I remake di vecchie glorie del passato, nascosti nei meandri del mio Hard Disk e di Internet, sono ancora vivi e vegeti, continuamente aggiornati e soprattutto, ancora TUTTI GRATIS.
Ecco una lista di giochi che tengo costantemente aggiornati con cui di tanto in tanto mi diletto:
OpenTTD v1.7.2 (Transport Tycoon Deluxe)
Simutrans v120.2.2 (Transport Tycoon)
FreeCiv v2.5.10 (Civilization)
Bronze Age v2.2.5 (Civilization)
C-Evo v1.2.0 (Civilization - discontinued)
FreeCol v0.11.6 (Colonization)
Free MARS v0.8.7.2 (Alpha Centauri)
FreeOrion v0.4.7.1 (Master of Orion)
Widelands v19 (Settlers II)
Unknown Horizons v2017.2.158 (ANNO series)
Triple-A v1.9.0.0.8304 (Axis And Allies il boardgame)
Battle for Wesnoth v1.2.16 (Warlords series)
Elona v1.22 (Rogue)
Flare v0.19 (Diablo)
Diya è una bambina timida: è Indiana-Americana, sorda da un orecchio, e questo già le rende difficile capire bene quel che dicono gli altri. I suoi genitori sono molto severi, come da tradizione per genitori asiatici, e Diya, quindi, non sa imporsi. Anche giocare a baseball, la sua passione, la riempie d'ansia, perché deve trovarsi di fronte a una platea di gente che non aspetta altro che di vederla fallire.
Per fortuna, con lei c'è Min-Seo, una bambina coreana il cui principale metodo di comunicazione consiste nel prendere la gente con una mazza da baseball e/o minacciarle di morte (“picchia passante” è il comando di default del cervello di Min).
Quando Min si trasferisce in un'altra città, quindi, per Diya è un duro colpo – ma le due si re-incontrano qualche anno dopo... Cosa sarà cambiato, nel frattempo?
Butterfly Soup è una visual novel realizzata da Brianna Lei... e in verità non è solo la storia di Diya e Min. E' la storia di quattro ragazze asiatiche (tra cui anche Noelle, la migliore amica di Diya, e Akarsha, una loro vicina di casa) che cercano di farsi strada più o meno incolumi fra la scuola, le pressioni dei genitori, i dubbi adolescenziali e la gelosia fra di loro.
I personaggi e la loro crescita sono i punti forti del gioco. Le quattro ragazze sono molto ben caratterizzate, vive e ricche di dettagli, e sono animate da dialoghi verosimili, divertenti e ben scritti. La visual novel ha una sezione dedicata a ciascuna ragazza e, benché il POV ogni tanto vacilli fra una fanciulla e l'altra, la divisione funziona e ci permette di conoscere le paure e le speranze di questo gruppetto di “amiche”.
In rete il gioco è applaudito per come viene resa la diversità delle ragazze, tutte di colore e alcune di loro lesbiche o bisex: la Lei ha fatto un ottimo lavoro, creando personaggi che non si esauriscono in nessuna delle singole caratteristiche che ne compongono il carattere e che quindi risultano credibili e memorabili. Ho apprezzato particolarmente gli hint che mostrano come una bambina di colore, che vive in una comunità “di colore” anch'essa (almeno in massima parte) percepisca il resto del mondo in base al proprio piccolo circondario.
L'unico appunto, qui, è la caratterizzazione dei genitori delle fanciulle, questi sì ridotti a macchiette stile “genitore asiatico X”: per quanto siano severi e possano sembrare “cattivi”, i genitori asiatici hanno le loro motivazioni, che vanno oltre il semplice desiderio di realizzarsi attraverso la propria prole, e la disciplina che inculcano ai figli ha anche diversi effetti positivi (se qualcuno fosse interessato, qui trova una lettura interessante).
La storia è una slice of life, che riesce a non risultare lenta proprio grazie al coinvolgimento nelle sorti dei vari personaggi – kudos alla Lei per questo! Gli eventi di per sé mancano un po' di mordente: il conflitto è poco, e non ero mai in ansia per le ragazze. Il tono, in generale, mi ha ricordato anime tipo 5 cm per Second, solo senza quella patina sdolcinata che fa tanto finto-profondo: c'è lo stesso struggimento per le difficoltà della crescita, la stessa delicatezza verso i sentimenti delle ragazze e i loro rapporti, e non mancano i momenti commoventi.
Il writing, come dicevo, è buono. Avrei evitato i pezzi in cui Diya, o le altre, si rivolgono (o paiono rivolgersi) al giocatore direttamente, ma sono pezzi brevi e si può fingere che non esistano. Per il resto non ho nulla da rimarcare, le battute sono ottime, sia nei momenti più “intensi”, sia in quelli più scemi (di solito quelli con Akarsha).
L'inglese utilizzato non è difficile, ma io stessa ho avuto difficoltà nella parte in cui le ragazze giocano a baseball: non conoscendo lo sport, non ho capito una mazza (...) dei termini utilizzati. Suppongo che non avrei capito nulla neanche se il pezzo fosse stato in italiano, però.
Il gameplay unisce le classiche risposte a scelta multipla con un pizzico di esame dello scenario. In alcuni casi, semplicemente, è possibile osservare elementi delle aree in cui ci troviamo ed eventualmente interagire. Non cambia niente, in verità non cambia nulla neanche se scegliamo risposte diverse: Butterfly Soup può essere considerata una “kinetic novel in disguise”.
Dal punto di vista tecnico, sprite e sfondi mi son sembrati molto ben fatti. Gli sfondi, credo, sono foto ritoccate, mentre gli sprite sono disegnati a parte. Molte le espressioni, c'è varientà anche per i personaggi secondari. Gli unici a non avere sprite sono i passanti e i genitori delle ragazze.
Simpatici menu e interfaccia (anche se un po' troppo rosa, il menu!).
Le musiche sono diverse, vanno dalla lagna assoluta alla musica metal, alle musiche di sottofondo generiche. Buoni gli effetti sonori, specialmente nelle scene del baseball o della partita che le ragazze guardano da spettatrici.
Per quel che riguarda le funzionalità tipiche delle VN, che ormai non posso dare per scontate: c'è il tasto per tornare indietro, ma mancano il tasto per guardare solo la scena (senza il testo sopra) e il tasto Auto. Niente, non ce la facciamo a metterle tutte...
Il gioco dura un 3-4 orette e ha un solo finale, quindi non è molto lungo. Butterfly Soup è scaricabile gratis da Itch.io, ma pagando 5 dollari o più si ha anche un pdf con i concept drawings, alcune note dell'autrice e cosine varie – la sezione Extra della VN, insomma.
Come concludere? Butterfly Soup è una bellissima letta per chi apprezza il genere: i personaggi sono il suo punto forte e sono quelli che tirano con sé tutto il resto, riuscendo persino a compensare una storia un po' priva di ritmo e senza tanto conflitto. Se avete 3-4 orette e volete tirarvi su di morale, è l'ideale.
Vi abbiamo mostrato, qualche giorno fa, la demo di Nirvana Pilot Yume, il mix di visual novel e race game della Dev9K ispirato agli anime degli anni '80 e dalla soundtrack stupenda.
Il gioco è finalmente uscito sugli scaffali virtuali di Steam, ed è al momento in sconto del 20%.
Chi si fosse perso la nostra diretta, può dare uno sguardo al gioco nel video qua sopra e decidere se acquistarlo! In bocca al lupo e tempismo sulle piste!
Descritta come la versione visual novel di Skyroads, Nirvana Pilot Yume è un gioco in uscita a breve su Steam in cui vestiremo i panni della pilota Yume e lotteremo per vincere il primo posto in una gara di velocità spaziale
Nirvana Pilot Yume unisce la grafica stile anime anni '80, delle sequenze di visual novel e delle altre di gara di navicelle spaziali, ad una soundtrack synthwave.
La demo è già disponibile su itch.io, mentre il gioco uscirà il 20 Novembre su Steam.
La Footprint games dei fratelli De Angelis (non gli Oliver Onions) e l'editore italiano Adventure Productions hanno da poco lanciato la campagna Eppela per pubblicare un'avventura che promette scintille: Detective Gallo.
Così ne parla Maurizio De Angelis, uno degli autori:
Detective Gallo è un'avventura punta-e-clicca di genere noir-umoristico interamente illustrata e animata a mano, il cui protagonista è un pennuto e cinico investigatore privato alle prese con il caso più intricato della sua vita.
Deve indagare sull'assassinio di cinque piante esotiche per conto di un bizzarro multimilionario. Ad aiutare Gallo ci sarà Spina, il suo fido cactus assistente (!), in un mistero pieno di enigmi che metteranno a dura prova il pensiero laterale del giocatore...
Features:
- Personaggi e background in stile cartoon-noir illustrati a mano (1920x1080 FullHD)
- Personaggi animati a mano con più set di animazioni
- Intrigante trama investigativa da risolvere
- 14 location esplorabili dall'inizio alla fine del gioco e sempre funzionali alla trama
- Difficoltà esponenziale degli enigmi del gioco che vengono man mano svelati
- Variazioni grafiche delle location in base allo sviluppo della trama
- Diario di Gioco che ricapitola obiettivi completati e correnti
- Interfaccia user-friendly e minimale per non coprire la schermata di gioco
Edizione scatolata:
A seconda della versione, tutte includono il gioco DRM-Free più un codice per riscattarlo in digitale. In più:
- quella liscia, da 13 euro, sarà un normale dvd-box con manuale e spilla del gioco
- quella deluxe, da 35 euro, avrà i contenuti della versione liscia + secondo disco con colonna sonora, poster stampato e pendrive brandizzata con tutti i contenuti digitali del gioco
- quella 'da collezionista' da 50 euro sarà una scatola di cartone vecchio stile in edizione limitata (solo per i backers della campagna) e conterrà oltre a tutti i rewards di quella da 35 euro, anche il "Libro delle Regole di Gallo"
- quella 'da professionista' da 100 euro sarà la stessa scatola di cartone della versione da 50 euro con in più l'artbook stampato ufficiale del gioco e la T-shirt.
Current status:
- GUI: 80%
- Scripting: 80%
- Animations: 50%
- Locations: 65%
- Sounds: 30%
- Music: 85%
Release stimata: Q2 2017
DEMO:
E' disponibile un'alpha-demo, scaricabile dal sito EPPELA o da Indiexpo.
Toma Andrews è una quattordicenne timida, ancora alla ricerca di una propria identità, con la passione per le passeggiate nei cimiteri – passione nata grazie alla madre, che la portava a spasso fra le tombe alla ricerca di questo o quell'antenato. Toma ha sempre avuto una specie di sesto senso nel trovare “la tomba giusta” e le piace pensare che sia un “dono” di una sua pro-pro-zia, auto-proclamatasi veggente.
Un bel giorno, però, Toma incappa in un'altra ragazza che come lei sta passeggiando nel cimitero, una ragazza che sembra uscita da un romanzo di vari secoli fa.
The Sad Story of Emmeline Burns è una breve (2 orette massimo) kinetic novel, ossia una visual novel senza alcun tipo di scelta o di finale alternativo. La storia è una e una sola e si legge dritta dall'inizio alla fine, senza interazioni. E' stata creata da ebi-hime in occasione dello Yuri Game Jam. Chiunque non sappia cos'è lo yuri, clicchi qua.
E no, non c'è porno e non c'è nudità, è tutto implicito.
In verità, questa kinetic novel contiene due storie. Il problema è che sono tutte gestite abbastanza male, tanto che non si capisce, per esempio, quale delle due storie sia quella principale. Il focus del lettore è sempre incerto: sto seguendo la storia di Toma, a cui quella dell'altra ragazza fa da contraltare, o quella della ragazza, a cui quella di Toma fa da cornice? In verità, le due storie non sono tematicamente legate, nel senso che una si occupa di un tema (la ricerca dell'identità), l'altra, uhhhh... è solo una sequenza di sfighe?
Quello che intendo dire è che, mentre Toma, la “protagonista” della prima storia, ha un problema nella sua vita e deve crescere interiormente per risolverlo, l'altra ragazza, “protagonista” della seconda storia, è solo una sventurata a cui sono capitate delle sfighe e basta. La risoluzione (che tale non è in quanto non c'è niente da risolvere) della storia della ragazza misteriosa avviene per puro magico Culo e questo scatena, in maniera forzata, la crescita interiore di Toma.
Aggiungiamo che entrambe le storie sono abbastanza banali e non dicono niente di nuovo.
Ci sono un paio di lati positivi: è presente una storia d'amore in tutto questo, ed è ben mostrata e basata su sentimenti molto “veri”; e anche il conflitto iniziale di Toma, benché un po' melodrammatico, è sentito e tutto sommato ho creduto alla sua sofferenza.
Arriviamo purtroppo al secondo grosso problema di questa kinetic novel: la scrittura. L'autrice è bravissima a imitare lo stile 700/800esco. Peccato che sia una palla da leggere e fuori luogo quasi ovunque. I dialoghi risultano spesso finti, troppo infiorettati di espressioni che oggi nessuno usa e che non credo proprio usassero le 14enni di secoli fa. Il ritmo è lento e si passa da scena raccontata in scena raccontata. Devo dire che quando l'autrice si focalizza su una scena presente, non fa un lavoro orribile, ma un po' troppi sono i dialoghi inutili, i particolari di troppo.
Ah, va da sé che l'inglese simil-ottocentesco usato rende la lettura più difficile per chi non è ancora esperto nella lingua. Direi che, per chi si ritiene principiante, avere un vocabolario accanto aiuta.
Lo stile grafico è invece molto bello, sia per quel che riguarda sprite e sfondi, sia per quel che riguarda l'interfaccia (anche se quel gioiello è un po' pacchiano...). Mi piace molto lo stile “loli” delle ragazze, dalla colorazione morbida e dai molti dettagli: si addice benissimo al tono della storia, un po' lugubre e un po' etereo. Plauso per il menu iniziale, che cerca, anche se un po' goffamente, di inserire le varie opzioni nel disegno dello sfondo (ok, ok, tutti i giochi lo fanno, ma questo è gratis e amatoriale, non è automatico che succeda!).
Ho trovato adatte e persino graziose anche le musiche, benché siano le classiche robe per pianoforte che detesto. Ma non posso negare che fossero perfette per l'atmosfera del titolo. La musica dei credits, in particolare, è bellina e meno anonima delle altre.
Nonostante tutta questa bontà tecnica, non posso consigliare questa kinetic novel. E' scritta male, non racconta niente di interessante, non commuove, non presenta pg psicologicamente complessi... niente. E se l'avevate trovata sperando in qualche scena hot, non ci sono neanche quelle.
Su questi schermi ne abbiamo viste di ogni tipo, dalle storie d'amore con i piccioni a quelle con i calamari e i tiramisù... ma ci mancava uno dei classici: l'appuntamento col dinosauro.
Eccoci quindi a rimediare a questa terribile lacuna con Jurassic Heart.
La trama di Jurassic Heart è semplicissima, e il gioco dura solo una decina di minuti scarsi. Noi, una fanciulla umana che per comodità chiameremo Mary, abbiamo per sbaglio causato la rottura dell'ukulele di Taira, un nostro compagno di scuola, nonché amico di infanzia, nonché T-Rex. Spinte dal senso di colpa, gli proponiamo di incontrarci al centro commerciale per comprarne uno nuovo e lui ha felicemente accettato. Ma questa innocente uscita potrebbe in verità rivelarsi un primo appuntamento...
Jurassic Heart è una visual novel dolcissima, quasi da carie, e riprende molti dei cliché tipici dei date sims e degli shojo: l'ambientazione scolastica, i dolci sentimenti, la relazione più che platonica... il tutto velato da un leggero umorismo che fa sorridere ogni tanto – almeno finché non si arriva a una delle metafore sessuali più lollose che abbia mai letto.
I personaggi sono stereotipi, con quel pizzico di particolarità che basta a renderli comici: Taira-kun, che, vi ricordo, è un T-Rex, ha un animo dolce e insicuro e la nostra Mary è dotata di un cuore puro e una spiccata sensibilità verso gli handicap altrui.
Il gameplay è classico anch'esso: la storia procede finché non ci verrà posta davanti una scelta (quale fermaglio per capelli indossare, quello a forma di fossile o quello a forma di bistecca?). Il gioco presenta due finali, uno positivo e uno negativo, ed è facile capire quali scelte compiere per arrivare a quello desiderato.
I disegni, in stile anime, seguono il tono dolce di tutta la visual novel, sia nel tratto che nella colorazione. Taira, in particolare, è un tirannosauro molto espressivo e se raggiungiamo il finale positivo possiamo vederlo all'opera sul suo ukulele nuovo di zecca.
Jurassic Heart non è Hatoful Boyfriend, non ha quella pazzia né la genialità di alcune trovate, e non ha neanche l'umorismo di SchoolgirlxSquid. Ma per chi apprzza questi “strani appuntamenti” è un piacevole raccontino di 10 minuti, pieno di dolcezza e buoni sentimenti – e ovviamente con quel pizzico di weird dato dal fatto che il vostro boyfriend è un T-Rex!
Siamo una ragazza in una scuola di magia, e stiamo fallendo miseramente in tutte le materie. Il preside ci convoca nel suo ufficio: siamo un pericolo pubblico – l'unica cosa di cui siamo capaci è produrre esplosioni involontarie – e se non riusciremo a passare i prossimi esami verremo buttate fuori a calci dalla scuola. Ma il preside ha una soluzione: Zuppa di Pomodoro.
Tomatosoup – Zuppa di Pomodoro – è in realtà una persona. Uno studente della scuola, per la precisione, e un demone schifato un po' da tutti perché non parla e ha una cattiva reputazione. Anche la nostra eroina non è entusiasta di dover aver a che fare con lui, ma di fronte alla possibilità di essere cacciata di casa, accetta l'ingiunzione del preside. I due hanno circa un mese di tempo (25 giorni) per prepararsi per l'esame, e ovviamente toccherà a noi gestire l'educazione della ragazza.
Tomato Soup for the Heart è una classica visual novel “manageriale”: avremo 4 barre di abilità (Abilità Fisiche, “Robustezza” Mentale, Conoscenza della Magia e Controllo della Magia) da alzare per la fine del mese, e una barra di stress che si riempie ogni volta che studiamo qualcosa. All'inizio della settimana potremo scegliere su cosa concentrarci fra 5 attività – banalmente, una per ogni abilità, più una per riposare e abbassare lo stress – mentre il week-end sarà dedicato ad eventi speciali.
Ben presto ci si rende conto di trovarsi davanti più a una “demo” che a un prodotto veramente finito, o almeno questa è l'impressione. Il gameplay funziona, ed è possibile, mischiando abilità e scelte di dialogo, arrivare a uno fra ben 9 finali differenti. Ma allo stesso tempo è tutto abbastanza lineare e non troppo approfondito. Our Personal Space adottava un sistema simile, ma riusciva a rendere meglio l'impatto delle abilità sulla storia (che qui è invece quasi nullo, finale a parte) e a rendere più vivo il mondo di gioco. In Tomato Soup è tutto più superficiale.
Neanche la storia brilla veramente. Non che mi aspettassi chissà che cosa: gli eventi speciali sono tutti incentrati sul rapporto fra la nostra protagonista e Tomato Soup, e ovviamente a seconda di cosa faremo potremo o meno conquistarlo. Ma, per esempio, mi aspettavo che visto il nome del demone e la cover del gioco, ci fosse una vena demenzial-umoristica che invece non c'è. Ci sono momenti simpatici ma il tono resta abbastanza serio, e francamente di storielle d'amore semi-serie fra i banchi di scuola ce ne abbiamo viste a pacchi, e quella di Tomato Soup non brilla particolarmente. La vena umoristica che auspicavo avrebbe portato una ventata di aria fresca in una struttura vista e rivista (come accade per dire in Signed X o in Love Sniper).
Dal punto di vista tecnico, Tomato Soup for the Heart è un po' scarno. Solo lo sprite di Tomato Soup è visibile a schermo e ogni tanto compariranno delle simpatiche illustrazioni in stile deformed per sottolineare i progressi fatti dalla nostra protagonista nelle varie discipline. I disegni sono graziosissimi e dalla buona colorazione.
Quello di cui si sente veramente la mancanza è una qualsivoglia musica o effetto sonoro che creino un po' di atmosfera o riempiano il silenzio.
Nel complesso, Tomato Soup for the Heart somiglia a un prototipo, o a una demo. Anche nel panorama delle visual novel amatoriali, e anche nel genere romantico, c'è di meglio se si vogliono passare una manciata di minuti di divertimento.
Questa settimana, INDIEtro Tutta vi presenta Grief Syndrome, picchiaduro a scorrimento basato sull'anime Puella Magi Madoka Magica. E' stato creato dai Twilight Frontier, un circolo di appassionati (in giapponese si chiamano “doujin”) già creatore di numerosi fan-games basati su altre licenze.
Partiamo col dire che, se non avete visto l'anime, la storia di Grief Syndrome vi risulterà incomprensibile, in quanto il gioco non fa alcuno sforzo per spiegarvela. E con questo intendo dire che non sono presenti introduzioni, spiegazioni, cutscenes... niente. Solo chi già conosce l'anime riconoscerà i mostri e capirà il senso dietro tanti piccoli dettagli.
Non è un aspetto negativo, perché la storia in questo caso non serve per godersi il gioco; Grief Syndrome punta sull'azione e tutto il background che vi serve è questo: siete una maghetta e dovete pestare i mostri, fino ad arrivare al super-boss e fare fuori pure quello. Se non morite, meglio.
All'inizio del gioco dovrete appunto scegliere una delle cinque maghette a disposizione, che naturalmente sono quelle dell'anime: Madoka, Homura, Sayaka, Mami o Kyoko. Ognuna di loro ha una barra della vita e un Soul Limit (Limite di Anima) da usare. Il Soul Limit è un numero sotto la barra della vita che decresce col passare del tempo: se arriva a zero, la maghetta muore e vi toccherà sceglierne un'altra. Il Soul Limit scende più velocemente quando subirete dei colpi, perché funziona da “cura automatica”, e quando userete le abilità speciali.
Ogni maghetta ha vari tipi di attacco: quello veloce, che fa di norma poco danno e può essere mirato nelle varie direzioni (in alto, in basso, eccetera); quello “caricato”, che è uguale a quello veloce, ma è più lento e fa più danno (dovete tenere premuto il tasto, semplicemente, finché la maghetta non ha caricato l'attacco); e quello speciale, che varia da maghetta a maghetta (Madoka ha una pioggia di frecce, Homura ferma il tempo e così via; ognuna ha i poteri che ha nell'anime). Quest'ultimo tipo di attacco “congela” un pezzo della barra-vita della maghetta, che diventa blu e che torna normale consumando il SL. Ma se la maghetta viene attaccata quando un pezzo della barra è ancora blu, perderà *tutto* quel pezzo della barra. In sostanza, non è possibile usare gli attacchi speciali continuamente, perché basta che alla maghetta venga dato un colpetto quando ha la barra blu perché arrivi a due passi dalla morte.
Se una maghetta muore, ma ha ancora un SL positivo, verrà resuscitata (perdendo una considerevole quantità di SL) e potrà continuare a combattere. E' solo quando il SL arriva a zero che dovrete cambiare maghetta. Una vota scelta la nuova, potrete sia ricominciare dal primo stage, che ripartire da quello in cui eravate morti. Ma la maghetta che usate avanza di livello man a mano che ripulisce i vari livelli, mentre quelle "di riserva" ripartono dal livello 1, e sono quindi molto più deboli.
Le maghette avrebbero potuto esser meglio bilanciate (alcune sono molto svantaggiate o avvantaggiate, in certi casi), ma sono tutte più o meno utili e ognuna richiede uno stile di gioco differente. Madoka e Homura sono indubbiamente le più potenti (cosa che ha senso, tenendo conto della trama dell'anime). Madoka ha degli attacchi con l'arco veloci e fortissimi, e ha il SL più alto fra tutte le maghette, cosa che aiuta parecchio negli stage più difficili. Anche le bombe di Homura sono abbastanza forti, e sopratutto lei può fermare il tempo, abilità utilissima in molte occasioni.
Mami ha degli ottimi attacchi, e quello speciale è molto potente, ma consuma molto SL, ed è facile farla morire. Sayaka e Kyoko sono le uniche a combattere in corpo a corpo: Sayaka è la “tank” del gruppo, capace di prendere una caterva di danni senza morire, e Kyoko è ottima nel “crowd control”.
Il gioco è diviso in 5 stage, ognuno con il suo boss finale, più uno stage “segreto” facilmente intuibile da chi conosce l'anime (mentre chi non sa nulla probabilmente lo scoprirà per caso). Una volta completati i 5 stage, cosa che vi prenderà non più di un paio d'ore, sbloccherete altri “lap”, che altro non sono che gli stessi 5 stage a difficoltà più elevata. I lap sono centinaia, e oltre un certo livello (credo il lap 50 o giù di lì), avrete bisogno di ben 10 minuti per uccidere un singolo mostro. A livelli ancora più elevati è impossibile giocare, perché il SL delle fanciulle non basta per arrivare alla fine degli stage, neanche senza esser colpiti una volta (cosa già di per sé non facile, e a questi livelli morirete con un solo colpo).
Grief Syndrome dà il suo meglio attorno ai lap intermedi, il 20 o il 30, quando la sfida è abbastanza alta da farvi sudare ma non così stupidamente alta da farvi stare fermi in un punto a dare 180 colpi allo stesso mostro.
Ma è ancora meglio se giocato in multiplayer. Grief Syndrome supporta fino a 3 giocatori in locale, ma grazie a un programmino creato da altri fan, il Grief Syndrome Online, è possibile giocare anche in multiplayer vero e proprio (insomma, tramite internet), anche se con qualche difficoltà. Io ho potuto provare il gioco con un'amica, in locale, e posso assicurare che è molto più divertente, specialmente alle alte difficoltà, quando è vitale organizzarsi e sfruttare le abilità delle maghette in modo intelligente.
Al momento in cui scrivo è presente anche una patch, indispensabile per usare il GSO, che aggiunge un altro personaggio giocabile, Moemura (la Homura del passato, i fan della serie animata capiranno chi è). Giocare con Moemura è difficilissimo, sia perché fa pochissimi danni, sia perché, in multiplayer, è l'unico personaggio ad avere il friendly fire attivo: quindi le sue bombe colpiranno anche le altre maghette. Ma c'è gente che ha finito il trentesimo lap con lei, quindi è fattibile.
Grief Syndrome nasconde tante piccole chicche (come un Kyuubey “giocabile”, sotto alcune circostanze), ha una miriade di achievements e un sacco di finali, che dipendono da quante e quali maghette sono rimaste in vita alla fine del quinto lap.
Graficamente, il gioco prende moltissimo dall'anime, come si può vedere dal peculiare stile delle locations; i mostri sembrano copiati pari pari, sia come aspetto che come animazioni. Le maghette sono disegnate invece in stile kawaii, hanno un sacco di animazioni e di pose e in generale sono adorabili da guardare.
Non ho capito se la musica è stata creata da zero o se è stata anch'essa rippata dall'anime (non mi pare sia questo il caso, ma potrei non averle riconosciute). In ogni caso, si adatta benissimo allo stile del gioco e non avrebbe sfigurato in uno degli episodi. Gli effetti sonori fanno il loro mestiere e non danno rogne.
In definitiva, Grief Syndrome è un giochetto divertente per passare qualche ora in compagnia degli amici, che apprezzeranno sopratutto i fan dell'anime da cui è tratto, ma che può essere piacevole anche per chi non ne sa nulla e vuole solo divertirsi a sparacchiare qualche mostro.
Il mondo di Ariathale è in piena crisi energetica. La principale fonte di energia, l'Atlas, è quasi terminata, e questo ha portato il mondo a un passo dal collasso. Servizi e stili di vita che prima erano la norma, adesso sono disponibili solo per i più ricchi, e si sta lentamente tornando a una specie di medioevo, con tanto di stati vassalli sottomessi a Imperatori. Naturalmente, prospera il contrabbando di Atlas e la criminalità s'impenna.
Noi impersoniamo Seth, una Hi-Vanguard (le vanguards sono i “soldati” dell'imperatore e dei suoi vassalli) che ha appena disertato portandosi dietro la sua armatura e un pezzo di Atlas. Naturalmente, è ricercato dalle guardie di Meister, vassallo dell'Imperatore Levizoa.
Ma questo che vi ho raccontato non è l'incipit: è la punta di quell'icebrg che è il vero incipit. Continuate a leggere per saperne di più.
Questa volta, INDIETRO Tutta vi presenta Theia – The Crimson Eclipse, un RPG creato con RPGMaker2003 da Lollo Rocket Diver, già autore di altri RPG amatoriali come Fifth Era e Tales of Banalia.Theia è un RPG enorme e lunghissimo, nel senso che per completarlo mi ci sono volute sicuramente una trentina di ore – e non ho fatto tutto al 100%, perché non volevo metterci un altro mese a fare la recensione. A differenza di quel che si può pensare, la lunghezza di Theia non è data da interminabili ore di grinding selvaggio, ma è dovuta in gran parte alla sua lunga e intricata trama.
Una delle scene più fighe di Theia. In foto rende poco, ve l'assicuro.
E' difficile parlarvi della trama senza spoilerare, quindi dovrò restare sul vago. In parte, la trama ha a che fare con la ricerca di una nuova fonte di energia per Ariathale. In parte, ha a che fare con i problemi personali di Seth, che si intrecciano con quello della crisi energetica. In parte è una storia molto più epica, che ha a che fare con una battaglia per la salvezza dell'intero pianeta. A tutto questo, si mischiano i problemi personali (leggi: le sotto-trame, che spesso tanto “sotto” non sono) di un cast di oltre una dozzina personaggi. E questi sono solo i personaggi che potrete usare. Ce ne sono altri le cui problematiche definiranno un pezzo della trama, ma che non vedrete così da vicino.
Mi sto concentrando su questo aspetto perché è quello che probabilmente rimane più impresso, una volta terminato il gioco: la moltitudine di personaggi, storie e conflitti che andrete ad affrontare. Mi ha ricordato, come approccio, quello dei Final Fantasy “vecchia scuola” (FF7, per capirci), in cui la trama mischia elementi e conflitti di genere diverso fra loro per creare una storia sia epica che “personale”. Con Theia non arriviamo a quel livello di narrativa, ma lo scopo di Lollo Rocket Diver è chiaramente simile, e in molti sensi riesce ad ottenere il risultato che si è prefisso. Inoltre, Theia è un rpg amatoriale, creato da una sola persona: tanto di cappello per aver provato a fare una cosa così grande, anche se, come andremo a vedere, questo è anche il problema principale del gioco.
Ma andiamo al sodo: com'è questa benedetta trama? La risposta è: così così. Parte abbastanza bene, e per gran parte di queste 30-40 ore (dipende da quanto vi interessa completare tutto al 100%) tiene un ritmo favoloso, con pochi momenti di noia. Solo poco prima della fine il ritmo cala davvero e la storia si ammoscia, per riprendersi nel finale vero e proprio (che è sborone come pochi ^^).I finali, a dirla tutti, sono 4, e dipendono da un paio di scelte compiute durante il corso del gioco.
I singoli personaggi, e i loro archi narrativi, partono tutti dal “ho già visto questo stereotipo” e poi si sviluppano o in “molto bello” o in “meh”. Quello che mi ha delusa di più è probabilmente Seth stesso.
Seth è un personaggio che vorrete lanciare da un dirupo fin dalle prime battute del gioco. E' emo: passa il tempo serio e affranto a lamentarsi della sua sorte e delle responsabilità che (non) ha (perché è fuggito lasciandosele alle spalle). Quando questa fase gli passa, diventa “Capitan America”, come l'ha definito un altro utente in giro per il web: integerrimo, idealista e tutto d'un pezzo. Mi ha ricordato, per certi versi, quell'altra ameba di Cloud in Advent Children, con la differenza che Seth agisce spesso d'impulso, fa scemenze e poi se ne pente (ricadendo nella fase Emo), mentre Cloud era un robottino fatto e finito.
Seth, in un momento di lucidità.
Non posso dire che sia un personaggio mal caratterizzato: benché sembri cliché, Lollo Rocket Diver si è sforzato di renderlo logico e credibile. Ha senso che Seth si comporti come si comporta, per via del suo passato che non posso svelarvi. Però resta fastidioso, specialmente come protagonista: nessuno ha tanta voglia di impersonare un'ameba. E' anche insopportabile vedere come tutti lo osannano, nonostante sia un tizio che se n'è andato a gambe levate disertando il suo posto nell'esercito (e portandosi dietro un pezzo di Atlas, che sicuramente vale più di tutta la sua testa). Ho adorato la comparsa di VarNell, unico personaggio in tutto il gioco a cui non frega niente di Seth e che non si sarebbe fatto problemi a spezzargli le gambine.
Qui è doverosa una parentesi. Una delle cose che rende difficile “vivere” i personaggi, anche quelli meglio riusciti (ci arriviamo tra poco) sono i dialoghi. Raramente i dialoghi in Theia sono davvero “vivi” e credibili. Quasi tutti i personaggi parlano in maniera troppo simile, usano le stesse frasi fatte e sembrano avere più o meno lo stesso background culturale, sebbene la cosa non sia possibile. Quasi nessuno ha una sua “voce”, e anche quelli che ce l'hanno, non la mantengono sempre. E' un peccato, perché alcuni archi narrativi sono davvero bellissimi e avrebbero meritato dei dialoghi migliori. Qua e là, in ogni caso, qualche battuta brillante si trova (molte di quelle di Ferion, per esempio, e un paio di battute di Nion, per fare un altro esempio).
Ma non tutti i personaggi sono noiosi come Seth. Anzi, fra i meglio riusciti ci sono proprio alcuni a cui non avrei dato una chance, se mi fossi fermata alla prima impressione. Due sono Gallian e Allison. Allison, in particolare, parte come la classica ragazzina pazzoide che troviamo nei vari FF (Seplhie, Yuffie... avete capito il tipo), quella che ho voglia di sparare in testa fin dai primi secondi. Ma Lollo Rocket Diver le affibbia un conflitto personale inusuale che la distacca dallo stereotipo da cui parte, e il risultato è che è uno dei personaggi che mi è rimasto più impresso.
Suo padre, Gallian, è un altro personaggio che parte come una gag vivente: ubriacone, cafone, casinaro – c'è da chiedersi come non sia stato buttato fuori dall'esercito dopo, tipo, una settimana! Ma, superati i primi capitoli, ne vediamo il vero carattere e, grazie anche al fatto che è l'unico personaggio ad avere quasi sempre una sua “voce”, fa la sua porca figura. Non ho visto una vera e propria “maturazione” del personaggio, ma non credo che fosse necessaria: Gallian era già “maturo” e nel corso della sua trama personale si “svela” a noi giocatori per quello che è. Alcuni suoi dialoghi sono mirabili, e sono riuscita a empatizzare molto bene con lui.
Un personaggio il cui arco narrativo è invece fatto abbastanza bene è Nion – che era anche il mio preferito, e ho odiato l'autore del gioco quando mi ha lasciata ben due volte con un cliffhanger, senza sapere quale sarebbe stata la sorte del personaggio! Ben fatto, Lollo, ma sappi che hai ricevuto delle maledizioni.
Benché la sottotrama di Nion non sia particolarment originale, è ben sviluppata e credibile, e regala un paio delle scene migliori di tutto il gioco (sì, Lollo, casomai passassi di qui, sto parlando del finale della sua “storia personale”, ben scritta!).
Una menzione particolare la merita anche Rudra, se non altro perché è quasi co-protagonista. Rudra è un varzan (uomo-lupo, più o meno) che incarna il tipo di personaggio “saggio et selvaggio”. E' in comunione con la natura, sente gli “spiriti”, è saggio e istintivo al tempo stesso. Il suo arco narrativo mi ha soddisfatta a metà. Da un lato è un po' troppo prevedibile, dall'altro il finale è poco soddisfacente, perché sembra affrettato e mancante di un confronto che dia una vera e propria “chiusura” al personaggio. Rudra stesso mi sembra troppo “perfetto”, ho avuto l'impressione che fosse il “cocco” dell'autore, e per gran parte del gioco il suo conflitto personale è troppo “nascosto”. Più volte mi sono chiesta perché accidenti Rudra fosse lì: tutti gli altri sembravano avere obiettivi più tangibili e urgenti di lui. Ho però apprezzato come fosse uno dei pochi personaggi a mostrarsi ragionevole e non incline alla violenza insensata.
Ferion, che esclama in game quello che avevo esclamato io IRL pochi secondi prima.
Non menziono gli altri personaggi solo perché sono tanti e li ho trovati caratterizzati in maniera poco brillante. In realtà, il problema è che sono troppi, e nel gioco non c'è spazio per tutti. Alcuni vanno bene come personaggi secondari (Ferion, ad esempio: non serve che abbia chissà quale caratterizzazione, è abbastanza particolare per il suo carattere e fa il suo mestiere nello script), ma altri avrebbero avuto bisogno di uno spazio che non hanno, probabilmente perché Lollo aveva già passato 40+ ore a mettere già tutta la trama e i dialoghi. Nadia, per esempio, ha pochissima caratterizzazione, sebbene se ne veda qualche barlume qui e là. Lei aveva dei potenziali conflitti interiori molto belli, che non sono stati sfruttati. Lo stesso dicasi per Horus, personaggio fiquo e molto badass, il cui potenziale è andato anch'esso in gran parte sprecato. Così com'è, sembra la versione “cresciuta” di Seth e poco altro – e, anzi, non ho proprio capito il suo comportamento alla fine del gioco, mi è sembrato molto OOC, e ci sono anche rimasta abbastanza male, visto che ero stra-sicura che le cose sarebbero andate in maniera diversa.Nimrod è un altro personaggio poco sfruttato: anche lui ha un backgroud fiquo, che però ci viene rivelato così, tramite un dialogo, con zero pathos, e poi finisce il suo ruolo nel gioco. Pity.
Quello per cui mi dispiace di più, però, è il cattivo (che, ovviamente, non posso dirvi chi sia), secondo me uno dei personaggi potenzialmente più affascinanti. Non pretendevo che Lollo ci facesse empatizzare con lui, ma da un certo punto della trama in poi ho avuto serie difficoltà a capire che accidenti lo spingesse a fare quel che fa. Io, nella mia testa, ho formulato qualche ipotesi, ma secondo me si sente molto la mancanza di una scena introspettiva o quantomeno di una spiegazione, da qualche parte nel gioco.
E qua veniamo al secondo grande problema della trama di Theia: dopo un po', è sfuggita di mano all'autore, che ha lasciato qua e là diverse pezze, che però non soddisfano il giocatore. Si parte da piccoli buchi della trama sui quali si può chiudere un occhio vista la deriva semi-demenziale di alcuni pezzi (nel senso che alcuni personaggi esistono chiaramente per far ridere e di credibile hanno poco), come il fatto che tutti i personaggi parlino di ogni tipo di faccenda segretissima davanti a chiunque. E' così che arruoliamo Ferion, e mentre i personaggi erano lì a spifferare segreti di stato a un potenziale mafioso, io facepalmavo...
Si passa poi a buchi della trama più gravi, che lasciano l'amaro in bocca, come quando il cattivo *non* uccide i nostri eroi, pur avendoli in suo totale potere. La “scusa” è che al cattivo non interessa farlo, ma non ha alcun senso e fa storcere parecchio il naso.Questo tipo di problemi sono molto più presenti verso la fine del gioco, piuttosto che verso l'inizio; per questo penso che il problema non sia l'incapacità dell'autore di gestire una trama coerente, ma l'aver ideato una storia così lunga e articolata che dopo un po', vuoi per stanchezza, vuoi per disattenzione, non è riuscito a mantenerne la qualità.
Una delle "cutscenes" disegnate da Lollo.
A questo si aggiunge una gestione generale un po' immatura, che alterna parti molto belle e parti “eeeeeh.... ok”. Abbiamo scene stupende e fichissime da un lato – tutto il gioco punta molto sull'effetto badass, quindi preparatevi a personaggi che spaccano edifici volando sulle moto – , e orrendi spiegoni dall'altro. L'introduzione è tutta uno spiegone, che ho naturalmente dimenticato dopo 10 minuti di gioco, e altri ancora li incontriamo quando succede qualcosa di inaspettato che dev'essere spiegato ai personaggi. E' un peccato, perché si riduce di molto il pathos delle varie scoperte, e in Theia di colpi di scena ce ne sono parecchi. Non a caso, uno di quelli più belli (quando si svela il cattivo) è interamente mostrato, senza traccia di brutti spiegoni.Ma torniamo a noi. Da una parte abbiamo una sequela di idee e personaggi uno più strano dell'altro; dall'altro lato abbiamo il ripetersi della stessa situazione più e più volte. La prima volta che un personaggio perde un pezzo, siamo orrificati. La quarta, si scrolla le spalle.
In generale, la storia di Theia spesso è troppo melodrammatica. Momenti anche molto belli e toccanti sono spinti troppo oltre, quando una narrativa molto più asciutta avrebbe garantito un colpo emotivo più forte. Non posso fare spoiler, purtroppo, quindi sarò molto generica. La fine della storia di Allison è uno dei momenti più melodrammatici di tutto il gioco. Viceversa, la fine di quella di Nion (parlo proprio delle ultime battute, non di tutto il lungo dialogo che precede il confronto vero e proprio) è sintetica e perfetta.
In sostanza, la trama di Theia ha molti punti a suo favore, tra personaggi fighi, scene adrenaliniche, una moltitudine di colpi di scena, la sua stessa lunghezza e il fatto che sia abbastanza intricata da non svelare subito dove va a parare. Allo stesso tempo, è appestata da mancanze tecnico-stilistiche che raramente le fanno “spiccare il volo”, e i buchi logici verso la fine danno veramente molto fastidio perché rendono impossibile credere nella storia stessa. Resta comunque la curiosità di vedere come va a finire, e questo è fondamentale, ma sono arrivata alla fine con l'amaro in bocca.
Tipico JRPG.
Dal punto di vista del gameplay, Theia invece brilla parecchio. E' costruito come un classico JRPG a turni, solo molto più complesso della norma. Tutti i personaggi hanno quattro caratteristiche (Forza, Resistenza, Spirito e Destrezza), che influenzano la loro abilità nel ricevere danni, del lanciare magie o dell'attaccare in corpo a corpo. Anche l'equipaggiamento fa la sua parte, alzando e abbassando varie caratteristiche o la resistenza a qualche tipo di danno, e qua arriva il bello, perché le armi sono personalizzabili con l'Atlas e migliorabili con alcuni materiali specifici. C'è *una marea* di armi e di materiale da raccogliere, e varie combinazioni di “arma+ armatura+accessorio+Atlas” da assegnare ad ogni personaggio. Non tutte le combinazioni sono buone, ovviamente, ma non ce n'è neanche una e una sola “giusta”.
Dal punto di vista del combattimento vero e proprio, sono in gran parte soddisfatta. I personaggi hanno varie tecniche, ed è possibile sfruttare più di una strategia per sconfiggere i nemici, anche quelli tosti. Questo aspetto è ulteriormente migliorato dalla presenza delle Tecniche Exceed e di quelle Dominio. Ogni personaggio ha la sua tecnica Exceed, che si attiva quando la barra Exceed è al massimo (e a sua volta, questa barra si alza quando il personaggio compie una determinata azione: Seth deve attaccare, Nadia deve usare delle abilità e così via). Queste tecniche sono di solito molto potenti e colpiscono *sempre*. Non tutte sono offensive: alcuni personaggi hanno delle stra-fighissime tecniche difensive da non sottovalutare.
Le tecniche Dominio sono delle abilità passive che si attivano man a mano che i nostri personaggi combattono. Negli scontri brevi, la tecnica Dominio non serve a molto (il combattimento sarà finito ben prima che la tecnica si sarà attivata!), ma in quelli più lunghi, scegliere la giusta tecnica può fare la differenza fra la vittoria e la sconfitta.
Sbloccare le tecniche Dominio richiede AP, punti che si vincono, assieme ai classici EXP e soldi vari, vincendo gli scontri. Può sembrare che tutto questo conduca a un grinding selvaggio, ma durante il mio playthrough io ho grindado giusto due volte: una, all'inizio, quando credevo fosse necessario per proseguire (non lo era, avevo sbagliato strada); e una, verso la fine, quando ho capito di essere troppo debolina per il nemico finale. Anche in questo caso, non ho dovuto passare le ore ad abbattere mostri random.
Due sono i problemi che ho riscontrato con il combattimento. Primo, i personaggi sono tutt'altro che bilanciati. Alcuni sono fortissimi (Seth, Nadia, Nion, fra gli altri), altri sono delle pippe (Ferion, Ferion, e ancora Ferion! Una volta su due, Ferion manca il bersaglio). Per fortuna, gli scontri sono bilanciati al gruppo che avrete sottomano, quindi non ci sono pezzi particolarmente frustranti.Secondo problema: qualche volta saltano i turni. E' capitato che io attivassi il potere di un personaggio, e che invece un nemico colpisse al suo posto. Non accade spessissimo, ma è ultra-fastidioso negli scontri difficili, quando un potere in meno (specie se una cura) può causare la morte di tutto il gruppo.Nel complesso, questi due problemi non sono stati così pesanti da inficiare il mio divertimento.
E penserete che abbiamo finito col gameplay... invece no! Abbiamo finito solo col combattimento!
Ogni personaggio ha una sua abilità passiva, che permette di compiere particolari azioni nella mappa delle varie locations. Seth, per esempio, può saltare, e quindi arrivare in luoghi elevati. L'esplorazione del mondo è una delle componenti fondamentali di Theia, perché piccole chicche (da Atlas particolarmente potenti a action figure dei personaggi...) sono nascoste letteralmente ovunque, e quindi farsi la stessa mappa con vari personaggi diventa molto importante.
Qui potete vedere tutte le millemila barre: vita, Spirito, Exceed, Azione...
Sono presenti anche una miriade di minigiochi, alcuni facilissimi (i raggi laser), altri più difficili (la moto – scena peraltro molto badass), altri spassosi e basta (il mercante...). Non li ho mai trovati frustranti e sono una simpatica alternativa ai combattimenti. Avrete insomma capito che la varietà non manca.
Un plauso particolare voglio farlo per lo sforzo di unire trama e gameplay in più di un punto. E' presente, per esempio, la modalità Accampamento, in cui potrete fermarvi e chiacchierare con i vostri compagni di party. A seconda di quel che direte, alcune delle vostre e delle loro caratteristiche si alzeranno o si abbasseranno. In parte, il meccanismo è simile a quello che vediamo in altri giochi di ruolo (DAO, per dirne uno), quindi non è una novità, ma è una bella aggiunta.
Ho apprezzato ancora di più alcune scene costruite in modo particolare – e di nuovo ho difficoltà a descriverle senza fare spoiler. In un'occasione, per esempio, finiremo in combattimento con un personaggio mutilato e sotto shock. Dovremo guidare anche lui, e tra animazione del personaggio e “modalità di utilizzo” (potrà solo difendersi e scappare), è ben reso il mood della scena!
Passiamo all'aspetto grafico e sonoro. Per realizzare Theia sono stati mischiati “pezzi” di altri giochi (Chrono Trigger, Secret of Mana, eccetera), e in giro per la rete ho letto di vari giocatori che si lamentano del contrasto fra i diversi tipi di “materiale”. In effetti la cosa un po' si nota, ma a me non ha dato molto fastidio. Probabilmente sono io a essere di bocca buona; ugualmente, direi che è uno degli ultimi problemi del gioco. Le animazioni sono parecchie e sono ben fatte, un piacere da vedere. Ancora più belle sono alcune scene, disegnate da zero da Lollo, che vengono mostrate in momenti importanti della storia. Stupende, e ben svolgono il loro lavoro di cutscenes.Senza infamia e senza lode la ost; alcuni pezzi li ho trovati molto carini, altri un po' meno, ma in generale non mi hanno fatta imparzzire.I personaggi sono più o meno doppiati, nel senso che i dialoghi sono muti, ma durante il combattimento sentirete incoraggiamenti, gridi di battaglia e quant'altro. Le voci sono ben scelte e ben “recitate”, adatte ai personaggi.
Cosa resta da dire, dunque? Theia è un progetto molto ambizioso, che viene un po' schiacciato dalla sua stessa grandezza. La sua storia ha momenti molto belli, alcuni personaggi ben pensati e fighi, e il gameplay è divertente e vario. Assumendo che vi piaccia il genere (fantasy japponesizzante), una volta superati i primi capitoli, un po' sottotono, probabilmente vorrete a tutti i costi arrivare alla fine, nonostante i vari problemi qui e lì – alcuni dei quali azzoppano parecchio la storia.Un plauso all'autore per essersi smazzato così tanto per questo progetto, enorme e, ricordo, gratis; ma sono dell'idea che con un progetto più piccolo avrebbe dato molto meglio.
Tempo fa, un'amica mi chiese di trovarle una visual novel romantica che non facesse schifo (ossia: senza le solite sdolcinatezze e i soliti cliché). Da parte mia, io volevo trovare una visual novel erotica per ragazze che non fosse yaoi (per puro spirito di osservazione e di scoperta).
Quando sono incappata nella copertina di questo The Second Reproduction, ho pensato: “Bene. O questa è una salta-pannocchie, e quindi avrò la mia Vn erotica non yaoi, oppure è una storia d'amore, e magari senza cuoricini e altre scemate!”.
Sì, è stato ingenuo da parte mia.
The Second Reproduction si apre con la nostra protagonista, Cristina, che ammira due ragazze. E che bei capelli, e che belle voci, e che pelle delicata, e che belle tette... dopo due minuti, ho ricontrollato la descrizione del gioco sul sito su cui l'avevo trovato. Che non avessi pescato uno yuri senza accorgermene?
Poco dopo, il mistero si risolve: la nostra Cristina sta ammirando le sorelle, e non perché voglia farsele, ma perché le invidia. Loro, così femminili e aggraziate! Mentre lei, cresciuta come un soldato, è così mascolina... chi mai potrebbe trovarla attraente?
Ora, vi invito a dare un'occhiata alla nostra Cristina: capello fluente, quinta di reggiseno e divisa che le lascia scoperte le delicate gambine. Decisamente mascolina. Ho quindi avuto la prima prova che questa visual novel presenta la solita protagonista ritardata.
Ma speravo ancora nelle scene erotiche.
Arriva la madre di Cristina, che ricorda alle sorelle di essere, in quanto inutili femmine, merce di scambio per eventuali alleanze politiche, e annuncia che una di loro dovrà andare in sposa a un matusa di un regno lontano. Le due sorelle scappano in lacrime. La madre annuncia allora a Cristina che ha un compito speciale per lei: quello di recarsi nella capitale dei demoni e far fuori il loro Re, Gardis, colpevole di aver distrutto la città dei Croft e di averne massacrato gli abitanti.
A questo punto della trama, cominciamo a conoscere parte del background narrativo, che ci viene propinato sotto forma di noiosissimi spiegoni, anch'essi pieni di cliché. Il mondo di The Second Reproduction è abitato sia da umani che da demoni e ovviamente le due razze sono costantemente in guerra fra loro. Cristina e la madre seguono la religione dell'Heterodoxismo, che predica l'annientamento dei demoni, ritenuti responsabili più o meno per ogni problema nel mondo.
Cristina, da brava soldatina, parte, accompagnata dal suo cane pers-erhm, da Lezette, il suo cavaliere, che è chiaramente uno dei personaggi conquistabili di questa visual novel. In quasi tutti gli otome come questo, i ragazzi che la protagonista può conquistare ricadono in specifiche categorie: abbiamo il “bello et dannato”, il “ribelle dal cuore d'oro” e così via. Lezette rientra nella categoria “amico d'infanzia cuccioloso”, e si vede subito. E' dolce, fedele, timido, il classico bravo ragazzo che non sa imporsi, innamorato in segreto di Cristina da tempi immemori. Lei, ovviamente, non se n'è mai accorta, perché è troppo deficiente. Ma sul personaggio di Cristina torneremo dopo.
I due dunque si recano nella capitale dei demoni, si infiltrano nel castello con facilità (grazie al fatto che Gardis, a quanto pare, non tiene guardie perché ha pena di farle crepare per difenderlo – e quest'esempio è esemplificativo di quanto sia stuprata la logica in questa visual novel) e assaltano Gardis, bonazzo capellone che si rivela subito essere il secondo personaggio conquistabile. Lui ricade nelle categorie “bello et dannato” e anche “sciupafemmine col cuore tenero”. E' aggressivo e violento; scopa tutto il giorno, ma davanti al Vero Amore diventa un cucciolotto anche lui. Essendo il re dei demoni, è anche ricco sfondato, cosa che, assieme alla gelosia e alla sessualità dirompente, sembra far molto colpo sulle donne.
Ma torniamo a noi: Gardis assale sessualmente Cristina un paio di volte, come in ogni fyccina che si rispetti, poi decide che i due saranno suoi ospiti per qualche tempo e fa loro preparare una stanza. Vuole che capiscano che i demoni non sono blutti e cattivi, ma normali esseri um-erhm, demoni pacifici. Logico, no?
Conosciamo quindi Jin, il primo ministro di Gardis e terzo personaggio conquistabile. Jin ricade nella categoria “algido et androgino pazzoide”, ma nel senso stupido e innocuo dei romanzetti rosa da due soldi. E' fissato col “sadomaso” di chi il sadomaso non sa neanche cosa sia, ossia quello che si limita a manette e schiaffetti sulle chiappe.
La trama, come potete ormai immaginare, è incentrata sulle turbe amorose di Cristina con uno dei tre baldi giovani. In verità, The Second Reproduction butta nel pentolone altra roba, tra cui viaggi nel tempo, lavaggi del cervello, una lezioncina pre-cotta e pre-digerita sul “blutto lazzismo” di cui sono vittime i demoni e l'importanza di una sana vita sessuale all'interno della coppia.
Ma tutto questo non basta a rendere la trama digeribile per chi abbia più di 12 anni. Le stupidità si susseguono senza fine: prima il modo assurdo con cui i due arrivano a palazzo; poi Cristina che si stupisce che nel villaggio demoniaco non ci siano fontane di sangue e pezzi umani ovunque (perché uno compra i pezzi umani e il sangue nel market sotto casa, è ovvio, e poi lo sparge come decorazioni nel giardino...); poi la sorella di Cristina che fa *vacanza* nella capitale demoniaca, fregandosene bellamente che sono in guerra e che è la città della razza invisa alla sua religione; poi ancora quel demente di Gardis che non tiene soldati in giro – e si lamenta che gli umani gli radono al suolo i villaggi.
Nessun pezzo si salva. Il conflitto razziale fra demoni e umani è mostrato nel modo più infantile possibile: gli umani sono blutti, pieni di plegiudizi e kattivi, sono mostri violentatori e distruggono villaggi. I demoni sono angioletti che forse ogni tanto si difendono ma non compiono mai malefatte di alcun tipo. Sono solo povere vittime del pregiudizio altrui – The Second Reproduction ha la stessa profondità e incisività delle pubblicità progresso del governo contro la droga.
Le parti amorose sono ugualmente cretine, quasi sempre per colpa di Cristina.
Cristina è una piattola. Spacciata come donna con i contro, è in realtà una ritardata. Ricade nel classico stereotipo della ragazza che non si accorge della propria bellezza e sensualità ed è troppo ingenua per accorgersi delle avances che le vengono fatte, ma porta questo stereotipo un po' troppo oltre. Giace nuda con Lezette sul prato e non comprende il suo (di lui) disagio, neanche quando lui le dice chiaramente: “Principessa, così la sua verginità non sarà al sicuro!”. E' un personaggio fastidioso e inutile, con ancor meno carisma dei tizi, anch'essi banali, che la circondano. A metà visual novel speravo crepasse e il tutto diventasse una yaoata fra due dei maschi rimasti.
Qualche pezzo semi-decente lo si trova. Certe volte Cristina è così stupida da far ridere, come quando mette inavvertitamente la mano sul “coso” di Lezette e quando lui comincia a recitare i salmi, lei si domanda da dove gli sbuchi quest'improvviso attacco di fede.
Sì, siamo a questi livelli di cretineria.
Ma passiamo al gameplay. Il gioco è diviso in mesi: prima ci viene mostrato cosa succede quel dato mese, poi Cristina può girare a piacimento per la capitale, visitando le varie locations mostrate sulla mappa. Il gioco sarà così gentile da indicarci con un punto esclamativo i luoghi in cui la trama vuole che ci rechiamo: saltarli ci porterà a un bad ending.
The Second Reproduction si sforza di essere vario: Cristina avrà un paio di missioni da risolvere – trovando oggetti e consegnandoli ai “committenti”, per esempio – potrà partecipare a una recita in teatro e ovviamente non mancano i dialoghi a scelta multipla, in cui potremo indirizzare le nostre brame su questo o quel ragazzo, nel tentativo di conquistarlo. Da questo punto di vista, The Second Reproduction è un otome come un altro, il che vuol dire che è abbastanza facile raggiungere un buon finale col ragazzo scelto, una volta capito il meccanismo del gioco (essenzialmente, che tipo di risposte preferisce questo o quel bonazzo).
Sono presenti 5 finali, 3 positivi e 2 negativi. In pratica, Gardis e Lezette ne hanno due (uno negativo e uno positivo) mentre Jin ne ha solo uno. Ogni sessione – dall'inizio della visual novel a uno dei finali - dura circa due ore, ma per capire al 100% la storia, svelando tutti i segreti, sarà necessario giocare almeno due volte, con due ragazzi diversi.
L'aspetto davvero positivo di TSR è l'aspetto grafico. Anche se lo stile nello specifico non mi piace per niente, non posso dire che sia brutto: i personaggi sono ben disegnati e colorati, e ci sono numerose illustrazioni per sottolineare i momenti principali della storia, con tanto di effetti di luce e sonori. Anche menu e interfaccia sono curatissimi e in linea con il gioco.
Musica ed effetti sonori sono anch'essi all'altezza. Miracolosamente, non ho trovato la musica fastidiosa neanche dopo due ore, sebbene cambi di rado. La vera chicca è il doppiaggio, abbastanza ben realizzato; sopratutto, anche Cristina è doppiata! E' raro che in un otome sia doppiata la protagonista, probabilmente questo abbassa il livello di immedesimazione delle giocatrici. Ma, avendo Cristina una storia e un carattere (…) ben definiti (…), non credo che il doppiaggio tolga molto, anzi.
Purtroppo, niente di tutto questo risolleva The Second Reproduction da quel che è, ossia una storia d'amore (si prenda come esempio la route di un bonazzo a caso) banale, zeppa di cliché e di pezzi tra il diabetico e l'idiota. E no, neanche le scene di sesso sono granché.
Cantus è un ragazzino insolito. Costantemente scocciato dal “rumore di fondo” prodotto dagli altri, gira sempre con le cuffie in testa, in modo che la gente pensi che stia ascoltando musica e lo lasci in pace. E nel tempo libero – quando può finalmente levarsi di torno i compagni di scuola e sua madre, tutti pieni di inutili parole da riversagli addosso – Cantus ama andare sulla spiaggia, a raccogliere conchiglie. E' proprio lì che incontrerà una strana bambina, Maris, le cui parole lui riesce ad ascoltare.
Faccio subito una premessa: Voices from the Sea non è una storia d'amore; non c'è niente di romantico – tranne lo stile di alcune inquadrature.
Voices from the Sea è una storia di crescita interiore con un elemento soprannaturale di contorno. Con “di contorno” intendo dire che se tale elemento non fosse soprannaturale non cambierebbe niente, e per la maggior parte della VN è come se il soprannaturale non ci fosse.
Cantus, il protagonista, si sente solo, incompreso, e non ride mai. Va sulla spiaggia per stare per i fatti suoi a fare quello che gli piace – raccattare conchiglie. Benché la sua psicologia non sia estremamente complessa, risulta abbastanza credibile: è il classico ragazzino incompreso che si trova in mille altre storie.
Maris, invece, è la classica ragazzina strana e ingenua (e un po' misteriosa) che si trova in mille altre storie. Con lei Cantus riesce a parlare, perché Maris vede il mondo senza i filtri pre-fabbricati con cui lo vedono gli altri. Non capisce cose ritenute ovvie (tipo quanto il nome “Cantus” sia ridicolo), e per questo è libera di pregiudizi.
E qui sta il problema fondamentale della VN: non c'è molto di nuovo. Si capisce subito dove si va a parare, appena Cantus e Maris si incontrano. Altri indizi sono sparsi qua e là per la VN, e il finale diventa abbastanza telefonato. Può non essere un grande problema, visto il tipo di storia: la parte importante, ossia la maturazione di Cantus, non è fatta male, e può far commuovere. Resta il fatto che, per arrivare a questo finale scontato, si deve passare per “perle di saggezza” altrettanto scontate (da: “i plegiudizi sono blutti” a: “gualda tutte le cose belle che la vita ti ha dato!”), che possono far venire l'orticaria a qualcuno (tipo me).
I dialoghi, quando non scadono nelle solite stupide gag di questo genere di VN (e di moltissimi anime), sono decenti. Un paio di battute di Cantus mi sono particolarmente piaciute, ma non si arriva mai a livelli spettacolari.
Il gameplay è classico anch'esso: ogni tanto dovremo scegliere fra due o più opzioni per proseguire il dialogo. In più, potremo andare a caccia di conchiglie, e dovremo sceglierne una ogni giorno, da regalare a Maris. Non ho notato alcun cambiamento a seconda della conchiglia regalata o dell'opzione scelta. In poche parole, Voices from the Sea è molto lineare, ha un solo finale, e non è possibile influenzare la storia. Di per sé non è un problema, ma avrei gradito che le mie scelte servissero a qualcosa, anche solo a darmi due linee di dialogo in più.
C'è da dire che quella che ho provato io è la versione gratuita, giocabile qui. C'è una versione “migliorata”, a meno di 5 euro, che potete comprare dal sito ufficiale, e che contiene vari EXTRA, fra cui “altre storie”.
Graficamente, Voices from the Sea, come potete vedere, è molto bello. Non so giudicare lo stile nel dettaglio, ma è pulito, i colori sono luminosi, ed è esattamente lo stile che uno si aspetta per la storia. Ci sono dei brevi “filmati” (immagini statiche mosse qua e là per dare l'idea di movimento, il risultato è bellino e alcune volte alquanto evocativo) per le scene più importanti, accompagnati da una musica dolce e nostalgica, anche se non troppo memorabile.
Maris è l'unica ad avere molti sprite, e sono tutti adeguati alla scena che sta “recitando”. Sono presenti anche varie illustrazioni speciali per i momento “clou”, molto belline anch'esse, in cui possiamo finalmente vedere Cantus e le sue cuffie. I menù sono anch'essi ben realizzati, professionali, e in più ad ogni fine capitolo appare uno specchietto riassuntivo molto kawaii.
La musica, come dicevo, tende a essere dolce e nostalgica; l'ho trovata molto carina all'inizio, ma dopo un po' volevo zittire le casse. Per fortuna, non continua ininterrotta per tutta la VN, ma è intervallata da altre musichette o da rumore di statiche quando Cantus è a scuola o a casa. E' usato per simulare il fastidio che lui prova ascoltando gli altri. In Voices from the Sea ci sono molti più effetti sonori che in altre visual novels, e sono tutti curiosi e ben scelti: si va dalle onde del mare, ai gabbiani, al "pop" che fa il mouse passando sui vari tasti del menu.
Quindi, in conclusione, com'è questo Voices from the Sea? Direi che è carino, e può sicuramente piacere a tutti quelli con la lacrima facile o dal “cuoricino tenero”. Persino una cinica come la sottoscritta ha trovato varie scene piacevoli, e, benché non sia originale né particolarmente memorabile, la storia di Cantus è fatta abbastanza bene, e può dare un'oretta di piacevole lettura.
Hate Plus, terzo giorno di gameplay. Mi alzo dal computer e vado in cucina. Apro la credenza e tiro fuori farina, cacao in polvere e gocce di cioccolato.
Mia madre, seduta al tavolo, alza gli occhi da Diablo III, perplessa. “Che stai facendo?” mi chiede.
“Una torta.” rispondo. “Me l'ha chiesta un NPC.”
Disclaimer: questa recensione sarà 100% spoiler-free per quanto riguarda Hate Plus, ma, per forza di cose, contiene uno spoiler su Analogue. Non è un grande spoiler (chiunque lo intuirebbe fin dall'inizio, o anche solo dando un'occhiata agli achievement di Steam), ma è comunque uno spoiler. Chi non li gradisce, dovrebbe prima giocare Analogue.
Detto questo, Hate Plus è il sequel di Analogue: A Hate Story. In Analogue, noi eravamo chiamati a investigare la fine della Mugunghwa, nave spaziale coreana retrocessa culturalmente all'epoca Joseon, con l'aiuto di una (o entrambe) delle IA di bordo. Hate Plus comincia esattamente dove termina Analogue: abbiamo appena scaricato i dati della Mugunghwa, e con essi una, o entrambe, le IA. Proprio loro ci fanno presente che esistono altri archivi, criptati, che paiono risalire a prima del cambio di società. Dal momento che dovete attendere tre giorni prima di poter scendere sulla Terra, avete tutto il tempo per spulciarli con calma.
Eccovi quindi imbarcati in un'altra investigazione, questa volta non per lavoro, ma per curiosità personale.
Il gameplay è simile a quello di Analogue: si tratta di leggere lettere, diari e documenti vari e di discuterne con la/e vostra/a amica/e. Ma la Love non si è seduta sugli allori, e ha cercato di migliorare il concept iniziale.
Uno dei problemi principali di Analogue era la facilità con cui si faceva confusione fra tutti quei parenti dai nomi simili. In Hate Plus, ogni personaggio importante ha associato un ritratto, cliccando il quale la IA ci spiegherà chi è e che cosa abbiamo scoperto su di lui/lei fino a quel momento. Questo accorgimento, da solo, aiuta moltissimo a orientarsi nella narrazione.
Continua, inoltre, la divisione dei messaggi in blocchi; ogni blocco si concentra su alcuni personaggi o su alcuni temi (un blocco può riguardare una serie di leggi ed emendamenti emanati dal consiglio, un altro può riguardare la storia fra un nobile miliziano e un ragazzo del popolo leggermente imbroglione, grazie ai quali vediamo le conseguenze pratiche di alcune delle leggi del blocco prima). In questo modo, è molto più facile seguire un filo logico e non sentirsi persi in una marea di nomi e date.
Ma il punto forte di tutte le visual novel della Love è come lei cerca di gestire il gameplay e l'interfaccia in modo da mischiare il più possibile vita reale, storia e computer. L'ho già detto nella recensione di Analogue, ma fa bene ripeterlo: da Digital in poi, la Love cerca di aumentare esponenzialmente l'immedesimazione del giocatore sfumando i contorti fra reale e irreale. L'interfaccia della Mugunghwa, il sistema di dialogo in Analogue e Hate Plus, i commenti delle IA quando mostravate loro i vari documenti, erano tutti espedienti utili a questo scopo. In Hate Plus, c'è qualche miglioria.
Prima di tutto, la IA leggerà i documenti assieme a voi, commentandoli in tempo reale e interrompendovi quando qualcosa la turba o ha voglia di parlarvi di quello che avete appena letto.
In secondo luogo, Hate Plus introduce il tempo reale. Il gioco è diviso in tre giornate, e sono tre giornate *reali*, nel senso che, alla fine della prima, dovrete spegnere il gioco e aspettare 12 ore (il motivo narrativo per farlo è che la nave ha solo una certa “potenza”, e non potete estrarre archivi o gestire l'IA tutto il giorno). Sembra una sciocchezza, o una seccatura, ma serve a immedesimarvi e a gestire meglio il ritmo della narrazione. I documenti da leggere sono parecchi, e benché siano abbastanza brevi, le pause fra una giornata e l'altra vi daranno modo di arrivare con il cervello più riposato alla giornata successiva.
I dialoghi, ovviamente, cercano di essere più verosimili possibile, e ci riescono benissimo (quando ho caricato la partita il secondo giorno, alle 2 del mattino, *Hyun-ae mi ha accolto con “Buongiorno! Beh, anche le 2 di mattina è considerato 'giorno', no?”). In verità, ci riescono così bene, che sembra di star parlando con una vera IA.
La Love gioca su questo fattore fino al punto di chiedervi di fare una torta – una vera, concreta torta – da condividere con *Hyun-ae. All'inizio, lei vi chiederà se vi va di mangiarla assieme, e voi probabilmente direte di sì perché... beh, state giocando. Quindi, lei vi chiederà di andare a controllare se avete gli ingredienti necessari. Provate a rispondere di sì: il gioco calcola il tempo che ci mettete a rispondere, e se è troppo poco, *Hyun-ae vi risponderà che sicuramente la state prendendo in giro. Non è passato abbastanza tempo, alzatevi e controllate! Se scoprirà che le avete mentito e avete solo fatto finta di preparare una torta, si incazzerà a morte e vi accuserà di averla scambiata per il personaggio di un eroge da quattro soldi.
Il punto qui non è costringervi a fare la torta o meno, il punto è che la Love è riuscita a creare una situazione per cui voi potete anche non fare la torta e mentire a *Hyun-ae dicendo di averla fatta. Ma significa che le state mentendo per davvero. Questa recensione su Eurogamers centra il punto, cito:
“siete i detective di voi stessi. Potete mentire dicendo di aver fatto una torta? E poi potte mangiare quella torta? Le meccaniche di entrambi i giochi supportano completamente i loro temi. Non è un caso che la Love ti faccia sentire a disagio a mentire a un gioco. I tuoi valori personali sono il gioco."
Ma torniamo un secondo alla storia e al writing. Benché la storia di Analogue fosse probabilmente più originale, trovo che quella di Hate Plus sia, nel complesso, fatta meglio. Da un lato, perché c'è molta meno confusione fra personaggi, e potete andare quasi in ordine cronologico. Da un altro lato, grazie a personaggi molto più vivi rispetto a quelli di Analogue. In Analogue, a parte *Hyun-ae e *Mute, non c'erano molti personaggi davvero carismatici. In Hate Plus, quasi tutti i personaggi di cui leggerete restano impressi. La palma di personaggio migliore va sicuramente ad Old*Mute, seguita a ruota dalla sua assistente e dalla futura Imperatrice; ma ognuno ha il suo dialogo brillante, commovente, o semplicemente molto umano. Nonostante sappiate già che tutti questi personaggi sono morti da secoli, le loro storie sono lo stesso appassionanti e tengono col fiato sospeso in vari punti.
Il writing, invece, potrebbe essere migliore. Intanto, sono rimasta un po' perplessa dal fatto che i personaggi trascrivessero interi dialoghi nei loro diari. Posso però capire perché la Love ha scelto questa soluzione. Per quanto sia inverosimile che uno scriva, nel proprio diario personale, i dialoghi come se si trattasse di una pagina di romanzo, l'alternativa sarebbe stata quella di avere lunghe pagine di pallosissimo raccontato, pesanti da leggere e noiosissime. Non so quale altra soluzione si sarebbe potuta adottare per evitar il problema.
Invece, è la scrittura stessa che lascia a desiderare, quando non si tratta di battute di dialogo. In particolare, nei primi archivi è tutto un profluvio di avverbi, specialmente nei dialogue tag! I dialogue tag sono quelle espressioni che si scrivono prima o dopo i dialoghi.
“Come stai?” chiese Marco. “Chiese Marco” è un dialogue tag.
In Hate Plus, molto spesso queste povere frasi sono appestate da avverbi. Tizio gridò disperatamente, Caio si mosse rapidamente, Sempronio sussurrò dolcemente... e via così.
Oltre a sembrare ridicoli da leggere uno dopo l'altro, questo è un errore da dilettanti. Ok, è vero che i personaggi non sono scrittori e non sono tenuti a sapere che gli avverbi vanno evitati, ma la Love poteva benissimo toglierli e la cosa non avrebbe inciso più di tanto sulla verosimiglianza dei documenti.
Comunque, non so se perché se n'è accorta o per quale altro motivo, ma andando avanti il problema diminuisce, con sommo ringraziamento da parte dei miei occhi e del mio cervello.
Una cosa più scocciante, invece, è la scelta che ci viene messa di fronte alla fine di una delle route (ce ne sono 3, ognuna dura 3 giorni). Avete tre possibili risposte fra cui scegliere, ma nessuna delle tre era quella che volevo selezionare io! E' l'unica volta che succede, ma per un gioco che si basa così tanto sull'immedesimazione, è un problema.
In Analogue, mettevo in guardia contro una scena abbastanza forte. In Hate Plus... beh, è difficile mettere in guardia senza spoilerare. Diciamo solo che, chi è sensibile a temi quali il suicidio, dovrebbe accostarsi al gioco con una certa attenzione, o proprio non giocarlo. Sono presenti anche molte scene di sesso, sempre piuttosto esplicite, e fra personaggi di vario genere (insomma, se avete problemi con le relazioni omosessuali... erhm, se avete problemi con le relazioni omosessuali avete proprio sbagliato autrice XD!); infine, è presente una scena di molestie sessuali – ma non ci sono stupri.
E' da specificare che nessuna di queste scene è fine a se stessa, ma hanno tutte il loro scopo nella narrazione.
Graficamente, Hate Plus abbandona il look bianco-minimale di Analogue: il suo schermo è più colorato e “ingombro”; a volte, direi, non c'è abbastanza spazio per tutto, specialmente se le due IA sono entrambe attive. La cosa non infastidisce la lettura, però, e rende secondo me bene il passaggio dall'immensa e deserta nave coreana alla vostra navicella più piccola e “accogliente”.
Dove la Love si è davvero superata, però, è negli effetti sonori e visivi. Dopo un po' che leggevo, ho cominciato sentirmi infastidita da qualcosa. Il mouse scorreva lento, il documento laggava, e il pc mandava il suono tipico di quando ce la fa a stento. Ebbene, non era il mio pc, era il gioco! La nostra nave, la White Princess (Principessa Bianca), è danneggiata dall'invasione della IA, e ha pochissima potenza. Quindi, tenere attiva l'IA e leggere i documenti crea rallentamenti e problemi. Non ricordo la colonna sonora, ma ricordo benissimo questa sensazione, ricreata alla perfezione. Complimenti alla Love.
Gli sprite dei personaggi sono, al solito, fatti molto bene. Hanno entrambe molte espressioni e pose, e vederle leggere i documenti è metà dello spasso.
Inutile dire che Hate Plus è davvero una bellissima Visual Novel. Oltre a proporre una bella storia appassionante, con personaggi vivi e unici, si sforza più che può per proporre un'esperienza di gameplay che sia il più possibile immersiva. Gioca con il giocatore così come il giocatore gioca con il gioco, e cerca di creare una “dimensione alternativa” che possiate vedere come reale.
Non molti giochi ci riescono così bene come questo.
Anche le Visual Novels hanno i sequel. E oggi parleremo di quello di Hatoful Boyfriend, l'otome a base di piccioni e colombe che ho recensito qualche tempo fa. Se ricordate, l'avevo paragonato a una scatola dei giocattoli pasquale, piena di sorprese. Ebbene, Hatoful Boyfriend Holiday Star, uscito in inglese il 25 Dicembre del 2012, è il mucchietto di regali, tutti per voi, che aspettano di essere scartati sotto l'albero di Natale.
In parole povere, anche questo sequel è pieno di cose che non vi aspettereste mai.
Quando lo iniziai, mi aspettavo che Holiday Star contenesse un paio di brevi episodi simpatici e nulla più. Invece, come lunghezza e contenuto è alla pari dell'opera originale: è composto da quattro episodi principali, più altri sei episodi brevi. La storia e il tono variano moltissimo da un episodio all'altro, ma la leggerezza e la demenzialità sono il filo conduttore di tutta la visual novel.
In più, tutti gli episodi sono degli AU rispetto alla storia principale avvenuta in Hatoful Boyfriend. Per chi non fosse avvezzo ai termini delle fan-fiction, AU sta per Alternate Universe (Universo Alternativo): in sostanza, in Holiday Star si “fa finta” che tutti gli eventi della Hurtful Route di Hatoful Boyfriend non siano mai avvenuti. Questo è un mondo parallelo (e più felice... apparentemente), in cui tutti i piccioni hanno continuato la loro vita scolastica normalmente, e in cui noi interpreteremo la protagonista della parte “otome” di Hatoful Boyfriend.
Aver giocato il titolo originale non è obbligatorio, ma chi lo avrà fatto coglierà molte citazioni e capirà molti sottintesi fra i personaggi, che altrimenti resteranno oscuri.
Disclaimer: Holiday Star non è un otome! Non ha niente a che fare con il lovvo, e non è un date sim. Chi è allergico al genere, quindi, può non fuggire schifato.
Il primo episodio, L'Attacco dei Ladri Natalizi (The Christmas Thieves Attack!) è una classica storia in stile “salviamo il Natale”, solo coniugata in chiave demenziale. Per la città si aggirano dei misteriosi ladri di alberi di Natale, che si divertono privare i poveri piccioni della gioia delle feste. Noi, nei panni della nostra coraggiosa cacciatrice-raccoglitrice, dovremo fermarli con l'aiuto dei nostri amici. Benché regali delle perle comiche meravigliose, è un episodio abbastanza tranquillo e che non trascende più di tanto né nel commovente, né nella genialità.
Il secondo episodio, Fallen Chronicles – Absolute Zero, è molto più demenziale. Angheal, uno dei nostri amici pennuti, ha intenzione di pubblicare un manga (Fallen Chronicles, appunto), e sembra che un editore sia interessato al suo lavoro! Ma quando Angheal torna dall'incontro stanco e abbattuto, è chiaro che qualcosa non va. Le premesse non fanno immaginare il mix assurdo che salterà fuori, fra una parodia delle classiche maghette, cannoni giganti e il terrificante potere dello yaoi. Basterà la forza di volontà dei nostri a salvare la scuola da distruzione certa? Questo episodio è quello che mi ha convinta che non mi trovavo davanti a un sequel fatto “tanto per” dare il contentino ai fan, ma a un prodotto ben pensato e anche più divertente dell'originale.
Gli ultimi due episodi sono uno la continuazione dell'altro. Nel primo, Il Giorno in cui la Notte Dormì (The Day The Night Slept), la classe della nostra protagonista si incontra sul tetto della scuola per osservare un'eclissi lunare. I nostri si addormentano e fanno quel che sembra un sogno comune: si trovano su una stella lontana, abitata da un Re un po' fifone, che chiede loro continui aiuti per risolvere i problemi che lo affliggono. Sembra una classica avventura rpg-esca, con il party di eroi che risolve i problemi di una terra lontana... finché non si arriva alla seconda parte di questo episodio (The Day The Night Slept – After), in cui si scopre che il sogno non era proprio tale, e che i nostri sono in reale pericolo di vita.
Tramite un simbolismo non troppo oscuro e alcune trovate molto da “horror giapponese” (purtroppo farvi un esempio sarebbe spoiler... chi ha giocato Rule of Rose, per esempio, troverà un paio di somiglianze), la storia di The Day The Night Slept unisce la leggerezza e la comicità caratteristiche del titolo, a temi e toni più seri e profondi, come la solitudine, il suicidio e il timore del futuro. E' una route che non avrebbe sfigurato in questo articolo, se l'avessi conosciuta all'epoca.
I sei episodi brevi, invece, sono dei divertenti sketch, ognuno simpatico e curioso a modo suo, che farei rientrare nella categoria degli Extra più che in quella delle storie principali. Non ne resterete comunque delusi: si va da una gita per i luoghi adatti ai piccioni di Kyoto, a un appuntamento al tempio con un piccione di nostra scelta (unica parentesi romantica dell'intero titolo), all'attacco di gelosia di un piccione che non ha mai ricevuto niente per Legumentine (il San Valentino dei piccioni).
Sempre negli Extra, è presente uno spettacolo radiofonico in sei parti, gestito da Ryouta, uno dei piccioni della storia principale. Non l'ho trovato molto divertente rispetto agli episodi, ma considerato che gli episodi sono assolutamente deliziosi, questo significa che il programma radiofonico è “normale”. Per la cronaca, è “radiofonico” per modo di dire: i dialoghi appaiono tutti a schermo, tradotti, non c'è quindi necessità di conoscere il giapponese per capirlo.
Infine, è possibile visionare tutte le immagini sbloccate giocando i vari episodi, e alcune extra, nella sezione Gallery. Non è niente di eccezionale, ma è carino per chi volesse riguardarne alcune (o prendere foto per una recensione...).
Non c'è molto da dire sul writing che già non abbia detto nella recensione di Hatoful Boyfriend: è molto, molto buono. Ogni personaggio ha la sua voce caratteristica, li riconoscerete tutti ancor prima di veder comparire il loro sprite a schermo. Ma sopratutto, è eccezionale l'abilità con cui è gestita l'atmosfera delle varie storie. Come in Hatoful Boyfriend, anche in Holiday Star si passa dalla demenza più assoluta al tragico, al triste o al surreale e al simbolico (specialmente negli ultimi due episodi) in un battibaleno, e il cambiamento non è mai fuori luogo. Holiday Star sa bene che tutto è serio, e tutto è una farsa. Gioca continuamente con i cliché dei vari generi che tocca, e lo fa con assoluta non-chalance, spesso rompendo il quarto muro o prendendosi in giro da solo (“Qual è il problema delle forze armate giapponesi? Perché gli è permesso avere un'arma simile?” strilla Sakuya quando compare il super-cannone in grado di annientare l'intera scuola con un solo colpo...).
Dal punto di vista del gameplay, siamo nel territorio delle visual novel più classiche: ogni tanto dovremo scegliere fra due o più opzioni che ci verranno presentate. Spesso, quella sbagliata ci porterà alla morte, e quella giusta ci farà procedere nella storia. Le scelte sono quasi sempre demenziali, e sarà impossibile capire a priori qual è quella giusta, quindi è bene salvare prima di farne una. In un'occasione in particolare, ricordo che un indizio sulla soluzione giusta mi era stato dato nel gioco originale, Hatoful Boyfriend: chi non l'ha giocato, quindi, partirà svantaggiato.
Sfondi e sprite sono, al solito, deliziosi. In particolare gli sfondi di The Day The Night Slept sono disegnati a mano con un tratto un po' bambinesco, per sottolineare il fatto che quelli siano luoghi alieni e onirici e non posto solidi e reali come gli altri (la scuola, i negozi ecc) che i nostri personaggi frequenteranno. Il contrasto fra gli sfondi disegnati a mano e le foto ritoccate degli uccelli non crea un brutto effetto, ma il tutto si amalgama molto bene.
Le musiche variano molto, proprio come nel titolo originale: abbiamo quelle epiche, quelle dolci, quelle malinconiche e quelle paurose e nostalgiche. C'è un po' di tutto, per adeguarsi alle varie atmosfere che la visual novel vuole proporre.
Che cosa resta da dire? Ho trovato questo Holiday Star ancora più bello di Hatoful Boyfriend. La demenzialità già presente nella VN originale qui è portata alle stelle, con alcune trovate assolutamente assurde e dei dialoghi magnifici e sempre adatti al personaggio. I due episodi finali sono alla pari con la Hurtful Route di Hatoful Boyfriend, anche se a confronto sono meno tragici.
In una parola, una delle Vn più belle che abbia mai giocato.
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