Immediatamente dopo aver portato a termine Diablo, è subentrata in me la curiosità di scoprire come potesse essere invecchiato il secondo capitolo della serie. Sapete come vanno certe cose… una ciliegia tira l’altra.
La release su GOG del primo titolo, aggiornato ai sistemi operativi e hardware moderni, era stata l’input a riprendere in mano il gioco per un’ultima run e raccontarvela, perciò, come prima cosa, sono andato ad indagare su un eventuale arrivo negli store digitali di una versione rivista di Diablo 2.
Le mie ricerche sono state infruttuose: sul sito di Blizzard si parla soltanto della collaborazione con GOG per dare nuova linfa al primo Diablo, a Warcraft e a Warcraft 2 Battle.net Edition.
In effetti, questi tre titoli sono gli unici che Blizzard non ha mai venduto nel suo store online: Diablo 2, accompagnato dalla sua espansione Lord of Destruction, lo si può trovare da tempo disponibile al download, alla più o meno modica cifra di 20 euro per tutto il pacchetto.
Inoltre, sul forum di OGI avevamo riportato la notizia di come Blizzard avesse creato, in tempi piuttosto recenti, delle patch di compatibilità, arricchite da bugfixes, per Diablo 2 e Warcraft 3, e poi le avesse rilasciate gratuitamente per le vecchie versioni fisiche dei due giochi, oltre che implementarle nelle edizioni in vendita sul suo store.
Una mossa davvero genuina da parte della software house, che invece ci avrebbe potuto costringere in modo truffaldino a ricomprare il titolo. Se non disponete della versione fisica, non vi preoccupate, potete sempre acquistare il gioco in digital delivery, a quel che vedo è presente anche la versione italiana.
Con questa consapevolezza, mi arrampico sulla scala e tiro giù dalla mensola più alta della mia camera i box cartonati di Diablo 2 ed espansione, il tutto con uno sbuffo di polvere non indifferente, del tipo che si vede nei film fantasy quando il mago apre il suo antico libro degli incantesimi.
Tossendo e imprecando, installo gioco ed espansione, selezionando “installazione completa”, poi applico la patch ufficiale 1.14d di cui stavo parlando e lancio Diablo 2.
Come prima cosa, configuro le opzioni relative alla scheda video, dopodiché scopro che, per giocare, devo tenere dentro il lettore il CD dell’espansione. Probabilmente, la patch non rimuove il vecchio check sul CD di gioco, poco male.
La sorpresa arriva quando appare la prima schermata, scopro infatti che il gioco supporta come risoluzione massima 800x600, con il risultato che, a schermo intero, visualizzo le immagini stretchate, quindi deformate, sul mio monitor 16:10.
Beh, questo è normale, con Diablo GOG è stato fatto un grosso lavoro sui sorgenti di gioco per supportare le risoluzioni widescreen. Oddio, “supportarle”, è un parolone, diciamo piuttosto mantenere l’aspect ratio 4:3 su risoluzioni wide, piazzando bande nere ai lati dell’immagine, e servendosi di tecniche di zoom con l’aiuto di filtri grafici, senza i quali l’immagine risulterebbe sgranata. È evidente che qui non è stato fatto lo stesso genere di lavoro, è normale, per questo nei precedenti articoli sostenevo che gli 8.89 euro chiesti da GOG per Diablo fossero una cifra onesta. Che si fa dunque?
Semplice, esiste un trick, utilizzabile se si possiede una scheda video moderna, per forzare l’aspect ratio 4:3 dei vecchi giochi sui nostri monitor widescreen, imponendo l’applicazione delle famose bande nere laterali alla finestra di gioco. In presenza di una scheda video Nvidia come la mia, basta aprire il pannello di controllo dei driver, di solito presente nella lista delle icone dei programmi attivi in memoria, giù a destra, vicino all’orologio, selezionare “Regola dimensioni e posizione del desktop” e, sotto la voce “Applica proporzionamento su”, scegliere “GPU” invece di “Schermo”, applicare, confermare e il gioco è fatto! Ovviamente, il tutto funziona anche in presenza di schede video AMD, non saprei dirvi invece come procedere con le INTEL e sui notebook, dove spesso le schede video presenti sono due e le opzioni di gestione di quella avanzata sono più limitate.
Magari fate qualche prova e poi fatemi sapere. Questo trucchetto potrebbe tornarvi utile anche con qualche altro vecchio gioco, ad esempio Nox e Throne of Darkness, quindi vi consiglio di memorizzarlo.
Tornando al primo Diablo, al termine del gioco, il nostro personaggio strappava la pietra dell’anima, contenente l’essenza del demone, dal corpo esanime del principe Albrecht, per poi piantarsela in fronte. Egli sperava, così facendo, di poter contenere il demonio e impedire nuove catastrofi. Veniva poi spiegato che, da quel momento, l’eroe avrebbe iniziato a lottare perché la volontà di Diablo non prendesse il sopravvento sulla sua. Per questo motivo, aveva intrapreso un viaggio verso est, per le lande dove i due fratelli di Diablo, Baal e Mephisto, erano stati relegati, speranzoso di trovare un modo per liberare definitivamente il mondo di Sanctuary dai Primi Maligni. Ovviamente, starete pensando che questo fosse un finale aperto, che faceva presagire un seguito, ed effettivamente è così, ma non è che le cose siano andate proprio lisce lisce…
Infatti da un bellissimo postmortem di Eric Schaefer, designer e direttore responsabile (assieme a Brevik e a suo fratello Max) di Diablo 2, pubblicato su Gamasutra, veniamo a sapere che il primo capitolo della serie uscì a fine dicembre 1996, dopo 4 mesi finali di durissimo e intensissimo lavoro; mesi che avevano ridotto la ciurma davvero malissimo. A quel punto, il team di Blizzard North non aveva alcuna idea su cosa sviluppare dopo, di sicuro c’era che nessuno si sentiva pronto a tornare a lavorare sul mondo di Sanctuary. L’unica convinzione era il non voler ripetere l’esperienza di quei 4 mesi terribili.
Questa spossatezza fisica e mentale ha rischiato seriamente di impedire che un seguito arrivasse in tempi relativamente brevi sui nostri computer, nonostante il finale del primo gioco urlasse ai videogiocatori: “Ehi, torneremo presto in pompa magna!”.
Per fortuna la passione e l’incoscienza prevalsero e, dopo tre mesi passati a riprendersi dall’immane fatica, in cui si valutavano varie idee per produrre nuovi videogiochi, e altri due mesi di riunioni e discussioni, decisero di mettersi a lavorare a Diablo 2.
Quindi, riassumendo: per creare il primo titolo si sono distrutti e noi videogiocatori abbiamo rischiato di non vedere un altro Diablo, o per lo meno di non vederlo nei 5-10 anni successivi alla release del primo capitolo. Probabilmente, starete pensando che, memori del titanico sforzo precedente, questa volta si fossero organizzati meglio. Anche in questo caso, in parte è vero e in parte no, in quanto, a fronte di una migliore organizzazione, di cui vi parlerò più avanti nella descrizione della mia partita, l’obiettivo divenne creare un seguito migliore del primo videogioco, analizzando i feedback dei giocatori e dei recensori, o inserendo ciò che i membri del team sognavano già da tempo, ma non avevano potuto realizzare alla prima occasione, ma soprattutto i ragazzi di Blizzard North si misero in testa che Diablo 2 sarebbe dovuto essere più grande e vasto in OGNI suo aspetto.
Felice dei trascorsi masochistici di Brevik e soci, lancio il gioco e, come nel caso del primo Diablo, mi ritrovo in pochi secondi a osservare un menu semplice e spartano. Le possibilità sono le solite: partita giocatore singolo, Battle.net, partita multigiocatore di altro tipo e i soliti riconoscimenti.
Però è presente una nuova voce: “filmati”. Non ci vuole certo un genio a capire che questa nuova funzione permette di rivedere in un secondo momento i filmati, dopo averli sbloccati giocando. Funzione interessante; trovarsela lì, quando si è alla prima run di Diablo 2, fa intuire che a questo giro ci saranno più filmati rispetto ai canonici tre del primo titolo.
Che dire della componente multigiocatore, invece? Come al solito non posso parlarvene in modo diretto, come ho scritto nell’articolo dedicato a Diablo, ho sempre evitato co-op ed esperienze multigiocatore come la peste, però posso riportarvi le dichiarazioni di Schaefer. Il sistema Battle.net lanciato assieme a Diablo, seppur afflitto dalla piaga del cheating, ebbe un grande successo e, a pochi mesi di distanza dal rilascio, si può dire fosse il più grande servizio di gioco online esistente. Al momento dell’arrivo di Diablo 2 nei negozi, vantava più di 6 milioni di utenti attivi.
La differenza rispetto all’epoca dello sviluppo di Diablo, dove il servizio multigiocatore venne implementato quasi a fine progetto, fu che a questo punto Blizzard North era ormai più che consapevole dell’importanza di questa feature. Perciò iniziarono fin da subito a dedicarci tempo ed energie, cambiando radicalmente il codice del network. Può sembrare cosa da poco detta così, ma richiese il lavoro di un’intera squadra, che operò cercando di implementare i nuovi pezzi di codice e le nuove funzionalità sul modello già esistente. Schaefer più volte si è detto pentito di aver adottato questo metodo, sostenendo che sarebbe stato molto più rapido e indolore fare tabula rasa e reinventare tutto da zero. Eh… probabilmente mi sono perso una grossa fetta della bellezza di questi giochi, rinunciando a questa componente, ma che ci volete fare? Sono sempre stato un lupo solitario (o forse sarebbe meglio dire un orso) amante del single player; solo la nostra Gwenelan è riuscita a stanarmi, convincendomi ad abbracciare il co-op multiplayer con quel capolavoro che risponde al nome di The Secret World, ma questa è un’altra storia.
Bando alle ciance, clicco su “giocatore singolo” e davanti a me si apre la schermata di generazione del personaggio. La prima cosa che noto è che la metodologia è rimasta quella di Diablo, ma le classi disponibili sono cambiate tutte e aumentate di numero. Il gioco ora ci permette di scegliere tra: amazzone, che fu il primo tipo di personaggio ad essere creato e venne utilizzato nelle varie demo preparate da Blizzard, assassina, negromante, barbaro, paladino, incantatrice e druido. Questo perché io sto giocando con l’espansione installata, che aggiunge le classi druido e assassina.
Il primo gioco l’ho portato a termine con il guerriero, perciò sono tentato dal paladino, una classe a dir poco sfiziosa, ma finisco per selezionare il barbaro. All’assalto con il carro armato! Però, secondo me, la vera peculiarità di questa finestra di selezione non è il maggior numero di classi disponibili rispetto al primo titolo, bensì la possibilità di selezionare l’opzione “hardcore”, sotto al campo dove si deve scrivere il nome del proprio personaggio. Come nel primo gioco, non si può decidere alla prima run a quale livello di difficoltà affrontare l’avventura; in parole povere: non esiste la modalità “facile”. Fantastico, meraviglioso, stupendo.
Sul forum di OGI, in questo periodo, è stato aperto un thread dove, prendendo ad esempio il recente Sekiro e i vari Dark Soul, stiamo discutendo del concetto di difficoltà nei videogiochi moderni. Il mio pensiero è che certe tipologie di gioco non debbano essere adattate, e quindi rese più facili, per i casual gamer, ossia per i videogiocatori occasionali. Hai solo venti minuti di tempo al giorno per giocare ai videogiochi? Non puoi o non vuoi dedicarne di più? La mia soluzione è: comprati una console portatile Nintendo, gioca con il cellulare, e non rompere le uova nel paniere a chi può dedicare più tempo di te a questo hobby. E lo dice uno che appartiene proprio alla categoria di chi di tempo ne ha sempre con il contagocce.
Le software house non dovrebbero facilitare troppo i propri videogiochi per venire incontro a questa tipologia di videogiocatore, agendo così si finisce con il rovinare l’esperienza agli altri. C’è poi la categoria peggiore, quella dei videogiocatori che il tempo ce l’avrebbero anche, ma non hanno voglia di impegnarsi un pelo di più per imparare le meccaniche che muovono il videogioco di turno. Blizzard, sino a Diablo 2, ha pensato a una difficoltà base del titolo unica, non modificabile, che attraverso un lungo lavoro di bilanciamento, ottenuto anche grazie a un buon numero di patch, ci permette di sperimentare un tipo di giocabilità dalla difficoltà ben bilanciata, dove si uccide molto e facilmente, ma allo stesso tempo si muore con altrettanta frequenza, se non si sviluppano e adottano precise strategie di gioco.
Comunque, la modalità “hardcore” di Diablo 2 è un’antesignana di quello che prevedono oggi la maggior parte dei rogue-like, cioè la fine della partita in caso di morte del personaggio. Permadeath, morte permanente. Quindi Blizzard, nel lontano 2000, non ci trattava come bambini dell’asilo da tenere per mano costantemente, ma prendeva sul serio, e soprattutto rispettava, se stessa e i videogiocatori. Niente facilitazioni, una difficoltà di gioco ben calibrata e la possibilità di accedere fin da subito a una modalità di gioco più difficile e intricata, non certo più facile. Rispetto, vecchia Blizzard, rispetto a te.
La mia sarà l’ultima run di addio al gioco, quindi avvio la partita senza marcare la casella “hardcore”: giocherò normalmente, così come, a quei tempi, Brevik e soci avevano pensato si dovesse giocare.
Per giochi di ruolo isometrici si intende quei giochi in cui l’azione viene visualizzata "a volo d’uccello", con la telecamera posta in alto e leggermente inclinata.
Questo tipo di impostazione grafica riflette solitamente (ma non sempre, vedi Ultima 7) un gameplay incentrato sul combattimento tattico, solitamente a turni.
Senza dimenticarsi però che, agli albori del genere, quando i limiti tecnici erano più stretti, la visuale isometrica ha consentito ai gamedesinger di portare l’avventura fuori dagli angusti limiti dei dungeon, nelle sconfinate terre aperte del fantasy!
LE ORIGINI:
Anche in questo caso, come per i gdr in soggettiva, preferisco non sbilanciarmi troppo sulle origini del “genere”. Non avendo avuto modo di giocare i primi giochi isometrici al momento della loro pubblicazione, li ho in seguito trovati poco appetibili per rigiocarli, a causa dei limiti grafici e delle interfacce ostiche. E quindi non li conosco molto.
Mi limito qui a segnalare alcuni capostipiti interessanti, che comunque reputo degni di una prova.
Il primo da citare è ovviamente Ultima I: "The First Age of Darkness" (Origin, 1981), che utilizzava la visuale isometrica per l’esplorazione degli esterni e delle città. Il gioco è l'ennesimo esempio di come i limiti tecnici andassero a incidere sul gameplay; tanto è vero che Richard Garriott si risolse ad usare la visuale "isometrica" per gli esterni e quella in soggettiva per i dungeon (più, ovviamente, quella ad hoc per lo spazio - per i temerari che l'hanno portato a termine!).
Ad ogni tipologia di gameplay la sua impostazione grafica.
La vera pietra miliare di questa prima generazione di giochi di ruolo isometrici è però indiscutibilmente lo storico e bellissimo Pool of Radiance (Strategic Simulations, Inc. – 1988). Il gioco fu il primo di quattro indimenticabili titoli costruiti dalla SSI utilizzando il "Gold Box Engine": Curse of the Azure Bonds (1989), Secret of the Silver Blades (1990), and Pools of Darkness (1991), a cui seguirono altri titoli ancora negli anni seguenti. Anche il Gold Box Engine utilizza la prima persona in soggettiva per l'esplorazione dei dungeon e la visuale isometrica per i combattimenti (all'aperto e al chiuso).
La saga iniziata con Pool of Radiance resta celebre, oltre che per la profondità di gioco e l'ottimo gameplay, per essere il primo titolo in assoluto a utilizzare la licenza ufficiale di D&D, che la TSR aveva concesso alla SSI dopo aver constatato il grande successo della saga di Ultima.
Giusto per curiosità, credo valga la pena aggiungere che fra le società che richiesero alla TSR i diritti del AD&D c'erano anche la EA (aaargh!) e la Sierra.
LA SECONDA GENERAZIONE:
La strada aperta da Pool of Radiance viene percorsa negli anni dalla SSI con grande maestria, ma senza la forza e la capacità di innovare veramente: si continuava a fare quello che si era sempre fatto, soltanto con qualche miglioria grafica e strutturale minore.
Tuttavia il loro Dark Sun: Shattered Lands (1993), pur realizzato con un motore nuovo ma ancora acerbo (il Dark Sun Engine), è un notevole passo avanti. Sia per il netto salto di qualità nella grafica, sia –soprattutto- per l’ottimo sistema di combattimento, che riproduceva in modo fedele (e divertente!) le regole dell’AD&D.
Il mondo di gioco (per quanto costruito “ad oggetti” e non con fondali disegnati) era ancora ben poco manipolabile, però il gioco era avvincente e riusciva a raccontare in modo soddisfacente la sua storia, riproducendo in modo fedele la bellissima ambientazione di gioco.
I giochi che seguirono, anche da parte di altre SH, non si discostarono troppo da questo schema.
Vale forse la pena segnalare anche gli altri giochi, sempre della SSI, basati sempre sul Dark Sun Engine, perché anche questi offronto un more of the same decisamente divertente e all'altezza delle aspettative; si tratta di: Dark Sun 2: "Wake of the Ravager" (1994 - leggendario e difficilissimo il suo colossale scontro finale!), Al-Quadim: "The Genie’s Curse" (1994) e Entomorph: "Plague of the Darkfall" (SSI, 1995). Quest'ultimo è un ottimo titolo che conclude però con un grosso insuccesso commerciale l'esperienza del Dark Sun Engine, nonostante la bella trama, l'alta risoluzione introdotta dal gioco e il supporto del CD-Rom e quindi di un comparto tecnico all'avanguardia. Tutti questi titoli dimostrano come, anche per i gdr isometrici, ci sono voluti molti anni per recepire le novità introdotte da altre SH più intraprendenti.
Da non dimenticare, quando si parla dei giochi SSI dgli anni '90 l'importante e innovativo MMRPG Dark Sun Online: "Crimson Sands" (praticamente sconosciuto qui in italia).
Un titolo estremamente significativo di questa “seconda generazione” di giochi di ruolo isometrici è rappresentato sicuramente da Ultima 6: "The False Prophet". Datato 1990 (e quindi antecedente al Dark Sun Engine), il gioco della Origin apre con il suo motore grafico nuove strade, che saranno poi battute e perfezionate dal suo seguito (Ultima 7).
Le innovazioni sono tantissime, ma il gameplay non ha ancora quella stupefacente profondità e immediatezza della generazione successiva.
Ultima 6 ci presenta un mondo enorme, liberamente esplorabile, anni luce distante per profondità e credibilità dalle limitate mappe di Dark Sun (ma anche -diciamocelo- da quelle di Baldur’s Gate!!!).
I fondali, non disegnati a mano ma costruiti con oggetti, presentano un’interattività mai vista prima in un gioco per computer, che consente al gioco di raggiunge un realismo fino ad allora inimmaginabile. Basti dire che il motore che muoveva la Britannia di Ultima 6 era talmente avanzato da essere riutilizzato, molti anni dopo, come base per l’engine di Ultima On-line (era il 1997).
La grafica in finestra (e non a schermo intero come nel Dark Sun Engine) ci appare però oggi troppo superata e l’interfaccia, certo rivoluzionaria per quel tempo (il mondo dPC doveva ancora conoscere Windows e già Ultima 6 funzionava esclusivamente tramite mouse!), oggi risulta ostica e toglie moltissimo all’immediatezza del gioco.
Tuttavia, nonostante la scarsa giocabilità odierna del titolo, ad Ultima 6 va riconosciuto il gran merito di aver dimostrato che la grafica isometrica non è funzionale solo ai combattimenti tattici, ma anzi è lo strumento ideale su cui costruire un mondo credibile e raccontare una storia di grandissima profondità.
Ultima 6 è anche uno dei pochissimi giochi di ruolo che conosco che non si conclude con uno “scontro finale contro il super boss”: un’autentica perla, che dona nuova dignità al genere e corona in modo perfetto una storia tutt'altro che banale che affronta in chiave fantasy il tema del razzismo.
LA TERZA GENERAZIONE:
Andando avanti negli anni, notiamo che anche i GdR isometrici tendono a dividersi in due categorie (in base ai loro engine grafici e quindi in base al gameplay che propongono).
Da una parte abbiamo i successori di Dark Sun, prevalentemente caratterizzati da sfondi disegnati a mano o comunque scarsamente interattivi; solitamente incentrati sul combattimento a turni..
Dall’altra parte i successori di Ultima 6, che presentono mondi costruiti “per oggetti”, sempre più dettagliati e credibili e che fanno dell’interattività e della storia la loro bandiera. Spesso lasciando il combattimento e le stats in secondo piano.
La "terza generazione" è inevitabilmente segnata dall'uscita di Ultima 7 Part 1: "The Black Gate" (Origin, 1992). Se confrontate le date, vedete che Ultima 7 esce prima di Dark Sun, pur surclassandolo da ogni punto di vista; limpido esempio di quale scarto tecnologico potesse esistere all'epoca fra un gioco e l'altro. Ecco che Ultima 7 supera di gran lunga ogni aspettativa e segna un nuovo standard di interattività e immersione per i mondi virtuali. Mai come allora un mondo virtuale era stato tanto credibile e affascinante nella sua complessità.
Non mi sembra necessario spendere altre parole su Ultima 7, se non per aggiungere che –ahimè!- non ha avuto il seguito di cloni che era legittimo aspettarsi. E credo che la spiegazione sia abbastanza semplice: non c’è dubbio che sia molto più rapido e meno costoso creare un gioco “alla Dark Sun” piuttosto che un clone di Ultima 7 e non è assolutamente detto che il primo venda meno del secondo!
Due dei pochi cloni all’altezza dei due Ultima 7 Part 1 sono proprio… Ultima 7 Part 2: "Serpent Isle" (1993) e Ultima 8: “Pagan” (Origin, 1994).
Soffermiamoci su Ultima 8; a causa dell’aggiunta di numerosi elementi arcade e di un più generale stravolgimento delle macchine e dei cliché della saga, il gioco è stato bistrattato dai fan di Ultima e si è rivelato un sonoro flop di incassi (tanto è vero che si è perfino arrivati alla cancellazione del suo datadisk, pur praticamente ultimato: Ultima 8: "The Lost Vale"). La verità, credo, è che Ultima 8 è un buon gioco e l’unica sua pecca è di mancare (almeno in parte) proprio nella cura della storia e dei PNG, cioè nei due elementi che più di tutti distinguono la saga di Ultima.
Comunque, per il discorso che qui interessa, rilevo che Ultima 8 rappresenta uno dei punti di arrivo dei GdR isometrici “ad oggetti”, presentando una grafica e delle animazioni di altissimo livello, con un mondo di gioco ricco e dettagliato.
Altri titoli isometrici dotati di una grandissima ambientazione e di un’elevata interattività con l'ambiente circostante sono stati Fallout (Interplay, 1997, e il suo seguito Fallout 2 datato 1998 sivluppato da Black Isle Studios - sì, quelli di Baldur's Gate!), un capolavoro del genere che ogni appassionto di gdr dovrebbe aver giocato, e Arcanum: "Of Steamworks & Magick Obscura" (Sierra – Troika Games, 2001).
Non meno piacevoli e significativi sono Final Fantasy VII (Sqaure, 1997) e Final Fantasy VIII (1999), sui quali però qui non ci si soffermerà, appartenendo anche al genere di JRPG..
Tutti questi titoli possono senz’altro competere ad armi pari con Ultima 7, ma testimoniano anche come si fatichi a fare un vero e proprio ulteriore salto in avanti nel realismo e nell’interattività con il mondo circostante. Da questi punti di vista il capolavoro di Richard Garriott resta probabilmente l'apice del genere.
L’altro filone di questa generazione di GdR isometri è occupato dal mai sufficientemente lodato Infinity Engine, sviluppato dalla BioWare per Baldur’s Gate (Interplay – Black Isle Studios, 1998).
L’Infinity Engine è caratterizzato da un innovativo (e estremamente divertente!) sistema di combattimento in tempo reale, nel quale però si può mettere in pausa per preparare accuratamente la propria strategia. Come era accaduto molti anni primi con Eye of Beholder, ritengo che sia stata la grande semplicità d’uso a fare dell’Infinity Engine un grandioso successo commerciale capace di rilanciare su scala mondiale i GdR isometrici.
L’altra caratteristica di questo innovativo motore di gioco sono, appunto, gli sfondi disegnati a mano. Indubbiamente di una bellezza disarmante, impongo però al gioco un’interattività con l'ambiente di gioco ridotta al minimo; forse perfino inferiore a quella del suo predecessore spirituale Dark Sun (con cui Baldur’s Gate ha innegabilmente moltissimi punti in comune, oltre alla licenza del D&D).
Di certo però in tema di divertiento l'Infinity Engine è un degno successore del Dark Sun Engine e dell'ancora precedente Gold Box Engine, sapendo riprendere la tradizione degli storici titoli SSI e riuscendo a traghettarla con successo nel nuovo millenio.
E’ così che la BioWare si fa carico della decennale eredità della SSI, occupando saldamente il suo posto nel cuore degli appassionati di GdR.
Come da tradizione a Baldur’s Gate seguono numerosi seguiti (divisi fra seguiti veri e propri e data disk) e altri giochi ugualmente basati sull’Infinity Engine. Fra questi vale la pena ricordare almeno il fantastico Planescape (1999) e Icewind Dale (2000), quest'ultimo decisamente più votato al combattimento.
A questo filone dei giochi dotati di una scarsa interattività con l'ambiente di gioco appartengono a pieno titolo i due Diablo (Blizzard, 1996 e 2000), caratterizzati da una vocazione al combattimento in tempo reale ancora più marcata, al punto di collocarli a pieno titolo nella "nuova" categoria degli hack'n'slash. Al riguardo si è discusso a lungo se tale categoria sia una specie del più ampio genere "gioco di ruolo" oppure no. Ma questa discussione ci porta lontano dagli scopi di questo articolo e quindi non l'approfondiremo.
IL FUTURO:
Come ho già detto, l’avvento di sofisticati motori 3D spezza il legame fin qui osservato fra grafica e gameplay.
E, se continuano ad uscire GdR isometrici (basati più o meno completamente su un motore 3D), la tendenza sembra puntare decisamente verso i GdR in terza persona, sulla scia di Morrowind.
I titoli isometrici che sono usciti negli ultimi anni non mi sono sembrati sinceramente innovatori dal punto di vista del gameplay e comunque sono ben noti.
Partendo da Dunegon Siege (Microsoft, 2002), passando per Pool of Radiance: "Ruins of Myth Drannor" (UbiSoft, 2001) e il famoso Temple of Elemental Evil (Atari, 2003), prima trasposizione su computer della celebre e complessa terza edizione del D&D.
È chiaro che la potenza dei nuovi engine 3D sta spostando l'esperienza del gioco di ruolo su computer verso titoli in soggettiva o in terza persona, con risultati grafici indiscutibilmente notevoli e con una capacità evocativa ineguagliabile (vedi Skyrim).
Tuttavia ritengo che la visuale isometrica sia ancora oggi uno strumento preziosissimo in mano ai gamedesigner, sia per rendere al meglio i combattimenti tattici (vedi Baldur's Gate), sia più in generale per costruire dei mondi fantasy davvero credibili e interattivi (vedi Ultima 7).
Se l'obbiettivo è il realismo, il rispetto dei regolamenti originali pen&paper e l'interattività con il mondo, ecco che la visuale isometrica è ancora oggi insuperata. Tanto più quando il mondo non è disegnato a mano, ma costruito "ad oggetti".
Discutiamo insieme della storia dei giochi di ruolo sul forum di OldGamesItalia!
Un giorno, qualcuno, decise di fare una recensione di Path of Exile.
Invana fu la considerazione secondo cui non v'era bisogno di finire il gioco molteplici volte con molteplici personaggi per recensire accuratamente... costui s'imbarcò nell'impresa, deciso ed in salute.
Fu così che per sette lunghi giorni e sette lunghe notti, cliccò no stop su fiale, magie, skill, npc e mostri... all'alba dell'ottavo giorno, sentì la vita spirare da lui. Lo trovarono al quarantatreesimo giorno a terra in casa sua, in principio di decomposizione, con la mano che con oscuri meccanismi ancora cliccava nel tentativo di finire il gioco a nemesis con ogni personaggio...
Path of Exile è così. Sviluppato dai neozelandesi della Grinding Gear Games, PoE - così il suo abbreviativo - è un gioco che, al di là della sua componente MMO, può durare una vita e mezza anche nella maniera più asociale possibile, anche evitando ogni contatto con persone prive di una routine fatta di script e gestita da un server.
Non è molto difficile dire cosa è o non è Path of Exile. Per molti e molte di coloro che stanno leggendo questa recensione, fare un nome chiarirà - forse - quali tombe stiamo scoperchiando: Diablo 2. No, no, non fate così. Asciugate la lacrima e siate forti, su! Ora fate un bel respiro e ricordate, sentite gli odori, le sensazioni... ahhh... i giorni passati con l'emicrania, guardando build del barbaro su internet, prendendole e modificandole a vostro piacimento, le fatiche e lo sfinimento davanti l'Hero Maker, a tentare improbabili combinazioni di incantatrici guerriere... Alcuni potrebbero averci perso addirittura amicizie, nel tentativo di avere l'arma perfetta, completa di ogni gemma, o quell'armatura in grado di immergersi nel napalm liquido.
Bene, rispolverate (o semplicemente imbracciate, se siete così fortunati) lo spirito da quindicenne ossessionato, perché Path of Exile gioca sporco.
La visuale si può avvicinare o allontanare, per godersi i dettagli oppure guardare meglio un determinato punto sfruttando l'ottima grafica.
Innanzitutto, partiamo dalla base: questo Free to Play è il GIUSTO modo di fare free to play, ovvero senza vantaggi in-game. Più tardi ne parlerò, per ora occupiamoci di altro.
Il gameplay è asciutto, pulito e si basa sulla classica formula hack'n slash a cui viene unito un sistema di skill piuttosto action. La velocità d'azione dei personaggi, soprattutto in melee, fa sì che pur essendo il classico "premi bottone, usa skill" il tutto assuma una certa componente frenetica.
La frenesia si mostrerà soprattutto in situazioni al limite dell'assurdo: vi ritroverete ad esempio, a fuggire da una fanciulla mutata in una sirena spadaccina, terrore dell'isola, con le sue due spade, cercando il momento per usare un Leap Slam o piazzare una Fire Trap, sperando che la vostra bottiglietta di Quicksilver vi porti abbastanza lontano nel momento in cui lei deciderà di avvicinarsi per usare Cold Snap, o lanciare le sue frecce di ghiaccio. In quel momento, nel funesto caso in cui il naso vi pruderà e voi decidiate di saziare i vostri istinti carnali, il piccolo atomo di speranza di Wraeclast verrà sgretolato dal pugno di ghiaccio del boss sopracitato, nullificando i dieci minuti di dungeon fatti finora a suon di amputare tentacoli.
L'IA è cattiva, è brutta e vuole farvi male, tanto male. Nel momento in cui vi tranquillizzerete troppo, dietro l'angolo ci sarà il nuovo nemico che, invece di prendervi a spadate sulla vostra overpoweratissima armatura, vi esploderà in faccia togliendovi un quarto di vita e facendovi ricredere sull'efficienza dei kamikaze magici.
Non preoccupatevi troppo comunque, perché gli angoli sembrano distruggere le capacità combattive di molti avversari, e le scroll di teleport sono (forse a volte troppo) frequenti e potrete andare in città a ricolmare le bottigliette di vita e mana e tornare indietro, anche nel mezzo di una boss fight, rendendo il tutto forse decisamente troppo facile a difficoltà standard. Un'intelligenza artificiale leggermente più "inseguitrice" sarebbe gradita.
Mancano soltanto Legolas e Gimli che contano le uccisioni, praticamente.
Se vorrete curarvi le ferite, in vostro soccorso arriveranno "Le Bottigliette", mitologico nome ed ingegnoso sistema, studiato in modo da cancellare la sgradita presenza dell'abuso di pozioni o sistemi di cooldown. Dal numero 1 al 5 sono associate queste "Flask", che deciderete voi come sistemare e che si caricheranno a mano a mano che ucciderete mostri. Ogni qualvolta vi verrà sete, potrete usare le fiale fino all'esaurimento delle sue cariche (una fiala media ha fino a sette o otto usi) e ricaricarle poi in città o tramite i mostri. Niente più tonnellate di oro spese in mana potion, o aumenti di vita... un acquisto pratico! Una volta soltanto!
Sembra quasi uno slogan. CON 99 EURO, NON UNA, MA BEN TRE SCARPIERE FIALE!
C'è chi si avventerebbe come un rapace affamato a mettere a confronto Path of Exile con la sua controparte "a pagamento", rappresentata in questo caso dai due titoloni Diablo III e Torchlight 2. Quindi noi faremo proprio questo. Il lore presente in PoE, rispetto il titolo Blizzard e quello Runic, risente di forse poca rilettura: citazioni e spunti presi dai classici fantasy come Tolkien o Lovecraft, vicino a "tributi" un po' troppo estesi alla più famosa serie della Blizzard, da cui questo gioco prende tutto.
L'atmosfera è gotica, buia e interessante ma, quasi proprio in Blizzard-style, l'immersione nel mondo e nelle sue storie vengono in qualche modo "slavati" se non andate sulla wiki di tanto in tanto, soprattutto per via del fatto che i dialoghi con gli npc non sono salvati da nessuna parte, dunque una volta parlato con loro, l'unica possibilità di rileggere le loro cose è consultare la wiki.
La mappa si rivelerà a mano a mano che esplorerete, a volte "inondandovi" lo schermo alla sua apertura.
Sono presenti, al momento della creazione del personaggio, varie Leagues. Le Leagues sono a tutti gli effetti delle difficoltà alternative alla "standard", che vengono ciclate ogni 4-5 mesi. Al momento della scrittura di questa recensione, le modalità in questione sono Domination e Nemesis, che aumentano la difficoltà generale con assalti aggiuntivi di mostri e alzando il livello di questi. Nel caso di Nemesis, inoltre, se il personaggio muore, viene riportato a Standard, e non può più cambiare. Il premio per finire il gioco in queste modalità viene comunicato al momento della scelta.
Non mancano nemmeno gli incentivi e le "carote di spronamento", in quanto nel momento in cui vedrete i credits finali scorrere per la prima volta - in qualsiasi modalità - un nuovo personaggio si sbloccherà, e altri personaggi saranno sbloccati in altre maniere. Davvero, sulla varietà a lungo termine, Path of Exile eccelle.
L'imponente albero di abilità vi farà chiedere il senso della vita mentre tenterete di percorrerlo tutto trovando la giusta strada per voi.
Il comparto grafico lascia con la bocca storta: animazioni fluide e paesaggi curati, ma qualcosa che sa molto di già visto, con una pesca a volte intelligente, a volte sconsiderata, da Diablo II e Torchlight.
Al di là della mappa stilizzata che compare al centro dello schermo, rabbuiando leggermente lo sfondo, alcuni scenari - come un pezzo nella prigione dell'Act I, identico alle prime prigioni di Sacred - sembrano presi direttamente da altri giochi e rimodellati in fotocopia, addirittura.
Comparto sonoro appena all'altezza, con suoni e musiche, soprattutto quest'ultime, che rimangono piuttosto generici tranne per alcuni pezzi, davvero atmosferici e "carichi".
Siamo dunque di fronte un vero e proprio gioco "old school", per molti versi, che curiosamente attrae più di moltissimi altri titoli MMO, pur non rivoluzionando in chissà quale modo il gameplay. Un vero e proprio cameo di alcune delle funzioni più interessanti viste negli ultimi quindici anni di RPG - di cui sette li ha vissuti lo sviluppo di questo gioco! - con anche l'aggiunta dell'interessante sistema di Active skills, contenute in delle gemme che potrete staccare ed attaccare liberamente alle armi o alle armature, e che guadagneranno esperienza esattamente come voi in battaglia, aumentando gli effetti. Inoltre, cosa opzionale: se sarete in party, i mostri saranno di più e molto più forti, e guadagnerete dunque più esperienza e più loot!
I requisiti sono bassi, il gioco è ottimizzato bene, e la situazione dei server è, per essere un free-to-play appena uscito, un lusso. Nelle "ore di punta" potrebbero avvenire le immancabili occasionali disconnessioni, o tempi di caricamento leggermente più lunghi, ma tuttavia va considerata la mole di persone attratta dal rilascio del gioco - non più in open beta - su Steam, e che dunque reggono anche troppo bene per un gioco indie, per di più Free to play. Ah giusto, non ve lo dico più.
Il gioco è completamente Free, con un sistema di cash shop in-game contenente soltanto modifiche estetiche, e l'unica modifica "con vantaggio in gioco" è l'espansione della Warehouse comune, che è comunque enorme anche per un secondo personaggio.
Importante e di sicuro appeal è l'assenza di qualsiasi tipo di moneta in gioco, dove tutto è invece gestito tramite baratto: gli NPC avranno delle routine prestabilite su cosa scambiarvi, ma i giocatori potranno invece cadere nelle vostre capitalistiche trappole da economisti medievali, o voi potrete dar via un barlocco da sogno per qualche straccio appena passabile. Da notare infatti anche l'attuale presenza della possibilità di sfidare gli altri giocatori a duello. Consiglio quindi di preparare il cannemozze sotto al bancone.
La complessità del baratto non si farà sentire troppo a difficoltà standard, ma già alla seconda run, o ad una difficoltà superiore, il baratto sarà troppo goloso... c'è sempre qualcuno che cerca esattamente quello che avete nell'inventario, ed è disposto a darvi TUTTO.
Path of Exile, c'è da dirlo, non è proprio l'MMO più casual a cui potrete giocare, in quanto le possibilità di fare il respec al vostro personaggio sono limitate - non vi sono nemmeno nel cash shop oggetti per il respec - mentre le possibilità di scelta sono pressoché infinite.
Con 1350 abilità passive ed almeno centocinquanta gemme abilità e supporto da cui scegliere, affiancate da circa venti pietre in grado di cambiare la qualità degli oggetti e le loro proprietà magiche, il numero di slot gemme, il loro colore e gli attributi magici, fino ad arrivare alla rarità, sicuramente non mancherà la profondità, che anzi sarà un pozzo senza fondo. Dovrete stare veramente attenti a non abbassare troppo le difese, per non ritrovarvi a passare interi quarti d'ora pensando a quali skill passive assegnare i punti, quali gemme usare e quando imparare a dormire invece di ragionare su queste cose. Chissà... forse il tempo, o forse la poca offerta di titoli di questo tipo, così curati e impegnativi, lo rende più interessante di quel che sarebbe stato appena cinque o sei anni fa, in piena "MMORPG rampage". Soprattutto prima dell'uscita di Diablo 3, possibilmente.
Secondo un'intervista su Joystiq.com, gli sviluppatori hanno intenzione di rilasciare un atto all'anno per i prossimi cinque o dieci anni, prima del finale, assicurando update e supporto per lungo tempo (eccecredo).
In sostanza: il gioco è ben bilanciato e regge anche diverse ore di gioco continuo senza frustrare, ha il supporto della community per girare su Linux e Mac, è del tutto gratuito ed è pure indie, ma che volete di più?
Tempo per giocarci, direte voi.
GRAFICA
Sicuramente rispetto al primo episodio, che di fatto segnò una svolta epocale nel mondo dei RPG, sia nel bene che nel male (dipende dai punti di vista...) le migliorie grafiche ci sono e si vedono. I personaggi sono infatti molto meglio definiti, i fondali e le ambientazioni sono curatissime sia negli esterni che negli interni e le animazioni delle magie e di determinati combattimenti sono semplicemente spettacolari, ancor oggi. Una particolare menzioni va fatta anche agli splendidi filmati di intermezzo, semplicemente eccezionali. Ma se andiamo a fondo nella questione, però, ci renderemo conto che complessivamente non ci sono stati cambiamenti radicali rispetto alla struttura del primo episodio. La tecnologia Direct3D praticamente non è mai utilizzata, e il gioco si avvale di un semplice 2D (curatissimo, per carità) che sinceramente mi ha lasciato un po' perplesso. Inoltre la risoluzione è rimasta praticamente la stessa del primo episodio, cioè la 640X480, e non è modificabile! Questo è un punto a sfavore che sicuramente incide negativamente nella valutazione del gioco. Installando l'espansione "Lord of Destruction" e' pero' possibile raggiungere la risoluzione di 800x600.
SONORO
Sicuramente un punto di forza del titolo è il comparto sonoro. Diablo 2, cosi come d'altra parte il suo illustre predecessore, presenta una colonna sonora d'eccezione, che praticamente ci accompagna in ogni fase delle nostre peregrinazioni,seguendo passo passo i momenti di maggior tensione (ad esempio nelle vicinanze di un boss cambierà radicalmente ritmo preannunciandoci l'imminente pericolo). Ma un grosso plauso va soprattutto alla eccellente localizzazione in italiano: i doppiaggi sono straordinari, ancora mi viene la pelle d'oca se penso al sibilo tenebroso di Radament...Senza menzionare poi la musica dei filmati, degli effetti sonori etc...
TRAMA
Bè, certo, la trama di Diablo 2 assolutamente non eccelle per originalità. (Diablo si risveglia dal suo sonno, in realtà non è morto e continua a portare distruzione nel mondo. Noi dobbiamo uccidere Diablo e salvare il mondo. Fine trama! ) E infatti se si vuole inquadrare il gioco nel contesto dei giochi di ruolo, sicuramente farebbe inorridire i giocatori più "puritani". C'è però da dire che Diablo 2 non pretende di essere un gioco di ruolo alla vecchia maniera, ma vuole semplicemente essere un gioco scorrevole e disimpegnato in cui il giocatore debba pensare poco e agire molto. Prosegue cioè il filone che aveva inaugurato il suo predecessore, dimostrandosi comunque molto accattivante. Lo svolgersi della trama è lineare ben definito, gli enigmi sono praticamente inesistenti, ma i combattimenti sono assolutamente appaganti e alla fine non staremo più a pensare alla trama, questo è assicurato...!!
GIOCABILITA'
Se dovessi definire il gioco, direi che si tratta di un gioco d'azione "mascherato" da gioco di ruolo. La facciata, infatti, si presenta come un gioco di ruolo,ma se poi andiamo alla sostanza vedremo che c'è ben poco del gioco di ruolo. Le novità rispetto al primo episodio sono tante, dal punto di vista della giocabilità. Infatti avremo la possibilità di impersonare ben 5 classi di personaggi tutte estremamente dissimili l'una dall'altra e ciò garantisce una buona differenziazione delle diverse abilità in cui potremo specializzarci. Tra le varie novità è sicuramente da ricordare la presenza del "nascondiglio" dove potremo lasciare vari oggetti e l'oro e soprattutto il sistema di salvataggio. Si può infatti salvare il gioco solo uscendo dal gioco stesso!!! Nel senso che non esiste altro modo di salvare se non uscendo dal gioco, ma se si esce, quando poi si rientra, ritroveremo tutti i mostri che avevamo già ucciso!! e cosa ancor più grave ci farà continuare la partita ripartendo dal campo base, nel nostro nascondiglio!! Ovviamente ciò è piuttosto sconveniente se,magari, durante la partita precedente ci eravamo avventurati in delle profonde caverne tra innumerevoli labirinti e dungeons... Dovremo ripercorrere tutta la strada! ovviamente il modo per non farlo c'è, e consiste nell'attivare dei portali di teletrasporti situati un pò ovunque nelle varie locazioni del gioco. Ma il problema è che non sempre è facile trovarli... Il consiglio è quindi di salvare la partita solo DOPO che si è completata una determinata quest. Altro punto a sfavore della giocabilità è sicuramente il TROPPO PICCOLO inventario, che ci costringe a effettuare scelte dolorose sul nostro equipaggiamento e il sistema di controllo. Esso è un classico punta e clicca. Ora, cliccando su un nemico, si colpirà UNA SOLA VOLTA il nemico, per ucciderlo dovremo prendere una certa velocità nel cliccare sul tasto di fuoco del mouse (come in un action game). Tuttavia in situazioni particolarmente caotico dove praticamente saremo accerchiati dai nemici, si rischia di cliccare spasmodicamente a vuoto senza colpire praticamente nessuno.
A mio avviso, vista la natura Action del gioco, sarebbe stato migliore un sistema di controllo del personaggio con una combinazione tastiera-muose (come nei giochi d'azione): sicuramente avrebbe garantito una migliore gestione dei combattimenti e non solo.
LONGEVITA'
Ecco un altro punto di forza di questo titolo! E' sicuramente impossibile non apprezzare la varietà infinita delle locazioni e soprattutto dei dungeon, che a volte assumono delle dimensioni spaventosamente gigantesche. E a tal proposito appare azzeccata l'idea della mappa dell'area sovrapposta allo schermo di gioco, che ci evita di cambiare schermata ogni volta per sapere dove siamo... Perdersi in questo mondo è sicuramente molto facile, ma è anche molto appagante esplorare l'infinità delle aree che ci si presenteranno.
TOTALE: 4/5
Diablo 2 sicuramente è un ottimo titolo, che riprende le redini del precedente episodio, che in pratica aveva inaugurato un nuovo genere nel settore dei videogame. Vi posso assicurare che se lo si prende con lo spirito gioco, senza cioè "condannarlo" per la eccessiva semplicità nella trama o per il fatto di essere "incompleto" come gioco di ruolo, diventerà la vostra "droga" quotidiana!!!
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