Il signor OjO fa una capatina nel regno delle console e vi propone un'ora di gioco tratta dalla demo di Triangle Strategy, uno strategico a turni giapponese realizzato dagli autori di Octopath Traveler.
Scopriamo insieme le caratteristiche di questo interessante titolo previsto per quest'anno su Switch, in attesa di sapere se uscirà anche una versione per PC.
Il signor OjO entra nel mondo Dragon Quest e vi mostra i primi passi dell'11mo capitolo in uscita su PC e su console il 4 dicembre 2020 nella sua versione S.
Non c'è un oldgamer che non conosca Garrett, protagonista della serie Thief, che non abbia giocato almeno uno dei giochi della serie o che non ne abbia sentito parlare. Come molte altre serie “classiche”, anche Thief è stata “rebootata”, in questo caso da Eidos-Montreal per Square Enix – gli stessi che si sono occupati di Deus Ex, per capirci, con cui hanno fatto un ottimo lavoro. Dopo una lunga esitazione, ho quindi preso in mano questo reboot.
E, niente, il voto l'avete già visto... Andiamo a vedere cosa è andato storto.
Quello per cui io temevo tantissimo era il gameplay: mi aspettavo che le meccaniche della serie venissero annacquate, in modo che anche i "pampini" appena usciti dall'asilo fossero capaci di prendere in mano il titolo e finirlo.
Invece, devo dire che molte delle nuove features introdotte hanno il loro perché, e sono moderne senza necessariamente rendere il titolo stupido. Le opzioni del gioco sono veramente tantissime e permettono di giocare in maniera più “pura”, più simile alle limitazioni imposte dalla serie classica. Possiamo decidere il nostro livello di difficoltà e anche vari obiettivi accessori – per esempio, finire il livello senza uccidere nessuno, senza mai farci scoprire, senza neanche abbattere (in modo non letale) i civili... Alla fine di ogni livello, Thief ci presenta delle statistiche, compilate in base a come abbiamo giocato e a quale fra 3 approcci abbiamo preferito: Ombra, Opportunista o Predatore (essenzialmente, l'Ombra passa inosservata; l'Opportunista sfrutta l'ambiente a proprio vantaggio e il Predatore ammazza tutti).
Non viene preferito o penalizzato nessuno di questi tre approcci, il che è ottimo: io, che preferisco una modalità di gioco “mista”, in cui rubo tutto, non mi faccio vedere MA abbatto tutti i civili, ho potuto personalizzare i miei obiettivi come volevo.
Sono presenti cumuli di tesori nascosti lungo il percorso delle varie missioni e ovviamente più ne raccoglieremo, più soldi avremo e più attrezzi del mestiere potremo acquistare.
Parliamo anche della feature che forse più di tutte semplifica il gioco: il Focus. Garrett ha questo “potere” che gli permette di illuminare gli oggetti con cui è possibile interagire, in modo da sbloccarci se non sappiamo dove andare. Il Focus è indicato da una barra che si svuota mano a mano che utilizziamo questa abilità e può essere ripristinato da certi fiori.
Anche questa feature non è di per sé distruttiva, intanto perché è possibile non usarla o disattivarla; in secondo luogo perché, in ogni caso, in un gioco dal buon level design, raramente il problema è capire con cosa devi interagire o dove: il problema è creare una strategia per superarlo il livello, anche se sai benissimo dove devi andare e che percorso, all'incirca, devi intraprendere.
E proprio qui c'è il problema, perché il level design del gioco è veramente poverissimo. Scordatevi le mappe ben pensate di Thief 1, con i loro percorsi alternativi, che vi costringevano a pensare prima di fare ogni passo, a imparare la routine delle guardie e dei civili, a tentare mosse rischiose per arrivare in quel punto in cui avreste potuto nascondervi per qualche minuto...
Le mappe di questo reboot sono penosamente lineari, grandi, apparentemente, ma i “finti muri” sono tantissimi, così come i mini-caricamenti, davvero stupidi e incomprensibili: moltissime delle case “extra” in cui potrete accedere sono oltre delle finestre chiuse (che dovrete aprire tramite un palloso QTE, che ruberà interi secondi della vostra vita *ogni volta*) e oltre un caricamento. Questo non solo è seccante di per sé, ma a livello di gioco vero e proprio fa sì che quell'area sia tagliata fuori dal resto del mondo, quindi anche se voi fate rumore o vi fate vedere, nessuno vi noterà, al di là di quella finestra.
Le aree principali, come dicevo, sono lineari e c'è sempre una freccetta che vi indica dove dovete andare, uno step alla volta, nel caso siate cretini e vi perdiate ^^. C'è sempre e solo UN percorso.
Davanti a questo stato di cose, la libertà che è anche apparentemente incoraggiata dal gioco, non ha spazio per esprimersi. Sì, potete ancora uccidere le guardie oppure agire di nascosto, sfruttare la loro routine oppure distrarli e passare dritto, ma sono micro-scelte veramente molto limitate.
A questo si aggiungono i seri problemi di audio. L'audio non tiene conto delle distanze e della direzione. Anche qua: ricordate come in Thief stavate con le orecchie tese e le casse al massimo per captare il minimo suono, capire da dove viene e agire di conseguenza? Qua è impossibile: i suoni sono tutti mescolati con un unico volume e nessuna direzione. Sentire le guardie parlare di fianco a voi e sentire il civile che sta 2 piani sopra di voi è la stessa cosa, le voci si mischiano, non si capisce nulla e vi fa solo prendere colpi, perché vi sembrerà sempre che tutti gli NPC vi siano addosso.
Un altro problema è che non è ben chiaro come funzionino la luce e l'ombra: non è mai sicuro se vi vedono all'ombra oppure no. A volte, potete passare sotto il naso delle guardie, e non vi vedranno; altre volte, vi beccano quando siete più distanti e ugualmente all'ombra. Tutt'ora non ho capito quale sia la regola, se è variabile, se dipende da altri fattori... boh.
Anche l'uso delle armi speciali, specialmente la freccia con la corda, è limitato ad aree scriptate, quando dovrebbe potersi ficcare in ogni parete di legno. Nota positiva: le guardie, qualche volta, riaccendono i fuochi che voi avete spento, se si accorgono che sono stati spenti. Come facciano, dopo che li avete inzuppati d'acqua, non lo so, ma è bello vedere uno sprazzo di intelligenza in questi poveri NPC.
Chiudiamo con la storia, dove sono solo dolori. La storia in sé è forse una delle più sciocche e peggio scritte che mi sia mai capitata davanti. Quasi non vale la pena parlarne perché è tutto o cliché, o stupido, o stupido E cliché.
È anche confusa, con i vostri obiettivi sempre nebulosi, personaggi secondari che agiscono così, "a muzzo", Garrett stesso che agisce "a muzzo"... su quest'ultimo stendiamo un velo pietoso: il povero Garrett è passato da personaggio con una dignità a emo solitario rinchiuso in una torre in cui conserva i gioielli più preziosi che ha rubato. Quale sarebbe la logica di quest'ultima cosa? Garrett ruba per vivere, a che pro conservare i gioielli più belli invece di venderli...?
Ma queste sono domande che è inutile porsi quando l'inizio del gioco va circa così:
Garrett: “Tizia, uccidere è sbagliato e quell'arnese che ti sei costruita fa troppo rumore!”
Tizia: “Stupido Garrett, io sono migliore di te e molto arrogante mhuamhua!”
Tizia muore a causa della propria arroganza.
Garrett: “Sigh, gliel'avevo detto... ma sai che questo arnese è fighissimo e lo userò per tutto il resto del gioco?”
Arrivata al 45% del gioco ho cominciato a skippare dialoghi, perché non avevo contato una battuta, una, che non fosse da "facepalm". L'impressione è che lo scopo della storia fosse quello di suonare “figa” (per un 12enne) e ogni cosa sia stata pensata non secondo logica ma secondo figaggine: “Figoooo, Garrett è incompreso! Figataaaa, vive su una torre diroccata! Ma waaaa, ha le teche piene dei gioielli rubati!!!!!”.
Cosa dire, resta la parte grafica del comparto tecnico, perché dell'audio abbiamo già detto. La grafica, tenuto conto che il gioco è vecchietto ormai, è bellina; Garrett scivola che è un piacere di zona in zona e di area in area (caricamenti permettendo). I modelli dei personaggi sono un pochino poveri e poco mobili, ma glielo si perdona, i problemi veri sono altri.
Peccato per questo Thief Reboot, davvero peccato, perché lo sforzo c'è, l'idea c'è e si vede che è stata molto curata, le possibilità che vengono date, sulla carta, sono molte e molto buone. Ma un level design piatto e semplificato impedisce a questo gioco di elevarsi al di là del giochetto dimenticabile. La caduta di qualità si nota maggiormente se si paragona il gioco a Dishonored, che ha raccolto l'eredità di Thief con più perizia e coraggio. Questo reboot è un gioco che “scorre”, se così possiamo dire: c'è un percorso da affrontare, il gioco te lo fa seguire con relativo agio, ed è facile arrivare alla fine. Peccato.
Endir, un giovane mercenario, viene assoldato per uccidere Setsuna, una ragazza che abita in un piccolo villaggio innevato. Quando Endir la raggiunge, però, scopre che Setsuna non è una ragazza qualsiasi. È infatti stata scelta come sacrificio affinché i mostri che infestano il mondo se ne stiano buoni per qualche anno ancora. Endir decide dunque di seguire Setsuna nel suo viaggio: quando lei morirà sacrificandosi, lui avrà ultimato il suo compito.
I am Setsuna è un J-RPG sviluppato da Tokyo RPG Factory per Square Enix ed è un tentativo di riprendere la tradizione dei vecchi RPG – pensate Chrono Trigger insomma. Ora, io ammetto di non essere molto esperta di J-RPG: non sono in grado di comparare I am Setsuna a Chrono Trigger o ad altri titoli della stessa epoca. Sono però in grado di paragonarlo a Final Fantasy. Nello specifico, fin dall'inizio I am Setsuna ricorda Final Fantasy X: c'è la ragazza-sacrificale, c'è il party di guardiani che l'accompagna (perché tipo ergere un villaggio a 4 passi dal luogo del sacrificio pareva brutto), c'è la minaccia per il mondo e c'è un Terribile Segreto dietro tutto questo.
La differenza è che lì dove FFX aveva una personalità, I Am Setsuna ha i cliché. Mentre Yuna era un personaggio a suo modo combattuto fra il portare a termine il suo dovere e il desiderio di vivere, Setsuna è una santa e basta, la classica Mary Sue che tutti i pg adorano, bellissima, angelica e perfetta.
La stessa cosa si può applicare a tutti gli altri personaggi, stereotipi vaganti che non riservano sorprese o psicologie approfondite. Endir non fa eccezione: mercenario spietato, gli basta vedere Setsuna per decidere di seguirla e proteggerla nel suo viaggio invece di ammazzarla lì sul posto (quando non sa ancora che il suo sacrificio salverebbe il mondo). Stendo un velo pietoso sulla reazione di Setsuna, la quale “sente che lui è buono” e quindi insiste affinché l'accompagni – atteggiamento senza senso visto che lui ha provato a ucciderla due secondi prima.
La storia è tutta così, un misto di superficialità e insensatezze.
I companions avrebbero le loro storie personali, ma sono cliché pure quelle e trattate con superficialità, quindi uno rischia di scordarsele mentre le sta portando avanti, se non subito dopo.
L'ambientazione ha degli spunti interessanti ma si rivela anch'essa priva di dettagli e caratterizzazione. Le città e i villaggi che incroceremo sono bene o male tutti simili, gli NPC pure, le quest che ci affideranno idem. Qualche location è particolarmente carina, ma nulla di più, tant'è che fatico a ricordarmi anche solo un'area interessante da portare ad esempio.
Il gameplay è essenzialmente il combattimento del party. Qui si parte bene, sia perché non c'è bisogno di grindare (yay!), sia perché il sistema di sviluppo del personaggio è abbastanza approfondito. Sconfiggendo i mostri otterremo degli oggetti che potremo vendere a dei mercanti in cambio di Sprinite, delle pietre particolari che donano poteri vari. Tutti i personaggi possono equipaggiare le Sprinite, quindi è possibile cambiare le loro abilità e creare diverse combinazioni. È un sistema flessibile che permette molta libertà. I personaggi non sono tutti uguali, ognuno ha le proprie abilità base o le proprie caratteristiche, quindi non basta assegnare le Sprinite a caso, bisogna comporre un party che sia bilanciato.
Il problema è che il gioco è davvero facilissimo, quindi tutta questa libertà non serve a molto. Basterà usare le stesse due abilità a ripetizione e quasi tutti gli scontri saranno superati. Se poi si riesce a prendere i nemici di sorpresa, il combattimento sarà finito ancor prima di iniziare.
Fanno eccezione i boss e alcuni scontri speciali (e facoltativi). Questi ultimi possono essere davvero tosti, e richiedono un po' di grind. Sono comunque l'eccezione, non la regola, ed è un peccato perché tutto il potenziale del sistema di sviluppo del pg viene sprecato.
La grafica non brilla particolarmente ma non mi è dispiaciuta e non mi pare un difetto. Mi ha ricordato Grandia II (gioco che però aveva molto più stile!). Lo stile “old school” è voluto e i personaggi e le aree sono carini a sufficienza. Un po' si storce il naso di fronte ai numerosi NPC clonati, ma è un problema generale di molti J-RPG. I personaggi principali sono abbastanza curati e Setsuna in particolare è graziosissima.
La OST fa il suo mestiere e niente più, non mi ricordo una sola traccia del gioco neanche risentendole su YouTube.
I am Setsuna è un J-RPG “decente” che non brilla sotto nessun punto di vista. Sembra davvero uscito da una “factory”, da una fabbrica di quelle che sfornano roba in serie, clonata, perché NULLA nel gioco ha uno sprazzo di autentica personalità. Tutto è generico, superficiale, abbozzato, cliché. Il gameplay può far spendere qualche oretta di svago a cervello spento, ma il gioco è troppo facile perché almeno questo aspetto possa rendere al meglio. Mi dispiace, ma è bocciato senza appello.
Dopo aver terminato il meraviglioso Little Nightmares e i suoi DLC, non avevo ancora esaurito la mia voglia di platform-arcade-puzzle, genere che vanta pochi esponenti su pc, quindi, complice anche il voler testare il mio nuovo pad dell'Xboxe One, mi sono fiondato su Steam in cerca di un nuovo gioco appartenente al genere.
Ho così scoperto Black the Fall, opera prima dei Sand Sailor Studio, un gruppo di 6 programmatori rumeni. Il gioco nasce come progetto Kickstarter nel 2014 e, finanziato con 28.000 sterline, doveva essere un arcade in 2D in bianco e nero, ma si è poi sviluppato in un gioco 3D a colori.
Nonostante Black the Fall sia stato finanziato tramite Kickstarter, ha avuto come produttore Square Enix Collective, che i ragazzi di Sand Sailor Studio descrivono come un servizio fornito da Square Enix per gli sviluppatori indie, che verrebbero aiutati a pubblicizzare i loro videogiochi, a raccogliere fondi su Kickstarter, permettendo però agli autori di mantenere le loro IP e il controllo sui progetti. Detta così, non mi è molto chiaro se Squaresoft abbia cacciato o meno la paluffa, oppure si sia limitata a parassitare i gruppi indie offrendogli solo supporto in qualità di PR.
La particolarità di questo gioco è il volersi porre come un grido di ribellione contro ogni tipo di dittatura di stampo comunista. Infatti gli sviluppatori, per l'appunto di origine rumena, hanno preso come ispirazione per il titolo i tragici anni della dittatura di Ceausescu e la successiva sanguinosa rivoluzione.
Tale ispirazione permea ogni scena; vengono affrontate le tematiche del controllo totalitario sulla vita dei cittadini, la mancanza di libertà di parola, il divieto di professare il proprio credo, il controllo dell'informazione tramite gli organi di regime. Alcune scene del gioco, ho scoperto dopo averlo portato a termine, sono visivamente ispirate a fotografie di repertorio dell'epoca.
Il protagonista che andremo a controllare è un macchinista, obbligato a lavorare in fabbrica, che tenta la fuga, prima dalla struttura e poi dal regime. All'inizio dell'avventura ci muoveremo da soli, e dovremo saltare, arrampicarci, correre, nasconderci dai cattivi e risolvere puzzle ambientali, come in ogni videogioco di questo genere. Più avanti invece troveremo un robottino simile a un cane, che diventerà il nostro compagno d'avventura e diventerà importantissimo per risolvere i puzzle successivi. Inutile dire che, come al solito, è consigliabile servirsi di un pad per giocare.
Dal punto di vista tecnico, il comparto grafico non fa certo gridare al miracolo, sebbene sia ben studiato e utile a rendere l'atmosfera opprimente del regime. Alcune location sono realizzate davvero bene, altre sono un po' sottotono: un classico di molti progetti Kickstarter questa discontinuità qualitativa. Il motore del gioco è ovviamente Unity, il che sfocia in una certa pesantezza del tutto, quindi, quando ci giocherete, soprattutto se avete un portatile, tenete d'occhio (o forse è meglio dire d'orecchio) la scheda video.... mi raccomando di attivare il vsync.
Ad ogni modo, le animazioni del personaggio principale sono piuttosto legnose, e nonostante stessi giocando con una versione super-patchata del gioco, ogni tanto ho incontrato delle fastidiose glitch o dei bachetti che mi hanno costretto a ricaricare la partita dall'ultimo checkpoint raggiunto.
Le meccaniche di gioco sono le classiche di questo genere, basate sul concetto di error and retry, che però qui abbonda quasi fino a esagerare, e sulla risoluzione di puzzle più o meno complicati, quindi non saprei indicarvi quante ore ci vogliono per portarlo a termine, è molto soggettivo. Io l'ho finito in 7-8 ore, ma mi sono arenato parecchie volte senza capire cosa dovessi fare per progredire. Il gioco in sé non è molto lungo. Non me la sento quindi di consigliarlo a chi si affaccia al genere per la prima volta, forse sarebbe meglio iniziare da qualcosa di meno rigido, come Another World o Little Nightmares, mentre i più esperti troveranno pane per i loro denti.
Il comparto audio vanta una vasta gamma di rumori metallici e vibranti in linea con l'ambientazione, che assieme alla musica, contribuiscono a creare l'atmosfera oppressiva e alienante che permea il gioco. Un dettaglio simpatico è che i personaggi di Black the Fall ogni tanto ci urlano dietro, e io pensavo lo facessero in qualche lingua inventata, mentre un amico mi ha spiegato che è rumeno leggermente storpiato. Nel gioco non ci sono sottotitoli, ma non vi perderete nulla, le urla di cui parlavo sono cose come "Fermati!" oppure "Cosa stai facendo?". Il fatto di non piazzare sottotitoli, secondo me, è una scelta voluta, un omaggio ad Another World, e questo mio pensiero trova conferma nella parte finale del gioco, dove sono presenti numerose citazioni e rimandi al capostipite del genere.
Che dire concludendo? L'intenzione degli autori di creare un videogioco "impegnato" a livello concettuale è riuscito pienamente e io consiglierei insegnanti e scuole di integrare le lezioni di storia sulle dittature con questo videogioco. Se poi, dopo averlo portato a termine, visiterete il forum Steam dedicato a questo titolo, troverete un thread degli autori, arricchito da foto d'epoca, dove spiegano quali sono esattamente i riferimenti alla dittatura di Ceausescu presenti nel gioco.
Insomma, anche in questo caso, dopo gli svedesi autori di Little Nightmares, abbiamo un team rumeno di sole sei persone che è riuscito a creare un titolo pregiato e piacevole, arricchito da contenuti di una certa profondità, e l'ha fatto senza cadere nello scontato o nel politically correct. Continuo perciò a domandarmi quando noi italiani saremo in grado di creare qualcosa di questo livello in ambito videoludico. Il gioco presenta alcuni difetti sia nel comparto tecnico che in quello delle meccaniche, per cui non si eleva a livello di capolavoro, ma resta comunque un passatempo decisamente godibile.
Vi siete mai chiesti che fine fanno gli oggetti che perdete? Sapete, tipo la penna che un bel giorno sparisce, il calzino che entra in lavatrice e non ne esce più... cose così.
Ebbene, finiscono nelle Forgotten Lands e... decidono di unirsi a una ribellione a danno degli umani, apparentemente. Il compito di riportare l'ordine è di Anne, una enforcer che vuole assicurarsi che lei e il suo capo Bonku riescano a tornare nel mondo degli esseri umani.
Forgotton Anne è un'avventura grafica con elementi di platformer ancora in sviluppo, di cui qua sopra potete vedere il trailer. Tra le feature del gioco troviamo le animazioni fatte a mano, una storia che viene cambiata dalle nostre decisioni, leggeri puzzle e sezioni di salti e voli e un'ost composta dalla Copenhagen Philharmonic Orchestra.
Segnaliamo la Square Enix Publisher Week su Humble Store, che dura fino a martedì 22 Marzo.
I titoli Square Enix sono in sconto fino al 75%: dai classici Tomb Raider, vecchi e nuovi, ai vari capitoli di Deus Ex, a Life is Strange, agli immancabili Final Fantasy e al nuovissimo Fear Effect Sedna, per citarne alcuni.
Potete raggiungere la pagina a questo link!
E' da poco uscito Fear Effect Sedna, titolo sviluppato da Sushee per Square Enix.
Sedna è il sequel di Fear Effect, gioco horror/sci-fi del 2000, e combina stealth, azione e pausa tattica, il tutto in visuale isometrica.
I vecchi fan della serie re-incontreranno personaggi già noti e pare che John Zuur Platten, l'autore del primo titolo, abbia dato una mano per la storia di questo sequel.
Fear Effect Sedna è disponibile su Humble Store, Steam e GOG.
Chi ricorda Secret of Mana? Chi lo rigioca ancora, con qualche emulatore SNES?
Bene, da poco è uscito il remake in 3D su Steam e su Humble Store! Oltre alla grafica "upgradata" e super-colorata, questo remake pare aver "migliorato" il gameplay per renderlo più moderno.
Qualcuno di voi si lancerà a comprarlo... o siamo tutti troppo old per una cosa simile?
Quando Detective Ito scopre che il suo partner è scomparso, capisce subito che la cosa ha a che fare con l'incidente di diversi mesi prima. E i suoi sospetti sono confermati: a tenere in ostaggio il suo partner è Reina, la ragazza che Ito ha ucciso, in preda a un esaurimento nervoso.
Tokyo Dark è un'avventura grafica/visual novel sviluppata dalla Cherrymochi per la divisione “indie” di Square Enix. E' infatti uscita con successo dal kickstarter del 2015 ed è stata da poco rilasciata su Steam.
L'avventura ci mette nei panni di Ito, la fanciulla dai capelli viola che vedete qui in giro, e ci dà il compito di investigare sulla sparizione del nostro partner e sugli omicidi che hanno portato al suo rapimento. E' subito chiaro che l'indagine non sarà semplicissima: tanto per cominciare, ad aver rapito il nostro partner sembra essere stata una ragazza morta; in secondo luogo, il capo della polizia non ci crede (beh) e ci manda subito in congedo forzato. Naturalmente, Ito non si darà per vinta e continuerà a indagare per conto suo.
La storia di Tokyo Dark è così classica che di più non si può. Chiunque abbia masticato qualche horror giapponese saprà già bene o male dove si andrà a parare, fin dall'inizio, e non ci saranno sorprese lungo il percorso. La struttura della storia e il suo tono sono altalenanti: si va da momenti decenti, anche se mai originali, ad altri che non c'entrano molto, come quando ci fermeremo al café con le cameriere gatte, o quando risolveremo, in maniera ridicola, il problema con i mafiosi del luogo. E' inutile dire che, se si vuole creare un'atmosfera spaventosa, infilarci una gag con i micetti è *leggermente* controproducente.
Anche dialoghi e personaggi potrebbero essere migliori. Si va dalla classica prostituta dal cuore d'oro, al collega rozzo e sessista, al pervertito coi soldi, ecc ecc. Sarebbe stato meglio approfondire un po' il rapporto fra Ito e il suo partner (che è anche il suo fidanzato ed è il principale motivo per cui la ragazza continua a investigare), a cui è dedicato invece poco spazio. Sappiamo che la loro relazione era magnifica, ok, ma qualche flashback non avrebbe guastato, magari al posto della scena coi mafiosi, inverosimile fino al midollo. Ito è tratteggiata un po' meglio, anche se non si va troppo a fondo neanche nella sua psicologia.
Nonostante ciò, la storia può trascinare quei giocatori a cui piacciono queste cose, perché ha buon ritmo (succede sempre qualcosa) e l'atmosfera spaventosa c'è. Probabilmente, i più scafati fra voi non avranno neanche un brividino: se io sono riuscita a giocare Tokyo Dark, non può fare davvero paura. Ma c'è quell'atmosfera di “magia orrorifica” e di mistero; ecco, il gioco avrebbe dovuto puntare più su questa. Belle le scene con il Collector e un altro personaggio misterioso, per esempio, o quelle con la vecchia signora al tempio.
Il gameplay è semplificato, ma offre qualcosa di particolare. La fase di “osserva tutto/parla con la gente e raccogli oggetti” è abbastanza simile al classico punta & clicca. Solo, in Tokyo Dark è sempre molto facile capire cosa fare, non ci sono veri e propri enigmi, e di solito troveremo gli oggetti utili solo quando ci serviranno, non prima.
La particolarità è lo SPIN. Ito, dal giorno in cui ha avuto l'esaurimento nervoso e ha ucciso Reina, è sotto medicinali e deve tenere sotto controllo quattro statistiche: la Sanità Mentale (Sanity), la Professionalità (Professionalism), le Doti Investigative (Investigative Skill) e la Nevrosi (Neuroticism). Le azioni che compiremo durante l'avventura modificano questi parametri, che a loro volta ci portano a poter fare o a non poter fare determinate cose – nonché ad arrivare a uno degli 11 finali.
Questo significa che molto spesso (credo quasi sempre) potremo scegliere come raggiungere i nostri obiettivi, anche se non sempre è evidente che la scelta c'è. Bisogna, spesso, andare a cercare un'alternativa, il gioco non ci mette davanti a bivi ovvi. Anche azioni più “normali” possono influenzare lo SPIN: per esempio, girare incessantemente per le varie aree e parlare con tutti senza apparente motivo aumenta la Nevrosi.
Anche lo SPIN poteva essere gestito un po' meglio, però. Tanto per cominciare, da un punto in poi del gioco, non sarà più possibile girare per le aree a piacimento, senza che ci sia una ragione di trama che ce lo impedisca, e questo limita tutto, sia la complessità del gioco, sia la possibilità di modificare i parametri.
In secondo luogo, è davvero difficile “sbagliare” e beccare uno dei “worst endings”. Bisogna impegnarsi per impazzire.
Tutto il gioco è, in realtà, molto facile, e questo è un problema perché in questo modo tanto di quel che c'è, compreso lo SPIN, sembra inutile o viene poco sfruttato. Peccato, perché l'idea era buona, e se il gioco fosse stato costruito bene attorno alla meccanica dello SPIN, sarebbe stato molto più figo.
Artisticamente, Tokyo Dark non è male ma potrebbe essere meglio. Non sono un'esperta artista, ma mi rendo conto anche io che in certe cutscene i personaggi sono storti. E non è, come ho letto in giro, lo “stile manga” (sic!), perché basta vedere i disegni di Fate o Steins;Gate per rendersi conto che non sono sdomi.
Le musiche, invece, funzionano molto bene, spesso mi hanno messo più paura quelle che gli effetti visivi (non male neanche quelli). Su Steam è possibile acquistare la soundtrack, per chi fosse interessato.
Le animazioni non saranno il massimo, ma non sono neanche orripilanti.
Chiudo con la lingua. I personaggi hanno qualche battuta, brevissima, doppiata in giapponese, il che fa sempre piacere. Il gioco per ora è solo in inglese e giapponese, ma nel kickstarter era stato sbloccato il supporto ai fan-sub, quindi immagino che un team volenteroso otterrebbe il beneplacito degli autori.
Anche se, consentitemi una parentesi, non vedo la necessità di destinare soldi appositi al "supporto fan-sub": se vuoi supportare i fansubber, cioè gente che ti fa un *lavoro* gratis, fallo, basta. Qual è il senso di far pagare i *bakers* per questo? Va beh...
E' presente una modalità New Game +, con cui è possibile salvare il gioco in vari punti (durante la prima partita non è possibile farlo, c'è solo l'autosave) in modo da vedere gli altri 10 finali senza dover ogni volta rifare tutto da zero. Io avrei preferito poter salvare fin dall'inizio, ma questa è una mia preferenza.
Tokyo Dark è un gioco che prometteva bene, ma che non sviluppa appieno le sue potenzialità. E' piacevole, può anche appassionare qualcuno a cui piace questo genere di storia e di cliché, ma non si allontana mai dalla strada già tracciata da innumerevoli altre opere. Lo SPIN dà un tocco in più, ma anche quello non è sviluppato al suo massimo. Speriamo in una storia più originale per il prossimo gioco!
Ronan è un detective dal passato criminale. È stato in galera, si è pestato allegramente con altri criminali e poi si è pentito, ha incontrato la Donna Della Sua Vita ed è diventato poliziotto. E poi lei è morta, ovviamente. Per rispetto verso i poveri analfabeti, Ronan ha tatuato tutte le sue disavventure sul suo corpo, così chi lo vede intuisce subito il suo Passato Remoto Tormentato, il suo Passato Prossimo di Speranza (la donna) e il suo Presente Tormentato. Anche il suo Futuro sarebbe Tormentato, ma un serial killer decide di avere pietà di lui e lo ammazza.
Purtroppo per tutti, Ronan diventa fantasma, e questa è la storia di come il suo Tormento trova una fine.
Ok, ho un po' esagerato. Ma non ha senso prendere sul serio la storia di Murdered: Soul Suspect: è una sequela di cliché raccontata in modo serissimo, col risultato di far ridere e basta.
Che dire di Ronan, il figaccione macho, che va da solo all'inseguimento di un pericoloso serial killer (quando la scorta sarebbe giusto dietro di lui) e lo combatte con la sigaretta in bocca (la respirazione a che serve mai durante un combattimento? Ronan Il Duro può farne a meno!)?
O che dire della sua Donna, il cui nome ho dimenticato ma che tanto non ha importanza, come non ha importanza sapere nulla di lei se non che è l'Angelo giunto a salvarlo? Questo è uno stralcio del suo diario, trovato in giro per le strade di Salem perché... lei era solita scrivere il diario camminando, credo. O prima di morire ha sparso le pagine ai quattro venti per esprimere meglio il Tormento, non lo so. Comunque, eccolo, i non-anglofoni possono risparmiarselo:
Perché sei scema e disturbata, tesoro!
E che dire dei poliziotti di Salem, la città dove ha luogo la nostra avventura? Si trovano fra le mani il caso di un serial killer che uccide ragazze giovani, alcune delle quali interessate all'occulto e *non hanno una sola pista da seguire*! Salem + giovani donne + occulto + serial killer = MISTERO per i poliziotti della città! Poveri Cristi, le scie chimiche devono aver colpito i loro cervelli.
Non sorprende che i quattro abitanti rimasti, che girano incessantemente per tutta Salem in modo da dare una parvenza di vita alle aree che Ronan dovrà visitare, non pensino ad altro che al serial killer e alla morte e agli omicidi e alle torture medievali e al Tormento! Con poliziotti del genere, chiunque potrebbe essere la prossima vittima!
Ma Ronan adesso ha un asso nella manica, perché è un fantasma e può leggere la mente delle persone e influenzarle e simili. E può entrare dentro le case, se qualcuno gli apre una porta.
Essere un fantasmino sarebbe anche divertente (è la ragione che mi ha spinta a giocare questo Torment: Soul Susp- ehm, volevo dire, Murdered: Soul Suspect...), se il gioco ce lo lasciasse fare come vogliamo e quando vogliamo. Ma, nisba, dobbiamo stare su un corridoio mascherato da sandbox perché se no è troppo difficile (per loro sviluppare il gioco, non per noi giocarlo...). Che vuol dire?
Prima di tutto, appena Ronan diventa fantasma, “vede” la città diversamente. Ci sono sì i soliti palazzi, la chiesa, ecc ecc; ma c'è anche una seconda Salem, quella del passato, che affiora qua e là per la città. Ronan non può passare attraverso i muri di questa Salem fantasma e devo dire che la cosa ha senso ed è un buon modo per delimitare le aree. È anche bello andare in giro e trovare i fantasmi di un incendio, di una nave, di un vecchio ospedale e così via: non solo crea una bella atmosfera “fantasmosa”, ma suggerisce il passato della città, che è in effetti ricco di storia Tormentata. Qua e là sono sparse delle targhe commemorative che raccontano un po' gli eventi dei secoli passati. Soul Suspect è un gioco pieno zeppo di elementi collezionabili: da queste targhe alle storielle di fantasmi minori, alle pagine di diario della Donna di Ronan, ai frammenti della vita di lui.
"WUT?" Ronan il 99% del tempo.
Questo è appunto il sandbox che cerca di nascondere che ci troviamo davanti a un corridoio. Perché è vero che possiamo esplorare tutta Salem alla ricerca di questi collezionabili (cosa che io trovo pallosa, ma a molti piace, va beh), ma questo nulla ha a che fare con la storia principale, che invece prosegue dritta e lineare. Ronan si rifiuterà di entrare in alcune aree prima del tempo, vuoi mai che incappi nella tana del serial killer per sbaglio? Anche se è ovvio che sta là? Sia mai...
A parte svolazzare in giro, Ronan ha altre abilità fantasmesche: può possedere persone et animali, influenzarne i pensieri e ovviamente mettere sottosopra gli oggetti elettronici per ottenere reazioni varie. Il problema, grosso, è che tutto questo funziona solo quando il gioco decide che è ora. Potete sempre possedere le persone e spiare i loro pensieri, ma queste sono azioni di norma inutili. Volete influenzare Tizio per fare X? Non potete se il gioco non ci aveva pensato. Entrate in una casa random e accendete TV, stampante, fax, radio e luci? Gli inquilini non se ne accorgeranno neanche. A meno che non è quello che il gioco vuole che succeda. Il colmo è arrivato in una sezione in cui bisognava salire delle scale, ma Ronan non poteva passare senza possedere un umano. Io lì per lì non ho pensato a questa soluzione, perché avevo già trovato un'altra strada che portava allo stesso punto (sopra le scale). Arrivo dall'altra parte: al gioco non gliene frega una ceppa. Ho dovuto rifare il giro, possedere l'umano e farmi trasportare sopra le scale. Wtf?
È tutto così guidato che si perde gusto.
(Tranne i gatti. Ronan può possedere dei gatti per salire su delle impalcature, perché lui non può saltare. Sì, non può, ne parliamo sotto. Comunque, GATTI. + 1 voto per Murdered!)
Le investigazioni, poi. Ronan è un detective e deve quindi investigare. Si parte dalla scena del suo stesso omicidio, che funziona un po' alla L.A. Noire: giriamo per la zona, raccogliamo indizi e poi premiamo Q per far arrivare Ronan alla conclusione.
La povera Sophia che tenta di comunicare con Ronan. Notate il suo (di Sophia) sguardo sconsolato. Non è la morte, è l'aver a che fare con Ronan, poraccia!
Il gioco è a prova di imbecille, ma talmente tanto che a volte risulta difficile. Intanto va da sé che voi capirete le cose eoni prima di Ronan. Ma, d'altronde, lui è uno che non sa risolvere la formula: “ Salem + giovani donne + occulto + serial killer = ?”, quindi che ci aspettiamo? Quando voi, alla scena investigativa 1 penserete: “ah, il killer vuole X! Per il motivo Y!!!”, Ronan, *alla fine del gioco* si dirà: “sai mai che forse il killer vuole X? Ma perché?”.
Le scie chimiche, sono le scie chimiche.
Sorvoliamo su questo aspetto. Diciamo che voi investigate, raccogliete indizi e poi cliccate Q per arrivare alla conclusione di quella scena investigativa. Ronan si porrà una domanda, di solito molto stupida perché la risposta è auto-evidente. Voi avrete davanti tutti gli indizi, visualizzati come frammenti di ricordi, per rispondere. La risposta che il vostro cervello normodotato vi suggerirà sarà quella che porta avanti l'indagine, che apre nuove domande. Quella che il gioco vuole è quella che ripete la domanda stessa. Confusi? Vi faccio un esempio inventato, per evitare spoiler:
Ronan si domanda: “Cosa stava cercando il Killer qua?” (questo dopo aver visto il Killer cercare, che ne so, in un cassetto). Da tutti gli indizi raccolti, voi avete capito che il Killer cerca le chiavi per entrare nella casa della prossima vittima. Cliccate quindi, poveri stolti, sul frammento: “Chiavi della casa”. Sbagliato! Il frammento da cliccare era “Il Killer cerca nel cassetto”! Una risposta che non porta da nessuna parte, e che in effetti non è una risposta, ma al gioco non gliene frega niente. Quando va bene la soluzione sarebbe: "La Vittima", che è un passo avanti ma è comunque la risposta sbagliata.
La cosa oltremodo comica è che ci viene spiegato all'inizio del gioco che il fantasma assume le abilità paranormali legate alle abilità che aveva in vita. Quindi: l'atletico, machissimo, figoso, muscoloso, prima-sparo-poi-chiedo Ronan, una volta fantasma, è incapace di volare, saltare, usare la telecinesi per spostare cose, lanciare palle di ectoplasma, costringere fisicamente la gente a fare quel che vuole lui... e invece ha la capacità di far pensare le persone a quello che vuole lui, di “dedurre” le cose passate tramite visioni, et simili. Invece delle sue spiccate doti atletiche, gli si son sviluppate quelle investigative, quelle stesse che non lo hanno reso capace di capire cosa mai può volere un serial killer che uccide giovani donne interessate all'occulto a Salem.
No, cioè, ok.
Quando non stiamo investigando, dobbiamo superare sezioni stealth, evitando dei demoni (o prendendoli alle spalle e ammazzandoli). Non sono brutte sezioni, anzi, sono anche un po' divertenti, ma non aggiungono granché e con la trama non c'entrano molto, le si poteva togliere senza far danno (e anzi, magari dedicando tempo et risorse a creare un Mystery un minimo intelligente? No, eh? Ok.).
Ragazzina "trpp tosta!" che aiuterà Ronan nella sua difficilissima investigazione.
Graficamente non so giudicare il gioco, nel senso che a me pare adeguato, non eccezionale. Ho avuto l'impressione che le risorse a disposizione non fossero granché: ha il tipico look da “gioco per console” (mi perdonino i consolari) anche con i dettagli al massimo. Ma magari quando uscì era l'apice della figaggine, non saprei dire e non credo abbia grande peso. Idem per il suono, probabilmente non ve lo ricorderete una volta finito il gioco, ma finché giocate fa il suo mestiere. Kudos a chi si è occupato degli effetti sonori, in alcuni casi vitali.
Alcune scene, se chiudiamo un occhio (e sopratutto il cervello) sulla storia, sono molto belle, come la parte di Sophia, fantasmina Tormentata che cerca di essere capita da Ronan senza molto successo (what a surprise). O la parte di Rose, altra fantasmina Tormentata che vuole proteggere la sorella. O i flashback degli omicidi. Insomma, le parti meno Ronan-centriche, quelle che riguardano personaggi un filo meno pompati di lui, sono ben fatte.
Il gioco non è horror neanche per sbaglio: l'unico spavento potreste averlo quando vi arriva un demone addosso, perché non ve l'aspettate, ma è il salto sulla sedia che può farvi fare anche uno sparatutto, non c'è atmosfera di angoscia/paura.
Io con questo Murdered mi sono anche divertita, perché mi piacciono i fantasmi ed ero di umore “allegro”, quindi la trama cretina non mi ha dato fastidio, ci ho riso sopra. E le storielle degli altri fantasmi, anche quelli che incontriamo di sfuggita, sono carine. Chi è in fissa con i fantasmi come la sottoscritta probabilmente si divertirà anche solo a vedere tutti i fantasmini e a capire cosa li tiene legati alla vita passata; chi è di umore "allegro" e ride di queste cose si divertirà. Queste due categorie considerino il gioco "da provare". Ma chi si aspetta un buon gioco o una buona trama o qualcosa che ci somigli... eeeer, giri alla larga.
Oggi vi presentiamo la video recensione di Life is Strange, avventura interattiva della DontNod, ad opera del Duca.
In Life is Strange impersoniamo una ragazza che frequenta una accademia d'arte e che scopre di riuscire a riavvolgere il tempo e di poter così modifcare gli eventi appena accaduti.
Guardate il video qui sotto!
La traduzione non ufficiale italiana a cura dei Fenixtm.
Per giochi di ruolo isometrici si intende quei giochi in cui l’azione viene visualizzata "a volo d’uccello", con la telecamera posta in alto e leggermente inclinata.
Questo tipo di impostazione grafica riflette solitamente (ma non sempre, vedi Ultima 7) un gameplay incentrato sul combattimento tattico, solitamente a turni.
Senza dimenticarsi però che, agli albori del genere, quando i limiti tecnici erano più stretti, la visuale isometrica ha consentito ai gamedesinger di portare l’avventura fuori dagli angusti limiti dei dungeon, nelle sconfinate terre aperte del fantasy!
LE ORIGINI:
Anche in questo caso, come per i gdr in soggettiva, preferisco non sbilanciarmi troppo sulle origini del “genere”. Non avendo avuto modo di giocare i primi giochi isometrici al momento della loro pubblicazione, li ho in seguito trovati poco appetibili per rigiocarli, a causa dei limiti grafici e delle interfacce ostiche. E quindi non li conosco molto.
Mi limito qui a segnalare alcuni capostipiti interessanti, che comunque reputo degni di una prova.
Il primo da citare è ovviamente Ultima I: "The First Age of Darkness" (Origin, 1981), che utilizzava la visuale isometrica per l’esplorazione degli esterni e delle città. Il gioco è l'ennesimo esempio di come i limiti tecnici andassero a incidere sul gameplay; tanto è vero che Richard Garriott si risolse ad usare la visuale "isometrica" per gli esterni e quella in soggettiva per i dungeon (più, ovviamente, quella ad hoc per lo spazio - per i temerari che l'hanno portato a termine!).
Ad ogni tipologia di gameplay la sua impostazione grafica.
La vera pietra miliare di questa prima generazione di giochi di ruolo isometrici è però indiscutibilmente lo storico e bellissimo Pool of Radiance (Strategic Simulations, Inc. – 1988). Il gioco fu il primo di quattro indimenticabili titoli costruiti dalla SSI utilizzando il "Gold Box Engine": Curse of the Azure Bonds (1989), Secret of the Silver Blades (1990), and Pools of Darkness (1991), a cui seguirono altri titoli ancora negli anni seguenti. Anche il Gold Box Engine utilizza la prima persona in soggettiva per l'esplorazione dei dungeon e la visuale isometrica per i combattimenti (all'aperto e al chiuso).
La saga iniziata con Pool of Radiance resta celebre, oltre che per la profondità di gioco e l'ottimo gameplay, per essere il primo titolo in assoluto a utilizzare la licenza ufficiale di D&D, che la TSR aveva concesso alla SSI dopo aver constatato il grande successo della saga di Ultima.
Giusto per curiosità, credo valga la pena aggiungere che fra le società che richiesero alla TSR i diritti del AD&D c'erano anche la EA (aaargh!) e la Sierra.
LA SECONDA GENERAZIONE:
La strada aperta da Pool of Radiance viene percorsa negli anni dalla SSI con grande maestria, ma senza la forza e la capacità di innovare veramente: si continuava a fare quello che si era sempre fatto, soltanto con qualche miglioria grafica e strutturale minore.
Tuttavia il loro Dark Sun: Shattered Lands (1993), pur realizzato con un motore nuovo ma ancora acerbo (il Dark Sun Engine), è un notevole passo avanti. Sia per il netto salto di qualità nella grafica, sia –soprattutto- per l’ottimo sistema di combattimento, che riproduceva in modo fedele (e divertente!) le regole dell’AD&D.
Il mondo di gioco (per quanto costruito “ad oggetti” e non con fondali disegnati) era ancora ben poco manipolabile, però il gioco era avvincente e riusciva a raccontare in modo soddisfacente la sua storia, riproducendo in modo fedele la bellissima ambientazione di gioco.
I giochi che seguirono, anche da parte di altre SH, non si discostarono troppo da questo schema.
Vale forse la pena segnalare anche gli altri giochi, sempre della SSI, basati sempre sul Dark Sun Engine, perché anche questi offronto un more of the same decisamente divertente e all'altezza delle aspettative; si tratta di: Dark Sun 2: "Wake of the Ravager" (1994 - leggendario e difficilissimo il suo colossale scontro finale!), Al-Quadim: "The Genie’s Curse" (1994) e Entomorph: "Plague of the Darkfall" (SSI, 1995). Quest'ultimo è un ottimo titolo che conclude però con un grosso insuccesso commerciale l'esperienza del Dark Sun Engine, nonostante la bella trama, l'alta risoluzione introdotta dal gioco e il supporto del CD-Rom e quindi di un comparto tecnico all'avanguardia. Tutti questi titoli dimostrano come, anche per i gdr isometrici, ci sono voluti molti anni per recepire le novità introdotte da altre SH più intraprendenti.
Da non dimenticare, quando si parla dei giochi SSI dgli anni '90 l'importante e innovativo MMRPG Dark Sun Online: "Crimson Sands" (praticamente sconosciuto qui in italia).
Un titolo estremamente significativo di questa “seconda generazione” di giochi di ruolo isometrici è rappresentato sicuramente da Ultima 6: "The False Prophet". Datato 1990 (e quindi antecedente al Dark Sun Engine), il gioco della Origin apre con il suo motore grafico nuove strade, che saranno poi battute e perfezionate dal suo seguito (Ultima 7).
Le innovazioni sono tantissime, ma il gameplay non ha ancora quella stupefacente profondità e immediatezza della generazione successiva.
Ultima 6 ci presenta un mondo enorme, liberamente esplorabile, anni luce distante per profondità e credibilità dalle limitate mappe di Dark Sun (ma anche -diciamocelo- da quelle di Baldur’s Gate!!!).
I fondali, non disegnati a mano ma costruiti con oggetti, presentano un’interattività mai vista prima in un gioco per computer, che consente al gioco di raggiunge un realismo fino ad allora inimmaginabile. Basti dire che il motore che muoveva la Britannia di Ultima 6 era talmente avanzato da essere riutilizzato, molti anni dopo, come base per l’engine di Ultima On-line (era il 1997).
La grafica in finestra (e non a schermo intero come nel Dark Sun Engine) ci appare però oggi troppo superata e l’interfaccia, certo rivoluzionaria per quel tempo (il mondo dPC doveva ancora conoscere Windows e già Ultima 6 funzionava esclusivamente tramite mouse!), oggi risulta ostica e toglie moltissimo all’immediatezza del gioco.
Tuttavia, nonostante la scarsa giocabilità odierna del titolo, ad Ultima 6 va riconosciuto il gran merito di aver dimostrato che la grafica isometrica non è funzionale solo ai combattimenti tattici, ma anzi è lo strumento ideale su cui costruire un mondo credibile e raccontare una storia di grandissima profondità.
Ultima 6 è anche uno dei pochissimi giochi di ruolo che conosco che non si conclude con uno “scontro finale contro il super boss”: un’autentica perla, che dona nuova dignità al genere e corona in modo perfetto una storia tutt'altro che banale che affronta in chiave fantasy il tema del razzismo.
LA TERZA GENERAZIONE:
Andando avanti negli anni, notiamo che anche i GdR isometrici tendono a dividersi in due categorie (in base ai loro engine grafici e quindi in base al gameplay che propongono).
Da una parte abbiamo i successori di Dark Sun, prevalentemente caratterizzati da sfondi disegnati a mano o comunque scarsamente interattivi; solitamente incentrati sul combattimento a turni..
Dall’altra parte i successori di Ultima 6, che presentono mondi costruiti “per oggetti”, sempre più dettagliati e credibili e che fanno dell’interattività e della storia la loro bandiera. Spesso lasciando il combattimento e le stats in secondo piano.
La "terza generazione" è inevitabilmente segnata dall'uscita di Ultima 7 Part 1: "The Black Gate" (Origin, 1992). Se confrontate le date, vedete che Ultima 7 esce prima di Dark Sun, pur surclassandolo da ogni punto di vista; limpido esempio di quale scarto tecnologico potesse esistere all'epoca fra un gioco e l'altro. Ecco che Ultima 7 supera di gran lunga ogni aspettativa e segna un nuovo standard di interattività e immersione per i mondi virtuali. Mai come allora un mondo virtuale era stato tanto credibile e affascinante nella sua complessità.
Non mi sembra necessario spendere altre parole su Ultima 7, se non per aggiungere che –ahimè!- non ha avuto il seguito di cloni che era legittimo aspettarsi. E credo che la spiegazione sia abbastanza semplice: non c’è dubbio che sia molto più rapido e meno costoso creare un gioco “alla Dark Sun” piuttosto che un clone di Ultima 7 e non è assolutamente detto che il primo venda meno del secondo!
Due dei pochi cloni all’altezza dei due Ultima 7 Part 1 sono proprio… Ultima 7 Part 2: "Serpent Isle" (1993) e Ultima 8: “Pagan” (Origin, 1994).
Soffermiamoci su Ultima 8; a causa dell’aggiunta di numerosi elementi arcade e di un più generale stravolgimento delle macchine e dei cliché della saga, il gioco è stato bistrattato dai fan di Ultima e si è rivelato un sonoro flop di incassi (tanto è vero che si è perfino arrivati alla cancellazione del suo datadisk, pur praticamente ultimato: Ultima 8: "The Lost Vale"). La verità, credo, è che Ultima 8 è un buon gioco e l’unica sua pecca è di mancare (almeno in parte) proprio nella cura della storia e dei PNG, cioè nei due elementi che più di tutti distinguono la saga di Ultima.
Comunque, per il discorso che qui interessa, rilevo che Ultima 8 rappresenta uno dei punti di arrivo dei GdR isometrici “ad oggetti”, presentando una grafica e delle animazioni di altissimo livello, con un mondo di gioco ricco e dettagliato.
Altri titoli isometrici dotati di una grandissima ambientazione e di un’elevata interattività con l'ambiente circostante sono stati Fallout (Interplay, 1997, e il suo seguito Fallout 2 datato 1998 sivluppato da Black Isle Studios - sì, quelli di Baldur's Gate!), un capolavoro del genere che ogni appassionto di gdr dovrebbe aver giocato, e Arcanum: "Of Steamworks & Magick Obscura" (Sierra – Troika Games, 2001).
Non meno piacevoli e significativi sono Final Fantasy VII (Sqaure, 1997) e Final Fantasy VIII (1999), sui quali però qui non ci si soffermerà, appartenendo anche al genere di JRPG..
Tutti questi titoli possono senz’altro competere ad armi pari con Ultima 7, ma testimoniano anche come si fatichi a fare un vero e proprio ulteriore salto in avanti nel realismo e nell’interattività con il mondo circostante. Da questi punti di vista il capolavoro di Richard Garriott resta probabilmente l'apice del genere.
L’altro filone di questa generazione di GdR isometri è occupato dal mai sufficientemente lodato Infinity Engine, sviluppato dalla BioWare per Baldur’s Gate (Interplay – Black Isle Studios, 1998).
L’Infinity Engine è caratterizzato da un innovativo (e estremamente divertente!) sistema di combattimento in tempo reale, nel quale però si può mettere in pausa per preparare accuratamente la propria strategia. Come era accaduto molti anni primi con Eye of Beholder, ritengo che sia stata la grande semplicità d’uso a fare dell’Infinity Engine un grandioso successo commerciale capace di rilanciare su scala mondiale i GdR isometrici.
L’altra caratteristica di questo innovativo motore di gioco sono, appunto, gli sfondi disegnati a mano. Indubbiamente di una bellezza disarmante, impongo però al gioco un’interattività con l'ambiente di gioco ridotta al minimo; forse perfino inferiore a quella del suo predecessore spirituale Dark Sun (con cui Baldur’s Gate ha innegabilmente moltissimi punti in comune, oltre alla licenza del D&D).
Di certo però in tema di divertiento l'Infinity Engine è un degno successore del Dark Sun Engine e dell'ancora precedente Gold Box Engine, sapendo riprendere la tradizione degli storici titoli SSI e riuscendo a traghettarla con successo nel nuovo millenio.
E’ così che la BioWare si fa carico della decennale eredità della SSI, occupando saldamente il suo posto nel cuore degli appassionati di GdR.
Come da tradizione a Baldur’s Gate seguono numerosi seguiti (divisi fra seguiti veri e propri e data disk) e altri giochi ugualmente basati sull’Infinity Engine. Fra questi vale la pena ricordare almeno il fantastico Planescape (1999) e Icewind Dale (2000), quest'ultimo decisamente più votato al combattimento.
A questo filone dei giochi dotati di una scarsa interattività con l'ambiente di gioco appartengono a pieno titolo i due Diablo (Blizzard, 1996 e 2000), caratterizzati da una vocazione al combattimento in tempo reale ancora più marcata, al punto di collocarli a pieno titolo nella "nuova" categoria degli hack'n'slash. Al riguardo si è discusso a lungo se tale categoria sia una specie del più ampio genere "gioco di ruolo" oppure no. Ma questa discussione ci porta lontano dagli scopi di questo articolo e quindi non l'approfondiremo.
IL FUTURO:
Come ho già detto, l’avvento di sofisticati motori 3D spezza il legame fin qui osservato fra grafica e gameplay.
E, se continuano ad uscire GdR isometrici (basati più o meno completamente su un motore 3D), la tendenza sembra puntare decisamente verso i GdR in terza persona, sulla scia di Morrowind.
I titoli isometrici che sono usciti negli ultimi anni non mi sono sembrati sinceramente innovatori dal punto di vista del gameplay e comunque sono ben noti.
Partendo da Dunegon Siege (Microsoft, 2002), passando per Pool of Radiance: "Ruins of Myth Drannor" (UbiSoft, 2001) e il famoso Temple of Elemental Evil (Atari, 2003), prima trasposizione su computer della celebre e complessa terza edizione del D&D.
È chiaro che la potenza dei nuovi engine 3D sta spostando l'esperienza del gioco di ruolo su computer verso titoli in soggettiva o in terza persona, con risultati grafici indiscutibilmente notevoli e con una capacità evocativa ineguagliabile (vedi Skyrim).
Tuttavia ritengo che la visuale isometrica sia ancora oggi uno strumento preziosissimo in mano ai gamedesigner, sia per rendere al meglio i combattimenti tattici (vedi Baldur's Gate), sia più in generale per costruire dei mondi fantasy davvero credibili e interattivi (vedi Ultima 7).
Se l'obbiettivo è il realismo, il rispetto dei regolamenti originali pen&paper e l'interattività con il mondo, ecco che la visuale isometrica è ancora oggi insuperata. Tanto più quando il mondo non è disegnato a mano, ma costruito "ad oggetti".
Discutiamo insieme della storia dei giochi di ruolo sul forum di OldGamesItalia!
Il sottoscritto ammette le sue carenze culturali affermando di non conoscere in maniera approfondita l’universo dei jrpg (giochi di ruolo alla giapponese), genere in cui “Kingdom Hearts” può essere ascritto, sebbene sfoggi alcune caratteristiche (fra cui la deriva action) che lo discostano leggermente dagli esempi più classici.
Chiunque riesca a giungere alla schermata ‘The End’, dopo oltre 30 ore di gioco e un lungo e impegnativo finale, viene inevitabilmente pervaso da una serie di emozioni: terminare “Kingdom Hearts” genera un malinconico ma piacevole appagamento e la sensazione di aver vissuto un’esperienza, in definitiva, soddisfacente. Il dolce sentimento di avventura (comune a molti titoli dalla forte longevità) influenza il giocatore e annebbia in parte il suo giudizio critico e la personale analisi sul ‘peso’ dei difetti, i quali passano prepotentemente in secondo piano.
Il lato più interessante del progetto consiste certamente nella tanto attesa – e temuta – unione dell’universo narrativo Disney con quello di “Final Fantasy”, integrazione resa possibile perchè… accade e basta. Non esiste infatti un vero lavoro volto a giustificare la convivenza dei due mondi: gli autori gettano nel calderone un po’ di tutto e, a parte alcuni piccoli accorgimenti nel character design volti a uniformare stilisticamente i vari personaggi, si limitano semplicemente a fondere senza un vero criterio mondi e protagonisti, conservando efficacemente mood e caratterizzazioni.
Si ha quindi a che fare con una sorta di universo parallelo in cui i background d’ispirazione (Disney e Square) sono raccolti in maniera semi casuale e gettati nella mischia senza troppi fronzoli, creando un ambiente narrativo del tutto nuovo che, pur non incasellandosi nella cronologia delle trame originali, racchiude in sé storie, scenari e personaggi già noti. Uno strano mix che, supportato anche dal grande sforzo degli animatori e dalle prestazioni dei doppiatori (una sfilza di pezzi grossi, tra cui spiccano le voci originali utilizzate nelle produzioni disneyane), si può dire riuscito.
Purtroppo la Square non riesce a scrollarsi da dosso gli stilemi del genere – o, probabilmente, non vuole farlo – e propone un gioco estremamente dilatato e pieno zeppo di ridondanze. Circa l’80% del tempo è infatti occupato da azioni ripetute o superflue come i viaggi sulla Gummiship (realizzati male e inutilmente lunghi), le fasi platform (rese frustranti dalla cattiva gestione della telecamera) o le gare sull’Olimpo (decine di mischie di difficoltà crescente).
Nonostante siano poi stati aboliti i combattimenti a turni in favore di un sistema più action, gran parte dell’avventura è costituita dagli onnipresenti scontri casuali, i quali non costituiscono alcuna vera sfida ma sono indispensabili per potenziare il personaggio in vista dei più impegnativi duelli con i boss.
Inoltre esigenze del gameplay conducono ad alcune forzature narrative, rendendo per esempio Paperino e Pippo degli improbabili e letali guerrieri che si affiancano al giovane protagonista, l’eroico e (troppo?) sensibile Sora.
Il restante 20% si trascorre in modo più vario e stimolante, e la bellezza di ambientazioni e personaggi possono facilmente convincere il giocatore a proseguire, a dispetto di una scrittura un po’ prevedibile che fa leva su una trama costruita per i più giovani con il relativo, ingombrante e banale sottotesto.
I tempi dilatati, provocati quindi da una serie di azioni reiterate e spesso noiose, assolvono però il compito di incrementare la longevità: paradossalmente i difetti risultano perciò utili a originare quel senso d’avventura citato in apertura che spinge al completamento del gioco svelando quello che è, con ogni probabilità, il suo pregio migliore. La conseguenza è che chi riesce a sopportare le varie magagne, le tante lungaggini e uno stile di gioco che dimostra i suoi anni (in realtà, già ai tempi dell’uscita), va incontro a una lenta ma progressiva ‘desensibilizzazione’ nei confronti delle varie pecche, grazie anche all’introduzione graduale di piccoli elementi che via via semplificano la vita del giocatore snellendo qualche passaggio.
A conti fatti, chi dopo le prime dieci ore di gameplay ha ancora il pad fra le mani difficilmente abbandona l’avventura di Sora e soci: infatti, il vero stimolo a proseguire non è tanto rappresentato dal divertimento (non sempre presente) o dalla voglia di ‘vedere come va a finire’, ma piuttosto dalla volontà di dare alla propria esperienza una sensazione di compiutezza per potersi guardare indietro con la deliziosa consapevolezza di aver vissuto una grande avventura.
INTERESSOMETRO: 4 su 5.
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Grazie a chi ci è stato vicino nei vent'anni di attività "regolare" di OldGamesItalia, a chi ha collaborato o a chi ci ha soltanto consultati per scoprire il mondo del retrogaming. Speriamo di avere presto nuove energie per riprendere un discorso che non vogliamo davvero interrompere.
Grazie, OGI. Arrivederci!
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