Vampire: The Masquerade - Bloodlines

 
Affrontare la recensione di un gioco come Vampire: The Masquerade - Bloodlines non è facile. Specie a distanza di ormai dieci anni, con tutte le patch che sono state fatte, con tutto quello che c'è da dire e fare e riorganizzare. 
Ho deciso infatti di approfondire un po' questo discorso, facendo diventare il lasso di tempo dall'uscita un punto a favore: partiamo quindi con la recensione liscia, poi le considerazioni.
 
Vampire: The Masquerade - Bloodlines è un titolo del 2004, sviluppato su motore Source (Half Life? Counter-strike? Zeno Clash?) dalla - fermate i canti di lutto che salgono dalla valle di lacrime - Troika Games e si presenta come un RPG piuttosto audace che alterna la prima alla terza persona. Il setting è la partita standard di Vampire cartaceo: Los Angeles e la sua notte ci circondano, affascinandoci con la presenza di qualsiasi deviazione umana possibile, specchiata con l'ingenua innocenza - apparente? - dei normali "abitanti". Abitanti che sono tuttavia fonte di nutrimento per i Kindred, vampiri. Leggenda? Chiedetelo a lei, magari mentre siete al buio e girati di spalle.
 
 
La leggenda tuttavia esiste, dentro la leggenda vivente: si dice il primo vampiro fosse Caino - sì, QUEL Caino - che uccise il fratello e nell'originale fu condannato all'infertilità dei raccolti, che poi ebbe la stirpe che Dio tentò di cancellare con il Diluvio Universale. Se non era un vampiro, come nella versione della storia di Vampire, certo ha fatto un sacco di casino, a modo suo.
 
Nella versione di Masquerade quindi, Caino è stato condannato a bere sangue umano e da lui sono discesi i vari vampiri che poi hanno dato vita alle fazioni di numero infinito correntemente esistenti al mondo. Il nostro vampiro, di cui potremo scegliere caratteristiche abbastanza fedeli al cartaceo, è un povero disgraziato che è stato appena "abbracciato", cioè è appena diventato un Kindred. La trama si svilupperà poi sulla rincorsa ad un sarcofago per conto della Camarilla, setta che riunisce sette fazioni vampiriche e che rispettano la Masquerade (un codice di condotta per evitare di far scoprire i vampiri) e che a inizio gioco ucciderà il nostro partner per aver violato la Masquerade, insieme di regole tra vampiri, rendendoci per l'appunto uno di loro senza autorizzazione. A capo della Masquerade, il "principe" Lacroix vuole recuperare il sarcofago al cui interno vi è un vampiro assiro molto potente, probabilmente perché bevendo il sangue di un vampiro se ne acquisiscono i poteri.
 
 
Ecco che iniziamo il gioco con un veloce ed abbastanza dettagliato tutorial e via, passando per missioni principali e sottomissioni di vario tipo - alcune delle quali veramente memorabili, come la missione nella villa stregata, vero momento horror del gioco e davvero suggestivo - fino a raggiungere il finale multiplo, mentre nel frattempo avremo plasmato - molto limitatamente, purtroppo - il mondo di gioco con le nostre scelte nel corso dell'avventura. Come in ogni action RPG che si rispetti, avremo armi ed abilità che ci aiuteranno, ed in moltissime occasioni avremo più possibilità di gestirci le situazioni: entrare ad armi spianate e fare piazza pulita, andare di diplomazia, assassinare soltanto chi ci interessa, far sembrare il misfatto che andiamo compiendo uno spiacevole incidente e così via.  Da citare il fatto che le relazioni con i personaggi del mondo di gioco si modificheranno a seconda della strada scelta per risolvere le situazioni.
 
Fatto il veloce recap di cosa stiamo parlando, andiamo con i giudizi tecnici nudi e crudi: i punti di forza del gioco - specialmente nel 2004 - sono la grande attenzione posta sul far sì che ogni abilità risulti utile in più situazioni e introduzioni piuttosto innovative per il tempo. In quei giorni in cui una cosa del genere era degna di un applauso, l'introduzione della skill di hacking fu un colpo molto riuscito, così come il vero sistema di stealth. Le musiche ed il doppiaggio meritano sicuramente menzione d'onore - anche il plagio preciso di Angel dei Massive Attack della schermata del titolo - , ma non i suoni, che passano dal limitarsi al loro lavoro, ad essere davvero esagerati (le armi paiono tutte delle .44 Magnum con il silenziatore messo o tolto) così come la grafica, forse uno dei grandi "peccati" (oltre che pecca) del gioco: la Troika acquistò l'allora freschissimo - ed esoso oltre ogni limite economico e di requisiti - motore Source della Valve, ma non lo sfruttò veramente. Eccoci di fronte quindi ad animazioni, oggetti e "popolazione" delle scene che, confrontate con Half-Life 2, uscito e sottolineo - anzi, fatemelo fare per bene - LO STESSO GIORNO, il 16 Novembre 2004, non regge proprio il paragone nemmeno per un secondo. La stessa mimica facciale a volte è incerta,  il sistema di combattimento in prima persona una GIGANTESCA operazione di sforzo mentale e cognitivo per cercare di non uscire pazzi nello sparare con un revolver senza abbastanza punti skill... nel 2004 era stato definito un "sistema che favoriva il combattimento corpo a corpo ed il realismo" ma in questo caso non è molto benefico. Il corpo a corpo vi porterà infatti otto volte su dieci ad essere ridotti a zero o metà vita e, per quanto questa si riempa nuovamente succhiando il sangue dalle persone, si rischia la morte con una semplicità disarmante anche in una sparatoria da bar - il che rende lo script molto realistico, in quanto dev'essere un'imboscata ai nostri danni, ma di certo fa capire quanto è limitato il sistema di combattimento - ed andrebbe bene fossimo Larry Laffer, ma qui siamo dei vampiri che sono di natura supernaturalmente veloci e forti. Un punto soggettivo, forse.
L'incapacità dell'AI nei riguardi del vostro stealth o in svariate ed innumerevoli occasioni - come quando ci saranno muri fra voi, o angoli - non è soggettivo. Manco un po'.
 
 
Parlando di quanto invece la storia ci piaccia - perché ci piace, per quanto scada un po' verso il finale - è bene iniziare a parlare della storia dietro la produzione di Bloodlines. Molti di voi sapranno sicuramente che questo fu l'ultimo titolo pubblicato dalla Troika Games, nata dalla dipartita dalla storicissima Interplay di tre avvenenti programmatori. Chiuso il progetto del Tempio del Male Elementale di cui OldGamesItalia ha anche la traduzione ed un Let's Play, la Troika dovette confrontarsi con Bloodlines ed i suoi continui problemi nello sviluppo, oltre che con quella graziosissima casa infame e da evitare Since 1979 (o poco dopo) che è l'Activision. Dopo tre anni di sviluppo, l'appena citato publisher raddoppia il budget di sviluppo e manda due programmatori - sicari? - a completare il progetto insieme il team di sviluppo, che nel frattempo era stato sostituito nel settore di scrittura durante le prime fasi di sviluppo.
 
Uno dei problemi che ha portato a più ritardi fu sicuramente il fatto che l'AI del Source, che era in stato alpha al momento dell'acquisto da parte della Troika, non era completa e dunque richiese di essere scritta al momento dagli sviluppatori, con i risultati piuttosto incerti di Bloodlines. Dunque con i due programmatori Activision, il progetto viene ultimato durante Settembre 2004 e cominciato a testare. Sicuramente i primi bug evidenti si fanno largo, così che l'Activision, sfruttando la clausola di contratto con la Valve che impediva la pubblicazione di giochi con Source prima del rilascio ufficiale di quest'ultimo, concede alla Troika una settimana per correggere i bug critici. Il motivo per cui le versioni retail di Bloodlines, dunque, recano la scritta "v1.1" nei file di gioco, è esattamente questo.
 
Dopo l'uscita, che non ripeteremo mai abbastanza, ma fu la più grossa cazzata mai realizzata, vista l'importanza di un titolo come Half Life 2, la Troika era in uno stato di profonda confusione esistenziale in cui l'insoddisfazione per come il gioco era uscito si univa agli sgoccioli di vita dell'azienda. Se l'Activision aveva messo in chiaro che Bloodlines non era più un progetto importante e da chiudere, i tre ragazzi rimasti alla Troika dopo la liquidazione di pressoché tutto il team erano in cerca dell'idea per salvarsi dal baratro della chiusura. In tutto questo disastro che possiamo tranquillamente immaginare, una patch ufficiale di Bloodlines  viene rilasciata un mese dopo l'uscita del gioco, con il lavoro combinato degli ultimi tre rimasti della Troika e dipendenti che erano stati licenziati a causa dell'imminente chiusura, avvenuta nel Febbraio del 2005.
 
La Troika chiusa ed il gioco patchato ma ancora pieno di buchi sugli scaffali, a soltanto tre mesi dalla sua uscita, stava a significare che non esisteva più un supporto tecnico nel caso di bug.
Dalla morte della Troika, una fenice nella community si erge: Dan Upright con due community patch e Wesp5 (ovvero Wesp Spahl, chimico analista) con le infinite e continue patch non ufficiali hanno portato il gioco ad uno stato decisamente completo. In particolare le patch non ufficiali del secondo sono sviluppate sulla base di quelle del primo ed hanno la particolarità di essere in produzione da ormai nove anni, con l'ultima 8.9 pubblicata ad inizio Febbraio di quest'anno. Wesp5, anche e soprattutto grazie al supporto della community, ha reintegrato moltissimo materiale apparentemente tolto per motivi di tempo o di altro tipo e lavora sulla ricostruzione e sistemazione dei vari bug ed è già riuscito a ricostruire intere sezioni tolte. Il suo installer, tanto per dire, propone un'installazione basic dove corregge e reintegra parte del materiale, o una "Tweaked" dove ci sono anche cambiamenti e correzioni di altro genere che, tuttavia, possono risultare un po' troppo invadenti.
 
 
Mentre ci avviciniamo al decimo anniversario di Vampire: The Masquerade - Bloodlines (aspettandoci qualche gradita sorpresa, si spera) dunque, c'è ancora chi lavora per far sì che il gioco risulti completo e non quel "capolavoro unfinished" che fu a suo tempo. Un po' come Il Tempio del Male Elementale, forse, Bloodlines è uno di quei casi dove la community non ci sta, dove la mancanza di veri successori o anche solo cloni degni spinge a finire, rifinire e perfezionare il progetto iniziale.
 
In conclusione; non possiamo sapere cosa sarebbe successo se Bloodlines avesse avuto più tempo di sviluppo, o una data di uscita non coincidente con un colosso come Half-life 2,  o se la Troika sarebbe riuscita a far completare una Redemption - che battuta triste - a Bloodlines, ma possiamo sicuramente sapere ed essere certi che qui non si sta parlando di un gioco riuscito male, con difetti di gameplay o errori di game design, ma di un vero e proprio classico cult, reso immortale grazie ai fan... ed un'uscita su Steam che ha riacceso qualche animo e risvegliato il vampiro.

Steam Machines: foto e specifiche

Abbiamo parlato di Valve e del suo progetto che punta a creare una piattaforma di gioco che possa unire due realtà videoludiche da sempre contrapposte, da un lato le console con la loro comodità e dall'altro i pc per gaming, con tutti i loro vantaggi; abbiamo parlato anche di steamOS di Steam machines e del suo controller che nelle intenzioni di Valve permetterà di fruire di giochi che sono stati pensati per essere giocati tramite mouse e tastiera stando comodamente seduti sul proprio divano.

Ora finalmente sono state rilasciate foto e specifiche tecniche della console che, ricordo, verrà spedita a 300 beta tester che la proveranno e invieranno dei feedback che permetteranno di apportare le dovute modifiche nel caso in cui si riscontrasse la necessità.

A gennaio il CES (Consumer Electronics Show) di Las Vegas farà quindi da palcoscenico alla presentazione ufficiale delle steam machines ed il plurale è voluto, visto che nei piani di Valve saranno prodotte diverse macchine con differenze che varieranno in fattore del form factor, potenza, e prezzo.

Il form factor del prototipo riprende quello che è il trend visto nelle next generation made in sony e microsoft, ovvero un (anonimo n.d.r.) parallelepipedo, mentre per il comparto hardware si partirà dal mdello top di gamma equipaggiato con un processore intel i7-4770 ed una scheda grafica Nvidia Titan, fino al modello base che monta un processore intel i3 ed una scheda nvidia gtx660; tuttavia ci saranno versioni equipaggiate anche con schede Nvidia GTX780 e GTX760 e con processori intel i5-4570

A completare la dotazione hardware, 16G di ram DDR3, disco rigido ibrido, da 1TB/8GB ed un alimentatore da 450W; i prezzi ovviamente varieranno in fattore delle varie combinazioni, ma faccio notare che da una parte solo la Nvidia Titan costa circa 1000 euro e che d'altra parte, essendo la vendita delle console prevista per la metà del 2014, è ipotizzabile un calo di prezzo della stessa.

In unarecente intervista su The Verge si racconta poi di come le difficoltà maggiori si siano riscontrate nella progettazione del controller, e di come si sia passati da un controller interamente touch che simulava i tasti della tastiera, passando per la trackball, fino ad arrivare alla versione definitiva, basata su pulsanti e trackpad, e sul come il progetto originale contemplasse anche dei sensori biometrici, scartati successivamente per la difficoltà di interpretare i segnali che variano da persona a persona come il sudore. Confermata invece la presenza del giroscopio.

Ma il pad potrebbe non essere l'unica periferica di imput: teoricamente tutte le periferiche da gioco supportate da linux dovrebbero essere compatibili con SteamOS, una particolare attenzione però è rivolta a “oculus rift”, dispositivo per la realtà virtuale che sta avendo un discreto successo a giudicare dalle opinioni di chi ha provato la versione preliminare.

Valve è stata una delle prime aziende a supportare il dispositivo, inserendo delle patch per Team Fortress 2 e Half Life 2 per adattarli al dispositivo, ed una applicazione “OpenVR che serve a calibrare e configurare il dispositivo con i titoli steam. Ma non è tutto! Sempre nell'intervista accennata nel paragrafo precedente si lascia intendere infatti che valve potrebbe sviluppare in proprio un visore per la realtà virtuale, ma sono solo rumor, e alla luce della collaborazione tra valve e oculusVR mi sembra alquanto improbabile.

Steam il futuro e il passato dell'olgamer su pc fa parlare di sé anche sull'Ogi Forum

Games week 2013 - la (scanzonata) cronaca
Come si (soprav)vive alla Games Week.

Un’alzataccia! Comincia così l’avventura degli autoinviati/imboscati del numeroso gruppo di Archeologia Videoludica e Dietrologia videoludica nel fine settimana milanese della Games Week 2013. Io e Simone Pizzi che ci ritroviamo sotto casa mia attorno alle 5.30 di mattina nella macchina guidata dalla di lui consorte che ci recapita come un pacco postale alla stazione pronti a partire per raggiungere Giuseppe Saso a Tiburtina FS.

Gli occhi sono lucidi, ma non di commozione, rossi e a malapena aperti che fissano il buio che avvolge le rotaie in lontananza. Pochi minuti e Giuseppe ci messaggia che sta già attendendo il nostro arrivo, evidentemente è stato il più mattiniero; insieme a quei pochi pendolari che salgono sulla navetta insieme a noi, lo raggiungiamo. Il tempo per un caffè, una (poco) sana esplorazione delle latrine del posto e saltiamo in groppa ad “Italo”; durante il tragitto pianifichiamo i nostri movimenti e la nostra giornata.

Cominciamo a coordinarci anche con chi è sul posto ma sicuramente non tramite il wi-fi del treno che, essendo noi poveretti stipati nello scompartimento in configurazione “pezzenti”, ha deciso di andare più lento di un modem 56k: grazie Montezemolo. Comunque tra una sonnecchiata, una partita a Candy Crush (che possiamo smettere quando vogliamo) e quattro chiacchiere sulle nuove uscite videoludiche, ci appropinquiamo alla stazione di Milano dove il nostro Stefano Paganini ci avverte che ci sono problemi alla metro, ma non su tutta la metro, solo sul tratto che interessa a noi.

Scatta il piano “taxi”. Roberto Bertoni, che nel frattempo ha deciso di farsi una scarpinata dal parcheggio alla fiera, è già arrivato e decide di darci informazioni fondamentali per raggiungerlo alla sala conferenza dove sta per entrare in scena il motivo fondamentale della nostra trasferta: Nolan Bushnell, fondatore dell’Atari, aprirà la Games Week! Un ottimo spunto per fargli qualche domanda.

Comunque torniamo a noi. Dopo esserci accreditati e ritirato i nostri pass saltiamo la fila lanciando pernacchie interiori ai poveretti costretti ai tornelli e ci dirigiamo verso la zona fiera. Roberto, come già detto, ci da le indicazioni per raggiungerlo nella sala dove Bushnell sta per “esibirsi” e lo fa talmente bene che ad un certo punto io, Simone e Giuseppe ci troviamo in una specie di loop spazio-temporale dal quale non riusciamo ad uscire. Tuttavia, tra ascensori che non vanno da nessuna parte e scale mobili che salgono solamente, alla fine troviamo dei cartelli con scritto “sala stampa”. Li seguiamo ma arriviamo ad una stanzetta dove alcuni nostri colleghi e colleghe si ingozzano si preparano al meglio alla giornata. Ovviamente non sanno minimamente dove sia la sala conferenze.

E’ solo perseverando nel proseguire nel nostro loop che alla fine giungiamo alla meta e ci sediamo nei posti che Roberto ci ha tenuto, e lì sul palco c’è lui, Nolan Bushnell. Bushnell parla, gesticola, punta il suo laser sulle slides, parla di internet, delle idee, della fantasia, di come Steve Jobs non fosse altro che un ingegnere mediocre e puzzolente ma con la passione e la capacità di scegliere bravi collaboratori come Wozniac. Insomma alla fine lo capisce anche un’idiota che non parla una parola di inglese che si sta facendo un megamarchettone, ma non importa, ce lo sorbiamo tutto. Alla fine saluta e da appuntamento a più tardi, quando risponderà alle domande. Ci saremo anche noi ovviamente.

Approfittiamo del tempo per riunirci e finalmente conoscerci dal vivo tutti quanti: io, Simone, Giuseppe, Stefano, e Carlo Santagostino; molti di noi infatti si sono “incontrati” solo via Skype. Strette di mano, baci e abbracci e la consegna a Roberto della copia di Rama che avevo messo da parte da almeno un anno. Roberto trasuda emozione bulgara da ogni poro della pelle. Un salto allo stand “gamecollection.it” e una rapida esplorazione dei vari espositori, spesso corredati da svestite fanciulle che causano notevoli difficoltà motorie ai passanti di sesso maschile costretti a gestire piedi e occhi che vanno in direzioni opposte allo stesso momento.

Alla fine viene il tempo di riempire anche i nostri protestanti stomaci che rivendicano cibo. Ovviamente essi non sanno che li attende il “panino da fiera”: 10% ingredienti semiquasi freschi, 60% ingredienti a lunga conservazione, 25% cattiva igiene, 5% essudazione varia, il tutto condito con salse di ogni sorta e ad un prezzo che in proporzione ci mangi in un ristorante da gambero rosso. Ci ingozziamo su una panca e finito il lauto pasto ci appostiamo per sorprendere Bushnell alle spalle impedendogli di sfuggire alle nostre domande. E così è!

Proprio quando si affianca allo stand di “gamescollection.it Stefano e Carlo lo circondano, gli ficcano un microfono davanti alla bocca e gli fanno domande. Bushnell risponde mentre Simone ed io riprendiamo. Ora, malgrado entrambi fossimo a non più di 40 cm, nessuno ha capito cosa gli è stato chiesto né, tanto meno, cosa ha risposto a causa del baccano circostante, ma non importa, esistono riprese e registrazioni. Le ascolteremo insieme a voi. Ad un certo punto Stefano viene allontanato quasi a forza visto che sta monopolizzando la “star” e l’intervista finisce. Ok, il più è fatto.

Ora viene la parte in cui ci possiamo rilassare e goderci la fiera per cui, come gli attori di un film horror di serie “B”, decidiamo di dividerci; io e Giuseppe ci facciamo un giro e poi, giunti di fronte allo stand degli amici di “IGN” ci mettiamo in fila per provare “Oculus Rift”, ma ho la pancia piena… ho paura di vomitare. Eppure, malgrado i diversi capogiri accusati durante la prova, il cibo resta ben ancorato nello stomaco, è una soddisfazione! Certo che l’idea di far provare questa diavoleria in piedi non è proprio il massimo, tant’è che Simone Soletta di "IGN" mi conferma che durante la mattinata hanno dovuto recuperare un ragazzo al volo che stava precipitandosi su uno spigolo. Devo dire che l’effetto treddi è affascinante anche se, personalmente, non sento il bisogno di attrezzarmi con un casco per giocare, in particolar modo se utilizzato da diverse decine di persone sudaticce che lasciano tracce biologiche varie sul mezzo. Comunque anche Giuseppe fa la sua prova ma, essendo più avvezzo per aver già avuto esperienza con l’Oculus, non si limita ad andare in circolo per la strada presa da un livello di Half Life 2 sbattendo sui pali e irritando le guardie; riesce infatti a trovare una porta e ad infilarcisi dentro, rivelando un altro pezzo di mondo dove un tipo sta facendo la fila da solo sempre sotto l’occhio vigile di una guardia.

Una volta riunito il gruppo Giuseppe mi imbuca nello stand PS4 dove posso provare un gioco di auto; Simone ha chiesto il permesso di filmare ma, anche se il tipo all'ingresso ha dato il consenso ad eccezione dello schermo dedicato al clone di se stesso Assassin’s Creed Black Flag, viene intimorito da un energumeno alle sue spalle e decide di soprassedere. Il gioco “Driveclub è il solito gioco di macchine, e francamente anche con della grafica a tratti poco next gen. In compenso posso provare anche "Knack" che subito mi fa rimpiangere Assassin’s Creed; insomma sbandierare un gioco come questo come esempio della potenza della nuova console Sony mi pare eccessivo: in fondo è un gioco “dimenare” non particolarmente attraente.

Poi passiamo davanti ad una postazione dove un ragazzo sta giocando proprio un Assassin’s Creed, dovrebbe essere l’ultimo in ordine di uscita visti gli abiti, ma le features che vediamo (assoldare prostitute per distrarre le guardie e rubare) potrebbero appartenere a qualunque altro episodio della serie; insomma novità, novità, novità. Usciamo delusi e cerchiamo di trovare nella folla Cesare Giraldi che nel frattempo è arrivato e si è intrufolato in diversi stand a fare prove. Il tempo per una foto di gruppo, un saluto a quelli che non torneranno in fiera il giorno dopo e decidiamo, vista l’ora, di dirigerci in albergo, fare finalmente il check-in e organizzarci per la cena in un locale molto particolare dove al posto dei menù ti forniscono l’I-Pad dando un nuovo senso al collezionare menù di ristoranti.

La notte passa in fretta e di buon mattino (ok erano le nove e mezza) rientriamo alla Games Week per un giro finale, un’esplorazione senza uno scopo specifico, un girovagare quasi da zombas in cerca di qualcosa di interessante che magari ci è sfuggito il giorno addietro. Va bene in realtà mi faccio un paio di foto con cosplayers standiste (che bisogna far guadagnar loro il pane) ma evito quella della Xbox one, una stangona in pantaloncini che mi intimorisce un pochino. Anche Simone decide di fare la sua prova con l’Oculus Rift e ci accorgiamo che, finalmente, hanno messo delle sedie per far accomodare le cavie.

In compenso hanno aumentato la difficoltà della tech demo in quanto hanno inserito dei nemici e la possibilità di difendersi; in effetti Simone sembra in preda a delle convulsioni quando in realtà sta cercando di muovere il personaggio, la visuale e il braccio con l’arma con tre comandi diversi con un forte rischio aneurisma. Decide di abbandonare quando, nell'impeto della sessione, si rende conto che sta cercando di abbattere un elicottero con un piede di porco. Salutiamo qualche fan, distribuiamo qualche biglietto da visita e dopo mezzogiorno ci incamminiamo verso il solito ristorante con gli I-Pad nella speranza vana di portarcene uno a casa.

Il viaggio di ritorno con “Italo” in classe pezzente è ancora peggio di quello dell’andata, con molte più persone, molto caldo e almeno quattro fermate in più; raccogliamo le idee e ci riproponiamo di organizzarci meglio per l’anno a venire nella speranza di potervi incontrare alla Games Week 2014 e intervistare la prossima “guest star” di turno.

Gamesweek sull'Ogi Forum

Smoke gets in your eyes

Esplorare la cortina dietro le emozioni che quotidianamente i videogiochi creano davanti ai vostri occhi, alzare il velo e scavare in profondità alla ricerca di qualcosa di vivo all'interno degli occhi dei protagonisti... cosa ci trasmette davvero quel freddo insieme di poligoni?

Per la lettura si consiglia, contestualmente, l’ascolto di Smoke Gets in Your Eyes dei The Platters (what else?!!)....

Stavo guardando un let’s play di Metro 2033 per capire che tipo di gioco fosse e c’erano questi tizi, che parlavano con un buffo accento dell’est, impegnati a tiranneggiare il protagonista (preciso: buffo non ‘in quanto dell’est’, buffo, perché doppiati alquanto maluccio).

Costui, chiaramente sfavorito dalla natura, rimaneva *muto* ad ascoltare i loro dialoghi intrisi di vodka; istupidito obbediva ciecamente alle loro istruzioni:
«Artyom, è ora di alzarsi!»
«Artyom, vai di qua!»
«Artyom, vai di là!»
«Artyom, non dimenticare di comperare le munizioni!».

Occorreva che lo imboccassero a ogni piè sospinto. L’impianto grafico, nondimeno, era da paura: assistevo esterrefatto alla sublimazione dell’esperienza post nucleare: intrico di tunnel per magnificare la claustrofobia, anfratti scavati dentro cubicoli, stanze ricavate da sgabuzzini e sopra le teste, fra le banchine di un binario morto, utero di un vagone derelitto, panni sporchi stesi ad asciugare e qua e là, come punti di colore, bambini imbacuccati intenti a disegnare col gesso sulle pareti di cemento grezzo persi nella ‘normalità’ degli abissi d’acciaio. L’uomo vitruviano avrebbe avuto le sue rimostranze da fare!

Una volta tanto l’ambientazione si rivelava un’ottima scusa per giustificare la linearità del titolo. Quello che mi dava fastidio era il tunnel dentro il tunnel; il binario-altare su cui la libertà del protagonista veniva sacrificata in onore della regia, dei momenti scriptati atti a riversare sullo sfigatissimo Artyom ondate di x nemici, con x sempre ‘molto maggiore’ di 2. Il tutto per creare tensione, ma con questo sistema ci riusciva già benissimo Doom (ricordate “Knee deep in the dead”?).

Ora al punto. Improvvisamente il let’s play si inginocchia davanti ad un NPC (con intenzioni che in un primo momento mi sono parse dubbie) e richiama l’attenzione dello spettatore sugli occhi del summenzionato: «Guardate i suoi occhi» dice «Che occhi intensi!». È lì che mi sono accorto che, da un po’ di tempo a questa parte, anch’io mi soffermo a guardare gli occhi: gli occhi di Jeanette (VtMB), gemelli diversi come quelli di un husky; gli occhi di Samara (ME), luminosi di energia biotica; gli occhi di Madison Paige (HR)… beh, per la verità a MP le ho sempre e solo guardato il [censored].

Gli occhi dicevo, occhi che un tempo erano solo dei punti neri, dei pozzi scuri piazzati su facce di pixel per far sì che fossero, appunto, facce. Oggi, invece, gli occhi sono il bullseye, il centro dell’attenzione, perché quale miglior veicolo di espressività si può trovare di quella palla di nervi e cristallini in soluzione salina? E allora primo piano sugli occhi di Miranda, inumiditi dopo l’incontro con l’amata sorella; inquadratura a scendere sugli occhi di Jack, impiastricciati da lacrime di mascara perché, finalmente, può giacere con Shepard.

Ecco, ora ricordo, probabilmente ha avuto inizio con il motore Source e gli occhi di Gordon Freeman: occhi verdi, intensi, l’espressione da duro che ammiccava dai banner promozionali che tappezzavano *tutte* le pareti virtuali degli innumerevoli siti della rete.

Era il 2004. È in quel preciso momento, forse, che l’attenzione si è spostata sugli occhi e al relativo fumo che viene gettato nei medesimi per creare l’impressione dell’emozione; fumo che,giocoforza, finisce anche nei bulbi del giocatore chiamato a spendere qualche lacrimuccia di fronte alle disavventure di questo o quell’altro protagonista.
Fumo negli occhi, come una cortina, levato per distrarci da una spesso colpevole assenza di gameplay, come ad esempio accade in The Walking Dead dove l’attenzione indugia, manco a dirlo, sugli occhi di Clementine: piccole gocce ambra colate sul delizioso visetto da bambina.

Ed ecco che ora dovete sorbivi la tirata nostalgica. Stavo, contestualmente alla visione del let’s play di Metro, accingendomi a tornare nella mitica città di Baldur’s Gate (in compagnia di Avril, una ladra neurale-malvagia che lèvati), quando mi sono accorto della sostanziale differenza tra i videogiochi ‘del passato’ e l’offerta contemporanea
o almeno buona parte di essa.

Prima dell’avvento e del domino degli occhi, era *quanto* noi giocatori mettevamo in un titolo, in termini di impegno, di fantasia per colmare le lacune di una grafica ‘limitata’ (nondimeno limata); ora tutto ruota intorno all’offerta degli sviluppatori che decidono: regia, movimenti, emozioni, insalata di occhi. Ah, sì… occasionalmente ci lasciano giocare.

In Planescape: Torment non ci sono ‘occhi’, ma *vi giuro* quando ho letto la descrizione della sfera dorata che si apriva mi sono commosso. In TWD, invece, non ho pianto per la tragica sorte del protagonista (la si poteva già intuire dal capitolo primo), ho pianto nel momento stesso in cui ho realizzato che il gameplay poteva essere ridotto a una mera stringa di caratteri: <Q>, <Q>, BLAM!, <Q>, <Q>. O forse mi era entrato del fumo negli occhi.

Togliete la nebbia dai vostri occhi passando per l'Ogi Forum

Mattia Traverso e la sua "One and One Story"

Premessa/AM: Pochi giorni fa, in maniera del tutto casuale sono venuto a conoscenza di "One and One Story" , un gioco molto semplice che mi ha fatto subito simpatia per la cura dei dettagli e l'atmosfera un pò malinconica. Appreso che l'autore fosse un giovane italiano, ho voluto indagare un pò più a fondo, e devo dire che ne è valsa la pena poichè ne è scaturita un'intervista molto divertente. Buona lettura! 

AM: Parlami un po' di te: dove vivi, studi fatti, passioni, esperienze professionali e non in questo settore, cosa stai cercando e qual è la tua attuale professione.

MT: Domanda complessa! (Anche perché non c'è molto da dire attualmente!) Mi chiamo Mattia, ho diciotto anni e vivo a Roma. Per quanto riguarda gli studi, direi che il liceo con il game dev c'entra poco (anche se, a mio modo di vedere, dà modo di formare una cultura generale utilissima ad un Game Designer), dunque posso parlarti di ciò che ho letto in maniera autonoma.

Posseggo una decina di libri sul Game Design (In particolare consiglio lo Schell e "A theory of Fun" a chi eventualmente fosse interessato) e devo dire di averne letti ben tre. Il segreto di un bravo designer è infatti una libreria completa e la faccia tosta per fingere di aver letto tutto. Scherzi a parte, per ora lo studio teorico nel campo è veramente occasionale, la principale fonte di esperienza è stata la pratica diretta. Per quanto riguarda le esperienze personali, ti rimando al mio sito in cui trovate la mia ultima fatica, tale One and One Story e qualche prototipo random. Indie as hell!

AM: Quando hai deciso che avresti voluto fare il programmatore di videogiochi?

MT: Beh... mai! La programmazione per quanto mi riguarda è qualcosa di estremamente noioso! Per me è solo un mezzo per esprimere la creatività. Quello in cui sto tentando di specializzarmi è il cosiddetto "Game Design", l'arte di ideare, progettare e dirigere un gioco ed il suo sviluppo. Pare divertente già dalla definizione, non credi?

AM: Che difficoltà hai incontrato in questo percorso, e a che punto ritieni di essere adesso?screenshot One ad One Story

MT: La maggior difficoltà è sempre la mancanza di tempo. Purtroppo non basta mai! Sono stato costretto a sacrificare parte della mia vita personale e dei miei studi durante la creazione di One and One, dedicando ad esso anima e corpo, "lavorando" (tra virgolette perché è un piacere, non un lavoro) anche cinque o sei ore al giorno, dovendo anche studiare e cercare di mantenere una parvenza di vita sociale. Riguardandolo adesso noto che è tecnicamente così semplice che potrebbe essere realizzato in un tempo dieci volte inferiore di quanto impiegai. Questo perché la parte più lunga e tediosa è stata quella di "polishing" del prodotto finale; d'altronde è ben noto che se il 90 % del gioco viene facilmente creato in un tempo T, per finire quel 10 % rimanente ci vorranno almeno 4T!

Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, ora non sono da nessuna parte. E' questo il bello di lavorare da indipendenti, sei sempre DOVE TI PARE.

AM: C'è stato un gioco in particolare che ha svegliato in te la voglia di realizzarne uno tutto tuo?

MT: I due titoli che più mi hanno segnato sono stati Half-Life 2 della Valve e Braid di John Blown. Se grazie al primo ho finalmente capito che il videogioco è un mezzo espressivo incredibile e una nuova forma d'arte, Braid è forse ciò che mi ha veramente spinto (a provare) ad entrare in questo mondo! Ogni volta che ci gioco, quasi piango. Sul serio! E' davvero troppo bello per non commuoversi. 

AM: Come vivi la vita del programmatore di videogame in Italia? Vuoi che diventi il tuo mestiere?

MT: I problemi dell'Italia sono principalmente il mancato interesse verso progetti di un certo livello e dunque la mancanza di finanziamenti. Le realtà affermate che lavorano ai titoli AAA si contano sulle dita di una mano! 

Per quanto mi riguarda, il problema mi tocca poco o niente perché lavorando a piccoli giochi flash, non ho bisogno di effettuare grandi spese. Certo, le tasse non fanno comodo!

Ho comunque deciso di spostarmi all'estero, ma più per esperienza personale che per un qualche fattore limitante.

Post Scriptum: Come già detto, non sono un programmatore!

(nda: eh lo so mpare, ma le domande le ho scritte tutte insieme..)

AM: Parlami un po' di One and One Story

MT: One and One Story è un classico platform puzzle le cui meccaniche variano ogni tot livelli. La differenza è che le meccaniche del gioco sono legate a doppio filo con la narrazione stessa, nello specifico una relazione tra un ragazzo ed una ragazza. Se volete provarlo, ho già spammato il link nella risposta numero uno!

E' il mio primo gioco "serio" (e non venitemi a dire che tutti i giochi in flash non sono seri! Ci sono certe perle incredibili, date un'occhiata a Time Fcuk, I wish i were the moon, Coma...) e la mia prima prova sul campo.
Devo dire di essere parecchio soddisfatto, le view totali ammontano a tre milioni e se n'è parlato parecchio anche tra la stampa specializzata. Una menzione d'onore merita l'articolo di "Die Spiegel", noto magazine tedesco che probabilmente molti di voi conoscete. Come diciamo a Roma, Fomento! 

screenshot 4 One & One Story

AM: Avverto in One and One Story una vena malinconica, ci sono delle belle frasi ricercate che accompagnano il percorso dei nostri due amanti, ed il finale ha un bel messaggio d'amore. Ti sei ispirato a vicende personali? Sempre che tu voglia parlarne..

MT: Credo che tutti abbiamo avuto almeno un'esperienza amorosa nella vita, positiva o negativa che sia. Dunque il gioco non è la storia delle due silhouette ma di tutti noi! 

Già, ho risposto tutto e niente. Pazienza!

.


AM: Sbaglio o ci vedo qualcosa di Limbo?

MT: Sai che me lo dicono tutti? Mai giocato Limbo!

Molto probabilmente è quel gioco ad aver copiato me (X) (Ma le emoticon si possono mettere in un'intervista? Facciamo gli alternativi.) (nda: NO! l'intervista è mia e le emoticons non le voglio!)

E' nella mia immensa libreria steam (tremendamente immensa: mi giustifico facendo notare che un Game Designer deve avere una vasta cultura ludica) da tempo immemore. Prima o poi ci giocherò!

AM: Ho letto che la grafica è realizzata da Gabriele Bonis (gabrielebonis.com); tu hai disegnato qualcosa o non ti occupi proprio di grafica e perché!?!

MT: Come hai ben detto, la parte visiva è stata interamente realizzata da Gabriele Bonis, talentuoso giovine amante di Monkey Island che mi sento di raccomandare caldamente. Attenzione però, alla sua passione verso i polli con una carrucola in mezzo. 

Per quanto mi riguarda, il massimo che posso disegnare è un singolo pixel in pixel art. Uno solo. Ne basta uno in più per uscire fuori dalle mie competenze. Per sollazzare le vostre menti, vi mostro com'era la >>grafica prima e dopo<< l'arrivo di Gabriele. 

AM: Invece mi dici qualcosa sulla musica?

MT: La musica è stata prodotta interamente da David Carney. Se lo cercate su google, troverete un giocatore di Rugby e, ecco non è lui... Quindi eccovi il link al suo sito.

Inizialmente il gioco aveva un brano dal film "The Road" come colonna sonora  (Magnifico!) , ovviamente impossibile da tenere a causa dei diritti d'autore.

Devo dire che David ha svolto un magnifico lavoro su quest'aspetto, componendo qualcosa di veramente eccezionale. Vi consiglio di ascoltare altri suoi lavori, personalmente io adoro Kathryn

AM: Progetti futuri?

MT: No idea. Sono pieno di idee ma non so veramente da cosa iniziare! Inoltre come al solito mi manca il tempo.

In progetto c'è la versione Ios di One and One Story, altre due idee per un platform puzzle e un piccolo rpg con componente puzzle! (Quest'ultimo mi intriga assai... credo che comincerò da questo)

AM: Vuoi fare qualche ringraziamento o saluto in particolare?

MT: Mai visto il programma di Sonia su Super Tre? Che programma epico! Questa domanda veniva posta ad ogni bambino che, terrorizzato, finiva col ripetere la solita sequenza "mamma, papà, nonni e... tutti quelli che mi vogliono bene".

Il ringraziamento principale questa volta spetta a te per l'intervista, è la mia prima. (nda: questa te la passo..)

AM: si faccia una domanda e si dia una risposta (...)

MT: Ma l'uomo discende dalla scimmia, per risalire dove? [cit. Crozza]

Scherzi a parte, vorrei davvero chiedermi quando la smetterò di comprare tutti quei giochi su steam....
A quanto pare non ho risposto.

AM: Un argomento a piacere.

MT: Sono stato mezz'ora a fissare questa domanda in cerca di un'idea.

Nel frattempo mi è venuto in mente che devo ancora comprare i biglietti per il nuovo spettacolo di Lillo & Greg. Vale come argomento a piacere?

AM: Ringrazio Mattia per la simpatia e l'umiltà dimostrate in quest'amichevole intervista, e lo invito a tenerci informati su eventuali progetti futuri. A presto!

 

 

Intervista a Chris Huelsbeck

Andrea "Vintage" Milana: Ciao Chris, é un piacere poterti ospitare nella nostra community e sono contento che tu abbia accettato con entusiasmo di prendere parte a questa intervista. Passo subito alle domande.

Andrea Milana: I videogiochi sono un'esperienza interattiva. Molti di noi conoscono già il famoso iMuse (Interactive MUsic Streaming Engine) di Michael Land e Peter McConnell (Monkey 2), ma ad oggi quali altri progressi sono stati fatti?

Chris Huelsbeck: Nel corso degli anni abbiamo assistito ad alcuni esempi di software interessanti per la realizzazione di musiche interattive. In ogni caso credo che ciò che fa la differenza saranno sempre le capacità artistiche del compositore e la conoscenza della piattaforma di gioco.

AM: Tecnicamente parlando, qual è stata la piattaforma tecnologicamente più importante per il progresso della musica nei videogiochi? Da quale piattaforma in poi un compositore si è sentito finalmente libero di esprimere la propria creatività?

CH: Con l'avvento delle console e la possibilità di riprodurre ed utilizzare file audio di maggiore durata, grazie anche all'implementazione del Compact Disc (ove presente) o di sistemi avanzati di compressione, si è avuta la possibilità di creare qualsiasi tipo di musica.

Questo ha favorito molto i compositori, dando loro la possibilità di ottenere finalmente il miglior risultato musicale possibile. Credo che tutto ciò sia divenuto realtà due generazioni di console fa; Gamecube, Playstation 2, X-BOX.

AM: Qual è stata la tua sfida più difficile dal punto di vista compositivo?

CH: Sicuramente la serie di "Star Wars Rogue Squadron", poiché dovevo utilizzare uno stile adatto a ricreare l'atmosfera dell'universo di Star Wars.

AM: Come hai percepito il cambiamento nel mondo dei videogiochi e cosa è cambiato pertanto nel tuo lavoro?

CH: Sono passato dalla programmazione in Assembly, che comportava scrivere una mole non indifferente di codici esadecimali, usufruendo degli unici 3 canali a disposizione del chip sonoro, alla registrazione live di un'intera orchestra; direi che è cambiato veramente tanto in questi anni. Ma la parte più importante per me, resta sempre l'arte della composizione e la creatività, riuscire a creare melodie e paesaggi sonori senza tempo. Mi piacciono i cambiamenti, fanno sì che non ci si annoi.

AM: L'episodio che ricordi con più piacere della tua carriera?

CH: E' stato senza alcun dubbio quando la WDR Radio Symphony Orchestra ha eseguito le mie musiche, in occasione del concerto "Symphonic Shades". Un'esperienza indimenticabile.

AM:  In che modo la musica può influenzare e/o migliorare l'esperienza di gioco?

CH: Penso che la musica sia sempre stata di vitale importanza per ogni esperienza di intrattenimento. Sia essa teatrale (l'opera ne è l'esempio), o cinematografica. Può esaltare e migliorare veramente tanto l'aspetto emotivo di una scena o dell'intera storia. Sono certo che l'esperienza di gioco risentirebbe tantissimo della mancanza della musica.

AM: Al di là delle tue opere, quali altri videogiochi ti hanno colpito positivamente per la qualità delle loro colonne sonore?

CH: La serie di Assassins Creed, Uncharted, Halo e molte altre dispongono di colonne sonore fantastiche, alla pari di produzioni hollywoodiane, se non addirittura migliori.

AM: Come vedi il rapporto con compositori di altri settori (cinema, discografia); credi ci sia un dislivello o possono essere equiparati?

CH: Penso che siano allo stesso livello. Il lavoro di produzione di una colonna sonora per videogiochi è identico a quello di settori quali cinema o discografia. E' innegabile una certa competizione, ma questo serve a tenere alto il livello qualitativo, e di conseguenza il valore di buone produzioni musicali.

AM:  All'infuori del tuo contesto, che genere musicale prediligi? Cosa ti piace ascoltare nel tempo libero? Qualche nome?

CH: I generi che prediligo sono: Electronica (Hybrid, Tangerine Dream, JM Jarre, Vangelis) / Wave (80s UK Synth Bands, Italo Disco), Film Music (John Williams, Jerry Goldsmith, Alan Silvestri, Hans Zimmer e tanti altri), Pop (Pet Shop Boys etc.), un pò di Classica (Beethoven, Bach, Holst) e un pò di Etnica.

Sono sempre stato più attratto dalla musica strumentale che dal testo di una canzone in se. Amo le belle melodie e le armonie. Generi musicali come il pop o la musica contemporanea, mi interessano poco.

AM: Ti ispiri al lavoro di qualcun altro quando componi?

CH: A parte maestri del cinema come John Williams, mi ispiro a pionieri della musica elettronica quali Tangerine Dream, Vangelis, Kraftwerk, Jean Michael Jarre. Per quanto riguarda compositori del mio stesso settore, sono un ammiratore di Yuzo Koshiro, Jesper Kyd ed altri ancora.

AM:  Com'è il rapporto tra game designer e compositore? Nel tuo caso, chi è il game designer a cui sei più legato?

CH: Mi sono trovato veramente bene con tante delle persone o software house con cui ho lavorato e con cui ho avuto delle belle esperienze. Di solito si stabiliscono una serie di incontri durante la realizzazione del gioco, durante i quali si guardano sequenze di gioco, si ascoltano le idee musicali, si discute di cosa cambiare/migliorare, e di come proseguire il lavoro.

AM: Tu videogiochi?

CH: Da piccolo ero un gran videogiocatore, e gioco ancora adesso di tanto in tanto, ma il tempo a disposizione è notevolmente diminuito. L'ultimo titolo che mi ha coinvolto al punto di giocarlo fino alla fine è stato Half Life 2; in compenso uso youtube per tenermi informato riguardo alle ultime novità e guardo con piacere alcune sessioni di gioco.

AM: Per poter coronare il tuo sogno musicale hai dovuto espatriare, questo in Italia è un problema molto sentito soprattutto negli ultimi anni, e non solo nel settore musicale; se potessi tornare indietro faresti la stessa scelta? Hai mai pensato o stai pensando di tornare a vivere in Germania?

CH: Sì, qualche volta ho pensato di tornare, ma il posto dove vivo adesso mi piace molto (anche il clima). Mia moglie è americana, qui abbiamo la nostra casa, credo proprio che il nostro futuro sia qui. E' interessante che adesso ricevo nuovamente tante richieste di lavoro dalla Germania, e grazie a internet lavorare a distanza non è un problema.

AM:  Al giorno d'oggi, il comparto musicale dei videogiochi è diventato molto esigente, facilmente equiparabile a quello utilizzato nel cinema; credi che ci siano ancora delle possibilità per giovani talenti, di entrare a far parte di questo settore musicale e collaborare con software houses? Come ad esempio è successo a te ad inizio carriera.

CH: Io sono stato molto fortunato, all'epoca non eravamo in tanti a scrivere musica per videogiochi, bisognava avere una buona conoscenza di programmazione in assembler. Oggi è diverso, è più importante avere del talento, essere testardi e soprattutto avere i contatti giusti. E' l'unico modo per entrare nel giro. Costruirsi un nome e farsi una clientela non è per niente facile, richiede tempo.

AM: Sappiamo che adesso utilizzi principalmente virtual instruments, ma facendo qualche passo indietro, qual'è stato lo strumento musicale di cui non avresti mai potuto fare a meno nelle tue produzioni?

CH: Posseggo ancora il mio synth Ensoniq SQ-80, da cui non mi separerò mai, anche se esiste già la versione virtuale, abbastanza buona. E' il successore del' ESQ-1, che avevo ai tempi di Rainbow Arts, dal quale ho preso gran parte dei suoni per le musiche di Turrican. Ho anche il mio vecchio Kurzweil K2500, che negli anni 90 era una macchina veramente potente, sample/synthesizer, ma adesso lo uso principalmente come controller.

AM:  Quali prospettive di sviluppo (anche tecnologico) vedi per la musica nei videogiochi?

CH: Se la tecnologia continua a svilupparsi così rapidamente (come previsto dalla legge di Moore), potremmo addirittura avere delle colonne sonore virtuali che si creano direttamente all'interno dell'ambiente di gioco. Immagina un'orchestra sinfonica con un maestro virtuale, che dirige la musica in tempo reale, seguendo le azioni del protagonista/giocatore.

AM: Esiste (o potrà mai esistere) un mercato per la game-music?

CH: Direi di sì, esiste già da un pò di anni; vengono pubblicate molte più colonne sonore per videogiochi adesso che negli anni 90, quando cominciai a pubblicare i miei album; ovviamente se paragonato al settore della musica leggera, rimane sempre un mercato di nicchia. Sono convinto comunque che possa crescere, ed il successo di progetti quali "Sound of Games" o "Video Games Live", dimostrano che l'interesse verso questo settore è in crescita.

AM: A cosa stai lavorando adesso? Progetti per il futuro?

CH: Ho appena finito di lavorare ad un progetto per la Paramount / Other Ocean Interactive, intitolato "The War of the Worlds", per il quale ho utilizzato un'orchestra dal vivo. Inoltre sto completando le musiche per "Star Trek - Infinite Space", e lavorando a tanti altri progetti non ancora ufficializzati.

AM: Vorrei ringraziare personalmente Chris Huelsbeck per la disponibilitá, nonostante i molti impegni in corso. Avevo in mente questa intervista giá da qualche anno, l´inizio della collaborazione con OGI ha fatto sí che mi decidessi finalmente a concretizzarla. Invito tutti a visitare il suo sito web ufficiale www.huelsbeck.com

Un grazie anche a chi ha collaborato con me dietro le quinte: The Ancient One, ildbm ed in particolar modo Tsam.
 

(a breve disponibile anche l'intervista originale in inglese).