenza. Il politico kattivo del gioco, per esempio, si chiama Loveless, ossia “senza amore”... ma per piacere...) o che si chiamino come personaggi mitologici famosi (abbiamo Hera e Mordred, poi Freya e Pandora).
Ma anche sorvolando su tutto questo, arriviamo al “superpotere” di Mordred, quello di visualizzare una maschera di animale sulla faccia della gente che mente. Viene detto che questo non è un potere magico, ma deriva dal fatto che lui scende nella psiche degli individui, cosa che, ovviamente, non ha alcun senso, quindi meglio chiudere un altro occhio e far finta che abbia un super potere e basta ^^. Peraltro, resta non spiegata la cutscene iniziale in cui vediamo Pandora (non è spoiler, è proprio all'inizio del gioco) con varie maschere di animale. Vabbè. I tocchi tragici messi a caso non mancano nel gioco.
La poca coerenza dell'ambientazione si riflette sui personaggi, che sono di volta in volta completamente clueless su quello che accade nella loro città-stato e allo stesso tempo sanno tutto. Nova Polemos è una città "kattiva e korrotta"; i politici fanno tutti schifo e vogliono solo controllare i cittadini, che a loro volta sono sia stronzi menefreghisti che poveri innocenti; l'internet di Nova Polemos è controllato dall'alto, quindi tutte le comunicazioni sono controllate; viene detto che qualche anno prima migliaia di immigrati sono stati scacciati e uccisi barbaramente dalle forze dell'ordine e che anche adesso tutti i “diversi” sono visti come cittadini di second'ordine... È un po' come se USA e Cina avessero fatto un figlio e l'avessero piazzato in Europa dopo avergli appioppato un nome che ricorda la Grecia.
E però, Mordred si sorprende alla scoperta di un “gioco” in game che servirebbe a monitorare le preferenze di tutti i cittadini e ad assegnare loro un punteggio che, se abbastanza alto, dà loro diversi benefici. E Hera si sconvolge quando scopre che gli anziani che non possono lavorare sono buttati in strada. Uh, buongiorno?
Non c'è nessuna sottigliezza nel gioco, la kattiveria di istituzioni e personaggi è senza la minima luce e senza profondità. Anche se ci si prova a creare personaggi tridimensionali. Ma la mancanza di psicologia li fa sembrare pazzi: un momento sono stronzi, un momento dopo hanno i Sentimenti.
Mordred è forse il meno peggio, perché si vede una logica nel suo essere uno stronzo (e nella sua stronzaggine un idiota, come quando va da solo dietro al killer perché non vuole che la polizia gli freghi la fama: ti meriti che il killer ti seghi, se ci riesce) e nel suo attaccamento alla collega/amante Hera.
Hera, dal canto suo, come tutti i personaggi femminili del gioco, è solo due cose: 1) gnokka; 2) preda di rapimenti.
La storia in generale è poco originale e molto, molto esagerata, carica: tutti i personaggi sono sempre terribilmente seri e sofferenti, tutto è orribile, ogni problema è un inferno. È tutto troppo melodrammatico.
Mi fa piacere che ci si sia sforzati di non lasciare nulla di non spiegato, e la spiegazione, nella logica inverosimile del gioco, funziona... tutto torna, in teoria, tutti gli omicidi hanno il loro movente e tutti gli altarini dei vari personaggi vengono svelati. Non me l'aspettavo, quindi complimenti.
Ultimo problema della parte narrativa, l'italiano un po' zoppicante usato dappertutto. I dialoghi in generale non brillano e i personaggi parlano quasi sempre per frasi fatte, il problema sorge quando queste frasi fatte non si accozzano insieme e quindi le frasi traballano grammaticalmente e sintatticamente. Anche quando grammaticalmente sono giuste, c'è sempre qualcosa che stona e che, semplicemente, fa pensare “non è così che ci si esprime in italiano”. Non siamo ai livelli di Ballad Singer, ma almeno una battuta su tre andrebbe corretta. Per fare due esempi, proprio all'inizio del gioco troviamo: “Le Bande Nere si pongono alla gente come personaggi snob e altolocati, volendo rappresentare i bei tempi andati”, e “questa tipologia di faccenda potrebbe far crollare lui e l'intero partito” - e no, a parlare non è il fruttivendolo semi-analfabeta di Mordred. Senza offesa per tutti i fruttivendoli.
Chiudiamo, come sempre, con il lato tecnico, che è eccellente. I disegni sono stupendi, la palette ottima (buia e grigia per attenersi all'ambientazione inverosimilmente cupa), le illustrazioni magnifiche. Anche la colonna sonora è molto bella, e il doppiaggio, inglese, è di buona fattura. Preciso che l'introduzione, che è comunque inutile per capire la storia, è doppiata solo in inglese e senza sottotitoli, quindi chi non sa l'inglese se la perde. Ripeto: la storia si capisce lo stesso anche senza.
È presente una modalità New Game Plus, che permette di rigiocare tutto cambiando le proprie scelte, e troviamo anche un minigioco, Be a Good Citizen, un puzzle game anche abbastanza carino.
Mi aspettavo sia meglio che peggio da questo Dry Drowning. Il gameplay è stato studiato bene e mi è piaciuto molto: fra le visual novel “investigative” che ho provato, credo sia una delle migliori. Purtroppo, la storia non è assolutamente all'altezza, non tanto per gli eventi, che nella loro banalità possono comunque interessare, quanto per le frasi zoppicanti e per la mancanza di coerenza del tutto. Peccato; l'impianto è buono, però, quindi confido che si possa costruire un gioco migliore con le stesse meccaniche, la prossima volta!
Stone è un Koala, e non uno qualsiasi: è un detective privato sulla via del fallimento, perennemente ubriaco. Quando scopre che qualcuno ha rapito il suo compagno Alex, però, deve darsi una mossa e cercare di richiamare a sé le sue vecchie abilità – e soprattutto la sua lucidità. Riuscirà a sventare il rapimento oppure non c'è più speranza per lui?
Questi sono i quesiti che ci pone Stone, un'avventura in terza persona – quasi un walking simulator, come vedremo – in cui noi vestiremo i panni di questo sfortunato Koala.
Ora, ve lo dico subito, Stone non mantiene molto di quel che promette, né come gameplay, né come storia, e questo nonostante un primo impatto che può convincere per via del piglio originale e dell'impronta “australo-british” dell'ambientazione.
Il gameplay è molto ma molto povero. Si tratta di girare per le locations e cliccare su quell'unico hotspot lì presente, di solito una persona con cui esaurire tutte le scelte di dialogo, per poi cambiare location e ripetere questo iter fino alla fine del gioco.
Le location in sé sono piccoline e spoglie: gli oggetti con cui è possibile interagire sono uno o due per location, niente di più. Fa eccezione la casa di Stone, in cui troviamo più cose da cliccare, ma è davvero l'unica location che permette una cosa simile.
Anche le azioni da compiere sono poche: quando si tratta di un oggetto, Stone farà automaticamente la cosa giusta; quando si tratta di una persona, a volte avremo possibilità di scegliere cosa dire, ma non cambierà assolutamente nulla. Pensavo, inizialmente, che la cosa avrebbe influito sul finale della storia, ma non è così: il finale è uno solo.
Il tutto è anche molto lineare e a tratti non è ben chiaro perché passiamo da A a B: le tracce lasciate dal rapitore di Alex sono molto labili e Stone andrà in giro più o meno a caso per cercarlo. I personaggi ci diranno molto chiaramente cosa fare, così che non si resta mai nel dubbio e non si ha mai bisogno di ragionare, basta eseguire.
Passando alla trama, le cose non migliorano molto. All'inizio, l'impressione che avevo era tutto sommato buona: sì, si vedevano i limiti del budget, ma questi non possono inficiare una storia decente. L'ambientazione si presentava come noir e hip hop e ha un taglio australiano che vediamo raramente in un videogioco.
Ma ben presto si capisce che queste cose sono “fumo” e nient'altro. La storia, molto semplice, riesce anche a essere confusa in più parti, e nonostante sia evidente il tentativo di costruire un background per Stone, questo non funziona. Il twist finale lascia più perplessi che sorpresi e viene da chiedersi se era davvero necessario tutto il casino montato dai personaggi per arrivare allo spiegone finale.
Il risultato è che si intravede la storia, molto vera e molto sentita, che si voleva raccontare, ma questa non ci raggiunge mai e ci è quindi impossibile viverla.
Quella che regge abbastanza bene è l'atmosfera, se la si guarda superficialmente. Le musiche giocano un ruolo importante: sono bellissime e sono l'unica cosa “hip hop” del gioco. Lo slang australiano/british, che potete godervi solo se tenete il gioco in inglese, fa la sua figura ed è presente anche un dizionario, negli Extra, per spiegarci il significato di qualche parola.
In quanto a Extra, a Stone non manca nulla: sono presenti bozzetti di location e personaggi e addirittura 4 film completi (entrati nel Public Domain, ovviamente) che potremo visionare o nel gioco stesso, oppure appunto dagli extra. Sarebbe una bella ciliegina sulla torta, se la torta fosse buona, ma così com'è non servono poi a molto.
Stone è disponibile anche in italiano, cosa positiva per chi volesse provarlo, vista la presenza forte di slang. Il doppiaggio, in inglese, è altalenante, ma in media è decente.
La grafica è il punto debole dell'aspetto tecnico: le location sono spoglie, come ho detto, e squadratissime; i modelli poligonali dei personaggi sono poveri anch'essi.
Mi aspettavo qualcosa in più da Stone. Anche con i forti limiti di budget, mi aspettavo innanzitutto un gioco “giocabile”, ossia con qualcosa da fare di significativo, e soprattutto mi aspettavo una storia bella, ben fatta, che dicesse qualcosa. Capisco che ci sia stata la volontà di dire qualcosa, ma il metodo è stato un po' molto confuso. Peccato, speriamo meglio per la prossima volta.
Siamo molto felici di annunciare l'uscita di Detective Gallo, l'avventura grafica con protagonista un gallo detective (ebbene sì!) e realizzata in stile cartoon dallo sviluppatore italiano Footprints Games.
Cinque piante esotiche sono state seccate in circostanze misteriose. Nessuno sembra preoccuparsene più di troppo, ma un eccentrico multimiliardario vuole che qualcuno risolva questo strano caso ed è pronto a elargire una ricchissima ricompensa a chi ci riuscirà. Detective Gallo e il suo accappatoio giallo sono pronti a sbrogliare l'intricata matassa.
Voi non fate i polli e precipitatevi su Steam o GOG per dare un'occhiata a questo promettente titolo d'avventura.
“Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia!”
Lorenzo de’ Medici
Un racconto di narrativa (poco) interattiva a cura di Belboz Underhill
Anacronismo è un racconto dal taglio "hard-boiled", spruzzato di stranezze così come mi sono sopraggiunte man mano che scrivevo, condito da un linguaggio, devo ammetterlo, non privo di certe scurrilità (PEGI 18, quindi!).
Il protagonista è tale Albashim Brown, impegnato nella ricerca di alcuni ragazzi scomparsi nella ridente Wilbram Crescent.
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Interrogatori, inseguimenti, perquisizioni... state pensando a un poliziesco, vero? Beh, ci siete quasi: Black Closet è un videogioco investigativo dal sapore noir ambientato in uno dei luoghi più minacciosi che possiate immaginare: un liceo privato femminile. Non mi credete? Continuate a leggere...
Voi siete Elsa, appena nominata presidentessa del Consiglio Studentesco. Venite da una famiglia di nuovi ricchi, il che vi rende perfetta per la vostra posizione: se le cose dovessero andare a “donnine allegre”, nell'Accademia di St. Claudine, i *veri* ricchi della scuola possono dare tutta la responsabilità a voi, espellervi e continuare la loro vita felice. E far filare tutto liscio è compito vostro: la scuola deve essere preservata da ogni scandalo, pubblico o privato, le studentesse devono avere voti alti, che lo vogliano o no, e naturalmente il Consiglio Studentesco deve fungere da modello di correttezza e disciplina durante il corso dell'anno.
Oh, e scordavo: una delle studentesse del Consiglio è una traditrice e vi metterà continuamente i bastoni fra le ruote. Buona fortuna!
Black Closet è il nuovo videogioco della Hanako Games, la stessa che abbiamo già visto con Magical Diary e Long Live The Queen. Come dicevo più sopra, è uno strategico-investigativo con leggeri elementi RPG (su RPS lo definiscono “detective game procedurale”, che in effetti è una definizione calzante). Ed è un gioco molto difficile, perché è spietato con i vostri errori e, anche quando state riuscendo a far andare tutto bene, ecco che vi butta addosso una complicazione extra di cui non avevate proprio bisogno. Mi ha ricordato alcune partite a Civilization in cui una mossa sbagliata può metterci seriamente in svantaggio – e me lo ha ricordato anche perché, come Civilization, Black Closet diventa una specie di droga: un turno e poi basta, un turno e poi basta... e alle 3 del mattino sono ancora davanti al computer!
Ma vediamo nello specifico come funziona il gameplay. La scuola di St. Claudine è piagata da problemi, piccoli e grandi: la figlia del noto politico sta fallendo in Storia, una ragazza viene bullata dalle compagne, altre ragazze aprono un giro di scommesse clandestine, altre cercano di piantare delle bombe sotto i banchi... e tocca a voi prevenire o risolvere questi problemi in modo che dall'esterno tutto sembri filare liscio.
Voi, in quanto Presidentessa del Consiglio, non dovete sporcarvi le mani in prima persona: avete ai vostri comandi cinque studentesse, ognuna con diversi punti nelle quattro abilità del gioco (Socialità, Osservazione, Intimidazione e Stealth), a cui potrete assegnare i diversi compiti. La studentessa Pinca Palla non ha voglia di studiare e sta facendo fare una figura di cacca alla scuola? Mandate una delle vostre scagnozze (“Minion” nel gioco) a chiuderla in uno stanzino e vedrete che cambierà idea! Sospettate che la studentessa Caia stia pianificando qualcosa di losco? Mandate un'altra scagnozza a frugare nella sua stanza! E così via...
Man a mano che risolverete le missioni, accumulerete dei punti esperienza da spendere per migliorare le abilità delle vostre scagnozze – e scegliere quale personaggio sviluppare e come farlo è una parte fondamentale per non fallire miseramente.
Il risultato delle missioni è dato dal punteggio della studentessa a cui avete assegnato il compito vs il punteggio della “difficoltà” del compito stesso, il tutto miscelato a un paio di tiri di dado, giusto per rendere tutto meno prevedibile.
Le missioni stesse sono randomizzate: due missioni che iniziano nello stesso modo possono evolversi in maniera molto diversa, quindi non conviene mai andare alla cieca e assumere che la soluzione che ha funzionato una volta funzionerà sempre. A questo aggiungete che ogni missione ha una scadenza, superata la quale l'avrete fallita e dovrete subirne le conseguenze (di solito un colpo alla Reputazione della scuola o al Karma del Consiglio, due punteggi che, se scendono di troppo, vi mandano al game over); questa scadenza però non sempre è esplicita, quindi vi tocca indovinare quali casi sono più urgenti di altri. Ci sono anche casi in cui non serve alcun intervento o per cui non vale la pena intervenire – specialmente se avete altri casi più scottanti per le mani.
Infine, ci sono dei casi più importanti di altri, quelli affidatevi da Miss Talmage, l'insegnante a cui fa capo il Consiglio: fallite uno di quelli e arriverete immediatamente al game over.
Insomma, dovrete regolarvi un bel po' come nella vita reale e far ricorso all'esperienza (e alle partite fallite) per imparare cosa è più saggio fare di volta in volta.
Devo dire che il tutto è stato calibrato molto bene: Black Closet è sempre difficile ma mai al punto da diventare impossibile o ingiusto nei confronti del giocatore. Ad un certo punto si sente un po' la ripetitività dei vari casi, ma questo succede quando manca davvero poco per arrivare a uno dei molti finali, quindi c'è poco da sopportare.
Questa parte più, diciamo, impersonale, è legata a una storia e a una serie di casi che si dipanano lungo tutto l'anno scolastico. Come vi dirà Miss Talmage all'inizio del gioco, c'è una traditrice nel Consiglio Studentesco, che fallirà apposta tutte le missioni che le affiderete. Dovete sbrigarvi a scoprire chi è prima della Festa del Raccolto e potrete farlo solo sviluppando la sua fiducia in voi. O forse no... e comunque questa è la punta dell'iceberg.
Black Closet vi dà molta libertà d'azione sia nella risoluzione dei vari casi, sia nel modo in cui interagirete con gli altri personaggi. Le cinque ragazze che compongono il Consiglio sono personaggi ben scritti, sviluppati a tutto tondo, e ognuna va gestita in modo diverso a seconda che sia la traditrice o meno (la studentessa traditrice è scelta a caso all'inizio della partita). Potrete scoprire chi è e cercare di farla confessare per poi espellerla; oppure potrete infischiarvene e limitare i danni in altro modo... in alcuni casi, a seconda di chi è la traditrice e di come vi comporterete con lei e con le altre ragazze, potreste ritrovarvi con una sola compagna a terminare il gioco – cosa per niente facile.
La storia che sovrasta tutto ciò è in verità molto semplice, ma questo non si avverte come un difetto perché è raccontata molto bene. La rivelazione finale è telefonata, ma il focus del gioco è posto sul come voi reagirete alla faccenda (e questo “come” dipenderà in larga misura dalle relazioni che avrete gestito nel corso di tutta la partita) più che sul colpo di scena vero e proprio.
Dove la scrittura brilla è proprio nelle relazioni con le ragazze, sia perché sono caratterizzate molto bene, sia perché potrete sviluppare tutta una serie di rapporti diversi, dall'amicizia, al romanticismo, al rapporto di fiducia “maestro-allievo”, a seconda della ragazza e delle vostre intenzioni.
Stupenda è anche l'ambientazione, che mischia la pacatezza di un scuola “di ragazze perbene” a un pizzico di noir, tutto con grande cura dei dettagli che ci vengono mostrati in piccole scene sparse nel corso dell'anno. Il ritratto di St. Claudine che ne viene fuori è credibile, particolareggiato e interessante.
Dal punto di vista della grafica e dell'interfaccia, come potete vedere dalle immagini a corredo della recensione, la Hanako Games ha prodotto dei bellissimo risultati. Mentre menu e interfaccia sono quelle che state vedendo, per quel che riguarda i personaggi sono presenti due “set artistici” fra cui scegliere, ognuno con le proprie illustrazioni bonus. Il primo è quello che vedete nelle foto ed è, secondo me, il migliore: i volti delle ragazze sono più espressivi, è pieno di particolari e in generale bellissimo da vedere. Il secondo set è quello che era presente nella demo, e potete dargli un'occhiata cliccando qua. Come vedete c'è una certa differenza.
In verità, le studentesse che non fanno parte del consiglio sono tutte realizzate con il secondo set e un po' lo stacco artistico si sente.
Le musiche sono poche ma sempre all'altezza della situazione: dopo aver giocato Black Closet almeno 7-8 volte, non ero ancora stufa della musica di sottofondo ai casi giornalieri. Molto carina è invece la melodia che si sente durante alcune scene particolari (l'esibizione nella Chiesa, per esempio, e altre occasioni).
Con Long Live The Queen la Hanako Games aveva già fatto il salto dal panorama amatoriale a quello professionale, e questo Black Closet non fa che confermare questo passaggio. Black Closet è un gioco divertente, ben curato sia al punto di vista della storia che del gameplay, e non ha paura di mettervi davanti una sfida non proprio facile – e di dover di conseguenza fare molta attenzione ad essere ben bilanciato. Una volta che lo si comincia è difficile metterlo da parte perché c'è sempre la voglia di risolvere solo... quell'ultimo... caso...
Little Falls è un'avventura testuale creata da Alessandro Schillaci e Roberto Grassi di Mondi Confinanti (la stessa casa di sviluppo che ci ha portato Beyond) ed è disponibile sia per computer che per Android.
In Little Falls noi interpreteremo Gene, un poliziotto della cittadina di Little Falls, appunto, che riceve una chiamata dal 911 e si trova a investigare una strana casa.
Nonostante le premesse, Little Falls non è un'avventura investigativa. C'è poco da raccogliere indizi e ragionare su un “caso”: Gene, con noi, è in balia di eventi che non può controllare o neanche comprendere prima dell'amaro finale. Il nostro scopo è cercare di reagire al meglio e sopravvivere, il che dà alla storia un forte sapore noir, “condito” con un po' di surreale, grazie al passato angoscioso di Gene, che torna a tormentarlo sotto forma di incubi e visioni.
E' abbastanza chiaro che gli autori hanno privilegiato questa atmosfera sulla trama vera e propria, di per sé non molto originale, e hanno usato tutti i mezzi a loro disposizione per renderla al meglio. La versione pc di Little Falls comprende infatti immagini, musica e suoni, tutti elementi che aiutano molto a calarsi nei panni di Gene e a evocare il giusto mood di tristezza, paura e oppressione.
La scrittura non sempre è all'altezza: qualche volta scende nel melodrammatico (troppe grida e troppe parolacce) e qualche volte è troppo asciutta, al punto che poche righe sono dedicate alla descrizione di intere stanze – cosa questa che un po' si riflette sul gameplay, ma ne parliamo sotto.
Nel complesso, però, l'atmosfera è ben ricreata e ci si cala abbastanza facilmente nei panni del nostro povero poliziotto.
Il gameplay è molto classico: si tratta di inserire dei comandi nel parser e di ragionare per uscire dal guaio in cui ci troviamo, o per cercare di non finire ammazzati. Gli enigmi proposti sono semplici e sempre molto logici: la maggior difficoltà sta nel fatto che non sempre il comando apparentemente più ovvio viene accettato dal parser, quindi ci si trova spesso ad aver capito cosa bisogna fare, ma a non sapere come scriverlo. Una volta superato questo ostacolo, è difficile restare bloccati e si può proseguire verso uno dei sei finali disponibili.
Sì, ci sono sei finali, classificati dal finale F (peggiore) al finale A (migliore), ed essi cambiano totalmente l'interpretazione degli eventi della storia a seconda delle azioni che compiamo durante l'avventura, ma non come ci si potrebbe immaginare. Non è possibile, nella maggior parte dei casi, decidere coscientemente quale finale raggiungere nel corso del gioco: è possibile solo cercare di fare il meglio per non finire ammazzati, e quanto saremo bravi a farlo si rispecchierà poi sugli eventi della storia.
Personalmente, adoro quando una storia presenta più varianti, specialmente quando queste varianti sono sbloccabili solo alla fine (quindi tutto quel che abbiamo vissuto cambia significato solo dopo che noi abbiamo capito un'informazione-chiave). In Little Falls, però, non tutti i finali sono ugualmente convincenti, secondo me – ho avuto qualche dubbio in particolare sul finale A, che presuppone un piano troppo machiavellico da parte del nostro antagonista.
Come dicevo sopra, a volte l'asciuttezza delle descrizioni si riflette sul gameplay: le stanze appaiono un po' spoglie, con pochissimi oggetti con i quali interagire. Anche questo contribuisce alla semplicità dell'avventura, visto che ci saranno pochi oggetti da prendere o manipolare ed è facile, andando anche ad esclusione, capire cosa fare.
Musica e immagini sono molto belle. Ho apprezzato tantissimo le tracce di sottofondo e gli effetti sonori; le immagini sono un po' altalenanti, alcune sembrano più curate, o in uno stile molto diverso, rispetto ad altre, e questa differenza stona un po', ma non abbastanza da rovinare l'immersione del gioco.
Little Falls è un'avventura breve, che potrete portare a termine in un paio di giorni, se avete problemi con qualche verbo, o addirittura in un giorno solo. Non considero questo un difetto, per la cronaca. Non è un'avventura adatta a tutti: chi predilige enigmi più tosti o una psicologia dei personaggi più sviluppata probabilmente non apprezzerà quest'avventura. Chi invece è interessato all'atmosfera e a risolvere il mistero della casa che Gene deve investigare, potrà trovare qualche ora di divertimento accompagnate da un po' di sana musica inquietante di sottofondo.
"Una casa isolata, in una piccola cittadina sul fiume Mississippi. Fantasmi dal passato tornano indietro dopo anni di silenzio. Una donna richiede il tuo aiuto chiamando il 911. Fermi la tua moto davanti alla casa segnalata e inizi le indagini.
Ma la tua sopravvivenza sarà la tua unica vittoria...e dovrai trovare tutti i 7 possibili finali previsti..."
Scritto da due storici amici di OldGamesItalia (Roberto Grassi e Alessandro Schillaci), Little Falls è una delle avventure testuali italiane di maggior successo internazionale. Grazie a una meticolosa opera di conversione è adesso nativamente disponibile anche per Android su Google Play.
In attesa della nostra recensione (con tanto di videogameplay), correte a provarlo e non restere sicuramente delusi da questo affascinante thriller noir tutto Italiano!
Il sito ufficiale di Little Falls
Scarica la app per Android di Little Falls
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A dispetto dei recenti lavori di "archeologia" che mi avete visto compiere su queste pagine, ritenere che quello delle avventure testuali sia un genere ormai estinto è un errore clamoroso e belluino: la scena internazionale continua a pullulare di opere di interactive fiction, ma "oggi" arriva una sonora smentita proprio dal nostro territorio: è con immenso piacere (nonché con immenso ritardo) che presento l'avventura di quella che sembra a tutti gli effetti essere una nuova leva, e non solo un programmatore passeggero, delle avventure testuali: parlo di Giancarlo Personeni e dalla sua La volontà dei morti.
Questa avventura nasce inizialmente come romanzo, di cui, di fatto, costituisce a detta dell'autore la terza riscrittura tramite il linguaggio di programmazione Inform 6. Se è necessaria una catalogazione, non esiterei a definirla un ottimo noir: la scena si apre col nostro solitario protagonista nella sua camera da letto tra i suoi "piccoli amici inanimati", tra i quali un libro donatogli in circostanze non sospette da un amico, forse l'unico che abbia mai avuto, il quale però è stato recentemente trovato morto in una tragica occasione: l'esplosione di una macchina. Spinto dal ricordo di questa persona e da alcuni fatti che tuttavia vanno facendosi sempre meno casuali e sempre più inquietanti, ci si ritroverà ad indagare sul motivo della sua atroce morte...
L'avventura non è lunga e quindi non posso soffermarmi oltre sulla trama per due motivi: il primo, è che, naturalmente, trattandosi di un noir, anticipare anche il più piccolo dettaglio rovinerebbe il gioco; il secondo, è che ciascuno di questi dettagli è perfettamente collegato agli altri, e dunque è impossibile dissezionare lo svolgimento della narrazione senza produrre efetti nefasti sulla loro organicità.
In un'intervista che l'autore ha concesso ad OGI (e che presto si vedrà pubblicata), oltre al fatto che questa avventura è stata ricavata da un racconto, Personeni ha rivelato anche di giocare un paio di titoli "grossi" all'anno (ma spolpandoli bene fino al midollo) oltre ad avventure grafiche e visual novels, cercando di volta in volta di capire il modo in cui sono state programmate, il tutto tra un libro e l'altro. Non ci si stupirà dunque di ritrovare un protagonista con le stesse inclinazioni, ma soprattutto di avere l'impressione (che non si limita ad essere solamente impressione) di trovarsi di fronte ad un gioco ben curato fin dalle prime mosse.
La quantità di oggetti con cui poter interagire è pressoché minima, ma le descrizioni degli oggetti e degli eventi che accadono è molto evocativa e particolareggiata. Per quanto il protagonista sia all'oscuro di tutto, si sa sempre ciò che pensa, e grazie alle abilità di scrittura dell'autore si è in costante empatia con lui: il vortice di inquietudine, incredulità, orrore e straniamento in cui si è piano piano trascinati sembra assolutamente reale e alla fine, per quanto triste e malaugurata, sembrerebbe possibile perfino che una storia come quella narrata possa accadere ad ognuno di noi.. Complice il fatto, del tutto innovativo (e che rappresenta una piacevole scoperta), del modo di utilizzare gli strumenti messi a disposizione da Inform 6. La nostra indagine, infatti, consisterà nell'interfacciarsi con quello che in Inform 6 è un "menu" e che, testualmente, viene reso come lo schermo di un computer. L'immersività del gioco, grazie a questo stratagemma, è notevolmente amplificata e, nonostante sia il titolo di esordio di Personeni, l'utilizzo di questa feature in un modo così poco usuale denota una buona padronanza di mezzi, che va a rifinire la cura riposta in questa avventura. Non infrequenti, a questo riguardo, alcuni "muri di testo" che comunque non risultano mai eccessivi, non fanno cadere nella tediosità il gioco né tantomeno fanno perdere mordente, anzi: tutt'altro.
Anche il numero di locazioni è basso: tre in tutto, e mi permetto di dire (ora l'autore si arrabbierà col sottoscritto!) che ancora oggi penso che potevano essere ridotte ulteriormente di numero creando un one room game del tutto pregevole. Ma, pur essendo quello della one room game lo spirito di questa avventura, è stato scelto comunque di diluire l'azione su più locazioni rendendola ad essere onesti, anche per questo motivo, a scapito della catalogazione in noir, di difficile classificazione. A mano a mano che si prosegue nelle indagini, infatti, oltre all'elemento di inchiesta si sovrappongono diverse altre tinture, dal drammatico, il che è inevitabile, all'horror/surreale e, crediateci o no, si è riusciti a trovare il modo di inserire anche qualche gag. O, almeno, questa è stata la mia sensazione, ma non è un'ipotesi del tutto peregrina quella del sovrannaturale: Personeni ha svelato che il racconto originale prevedeva perfino dei fantasmi, opportunamente epurati su consiglio dei suoi primi lettori... si vede che qualche reminescenza è restata e ha trovato comunque modo di fare colpo. Pur essendoci queste commistioni, comunque, l'avventura riesce a non perdere mai di credibilità e, anzi, invoglia ad indagare sempre più a fondo i misteri che di volta in volta si presentano agli occhi del protagonista.
Indagine che, oltre che per brevità della trama, come detto non porterà via molto tempo per essere completata: essendo pochi gli oggetti e poche le locazioni, anche il numero di enigmi è estremamente ridotto, sono solo uno o al massimo due quelli che possono ostacolare per qualche tempo i giocatori (e sono enigmi con la E maiuscola, di quelli classici e logici), il resto, a parte qualche comando da ricercare non essendo tra quelli preimpostati di Inform 6, sono azioni per la maggior parte ripetitive che però, una volta raggiunto il finale, renderanno ragione della loro "maniacalità" in maniera micidiale. Il tutto in una concatenazione forse a volte un po' troppo rigida ma comunque ineccepibile.
La volontà dei morti ha già riscosso alcuni consensi sul forum dedicatole e l'autore è già al lavoro sul suo secondo lavoro: consiglio vivamente di provare questo titolo per manifestargli la stessa soddisfazione che questa avventura saprà darvi, non ultimo per invogliarlo a rimanere sulla scena dell'interactive fiction italiana: le carte le ha tutte in regola!
Stretta è la foglia, larga è la via
voi dite la vostra ch'io ho detto la mia
*sorrido e scompaio*
È sera, hai voglia di una storia, ma vuoi leggerla al computer. Hai voglia di giocare un'avventura testuale, breve ma magari intensa. E magari fuori piove. Anche il protagonista di questa storia si trova in una situazione simile alla tua, sai? Solo che la tua serata sarà tranquilla, la sua invece...
An Epic Tale of Crime and Corruption in the Land of the Dead!
Manny Calavera torna sui nostri schermi grazie a questo remake del classico senza tempo della LucasArts curato dai Double Fine Productions di Tim Schafer.
Per PS4, PSVita, PC, MacOS e Linux.
Lo seguivamo da tempo e finalmente è uscito.
Riusciranno gli oldgamer di tutto il mondo a resistere al suo fascino?!?
L.A. Noire, gioco sviluppato da Team Bondi per Rockstar nel 2011, ci porta nella Los Angeles dei tardi anni '40, nei panni del detective Cole Phelps, ex eroe della Seconda Guerra Mondiale entrato in polizia. Fin dall'inizio dello sviluppo, il gioco prometteva un detective game con grande enfasi sugli interrogatori e una componente free-roaming, simile a quella di un GTA. Recentemente ho terminato la versione pc del gioco, completa delle cinque DLC che erano state rilasciate per la versione console. Vediamo com'è andata.
La storia di L.A. Noire è una storia che ingrana *molto* lentamente. All'inizio seguiremo la carriera di Phelps, appena tornato da Okinawa ed entrato nel Distretto di Polizia di Los Angeles. Mentre passeremo di caso in caso e di promozione in promozione, verremo a conoscenza di conflitti più grandi, che riguardano non solo Phelps e non solo i suoi casi, ma tutta la città e, in una certa misura, tutta l'America di quegli anni. La corruzione dilagante nella politica e nella polizia, la difficoltà di reinserimento degli ex-soldati americani nella società americana, il diffondersi delle droghe, il razzismo e la misoginia rampanti... tutti questi conflitti verranno introdotti e mostrati nel corso nel gioco, per scontrarsi nel climax finale.
Ma, per le prime ore di gioco, avremo solo accenni di questa trama “globale”, e quel che staremo facendo ci sembrerà solo uno svolgersi di casi, più o meno interessanti, ma anche più o meno uguali nella loro risoluzione e sopratutto, poco connessi con Phelps personalmente. E' solo verso l'ultimo terzo del gioco che cominceremo veramente a capire dove la storia sta andando a parare, ed è sempre verso la fine che Phelps e l'altro personaggio che potremo brevemente interpretare, Jack Kelso, avranno qualcosa di personale da perdere o da guadagnare nella vicenda. Fino a quel momento seguiremo i vari casi, ma con un certo distacco, e anche le parentesi sul passato nella guerra di Phelps lasciano il tempo che trovano: dopo avranno un senso; in quel momento non sapremo che farcene.
Il rischio, ovviamente, è che un giocatore non arrivi all'ultimo terzo ma si fermi a metà gioco e non lo riprenda più. E non aiuta tantissimo il gameplay, abbastanza ripetitivo.
Il gameplay di L.A. Noire è diviso più o meno nettamente in due “pezzi”: l'investigazione vera e propria e la parte “action”.
Durante l'investigazione dovremo osservare la scena del crimine alla ricerca di indizi più o meno visibili. Il gioco si cura di farci sentire una musichetta particolare quando siamo vicino a qualcosa di importante, e se ci mettiamo ad analizzare un oggetto inutile ai fini investigativi, Phelps se ne uscirà con una frase del tipo: “Non credo sia importante”. E' un sistema a prova di rimbambito: basta girare per l'area e aspettare la musichetta, o toccare tutto il toccabile e avremo raccolto tutti gli indizi. Avremo anche a disposizione dei Punti Intuizione, che ci mostreranno a schermo tutti gli indizi rilevanti.
Una volta raccolti e analizzati gli indizi, di solito si passa all'interrogatorio di qualche sospetto o testimone. Phelps farà delle domande e l'interrogato risponderà; a questo punto noi dovremo decidere se l'interrogato ci sta dicendo la verità, se ci sta mentendo ma non ne siamo sicuri, o se ci sta mentendo e abbiamo le prove per dimostrarlo. A seconda della nostra scelta, Phels reagirà diversamente, e se ci avremo azzeccato otterremo più informazioni.
Gli interrogatori sono sicuramente la parte più curata dal Team Bondi, e d'altronde questa era la feature di richiamo del gioco: grazie al MotionScan, la nuova tecnologia di motion capture sviluppata da Depth Analysis, è stato possibile riprodurre i volti dei personaggi in maniera quasi foto-realistica. Basta vedere Phelps in qualche video del gioco, o trailer, per notare come il MotionScan sia stato applicato benissimo. I personaggi sembrano persone vere, le loro espressioni sono realistiche, e questo aspetto ci sarà molto utile per giudicare se un interrogato ci starà mentendo oppure no: basterà guardare che espressioni fa, se sposta lo sguardo o se ha qualche tic nervoso.
Purtroppo però, a volte c'è poca relazione fra quel che Phelps chiede, quel che l'interrogato risponde, e quel che noi dobbiamo selezionare. Più di un paio di volte mi è capitato che l'interrogato non dicesse qualcosa a cui potevo applicare il criterio “verità/bugia”, ma facesse una domanda a sua volta, per esempio, e non sapevo quindi che cosa selezionare. Ok, alla fine bene o male ci si può regolare (se il tizio sembra innocente, magari dice la verità e viceversa se è colpevole magari mente), ma situazioni del genere creano confusione e frustrazione nel giocatore, che sente di non avere il controllo di quel che sta facendo, che il gioco segua regole che lui non conosce.
A questo si aggiunge Phelps, un personaggio da prendere a calci in culo per tutta L.A. Nonostante abbia finito il gioco, non ho ancora capito se è la sua caratterizzazione a essere sballata o se è com'è per scelta deliberata dei programmatori. Ad ogni modo, Phelps è maleducato e schizofrenico. Cliccare “lie” (bugia) porta, 9 volte su 10, a una scenetta in cui Phelps accusa malamente il povero interrogato, gridandogli contro in maniera assolutamente fuori contesto – visto che due secondi prima tutti erano pacifici.
Non sono l'unica ad aver notato questa cosa.
Per i non-angofoni, riassumo l'esempio riportato nel link, che ben dimostra il problema che ho riscontrato. Phelps sta lavorando ad uno dei suoi primi casi, un possibile omicidio, e interroga la moglie del presunto morto (non si trova il cadavere). La moglie del morto si mostra affranta e terrorizzata, ma collaborativa. Ad una domanda, però, chiaramente sta mentendo: cliccate “bugia”, o “dubbio”, e Phelps le strillerà contro che è un'assassina, e che marcirà in galera assieme al figlio che deve partorire.
Quelle finesse, Phelps.
Altra assurdità, quando cliccheremo “bugia” senza avere una prova concreta, potremo semplicemente ritirare l'accusa e amici come prima. Immaginate la scena di cui sopra: Phelps accusa la tizia di essere un'assassina e le preannuncia che partorirà in una cella, poi aggiunge: “ehm, mi scusi, devo aver sbagliato”. La signora risponde: “Si figuri.”. Certo, come no.
Così come per la ricerca degli indizi, anche qui vediamo che il gioco ci viene facilitato in vari modi. Intanto, sono presenti i Punti Intuizione che potremo spendere per eliminare una delle tre scelte (verità, dubbio o bugia); in secondo luogo, quando sbaglieremo una scelta, Phelps ce lo farà presente subito. Sarà quindi facile interrompere il gioco e “caricare” la partita - “caricare” è fra virgolette perché i salvataggi sono automatici, ma potremo ricominciare dall'ultimo checkpoint, che di solito è sistemato all'inizio dell'area in cui stiamo effettuando l'indagine.
Ulteriore problema è la linearità del gioco. Che siamo bravi detective oppure no, che imbrocchiamo le scelte giuste oppure no, alla fine verremo comunque promossi, otterremo comunque quelle informazioni che ci servono per proseguire nella trama. E' impossibile restare bloccati.
E questo abbassa tantissimo la qualità del gioco; di fatto, rende la parte ludica del titolo totalmente inutile, e il giocatore si sente continuamente gabbato. A che serve spremersi le meningi sull'interrogatorio X o sull'indizio Y? Le uniche parti su cui noi abbiamo vera libertà d'azione sono quelle accessorie, quelle che non servono. Quelle veramente importanti e legate alla trama del gioco e al suo bellissimo climax, Phelps le fa da solo, noi dobbiamo solo stare a guardarlo. Mirabile esempio è il caso del serial killer che lascia dei messaggi criptici che alludono a diverse zone della città. A parte il fatto che magari un giocatore *non ha visto* la metà dei posti in cui lo manda il serial killer, perché nessun caso precedente ce lo ha mandato, ma di nuovo, basterà aspettare senza far niente per qualche minuto: Phelps risolverà l'enigma e ci comunicherà dove andare. Gioia.
Anche la parte free-roaming è simile a quella investigativa da questo punto di vista: tutto fumo e niente arrosto. In teoria, potremo andare ovunque nella città, che è stata ricostruita più o meno fedelmente dai ragazzi del Team Bondi (è stata presa qualche licenza poetica per alcune particolari locations). Ma... a che pro? Non c'è niente da fare o da vedere nella L.A. del gioco. Certo, ci sono delle auto imboscate in garage sparpagliati qua e là, ma basta teletrasportarsi con la mappa e le avremo tutte, perché sono segnalate. Per il resto, la città è vuota; non possiamo entrare nei locali o nelle case, a meno che non siano quelle legate a un'indagine. Non possiamo ordinare da bere nei pub, non possiamo vedere uno spettacolo, non possiamo fare niente. La città è uno scenario finto, dietro il quale c'è solo il vuoto. Possiamo, beh, guidare. La guida è riprodotta molto bene nel gioco, così come il traffico, tant'è che mi sono sorpresa di non poter accendere le frecce.
Restano le sequenze d'azione. In una parola, sono una piaga. Oltre a interrogare gente e a cercare indizi, dovremo occasionalmente partecipare a scazzottate, inseguimenti in auto, pedinamenti e sparatorie. Sono una peggio dell'altra. La scazzottata è macchinosa e dalle regole incomprensibili (quand'è che posso premere R per far terminare lo scontro? Solo quando il gioco mi avvisa con una frase? E' ridicolo); i pedinamenti sono frustranti perché molto spesso il dannato sospetto ci vedrà anche quando non dovrebbe e non ci vedrà anche se gli siamo a cinque centimetri (basta che osserviamo una vetrina); la sparatoria è una pena, con il sistema di copertura atroce e macchinoso che mi ha fatto ammazzare più volte. Se qualcuno ha provato Mass Effect o Deus Ex Human Revolution prima di L.A. Noire, tirerà delle maledizioni fino a capodanno. Ora, so che L.A. Noire non è Deus Ex, ma se ci vuoi mettere il sistema di cover, rendilo meno atroce.
Non mi esprimo sugli inseguimenti perché io ho seri problemi a tenere a bada l'auto di Phelps anche quando devo guidare a due all'ora in mezzo al traffico; negli inseguimenti mi portavo dietro mezza città. Ma potrei far notare che possiamo tirare giù tutta L.A., investire passanti e uccidere il nostro collega investendolo ripetutamente, tanto non ci succederà niente né verremo ricercati dalla polizia.
La “bella” notizia è che tutte queste sezioni è possibile saltarle a piè pari dopo averle fallite tre volte di fila, senza alcuna penalità per noi, né per quel che riguarda la storia, né per quel che riguarda il punteggio finale che ci verrà assegnato dopo ogni caso. Il che significa, di nuovo, che queste sono parti senza alcuna importanza, e/o che il gioco è pensato per gli incapaci e i rimbambiti. Personalmente ritengo che sia la seconda ipotesi quella giusta: il gioco è stato pensato per i casual gamers, per quelli che non sanno giocare e non vogliono imparare a farlo; ma vogliono solo accumulare gli achievements e andar avanti con la storia.
Dello stesso tipo sono le missioni secondarie. Andando in giro in auto per L.A., riceveremo delle chiamate dal Dipartimento che ci avviserà di alcuni crimini in questa o quella zona. Noi potremo rispondere oppure non rispondere. Se decideremo di rispondere, dovremo affrontare una piccola missioncina action. Sono missioni completamente opzionali, e dal punto di vista della storia hanno poco senso (se sto inseguendo un serial killer, non mi fermo a risolvere la lite domestica o la rapina: se ne occuperà il poliziotto di pattuglia in quella zona). Infatti, dopo qualche capitolo, ho smesso di farle: farmi venire il sangue amaro per dieci minuti di gameplay macchinoso e rozzo, non valeva la pena.
Tutto questo è un grandissimo peccato, perché il concept è buono, le premesse c'erano, e storia ed atmosfera ci sono tutte. Una volta superata la metà circa del gioco, infatti, la trama finalmente ingrana. Da un certo punto in poi, sono passata dal proseguire nel gioco nonostante la noia, al proseguire perché volevo capire cosa stesse succedendo e come finisse la storia. E il finale non delude: finalmente Phelps mostra il suo lato umano, tutti i nodi vengono al pettine e la storia che ne risulta è una storia matura, in cui non ci sono eroi e non ci sono soluzioni perfette per ogni cosa. Quel finale è uno degli unici due aspetti che non mi ha fatto pentire di aver speso così tante ore dietro il gioco.
L'altro è la città. Non sono mai stata a L.A., però l'atmosfera che si respira nel gioco è autentica. Girare in auto durante le missioni, ascoltando la radio, teletrasporta immediatamente in quegli anni. Restare bloccati nel traffico non pesa, perché tutto attorno a noi c'è qualcosa da osservare che ci dà la perfetta illusione di essere *lì*. E, Phelps a parte, tutti i personaggi, dai nostri colleghi alle comparse, alle vittime dei vari crimini, risultano, allo stesso modo, molto realistiche. Si può davvero toccare con mano non solo l'aspetto che la gente aveva all'epoca, ma quello che pensava, quello che leggeva, quello in cui credeva e per cui lottava. Anche le musiche create per il gioco sono perfette e alcune si rifanno molto chiaramente ad alcuni film noir (d'altronde, è possibile giocare in bianco e nero per ricreare maggiormente l'illusione di essere in uno di quei film).
Durante la stesura della recensione ho pensato spesso a come inserire – e se inserire – qualche riga sulla diatriba fra alcuni impiegati del Team Bondi e il loro capo, Brendan McNamara. Alla fine, come state leggendo, ho deciso di inserire un paragrafetto qua, perché mi son resa conto che in Italia non si è avuto sentore di nulla. Per farla breve, dopo la pubblicazione di L.A. Noire, alcuni ex-membri del team hanno pubblicato una lista rivenuta e corretta dei credits del gioco: più di 100 nominativi mancano nei credits ufficiali, e sono nomi di persone che hanno lavorato solo per qualche mese, o che comunque hanno mollato il Team Bondi prima della fine dello sviluppo, durato ben sette anni. Undici ex-impiegati Bondi hanno poi rilasciato alcune dichiarazioni spiegando gli orari massacranti a cui erano praticamente costretti (nel senso che nessuno li costringeva fisicamente, ma subivano una forte pressione psicologica affinché facessero anche 100 ore a settimana) e che si fosse comunque sempre in ritardo sulla scaletta, che molti abbiano mollato, non potendone più, e problemi di simile genere. Qui e qui potete leggere tutta la storia, comprese le risposte di McNamara, che negano e non negano quanto riferito dai suoi ex-impiegati. A quanto pare, tutto si è concluso in una pila di debiti. E, sempre a quanto pare, non è solo il Team Bondi a richiedere questi orari massacranti, ma la cosa è “la norma” in SH di una certa grandezza, come ha dimostrato un altro caso abbastanza famoso, quello di EA Spouse, che potete leggere qui (sì, EA, nessuno è sorpreso, lo so).
Questo non cambia di una virgola il giudizio su un gioco, naturalmente, ma è una riprova del fatto che a volte non è l'incompetenza dei singoli sviluppatori, quanto le deficienze – in tutti i sensi della parola – della produzione a causare problemi nel prodotto finale e nei poveri cristi che ci lavorano sopra.
E torniamo quindi al gioco. Nel complesso, definirei L.A. Noire “un'ottima premessa mal sviluppata”. C'era il potenziale per un gioco investigativo davvero senza precedenti per quanto riguarda l'immersione, se solo la parte free-roaming fosse stata sviluppata abbastanza bene. Sarebbe stato comunque un ottimo detective game se la parte investigativa fosse stata sviluppata meglio, ossia con la possibilità concreta di fallire dei casi e di dover affrontare le conseguenze di questo fallimento, senza arrivare al game over e senza assolutamente poter proseguire come se nulla fosse. Adesso come adesso, risolvere i casi è divertente, e i casi stessi sono interessanti e moralmente ambigui, ma il potenziale del gioco è molto sprecato. Quello svolto sul background e sull'atmosfera del periodo è invece un lavoro eccellente, ma questo non basta a fare un videogioco, non un *buon* videogioco, almeno.
Notizia flash, appena giunta dall'E3 2014 e più precisamente dalla conferenza Sony.
Grim Fandango, uno degli ultimi classici dell'epoca d'oro delle avventure grafiche, tornerà in versione rimasterizzata su PS4 e PSVIta (non si hanno info su ulteriori piattaforme).
A richiederlo a gran voce tramite una lettera strappalacrime, la piccola Sally, 10 anni, manine paffute, barba e il faccione di Tim Schafer.
Il sito di OldGamesItalia è attualmente "in letargo". Nuovi contenuti saranno aggiunti con minore regolarità e con possibili lunghe pause tra un articolo e l'altro.
Il forum rimane attivo, ma meno legato al sito, e gli aggiornamenti riguarderanno principalmente le sezioni di IF Italia e della versione italiana del Digital Antiquarian e del CRPG Addict.
Grazie a chi ci è stato vicino nei vent'anni di attività "regolare" di OldGamesItalia, a chi ha collaborato o a chi ci ha soltanto consultati per scoprire il mondo del retrogaming. Speriamo di avere presto nuove energie per riprendere un discorso che non vogliamo davvero interrompere.
Grazie, OGI. Arrivederci!
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