CV 2x03 - C'era una volta Baldur's Gate II

Titolo:
Reload Baldur's Gate II
Serie:
C'era una volta un gioco
Durata:
1h 3'
Pubblicato il:
21 novembre 2022

C'era un volta il secondo capitolo di una saga leggendaria di giochi di ruolo per PC. C'era una volta una divinità e la sua progenie. C'erano una volta draghi e palle di fuoco, una sfera planare e una spada parlante, un criceto gigante miniaturizzato. C'erano una volta Minsc, Jaheira, Anomen, Imoen, Sarevok, Irenicus. C'era una volta Baldur's Gate II.

Torniamo a parlare di questa saga videoludica dopo che Gwenelan ha terminato il suo gameplay completo di Baldur's Gate II e la sua espansione Throne of Bhaal: dopo 42 video di gameplay la community aveva alcune domande e abbiamo colto questa occassione per riportarle a Gwenelan che così ha potuto rispondere e approfondire maggiormente questo videogioco diventato presto una pietra miliare del genere.

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Giochiamo insieme a Baldur's Gate Enhanced Edition!

Ieri abbiamo terminato il nostro Longplay di Baldur's Gate: Enhanced Edition e oggi vi riproponiamo l'intera playlist.

Seguite le vicende del party NEUTRALE di Gwenelan nelle sue avventure per i Forgotten Realms, fra il saccheggio di una cittadina, il salvataggio di qualche gattino e l'occasionale smascheramento dei complotti dietro la crisi del ferro che ha investito la Costa della Spada!

C'era una volta Neverwinter Nights

Titolo:
C'era una volta Neverwinter Nights
Serie:
C'era una volta un gioco
Durata:
1h 10'
Pubblicato il:
25 gennaio 2021

C'era un volta tanto tempo fa un videogioco. Era un gioco di ruolo,  un gioco basato sulla terza edizione di D&D... e il gioco che, si pensava, avrebbe raccolto l'eredità multiplayer lasciata da Ultima Online. Quel gioco era Neverwinter Nights.

La Bioware dopo i successi di Baldur's Gate decise di svoltare verso il 3D e il multiplayer con Neverwinter Nights. Molti lo attendevano, tra questi anche i nostri Sambu e Gwenelan che lo acquistarono uno per il multiplayer, l'altra per il single player. Vediamo a distanza di tempo chi ha apprezzato di più il gioco, o meglio, chi ha apprezzato maggiormento il set di gioco offerto insieme al modulo demo, la campagna single player.

Guarda il let's play di Neverwinter Nights di Gwenelan su YouTube.

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C'era una volta Neverwinter Nights

C'era un volta tanto tempo fa un videogioco. Era un gioco di ruolo, un gioco basato sulla terza edizione di D&D... e il gioco che, si pensava, avrebbe raccolto l'eredità multiplayer lasciata da Ultima Online. Quel gioco era Neverwinter Nights.

Tornano le chiacchiere e i ricordi dei nostri amici di OldGamesItalia,  con il podcast C'era una volta un gioco, in cui riscopriamo e raccontiamo la nostra esperienza con uno dei giochi a cui siamo maggiormente legati.

C'era una volta Baldur's Gate

Titolo:
C'era una volta Baldur's Gate
Serie:
C'era una volta un gioco
Durata:
1h 9'
Pubblicato il:
2 gennaio 2021

C'era un volta tanto tempo fa un videogioco. Era un videogioco con visuale isometrica, un gioco di ruolo, un gioco basato su D&D, il gioco con la pausa tattica, il gioco che ha portato la personalità ai tuoi compagni di viaggio. Quel gioco era Baldur's Gate.

Mentre in tanti tra cui la nostra Gwenelan (segui il gameplay su youtube) stanno giocando in accesso anticipato il nuovo Baldur's Gate 3, noi vogliamo ritornare al 1998 quando la collaborazione tra Interplay e una giovane Bioware riportò alla ribalta gli RPG basati su D&D con il primo capitolo di questo brand divenuto da allora pietra miliare del genere e ancora oggi riferimento per i titoli dello stesso genere.

Tra mappe disegnate, personaggi con personalità e combattimenti con la pausa tattica Sambu e Gwenelan ci ricorderanno le loro scorribande lungo la Costa della Spada.

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Giochiamo insieme a Baldur's Gate Enhanced Edition!

Nell'attesa di poter mettere le mani su Baldur's Gate 3, Gwenelan torna al primo titolo della saga, nella sua versione Enhanced.

In questo video iniziale, esploriamo insieme Candlekeep e avventuriamoci oltre le sue mura.

Mass Effect Andromeda

Mass Effect: Andromeda è il nuovo capitolo della serie fantascientifica di Mass Effect, sviluppata da Bioware per conto della EA. Mentre nei primi tre titoli abbiamo avuto modo di difendere (con incerto successo) la nostra galassia, Andromeda ci porta molto più in là, alla colonizzazione di una nuova fetta di spazio – la galassia di Andromeda, appunto. E come sarà andato il viaggio dei nostri nuovi eroi?
Male, ovviamente. Molto male.

Partiamo dalla storia. La premessa è la seguente: la gente nella Via Lattea ha trovato dei Magici Telescopi con i quali ha osservato lo spazio profondo e ha individuato dei pianeti bellissimerrimi e pronti per la colonizzazione. Quindi, sono tutti saltati in qualche nave spaziale (le Arche, più o meno una per “razza”) e si sono fatti un viaggetto di 600 anni fino ai nuovi pianeti.

Ho letto recensioni che plaudivano questa premessa, il che mi fa piangere per il quoziente intellettivo dell'umanità, in evidente calo costante. Chi può mai pensare che sia una buona idea fare un viaggio di *600 anni* per raggiungere una meta? 600 anni, immaginateli sulla Terra: dall'anno 1000 al 1600... sono cambiate giusto quel pochino di cose! E questo se consideriamo una civiltà come quella dell'anno 1000, cioè relativamente arretrata. Ma se un alieno partisse oggi, 2017, per raggiungerci, e arrivasse da noi nel 2617? Avremmo fatto in tempo a scatenare due guerre mondiali, a finire tutte le risorse del pianeta, e a farglielo trovare deserto perché saremmo morti tutti per le radiazioni!

In verità, è suggerito dal gioco che ci sia un motivo specifico per cui questo viaggio è stato organizzato. Dico “è suggerito” perché, siccome Andromeda non è autoconclusivo, passeremo le 40+ ore del gioco senza avere la conferma. In ogni caso, se anche così fosse, solo *una* persona in tutta la galassia ha avuto questa specifica motivazione: tutti gli altri che hanno organizzato l'Iniziativa (questo il nome della migrazione di massa) non si sono posti minimamente il problema! Ci sono persino coloni che si lamentano quando scoprono che i pianeti non sono “come era stato promesso”, neanche a prometterglielo fosse stato il Padretrerno. Vorrei credere che il tutto sia una velata critica alla credulità delle masse e alle promesse inverosimili dei politici... ma qualcosa mi dice che non è così.

In ogni caso, come avrete capito le cose non vanno lisce e i coloni sbattono il muso contro la Dura Realtà, che nel caso specifico assume dapprima la forma della Scourge, una nube di “dark energy” che manda le Arche allo sbando; e poi quella dei Kett, una razza aliena che non era stata avvisata del fatto che quei pianeti lì erano già stati puntati dalla Via Lattea e ha deciso di prenderli per sé. I Kett sono ossuti, brutti e vestono di nero, quindi i nostri eroi capiscono subito che sono i Kattivi della situazione e vanno annientati. Lo stesso approccio non va bene per gli Angara, dalle forme più piacevoli e dai vestiti multicolore, che invece sono Buoni, e annientare i Buoni non fa parte del copione.

Cosa c'entriamo noi in tutto questo? Noi siamo dei Pathfinder. Ogni Arca/specie ne ha uno e il Pathfinder è colui che scopre i pianeti abitabili e dirige l'esplorazione. Il loro punto di forza è il fatto che si portino dietro un'IA sviluppatissima che consente loro di fare praticamente ogni cosa. E intendo davvero *ogni cosa*: SAM, la nostra IA, sarà capace di interfacciarsi in mezzo secondo con tecnologie aliene mai viste prima, saprà intrufolarsi in ogni sistema di sicurezza (tranne due o tre, quando la trama vuole che passiate tot minuti a uccidere nemici, prima), tradurre lingue mai sentite (e anche qua dipende: la lingua angara sì, quella kett no; ma d'altronde SAM traduce le espressioni idiomatiche ma non parole normali tipo “hotel”... ovvio, no?), scansionare interi km in un battibaleno ecc ecc. Questo, oltre a essere una tale idiozia che è un po' difficile da digerire persino dopo aver digerito il viaggio di 600 anni, crea più di un problema a livello di gameplay, ma ci arriveremo.
Ovviamente, la nostra IA è più speciale di quella degli altri per vari cliché, quindi noi siamo l'Eroe, volenti o nolenti. Ultima cattiva notizia, i famosi “pianeti dorati” sono tutti inabitabili. Gioia e tripudio.

Questa bellissima premessa setta più o meno la qualità media del senso che hanno le vicende e le logiche di Andromeda. È una roba abbastanza indegna anche per i famosi quattordicenni amanti delle power fantasy: almeno dar loro power fantasy intelligenti, non mi pare chiedere troppo. Non aiuta il fatto che da qui in avanti il gioco proceda su binari bene o male prevedibili e sfoci nel solito “raduniamo le razze e sfondiamo il culo al kattivo”: solita sbobba.

Il peccato è che Andromeda è pieno di potenziale interessante. Per esempio, il “primo contatto” con gli Angara e le problematiche di coabitazione che ne derivano sono uno scenario diverso dal solito. Anche la situazione di tensione e malcontento che si crea nell'Arca, una volta scoperto che “il sogno è stato infranto” (sigh), aveva del potenziale: da un lato ci sono i coloni che scalpitano per mettere su casa, svegliare i familiari ancora criogenati e farsi una vita, dall'altro lato ci sono i dirigenti dell'Arca che non possono accontentare tutti (non c'è spazio né cibo a sufficienza), ma non possono neanche creare troppo malcontento perché altrimenti regnerebbe il caos.

I Kett. Ricordate, bambini in lettura, che quando uno è un cesso è anche kattivo e gli potete sparare!

Ci sono i ribelli, la cui situazione è apparentemente ambigua e con i quali non si sa che approccio adottare; e poi ci sono i Krogan, di nuovo relegati a razza inferiore della situazione: all'Iniziativa serve averli come amici, ma sono difficili da trattare, anche perché incazzati da anni e anni di soprusi.
Sullo sfondo, la disperazione di questa gente che si è svegliata da un viaggio di 600 anni e si è resa conto di non avere vie di fuga e di essere in una situazione dove non solo i Kett, ma tutto l'ambiente li vuole morti. A parte la stupidata iniziale del viaggio, Andromeda presenta ottime occasioni di conflitto, tante fazioni credibili e dagli interessi contrastanti... tante buone idee, come dicevo.

Il problema è che niente di tutto questo è sviluppato un minimo. Andromeda è di una linearità e di una piattezza scoraggiante. La possibile complessità si rivela nient'altro che il solito universo manicheo nel quale non potremo neanche destreggiarci perché non c'è nulla fra cui destreggiarsi. Non è possibile intervenire nelle politiche delle varie fazioni del gioco, non per davvero. Andromeda *fa finta* che sia possibile, ma è una finta: o la scelte non sono vere scelte, o le loro conseguenze sono nulle o talmente piccole che non contano granché. Faccio un esempio esemplificativo.

Capita nel gioco di incrociare un'IA angara, creata chissà quanti secoli fa. Sembra una cosa importante, sia perché è un pezzo del passato degli angara (che hanno perduto molto a causa dei kett), sia perché è un'IA molto avanzata e le IA hanno un ruolo fondamentale nella storia di Andromeda. La prima scelta è fra uccidere l'IA o far morire un NPC senza nome mai visto prima. È chiaro dove il gioco vuole che andiamo (plus, uccidere l'IA porta a vari commenti critici dei companions nei nostri confronti; uccidere l'NPC senza nome non viene notato da nessuno – W la logica e l'umanità dei personaggi). La seconda scelta è se tenerci l'IA o darla agli angara. Qua la scelta “giusta” è meno chiara, ma in ogni caso dovrebbe essere significativa, almeno stando agli elementi che il gioco ci ha fornito fino ad ora. Ebbene, o l'una o l'altra è indifferente. In verità, persino trovare questa IA è indifferente. Avremo miseri bonus compiendo la “scelta giusta”, roba che neanche noteremo proseguendo nel gioco. Ryder chiuderà il tutto con un “What's next?”.

Questo apre un altro grosso problema del gioco: la quasi totale mancanza di sense of wonder. Non mi riferisco solo al fatto che sia bene o male tutta roba già vista e rivista in mille salse, cosa che già è abbastanza triste di suo. Mi riferisco proprio al fatto che ai personaggi non gliene frega una mazza di quello che gli capita davanti. Conto sulle dita di una mano le volte in cui qualcuno si è fermato ammirato da qualcosa. È tutta routine per loro: incontrare una IA *aliena* non è niente di che, scendere su pianeti alieni è una scocciatura, i kett sono i soliti stronzi kattivi... what's next?
Questo atteggiamento non fa che sottolineare come dalla Via Lattea ad Andromeda, dagli umani agli angara, poco o nulla è cambiato. Stessi problemi, stesse razze umanoidi (l'Arca delle razze non umanoidi è convenientemente andata persa), stesse armi, persino stesso arredamento! Sembra l'universo uscito dalla mente di un autore stanco e svogliato.

Gli angara, o Umani Diversamente Colorati.

Stanca e svogliata è anche la maggior parte dei dialoghi. Pochi sono i casi in cui i personaggi sono ben scritti, per lo più si tratta di battute da film di serie B o di spiegoni o di meri riempitivi senz'anima fra una sparatoria e l'altra. In alcuni casi, specialmente nelle prime 2-3 ore di gioco, si scende a livelli da “cosa mi stavo fumando mentre scrivevo?”. Un esempio si ha con una delle prime missioni, che ci regala la perla: “His heart was broken right before it exploded.” (circa: “Il suo cuore si spezzò poco prima di esplodere”, si fa riferimento a un personaggio che è stato tradito e presumibilmente ucciso da un amico, quindi questi gli avrebbe spezzato il cuore (sic) col tradimento e poi gliel'avrebbe fatto esplodere con una pallottola. Non ho ancora capito se questa poesia dei poveri voleva essere seria o una presa per il culo di tutti noi).
Verso la fine abbiamo invece il seguente dialogo, un filo parafrasato.
Ryder: Se qui c'è la Scourge, dobbiamo pensarci!
Companion (comprensibilmente perplesso): Che intendi?
Ryder: Non lo so.

Spero almeno che si fumassero roba costosa. 

Qualche linea decente di dialogo la si ha con personaggi secondari e qualche volta con i companions. Ricordo con piacere l'incontro con l'ambasciatore angara, per esempio, oppure alcune scene con Vetra e Jaal, o il siparietto in cui l'equipaggio guarda un filmone trash tutti assieme.
I companions mancano un po' di carisma ma c'è stato lo sforzo di non farne delle macchiette e direi che in buona parte si è riusciti nell'intento. Si poteva fare un po' meglio, perché la costruzione del rapporto con loro è strana. L'arco dei companions, in tutti i titoli Bioware, segue bene o male questa struttura: conosci il companion – scopri qual è il loro problema – spunta l'occasione di affrontare suddetto problema – diamo sostegno morale al companion mentre affronta il problema – dialogo di ringraziamento/scena di sesso.
In Andromeda, però, spesso manca il passaggio in cui scopriamo il loro problema o, se c'è, non gli è data la necessaria importanza, e quindi quando arriva la Crisi (l'occasione per affrontare suddetto problema) questa sembra improvvisa e il companion un isterico. Pensiamo a Miranda di ME 2: Miranda ci fa una testa come un pallone fin dall'inizio su suo padre, la sorella, la sua infanzia, blablablabla... quando arriva la missione in cui dobbiamo salvare la sorella, sappiamo bene che significa questo per lei e quindi cosa deve affrontare. In Andromeda manca questa costruzione, o è spesso imprecisa. Si arriva alla fine in cui il companion ha imparato La Grande Verità... e noi con lui, perché non è che si era capito che stavamo andando a parare lì! Peccato, perché i companions sono sempre stati uno dei punti forza dei titoli Bioware e qui le idee non erano male. Lo stesso, mi sono stati abbastanza simpatici tutti quanti e ad alcuni mi sono anche affezionata.

Passiamo più specificamente al gameplay. Andromeda è un FPS con una tinta rpg-istica. Ci sono classi e abilità, ma non servono quasi a niente, nel senso che sono arrivata alla fine del gioco senza mai livellare. Ho speso dei punti solo per acquisire due abilità (delle granate e il concussion shot) che comunque non ho mai usato. Se si utilizza una classe biotica, qualche abilità serve per forza... ma si può anche imbracciare il fucile e ciao.
La maggior parte degli scontri sono molto simili per struttura della “mappa” e tipologia dei nemici. Ogni razza ha la sua versione dei nemici-base e qualche unità unica (solo i Kett hanno i Destined, per esempio), e anche i boss si ripetono di scenario in scenario, tant'è che lo scontro finale è la versione super-powah dei boss precedenti. Ci sono un paio di mappe “speciali”, che permettono strategie di gioco diverse dal semplice “spara a tutti – avanza – spara a tutti – ripeti”. Sono più faticose, ovviamente, ma fanno sbizzarrire di più il giocatore.

Il gameplay è bene o male tutto qua: si entra in cover, si spara, si corre, si spara e si salta. Si può saltare molto in alto in Andromeda, e devo dire che è spassoso trovare il modo di raggiungere questo o quel punto inaccessibile per vie convenzionali.

Tutto il resto, lo fa SAM. Hackerare un terminale? Premi E, ci pensa SAM. Aprire una porta? Ci pensa SAM. Sparare in aria il kattivo? Ci pensa SAM. SAM rende ogni azione noiosa e banale, perché riduce tutto a “premi il tasto E. A volte un po' più a lungo del solito.”. SAM addirittura *pensa* per noi. Ci sono diverse quest investigative in Andromeda, tutte risolte da SAM. Orme per terra, nella sabbia? A occhio nudo non siamo capaci di seguirle, ci pensa SAM. Dei container davanti a noi? Aprirli è complicato, ci pensa SAM a dirci che c'è dentro. Dei documenti incriminanti? A dirci se è davvero così o sono dei falsi, ci pensa SAM.

Il punto più basso credo lo si raggiunga quando analizziamo qualcosa con lo scanner di SAM, ci appare a schermo la descrizione dell'oggetto (poche righe), ma non serve leggerla! SAM ci riassume la cosa ancor più brevemente e ci manda al prossimo obiettivo (con la solita bussola-anti-pensiero)!

In effetti, il 99% delle scritte di Andromeda, dialoghi compresi, possono essere saltati senza effetto alcuno. Le quest sono al 99% insignificanti, tanto che sembra di giocare un MMO coreano (e non sono l'unica ad aver avuto esattamente questa impressione). Sono tutte uguali e non hanno alcun impatto su niente, come la quest di cui dicevo sopra sull'IA angara. Si tratta di andare nell'area X, uccidere un tot di nemici o cliccare su un tot di terminali/casse/altri oggetti e basta. Oh, riceveremo un mucchio di roba in cambio: punti esperienza, punti Viabilità, punti Ricerca, AVP (altri punti...)... c'è un sacco di roba da accumulare, in Andromeda, tutta inutile. Anche il loot non serve a niente. È possibile ricercare armi e costruirle usando punti ricerca e alcuni metalli, è possibile modificarle con questo o quel bonus, ma una volta sbloccata un'arma decente (tempo = 15 ore di gioco), tutto il resto è puro orpello.

Gli NPC reagiscono come marionette alle quest stesse. Spesso capita che dobbiate convincere qualcuno a fare qualcosa, ma non ci sono abilità simili in Andromeda, come toccherà fare? Andate dal Tizio, glielo chiedete, dice “no”, glielo richiedete, risposta (quasi letterale): “Che scocciatura, insisti così tanto... va bene!”. Questo è il modo in cui convincerete, fra gli altri, un tizio a iniettarsi della droga in corpo, in una missione che sembra avere una grande importanza per tutta l'Iniziativa (pare che ci sia una malattia degenerativa che colpisce i coloni e li porta ad avere comportamenti aggressivi, a me pare una cosa grave!), ma che si concluderà dopo il suddetto convincimento con una mail che il 99% dei giocatori neanche leggerà. E questo è un esempio, ma quasi tutte le missioni sono così.

Gli avamposti, forse la migliore idea di Andromeda gettata alle ortiche. Abbiamo la possibilità di crearli sul pianeta che avrà raggiunto abbastanza Punti Viabilità (e che dovrà essere reso abitabile tramite un sistema magic- erhm fantascientifico che cambia il pianeta da così a così in un battibaleno... quando conviene alla trama). Quando creiamo il primo avamposto, possiamo scegliere se farlo militare o scientifico – un “messaggio” sulle nostre intenzioni nella nuova galassia. Le possibilità erano immense. Da un lato gli aspetti narrativi: creiamo un avamposto scientifico, così da fare bella figura con gli angara, ma ci mostriamo deboli militarmente ai Kett? E se i Kett ci attaccano? O viceversa, pensiamo prima alla difesa, rovinando i rapporti con gli angara?
Da un altro lato, gli aspetti di gameplay: ogni avamposto poteva essere una specie di fortezza, con le sue peculiarità, missioni specifiche e quant'altro. In più, una volta attivato l'affare fantascientifico che “aggiusta” il pianeta (l'affare fantascientifico è magicamente settato per rendere il pianeta abitabile dagli umani, non chiedete, non chiedete!), le cose dovrebbero cambiare drasticamente negli avamposti. Un pianeta totalmente ghiacciato dovrebbe cominciare a sghiacciarsi, per esempio.

Non esiste nulla di tutto ciò. Scelto il tipo di avamposto (solo per il primo pianeta sarà possibile scegliere), creeremo malcontento nella fazione che non avremo scelto e con un paio di Parole Sagge placheremo gli animi. Fine. Attivato l'affare fantascientifico che aggiusta il pianeta... non cambierà quasi nulla (magari alcune zone di gioco non saranno più radioattive), benché i personaggi parlino di Grandi Cambiamenti. Il primo avamposto è speciale: c'è la scelta, c'è un filmatino che ci mostra il cambio di atmosfera, e per qualche minuto si crede davvero che abbiamo fatto qualcosa di significativo. Poi arrivano gli altri e l'illusione crolla. L'unico loro scopo è lo stesso di quasi tutte le quest del gioco, ossia riempire 40+ ore in modo che i 60 euro che uno ha pagato sembrino giustificati.

Andromeda ha ricevuto molte critiche rispetto ai titoli precedenti; in alcuni casi sono critiche ipocrite (è tutto cliché, verissimo, ma anche la prima trilogia era tutta cliché e tutti giù a osannare che era “un classico”), ma secondo me quello che ha fatto incazzare la gente è proprio questo aspetto: il fatto che tutto sia così vuoto, così privo di impatto, persino un impatto all'acqua di rose come quello della prima trilogia. Non c'è neanche l'artificio, da un certo punto in poi, non si fa finta che quello che avviene a schermo sia importante per qualcuno: arrivati alla cinquantesima quest che si rivela l'ennesima X nel quadratino, anche il più ingenuo, anche il più stupido e anche il più appassionato si rendono conto di essere di fronte al nulla. Questa è una porcheria brutta persino per chi le porcherie le ha apprezzate con gusto ai tempi di ME 1, 2 e 3. E direi che ce ne vuole per raggiungere questo livello.

Oh, scordavo un'altra parte importante del gameplay: i Sudoku. Bisogna risolvere un Sudoku (di difficoltà facile in genere, media nei casi più estremi) perché SAM hackeri dei vault alieni. Solo in alcuni casi, in altri ci riesce senza Sudoku. Non so se fa più ridere questo o il fatto che una civiltà aliena, antichissima e avanzatissima (tipo stile Protean, no ma non per dire che rimescolano sempre le stesse idee, eh) abbia le serrature che si aprono col Sudoku. Sono sicura che in Andromeda 3 ci sarà una spiegazione logica per questa cosa.

Passiamo al lato tecnico e partiamo con le belle notizie. Ho letto di gente che ha trovato bug di vario tipo, a me non sono capitati. La grafica è molto bella, e alcune aree lasciano davvero incantati perché sono magnifiche. La ost è piacevole, non indimenticabile ma ha pezzi suggestivi. Il doppiaggio va dal figherrimo (Tann e Lexi, per dirne due) all'orrendo (Addison); in generale sembra che gli attori leggano invece di recitare, ma ci sono alcuni più bravi di altri e la media mi è parsa decente.

Passiamo alle cattive notizie. Le animazioni sono spesso strane o proprio brutte. Se n'è scritto a fiumi ultimamente, quindi non mi ci dilungo, anche perché è un problema tutto sommato secondario. La vera piaga sono i menu, le interfacce, i tempi di inutile attesa. Se vogliamo passare da un sistema stellare all'altro, dobbiamo aspettare che ci sia un'animazione (non skippabile) della nave che va dal sistema A al B. Arrivati lì scegliamo il pianeta da investigare, altra animazione non skippabile. La telecamera si ferma ad un'angolazione strana sul pianeta scelto per qualche secondo (!), poi torna normale, tutto non skippabile. Questo per ogni maledettissimo pianeta. Pianeta che spesso va solo cliccato per raccoglierne i materiali. Interi minuti di tedio e inutilità.

La mappa fa pietà e misericordia. È divisa in livelli, ma l'esterno viene considerato sempre un livello, quindi, per esempio, il cocuzzolo di una montagna sta sullo stesso livello della base (o della caverna sottostante in alcuni casi). Quando troviamo il segnale della missione posizionato sul cocuzzolo, nella mappa, non si sa se dobbiamo andare in cima, se dobbiamo stare alla base o se dobbiamo andare sotto. Tutto molto bello, specialmente quando si passano ore a cercare di salire sulla dannata montagna per poi scoprire che il miserabile pixel che dovevamo cliccare con la E per 14 secondi era sotto il burrone sotto la montagna!
Preciso che l'uso della bussola è obbligatorio perché non esiste che i personaggi ti diano indicazioni umane su dove dirigerti ("sali sulla montagna a Est dell'avamposto", per dire) se non in rari casi.

Il journal è forse anche peggio, è stato il mio incubo. È diviso in menu e sottomenu, non si capisce niente. Trovare una missione specifica è un inferno perché a volte non si sa se è catalogata come missione legata a un pianeta oppure a un companion oppure ancora come “additional task”. Non è possibile, per esempio, far emergere con un click tutte le missioni legate al pianeta dove ci si trova. È anche fastidioso che nella mappa della galassia non siano elencate le missioni accanto a ogni sistema solare, ma sia segnata solo quella principale e quella che stiamo al momento seguendo. Poi, se andiamo nel singolo sistema e nel singolo pianeta, ALLORA vengono elencate tutte le missioni accanto al pianeta. Ma se vogliamo farne un'altra ci tocca aprire il journal, bestemmiare tutti i santi finché non troviamo quella giusta e poi evidenziarla. Aargh!

Mentirei se dicessi che non sono partita prevenuta con questo Andromeda. Mi aspettavo una robaccia come Mass Effect 3, come Dragon Age 2. Ero molto ottimista. Lasciamo anche stare la trama scema, i dialoghi insulsi, la fantascienza dei poveri, il sense of wonder inesistente e la povertà del gdr che fa finta di essere: questi sono lussi in questo gioco, che manca delle basi minime per non far incazzare e tediare chi lo gioca. È squallido, perché sembra uscito da una fabbrica di giochi un tanto al chilo: c'è tanta roba, tutta insipida, tutta inutile. Qua e là qualche sprazzo fa ben sperare, ma viene sempre annegato dalla superficialità che pervade ogni aspetto del gioco. E' un MMORPG anonimo, ma senza il multi, quindi senza l'aspetto umano che compensa le ore spese a fare quest tutte uguali.
Bioware ha abbassato l'asticella della decenza di un'altra bella tacca. Bocciato senza appello.

Dragon Age: Inquisition

In questo video abbiamo un Duca deluso che si sente di dovere sentenziare sul terzo capitolo di Dragon Age. Un titolo che porta sicuramente un'impronta forte della Electronic Arts che ha inglobato la Bioware qualche anno fa, in quanto ci troviamo di fronte a un titolo che vede come target principale quello dei giocatori di console e introduce meccaniche di open world solitamente lontane dal DNA della Bioware, snaturando in toto quella che era una delle principali software house nell'ambito dei RPG.

The Banner Saga

La costola di Bioware
Inizio 2012. Un gruppo di ex-dipendenti BioWare decide di fondare la software house Stoic e, tramite il finanziamento su KickStarter, di realizzare uno strategico a turni condito in salsa di leggende norrene con stuzzichini di scelte à la Telltale Games. Il risultato? Un gioco drammaticamente ripetitivo, intriso di una mitologia derivativa e, ahimè, avanguardia dell’ennesima trilogia.
Analizziamo quello che, a tutti gli effetti, è il “Figlio di un dio minore”.

La fine è vicina
Siamo in pieno clima da Götterdämmerung: gli dei sono caduti e il sole si è arrestato nel cielo.
Nonostante i cattivi auspici la vita continua: dopo le grandi guerre, le popolazioni dei giganti (qui denominati Varl) e degli uomini prosperano grazie ad una delicata, ma prolungata alleanza; il commercio è florido e nuove ambasciate vengono inviate ai poli politici per rinsaldare il clima di cooperazione.
Il gioco si apre con una carovana di giganti che sta completando il giro annuale della raccolta dei tributi. La voce narrante esprime le preoccupazioni e i timori di chi, per troppo tempo, è rimasto lontano da casa sotto un cielo maledetto punteggiato, al volgere della stagione, dalla prima neve.
Giunto alla grande sala della città commerciale di Strand, ultimo punto di raccolta prima dell’agognato ritorno a casa, Ubin, questo il nome del capo carovana, è chiamato a sedare la rivolta attualmente in corso. È la prima “scusa” per prendere confidenza con le meccaniche di gioco e affinare la nobile arte della strategia a turni.
Gettate le premesse, la storia introduce personaggi senza soluzione di continuità, evitando così di incentrare le vicende sul cardine di un eroe unico, espediente fin troppo abusato. Il focus della narrazione è diviso tra la carovana dei giganti, a cui presto si unirà il principe degli uomini scortato in ambasciata alla capitale Varl, ed un convoglio di fuggitivi costretto ad abbandonare il villaggio natio in seguito ad un violento attacco ad opera di alcuni misteriosi assalitori.
Dopo un inizio intrigante, soprattutto grazie all’efficacia del comparto tecnico e alla “freschezza” delle prime (due) ore di gioco, la storia declina presto in un dramma posticcio che ingurgita e rigurgita in maniera nozionistica tutto l’abbecedario della mitologia norrena, mescolato a quanto non ci (mi) piace del Trono di Spade. Ponti di pietra sospesi su profondissimi orridi, fortezze scavate nella nuda roccia, temporanee alleanze, tradimenti a ogni piè sospinto, morti ammazzati e, naturalmente, la fine del mondoTM sono le portate principali di un banchetto che ha il gusto di un insipido déjà vu; il tutto mentre un misteriosa “oscurità” incombe sulle lande civilizzate e un enorme rettile solca la terra spezzando pianure gelate e infrangendo dorsali montuose.
Il leviatano qui presentato non è altro che una reinterpretazione del terribile Jörmungandr, il serpente del Ragnarök, che, per l’occasione, ha le fattezze non troppo inquietanti di Flotsam (o Jetsam) una delle due murene domestiche di Ursula (la Sirenetta, Disney).

Un cartone animato
The Banner Saga ha l’indiscusso pregio di presentarsi al giocatore con un comparto tecnico di altissimo profilo. Gli scenari sono adornati pannelli dipinti dove la scia colorata della carovana, sormontata da uno stendardo impossibilmente lungo, procede alla stregua di un frego animato, minuscola cosa al cospetto delle montagne frastagliate, degli implacabili deserti algidi e delle fitte foreste.
Gli elementi scenici, rigorosamente bidimensionali, vengono presentati su livelli sovrapposti che, traslati su schermo, creando un senso di profondità e movimento con una tecnica che ricorda il film d’animazione Bambi (1942). Ogni fondale è ulteriormente arricchito da una tavolozza prettamente invernale che riproduce alberi stilizzati punteggiati da bacche colorate, megalitiche pietre affollate di decorazioni simili al calendario dei Maya e colline trapuntate con boschi e arbusti che hanno la foggia di giganteschi e irreali soffioni.
Durante il combattimento tattico, gli esterni vengono sostituiti dalla “scacchiera” di gioco dove eccellono animazioni in stile Disney (l’artista di riferimento è chiaramente Don Bluth, celeberrimo in ambito videoludico per l’accoppiata Dragon’s Lair e Space Ace). I battitori di scudi percuotono l’egida con la mazza per innervosire gli avversari, i lancieri infilzano e spingono gli avversari sullo scacchiere di gioco, mentre gli arcieri sono pedine strategiche in grado di scoccare frecce mistiche che possono incendiare le caselle. Il risultato è un’orgia tattica visivamente e ludicamente impressionante.

Il lungo viaggio
L’esperienza di gioco in tBS è divisa in due momenti distinti.
Il nucleo principale di gioco vede la carovana (umana o Varl) spostarsi da un insediamento al successivo, assecondando il volgere degli eventi. L’incedere della comitiva è lento, il passo cadenzato, inframmezzato dai dialoghi tra i protagonisti, dove viene approfondita la trama mediante la selezione di battute da un elenco di topic, e dalla comparsa di pannelli testuali che descrivono le problematiche di rilievo concernenti l’amministrazione delle carovana.
In questa fase dell’avventura debbono essere prese decisioni chiave volte a mantenere in vita i propri uomini. Gli eventi comprendono, ma non solo, episodi di ubriachezza molesta, problematiche concernenti le riserve di cibo (ogni giorno di viaggio consuma preziose provviste) e, non ultimo, il reclutamento di utili alleati. Tuttavia le situazioni che il giocatore è chiamato a sbrogliare giungono presto a noia presentando una fastidiosa trivialità o ripetitività come l’abusato pellegrinaggio presso le pietre degli déi.
L’approfondimento della storia è talvolta affidato a corollari di scarso interesse che trovano la “massima espressione” in quello che, pur lussureggiante, non è altro che un gargantuesco Wall of Text: la mappa del mondo di gioco. Il settanta percento della storia antecedente i fatti narrati è, di fatto, contenuta nelle didascalie che scaturiscono cliccando sulle molteplici montagne e montagnole, rivi e fiumi, rocce e rocche, fiordi e ghiacciai, città e paeselli; esperienza che giunge a noia dopo i primi clic.

Rook* in A4 (*torre)
Periodicamente i pellegrini incontrano la loro nemesi, qui rappresentata dai temuti dredge: misteriosi guerrieri in armatura nera succedaneo degli elfi scuri della mitologia nordica o, per rimanere nell’ambito dei VG, dei prole oscura (Dragon Age). In questi frangenti il combattimento è l’unica opzione.
I personaggi principali della storia fungono da eroi e vere e proprie pedine di gioco, dacché il combattimento si svolge su un scacchiere che ricorda i titoli à la Heroes of Might and Magic.
La prima fase consente il piazzamento delle pedine su una limitata griglia di caselle. Gli schieramenti muovono quindi un pezzo in alternanza, questo per equilibrare battaglie che altrimenti potrebbero svolgersi in inferiorità numerica.
Durante il proprio turno è possibile muovere, attaccare, riposare (attività che consente il recupero di un punto di morale), passare la mano o eseguire l’attacco speciale dell’unità selezionata.
Le due statistiche primarie di ciascuna unità sono armatura e forza, che qui funge anche da salute di ogni singola unità. L’attacco può essere portato sulla forza o sull’armatura. In caso di attacco alla forza il valore della statistica dell’attaccante viene confrontato con l’armatura del difensore, la differenza si traduce nel danno recato al nemico. In caso di significativa discrepanza tra armatura del nemico e forza dell’attaccante il colpo può essere deflesso negando integralmente il danno. Intaccare o spezzare l’armatura è dunque il primo passo di quello che spesso si rivela un prolungato scontro tattico.
La profondità del combattimento è ulteriormente arricchita dalla statistica del morale che, qui, rappresenta il mana a disposizione di ciascun pezzo di gioco. Attingendo alla riserva di morale è possibile attivare i colpi speciali, spostarsi più in là sul terreno di gioco o potenziare i propri attacchi. La riserva di morale, tuttavia, non può essere usata integralmente, ma in base alla statistica fatica che determina il limite massimo di morale impiegabile ad ogni turno.
L’ultima statistica riguarda l’abilità intrinseca ad ogni unità di intaccare una porzione dell’armatura avversaria.

Saranno famosi
Risolvere con successo le sfide presentate dal gioco porta all’accumulo di fama e morale. La seconda statistica rappresenta uno status complessivo della carovana che si traduce in bonus / malus conferito alle truppe a inizio battaglia, mentre la fama è la currency di tBS utilizzabile sia per acquistare le indispensabili provviste che per aumentare il livello degli eroi e acquisire oggetti alle bancarelle dei mercati delle città (un oggetto può essere assegnato a ciascun eroe per aumentarne caratteristiche e bonus).
La fama è, ovviamente, risorsa limitata il che obbliga ad oculati investimenti. In teoria questo è un bene; il gioco decide tuttavia, e con frequenza, di sacrificare sull’altare della trama eroi ed eroine, magari proprio quell’eroe in cui avevamo maggiormente investito! Questa privazione, che può avvenire per dipartita o allontanamento, lascia in eredità un roster “mutilato” che rende le battaglie successive ingiustamente ostiche. Sono altresì perduti gli oggetti indossati dall’eroe rimosso, aumentando il danno procurato alle nostre risorse.

Tu non puoi salvare
Il primo grosso difetto di the Banner Saga si palesa allorché il giocatore decida di salvare la propria partita. Seguendo la filosofia tipica dei titoli emozionali, tBS non consente di archiviare i progressi a piacimento, quanto sopra al fine di valorizzare le scelte effettuate, pena ricominciare il capitolo o una parte di esso. Non fosse per i frequenti crash al desktop, probabilmente da imputarsi ad un s.o. obsoleto, il problema non sarebbe tale.
Va tuttavia sottolineato questo “vizio” tipico di molti giochi story driven che, dopo aver coinvolto il giocatore in una battaglia particolarmente ostica, si “dimenticano” di salvare i progressi dell’avventura poiché impegnati nell’ostentazione di roboanti cinematiche e sofisticate ponderazioni sulle sorti della battaglia.

Scacchi imperfetti
A fronte di una selezione di unità varl particolarmente valida, per forza, abilità e carisma, diminuiscono al raffronto i pregi delle pedine umane, generalmente più deboli e richiedenti un approccio al combattimento tattico che nondimeno tende a sconfinare nel puro e semplice “chore”.
Rook e Alette sono, a mio giudizio, particolarmente deboli. Alette, come ogni arciere, migliora la propria resa nelle fasi avanzate sulla scacchiera, posto che sopravviva, mentre Rook non ha qualità in grado di redimerlo: contrassegnare la preda si traduce in una scheggiatura minima dell’armatura dell’avversario che innesca un attacco simultaneo di tutte le unità adiacenti sul bersaglio; questa operazione richiede di mantenere un certo numero di pedine appresso al bersaglio marcato, lasciando Rook e i vulnerabili compagni aperti ai devastanti attacchi dei dredge che, in genere, hanno il doppio di armatura e forza.
La risorsa più utile delle truppe umane rimane il morale che consente di potenziare gli attacchi di base, peccato che per mantenere quest’atmosfera da “moriremo tutti al prossimo turno” la campagna dei fuggitivi risulti piagata da una sequela di sventure, che si rivela finanche ridicola, e che si traduce in un morale della carovana sempre infimo che né feste, né ritrovamenti di cibo possono risollevare, se non per il breve tempo di una giornata di gioco. Questo comporta, come già accennato, una penalità a inizio battaglia sul morale di ciascun pezzo.
Soprattutto, dopo aver imbastito uno scacchiere impressionante per iconografia e profondità, il titolo Stoic decide, inspiegabilmente, di contrapporre al giocatore umano uno sfidante il cui ventaglio tattico risulta limitato e prevedibile.
Le unità corazzate dei dredge si presentano in sole cinque varianti: il portatore di scudo (caratterizzato da un elevato fattore d’armatura), il guerriero evocatore (di notevole forza), il guerriero semplice, il mago (in grado di lanciare cristalli esplosivi sul terreno) e il lanciatore di bolas. Le battaglie che scaturiscono sono giocoforza ripetitive e tediose.

Decisioni, decisioni
L’impatto emotivo delle scelte presentate in tBS può rivelarsi significativo o lasciare imperturbati, tale elemento è puramente soggettivo; quel che è certo è che i bivi non vengono presentati al giocatore con un numero di elementi sufficiente per operare un’oculata valutazione della situazione.
Un esempio illustra meglio il quadro generale. Un dredge appare dietro l’angolo di una casa nei campi e incombe minaccioso su Alette; le opzioni sono: caricare con l’ascia, scoccare una freccia o lanciare un avviso verbale. Se, come ho fatto, avete attaccato con l’ascia vi verrà laconicamente comunicato che eravate troppo lontani e che Egil, un giovane soldato, si è immolato per salvare vostra figlia, per poi venir immediatamente vendicato da un terzo personaggio.
Ma qual era la distanza effettiva dall’assalto? Erano presenti personaggi terzi nei dintorni? Elementi di analisi indispensabili che il gioco fornisce solo in seguito ingenerando conseguenze arbitrarie che risultano davvero fastidiose.
Per paradosso, quando la situazione appare estremamente chiara - occorrerà ad un certo punto decidere se permanere in una città sotto assedio agitata da rivolte interne - sono altri personaggi a prendere la decisione in nostra vece. Non commento.

Sei solo chiacchiere e armatura
Quel che è peggio non ho sperimentato, come già accaduto in Dragon Age (inserite un numero a piacere), alcun attaccamento emotivo al contesto e ai personaggi di tBS che ho trovato sostanzialmente piatti, triti e, fondamentalmente, sciocchi. Il principe umano è stupido e infido. I Varl sono coraggiosi, ma superstiziosi e orgogliosi (al limite del razzismo). Una sottotrama d’amore è appena accennata per Rook e il legame affettivo con la figlia è presente solo per dispensare un’emozione finale degna della più trita delle soap opera. Ovviamente non finirà bene, ma non vi rivelo alcunché di eclatante: la conclusione è palese fin dalle prime fasi di gioco.
L’unico elemento della storia in grado di catturare l’attenzione è lo stendardo che, come un fil rouge, accompagna l’incedere della comitiva fra una sventura e l’altra. Sul vessillo viene periodicamente ricamata la storia del villaggio e del viaggio; questo compito viene affidato nelle prime fasi dell’avventura ad Alette in una scena particolarmente pregna di significati, peccato che il gioco non ritorni più sulla questione preferendo dispensare banalità e sciagure.

Concludendo, il gioco di Stoic è equiparabile ai suoi guerrieri dredge: forte di una corazzatura solidissima e luccicante ripete pedissequamente quanto introdotto nelle prime ore di gioco riciclando le costituenti di intreccio e combattimento. La forte matrice derivativa congiunta ai difetti sopra elencati, non consente al titolo di raggiungere la sufficienza.

Guarda la videorecensione di The Banner Saga sul Canale YouTube di OldGamesItalia

Conosci meglio InkleWriter, l'engine con cui sono scritti i dialoghi di the Banner Saga

Knights of the Old Republic

Tanto tempo fa, su un computer scassato, scassato…

Guerre Stellari
I Sith stanno vincendo la guerra per il controllo della galassia. Supportato da un’armata apparentemente inesauribile, Darth Malak, l’apprendista del maestro oscuro Revan, è riuscito ad assoggettare numerosi sistemi solari; il consiglio degli Jedi e le forze della Repubblica non sembrano in grado di arrestarne l’avanzata. Nella Forza, tuttavia, c’è sempre equilibrio: una giovane Jedi di nome Bastila è in possesso di un talento straordinario, un’aura di meditazione in grado infondere rinnovato vigore nelle unità alleate e recare grande sconforto alle truppe avversarie. Nello spazio sovrastante i cieli di Taris si sta ora combattendo l’ultima e decisiva battaglia.

Effetto di Massa
Considerato da molti l’ultimo picco creativo di BioWare (anche se è doveroso citare l’ottimo Jade Empire), Knights of the Old Republic avvia la propria narrazione in media res. Il protagonista, personalizzabile optando per una fra tre classi umane, è una recluta promettente imbarcata sull’ammiraglia della flotta alleata.
Dopo un breve tutorial, l’eroe si ritrova bloccato sulla superficie del pianeta in compagnia di Carth Onasi, un veterano della Repubblica. Di comune accordo, i due soldati decidono per la ricerca di Bastila che si spera sopravvissuta alla distruzione dell’Endar Spire. I poteri Jedi della “donzella in difficoltà” non solo risultano indispensabili alla causa, ma si riveleranno presto utili per abbandonare il corpo celeste, ora sotto quarantena imposta dai Sith.
Superata questa lunga e articolata fase iniziale, il gioco si dischiude proiettando il gruppo ai margini e nei meandri della galassia in cerca di antichi artefatti.
In KOTOR è già possibile trovare tutte quelle costituenti, qui ancora abbastanza “fresche”, su cui BioWare si è fossilizzata e che ha riproposto, pressoché inalterate, nelle produzioni recenti. Vi sono, l’immancabile rifugio in cui approfondire la conoscenza dei membri del proprio party, alcuni hub cardine da visitare nell’ordine preferito e come leitmotiv l’unione di individui scelti per muovere battaglia ad un antico male che trova la sua radice nella millenaria storia della Repubblica. Gli stessi png sono chiaramente gli “antenati” dei character presentati nelle recenti trilogie: abbiamo la ragazzina blu, il guerriero tentenna, il combattente che vive per l’onore e anela la morte in battaglia e la megera frigida.

Dungeons & Sabers
Sviluppato per Xbox e in seguito portato su PC (e recentemente anche su MacOs e AppStore), Knights of the Old Republic è un gioco di ruolo in terza persona con pausa tattica imperniato sul rule set d20, implementato in origine dalla Wizards of the Coast per l’universo “cartaceo” di Guerre Stellari. Termini come classe armatura, tiro per colpire e tiro salvezza ritornano qui, per un’ultima volta, prima che l’azione si faccia largo a colpi di “blaster” e karatè nei titoli BioWare.
La telecamera, posta alle spalle dell’avatar e inclinabile solo marginalmente lungo l’asse verticale, inquadra un’esperienza di gioco divisa in tre costituenti principali: esplorazione, combattimenti e dialoghi.
La fase esplorativa risulta anche la più debole essendo giocoforza limitata causa hub dall’estensione modesta. La parentesi del combattimento, decisamente più corposa, trova la sua massima espressione nei duelli Jedi; nondimeno la mancanza di una visuale dall’alto, la difettiva IA dei compagni e l’ingombrante HUD vanno a detrimento del gameplay che può dirsi appena sufficiente nonostante la spettacolarità e una vasta gamma di opzioni.
KOTOR brilla invece per quanto riguarda la componente dialogata. A fronte di un protagonista ancora muto (occorrerà aspettare l’avvento di Shepard per udire l’avatar profferire verbo), troviamo png eccelsamene doppiati e una pletora di comprimari alieni, fra cui twi’lek, jawa e hutt, che comunicano con le espressioni gergali canoniche dell’universo filmico di Star Wars.
I dialoghi e i membri del party non solo risultano di buona fattura, sono altresì esilaranti e ben orchestrati i cosiddetti banter che ne approfondiscono i rapporti. Bastila, scostante e altera, un vissuto mercenario mandaloriano e un particolare droide, sugli altri, spiccano per personalità e carisma.

Il lato oscuro è… più seducente
La trama di KOTOR, come si può intuire da quanto detto, non spicca per originalità anche se ha un indubbio fattore di redenzione contenuto nella “rivelazione”, aspetto che, volutamente, non approfondisco. La stessa Meditazione da Battaglia di Bastila è concetto mutuato dai racconti della Fondazione di Isaac Asimov dove troviamo il Mule, un pericoloso mutante che possiede un simile talento telepatico in grado di piegare la volontà degli avversari.
Lo staccato delle missioni vede il giocatore impegnato in incarichi che spaziano da semplici compiti FedEx e superamento di soft gate, passando per la risoluzione di “difficoltà linguistiche”, fino a culminare in pericolose escursioni in territorio Sith, dove sarà necessario forgiare temporanee alleanze con lord oscuri. È altresì presente l’immancabile processo, un punto fermo di molti titoli BioWare e Obsidian.
La ricerca degli artefatti è usata nel contesto come giustificazione per approfondire la conoscenza dei già validi png, ma soprattutto per presentare al giocatore una serie nutrita di scelte morali di altissimo profilo. KOTOR, infatti, risulta uno dei pochi titoli in grado di dare risalto all’interpretazione di un ruolo negativo e benché le scelte morali rientrino esclusivamente nello spettro bianco / nero, alcune opzioni sono veramente scure e di “difficile” selezione. L’impatto sul giocatore può essere significativo, anche se le conseguenze rimangono spesso confinate al settore di origine e, per lo più, inesplorate. È tuttavia appagante dar sfogo alla propria indole, arrivando magari a rivalersi su quei png che hanno reso ostica la nostra permanenza in un particolare hub.
Una decisone in particolare, che arriva nel momento chiave del gioco, si rivela di una spiccata crudeltà e avrà grande impatto sulla squadra di alleati andando a disegnare la diversa formazione con cui è possibile affrontare la fase finale dell’avventura.
Come nota a margine segnalo il deterioramento delle fattezze dell’avatar che decida di abbracciare il lato oscuro, espediente già visto Fable: the Lost Chapters e ripreso nella saga di Mass Effect.

È possibile, ovviamente, impersonare uno Jedi benigno: tollerare gli insulti, ricevere colpi di blaster in faccia e chiedere scusa di esistere, dispensare crediti ai disagiati, convertire Jedi oscuri al bene. Dovevo dirvelo, per ragioni di completezza.

“Guerra non fa nessuno grande.”
Nonostante le sagge parole del maestro Yoda, è impensabile affrontare le sfide presentate da KOTOR senza uno Jedi adeguatamente preparato nell’arte della guerra.
La scelta iniziale serve per inquadrare l’avatar in una carriera precisa che ha come estremi il guerriero e la canaglia, con l’esploratore che risulta sostanzialmente un ibrido delle due.
Il personaggio è quindi ulteriormente personalizzabile incrementando caratteristiche, attributi e competenze. Sono qui presenti le canoniche forza, destrezza e costituzione, e le loro controparti cerebrali intelligenza, saggezza e carisma, fissate inizialmente sul valore otto e aumentabili utilizzando una riserva di trenta punti con cui creare un avatar equilibrato o con picchi in una, massimo due caratteristiche. Sono inoltre selezionabili varie competenze per le armi, la difesa e le armature e una serie di abilità concernenti l’uso dell’elettronica, la riparazione dei droidi, la disattivazione delle mine e la furtività (piuttosto inutile fatta salva una missione e per il “colpo alle spalle” che qui ha effetto su tutti i nemici inabilitati).
Superata la prima e invero lunga fase d’apertura, vengono sbloccate tre classi Jedi che, oltre a conferire al protagonista l’abilità di equipaggiare una sciabola di luce, donano un pool di punti Forza utilizzabile per l’attivazione dei poteri Jedi, in pratica l’equivalente di mana e incantesimi. Velocità potenziata, dominazione mentale (utile nei dialoghi), strangolamento e tempesta di fulmini sono alcuni dei favoriti.
Come già detto, l’avatar viene inquadrato al centro dello schermo con i compagni, due selezionabili per ogni fase esplorativa, nascosti alle spalle. La telecamera, ruotabile tramite la pressione del tasto destro del mouse, consente di avere una visione della loro posizione, sempre utile giacché i pattern di movimento e attacco risultano decisamente impediti (è facile trovare il proprio guerriero che impugna due blaster a distanza zero da un nemico, oppure incagliato nelle strozzature delle mappe). Fortunatamente è sempre possibile, cliccando sui riquadri dei personaggi, cambiare il team leader per impartire singoli ordini, recuperare il terreno perduto sul resto del party o, qualora lo si desideri, alternare il derrière visualizzato (non aspettatevi le rotondità di Miranda, però).
Il combattimento è suddiviso, come da abitudine del D&D, in round o turni. Per ogni round è selezionabile un’azione fra cui attaccare, eseguire un attacco speciale, lanciare una granata, attivare uno scudo d’energia, iniettarsi un kit medico o usare un potere della forza. Ogni azione viene accumulata nell’apposita barra e singolarmente eseguita, turno per turno, in automatico. Il computer pensa a tutto: assisteremo quindi ad una danza di fendenti, parate, schivate e schizzi di luce che rispecchia l’esito del lancio dei dadi virtuali.
Abilità, poteri della forza e medikit sono accessibili tramite un HUD decisamente sovraffollato che piazza sullo schermo rettangoli arrotondati contenenti le possibili selezioni. Portare il mouse su queste icone consente, con lo scorrimento della rotella, di scegliere l’item o l’abilità desiderata e di indirizzarne l’utilizzo verso se stessi, un compagno o nemico precedentemente selezionato.
Solo la pausa tattica, attivabile con la barra spaziatrice, rende questo meccanismo gestibile.

Lore
In KOTOR è stata posta gran cura nel ricostruire l’universo di Guerre Stellari. Gli ambienti visitati ripropongono alcuni scenari iconici della saga come il rovente deserto di Tatooine, grattacieli impossibili in stile Coruscant, i colossali alberi di Kashyyyk, selvaggio pianeta natale degli Wookiee e, ancora, condensatori di umidità, paratie cromate e interminabili navi da battaglia (we brake for nobody!). Ovviamente sono presenti le razze aliene classiche, come i rodiani o i già menzionati twi’lek, mentre gli hutt sono a capo dell’underword; rivolgersi alla loro corte consente di sbloccare alcune gustose missioni secondarie comprendenti tornei nell’arena, corse di sgusci e riscossione delle taglie. Nei nostri viaggi incontreremo inoltre nobili Jedi, sapienti maestri, “cinguettanti” droidi, taciturni cacciatori di taglie e, naturalmente, Jedi oscuri a profusione.
Una nutrita e benaccetta varietà di item fa da corollario all’universo appena descritto. Brevemente si possono citare detonatori termici, blaster, armature, tuniche, visori, iniettori di potenziamento (succedanei delle pozioni) e, naturalmente, spade laser. Sicuramente da apprezzare la possibilità di personalizzare l’arma Jedi ai tavoli da lavoro inserendo cristalli in grado di modificarne cromia, entità e tipo di danno.

Tecnica
La grafica di KOTOR non brilla per definizione. Gli ambienti, pure evocativi e coloratissimi, sono spesso spogli e l’interazione con i medesimi è ridotta alle porte dei locali e ad alcuni contenitori standard. I volti dei png sono lontani dai fasti raggiunti con Mass Effect, nondimeno alcune espressioni sono ben realizzate con ammiccamenti e smorfie di fastidio o esasperazione che ben rendono lo stato d’animo del personaggio di turno. Fa eccezione il protagonista che, muto, stona decisamente durante la parentesi dedicata al dialogo.
La colonna sonora originale di John Williams sottolinea i momenti epici dell’avventura, mentre, per la maggior parte dell’esperienza, saremo allietati dalle tracce di Soule che ben si accompagnano al lavoro del maestro.
Ottimi gli effetti sonori che attingono alla bibliografia acustica di Star Wars riproducendo asciutti colpi di blaster, il pesante incedere delle truppe corazzate e il nobile ronzio delle armi Jedi.

“Non c’è provare.”
Knights of the Old Republic è gioco dal grandissimo carisma, ovviamente per via della sua appartenenza all’universo di Guerre Stellari. Se analizzato lucidamente, tuttavia, non può sottrarsi alle critiche già esposte. Inoltre i compagni di squadra non Jedi, oltre la metà del gioco, non tengono il passo contro avversari del calibro dei rancor, è pertanto sconsigliabile aggregarli al gruppo.
La forza dei dialoghi, l’impatto della rivelazione, la possibilità di impersonare un avatar votato al male e il fascino di alcuni png costituiscono comunque elementi validi e sufficienti, tali da rendere il titolo di BioWare esperienza da fare, perché: “Non c’è provare”.

Filosofia Jedi
Tutto quello che ho detto è vero… da un certo punto di vista.

DVL racconta: "Star Wars: Knights of the Old Republic - Il classico che non tramonterà mai"

Un altra recensione di Knights of the Old Republic su OldGamesItalia

OB 1x08 - L’Occhio del Bioware

Titolo:
L’Occhio del Bioware
Serie:
L'Occhio del Beholder
Durata:
3 h 2 min.
Pubblicato il:
14 luglio 2014
Download: OB 1X08

L’ultima avventura degli intrepidi PeppeSaso “Dungeon Master”, Simone Pizzi “Il Signore dei Podcast di IPN” e Marco Gualdi “Il Distruggitore” che si fanno dare una mano… anzi, un tentacolo, dall’ospite Davide Moretto “Dave182” per rievocare vita, morte e miracoli di Bioware. DING! DING! DING! Un’epica conclusione per un altrettanto epico viaggio! E chi dice che è tutta questione di sponsor occulti e marchette sottobanco lo mandiamo affan… ehm… da Bellosguardo che sarà lieto di occuparsene personalmente.
 
Buone vacanze / ferie a tutti, ci vediamo a Settembre!
 
Intermezzo musicale: M4, Pt. 2 (di Faunts, da Mass Effect)
 
Tiro Salvezza (ex “I tesori rinvenuti dal Vault 13”):
 
ATTENZIONE: qualora vi venisse in mente di acquistare questi giochi fatelo tramite i nostri link inseriti così sosterrete IPN nel suo autofinanziamento.
 
L’Antro di Chora
 
Filo diretto con i messaggi degli ascoltatori
 
Level Up!
 
Piccole curiosità e aneddoti sulla saga di Mass Effect
 
Per contattarci:
 
Inviateci un’email oppure un’audio-domanda a L’Occhio del Beholder –  e ricordatevi di scriverci una recensione su iTunes Store!
 
 

DVL racconta: Star Wars: Knights of the Old Republic
Il classico che non tramonterà mai

Star Wars: Knights of the Old Republic, al secolo KOTOR, è un rpg classico di quando BioWare era quello che era e di quando la LucasArts ancora era viva e vegeta, o quasi.

Come in altre occasioni ecco il nostro omaggio in questo primo speciale di due video dedicati a questa indimenticabile saga. Giocato da Marcocio e commentato da Simone Pizzi e Marco Gualdi.

La forza sull'Ogi Forum

La storia dei Gdr - capitolo quarto
I Giochi di Ruolo Isometrici

Per giochi di ruolo isometrici si intende quei giochi in cui l’azione viene visualizzata "a volo d’uccello", con la telecamera posta in alto e leggermente inclinata.
Questo tipo di impostazione grafica riflette solitamente (ma non sempre, vedi Ultima 7) un gameplay incentrato sul combattimento tattico, solitamente a turni.
Senza dimenticarsi però che, agli albori del genere, quando i limiti tecnici erano più stretti, la visuale isometrica ha consentito ai gamedesinger di portare l’avventura fuori dagli angusti limiti dei dungeon, nelle sconfinate terre aperte del fantasy!

LE ORIGINI:
Anche in questo caso, come per i gdr in soggettiva, preferisco non sbilanciarmi troppo sulle origini del “genere”. Non avendo avuto modo di giocare i primi giochi isometrici al momento della loro pubblicazione, li ho in seguito trovati poco appetibili per rigiocarli, a causa dei limiti grafici e delle interfacce ostiche. E quindi non li conosco molto.
Mi limito qui a segnalare alcuni capostipiti interessanti, che comunque reputo degni di una prova.

Il primo da citare è ovviamente Ultima I: "The First Age of Darkness" (Origin, 1981), che utilizzava la visuale isometrica per l’esplorazione degli esterni e delle città. Il gioco è l'ennesimo esempio di come i limiti tecnici andassero a incidere sul gameplay; tanto è vero che Richard Garriott si risolse ad usare la visuale "isometrica" per gli esterni e quella in soggettiva per i dungeon (più, ovviamente, quella ad hoc per lo spazio - per i temerari che l'hanno portato a termine!).
Ad ogni tipologia di gameplay la sua impostazione grafica.

La vera pietra miliare di questa prima generazione di giochi di ruolo isometrici è però indiscutibilmente lo storico e bellissimo Pool of Radiance (Strategic Simulations, Inc. – 1988). Il gioco fu il primo di quattro indimenticabili titoli costruiti dalla SSI utilizzando il "Gold Box Engine":  Curse of the Azure Bonds (1989), Secret of the Silver Blades (1990), and Pools of Darkness (1991), a cui seguirono altri titoli ancora negli anni seguenti. Anche il Gold Box Engine utilizza la prima persona in soggettiva per l'esplorazione dei dungeon e la visuale isometrica per i combattimenti (all'aperto e al chiuso).
La saga iniziata con Pool of Radiance resta celebre, oltre che per la profondità di gioco e l'ottimo gameplay, per essere il primo titolo in assoluto a utilizzare la licenza ufficiale di D&D, che la TSR aveva concesso alla SSI dopo aver constatato il grande successo della saga di Ultima.
Giusto per curiosità, credo valga la pena aggiungere che fra le società che richiesero alla TSR i diritti del AD&D c'erano anche la EA (aaargh!) e la Sierra.

       

LA SECONDA GENERAZIONE:
La strada aperta da Pool of Radiance viene percorsa negli anni dalla SSI con grande maestria, ma senza la forza e la capacità di innovare veramente: si continuava a fare quello che si era sempre fatto, soltanto con qualche miglioria grafica e strutturale minore.
Tuttavia il loro Dark Sun: Shattered Lands (1993), pur realizzato con un motore nuovo ma ancora acerbo (il Dark Sun Engine), è un notevole passo avanti. Sia per il netto salto di qualità nella grafica, sia –soprattutto- per l’ottimo sistema di combattimento, che riproduceva in modo fedele (e divertente!) le regole dell’AD&D.
Il mondo di gioco (per quanto costruito “ad oggetti” e non con fondali disegnati) era ancora ben poco manipolabile, però il gioco era avvincente e riusciva a raccontare in modo soddisfacente la sua storia, riproducendo in modo fedele la bellissima ambientazione di gioco.

I giochi che seguirono, anche da parte di altre SH, non si discostarono troppo da questo schema.
Vale forse la pena segnalare anche gli altri giochi, sempre della SSI, basati sempre sul Dark Sun Engine, perché anche questi offronto un more of the same decisamente divertente e all'altezza delle aspettative; si tratta di: Dark Sun 2: "Wake of the Ravager" (1994 - leggendario e difficilissimo il suo colossale scontro finale!), Al-Quadim: "The Genie’s Curse" (1994) e Entomorph: "Plague of the Darkfall" (SSI, 1995). Quest'ultimo è un ottimo titolo che conclude però con un grosso insuccesso commerciale l'esperienza del Dark Sun Engine, nonostante la bella trama, l'alta risoluzione introdotta dal gioco e il supporto del CD-Rom e quindi di un comparto tecnico all'avanguardia. Tutti questi titoli dimostrano come, anche per i gdr isometrici, ci sono voluti molti anni per recepire le novità introdotte da altre SH più intraprendenti.
Da non dimenticare, quando si parla dei giochi SSI dgli anni '90 l'importante e innovativo MMRPG  Dark Sun Online: "Crimson Sands" (praticamente sconosciuto qui in italia).

        

Un titolo estremamente significativo di questa “seconda generazione” di giochi di ruolo isometrici è rappresentato sicuramente da Ultima 6: "The False Prophet". Datato 1990 (e quindi antecedente al Dark Sun Engine), il gioco della Origin apre con il suo motore grafico nuove strade, che saranno poi battute e perfezionate dal suo seguito (Ultima 7).
Le innovazioni sono tantissime, ma il gameplay non ha ancora quella stupefacente profondità e immediatezza della generazione successiva.
Ultima 6 ci presenta un mondo enorme, liberamente esplorabile, anni luce distante per profondità e credibilità dalle limitate mappe di Dark Sun (ma anche -diciamocelo- da quelle di Baldur’s Gate!!!).
I fondali, non disegnati a mano ma costruiti con oggetti, presentano un’interattività mai vista prima in un gioco per computer, che consente al gioco di raggiunge un realismo fino ad allora inimmaginabile. Basti dire che il motore che muoveva la Britannia di Ultima 6 era talmente avanzato da essere riutilizzato, molti anni dopo, come base per l’engine di Ultima On-line (era il 1997).
La grafica in finestra (e non a schermo intero come nel Dark Sun Engine) ci appare però oggi troppo superata e l’interfaccia, certo rivoluzionaria per quel tempo (il mondo dPC doveva ancora conoscere Windows e già Ultima 6 funzionava esclusivamente tramite mouse!), oggi risulta ostica e toglie moltissimo all’immediatezza del gioco.
Tuttavia, nonostante la scarsa giocabilità odierna del titolo, ad Ultima 6 va riconosciuto il gran merito di aver dimostrato che la grafica isometrica non è funzionale solo ai combattimenti tattici, ma anzi è lo strumento ideale su cui costruire un mondo credibile e raccontare una storia di grandissima profondità.
Ultima 6 è anche uno dei pochissimi giochi di ruolo che conosco che non si conclude con uno “scontro finale contro il super boss”: un’autentica perla, che dona nuova dignità al genere e corona in modo perfetto una storia tutt'altro che banale che affronta in chiave fantasy il tema del razzismo.

        

LA TERZA GENERAZIONE:
Andando avanti negli anni, notiamo che anche i GdR isometrici tendono a dividersi in due categorie (in base ai loro engine grafici e quindi in base al gameplay che propongono).
Da una parte abbiamo i successori di Dark Sun, prevalentemente caratterizzati da sfondi disegnati a mano o comunque scarsamente interattivi; solitamente incentrati sul combattimento a turni..
Dall’altra parte i successori di Ultima 6, che presentono mondi costruiti “per oggetti”, sempre più dettagliati e credibili e che fanno dell’interattività e della storia la loro bandiera. Spesso lasciando il combattimento e le stats in secondo piano.

La "terza generazione" è inevitabilmente segnata dall'uscita di Ultima 7 Part 1: "The Black Gate" (Origin, 1992). Se confrontate le date, vedete che Ultima 7 esce prima di Dark Sun, pur surclassandolo da ogni punto di vista; limpido esempio di quale scarto tecnologico potesse esistere all'epoca fra un gioco e l'altro. Ecco che Ultima 7 supera di gran lunga ogni aspettativa e segna un nuovo standard di interattività e immersione per i mondi virtuali. Mai come allora un mondo virtuale era stato tanto credibile e affascinante nella sua complessità.
Non mi sembra necessario spendere altre parole su Ultima 7, se non per aggiungere che –ahimè!- non ha avuto il seguito di cloni che era legittimo aspettarsi. E credo che la spiegazione sia abbastanza semplice: non c’è dubbio che sia molto più rapido e meno costoso creare un gioco “alla Dark Sun” piuttosto che un clone di Ultima 7 e non è assolutamente detto che il primo venda meno del secondo!

Due dei pochi cloni all’altezza dei due Ultima 7 Part 1 sono proprio… Ultima 7 Part 2: "Serpent Isle" (1993) e Ultima 8: “Pagan” (Origin, 1994). 
Soffermiamoci su Ultima 8; a causa dell’aggiunta di numerosi elementi arcade e di un più generale stravolgimento delle macchine e dei cliché della saga, il gioco è stato bistrattato dai fan di Ultima e si è rivelato un sonoro flop di incassi (tanto è vero che si è perfino arrivati alla cancellazione del suo datadisk, pur praticamente ultimato: Ultima 8: "The Lost Vale"). La verità, credo, è che Ultima 8 è un buon gioco e l’unica sua pecca è di mancare (almeno in parte) proprio nella cura della storia e dei PNG, cioè nei due elementi che più di tutti distinguono la saga di Ultima.
Comunque, per il discorso che qui interessa, rilevo che Ultima 8 rappresenta uno dei punti di arrivo dei GdR isometrici “ad oggetti”, presentando una grafica e delle animazioni di altissimo livello, con un mondo di gioco ricco e dettagliato.

       

Altri titoli isometrici dotati di una grandissima ambientazione e di un’elevata interattività con l'ambiente circostante sono stati Fallout (Interplay, 1997, e il suo seguito Fallout 2 datato 1998 sivluppato da Black Isle Studios - sì, quelli di Baldur's Gate!), un capolavoro del genere che ogni appassionto di gdr dovrebbe aver giocato, e Arcanum: "Of Steamworks & Magick Obscura" (Sierra Troika Games, 2001).
Non meno piacevoli e significativi sono Final Fantasy VII (Sqaure, 1997) e Final Fantasy VIII (1999), sui quali però qui non ci si soffermerà, appartenendo anche al genere di JRPG..
Tutti questi titoli possono senz’altro competere ad armi pari con Ultima 7, ma testimoniano anche come si fatichi a fare un vero e proprio ulteriore salto in avanti nel realismo e nell’interattività con il mondo circostante. Da questi punti di vista il capolavoro di Richard Garriott resta probabilmente l'apice del genere.

       

L’altro filone di questa generazione di GdR isometri è occupato dal mai sufficientemente lodato Infinity Engine, sviluppato dalla BioWare per Baldur’s Gate (Interplay Black Isle Studios, 1998).
L’Infinity Engine è caratterizzato da un innovativo (e estremamente divertente!) sistema di combattimento in tempo reale, nel quale però si può mettere in pausa per preparare accuratamente la propria strategia. Come era accaduto molti anni primi con Eye of Beholder, ritengo che sia stata la grande semplicità d’uso a fare dell’Infinity Engine un grandioso successo commerciale capace di rilanciare su scala mondiale i GdR isometrici.
L’altra caratteristica di questo innovativo motore di gioco sono, appunto, gli sfondi disegnati a mano. Indubbiamente di una bellezza disarmante, impongo però al gioco un’interattività con l'ambiente di gioco ridotta al minimo; forse perfino inferiore a quella del suo predecessore spirituale Dark Sun (con cui Baldur’s Gate ha innegabilmente moltissimi punti in comune, oltre alla licenza del D&D).
Di certo però in tema di divertiento l'Infinity Engine è un degno successore del Dark Sun Engine e dell'ancora precedente Gold Box Engine, sapendo riprendere la tradizione degli storici titoli SSI e riuscendo a traghettarla con successo nel nuovo millenio.

       

E’ così che la BioWare si fa carico della decennale eredità della SSI, occupando saldamente il suo posto nel cuore degli appassionati di GdR.
Come da tradizione a Baldur’s Gate seguono numerosi seguiti (divisi fra seguiti veri e propri e data disk) e altri giochi ugualmente basati sull’Infinity Engine. Fra questi vale la pena ricordare almeno il fantastico Planescape (1999) e Icewind Dale (2000), quest'ultimo decisamente più votato al combattimento.

       

A questo filone dei giochi dotati di una scarsa interattività con l'ambiente di gioco appartengono a pieno titolo i due Diablo (Blizzard, 1996 e 2000), caratterizzati da una vocazione al combattimento in tempo reale ancora più marcata, al punto di collocarli a pieno titolo nella "nuova" categoria degli hack'n'slash. Al riguardo si è discusso a lungo se tale categoria sia una specie del più ampio genere "gioco di ruolo" oppure no. Ma questa discussione ci porta lontano dagli scopi di questo articolo e quindi non l'approfondiremo.

        


IL FUTURO
:
Come ho già detto, l’avvento di sofisticati motori 3D spezza il legame fin qui osservato fra grafica e gameplay.
E, se continuano ad uscire GdR isometrici (basati più o meno completamente su un motore 3D), la tendenza sembra puntare decisamente verso i GdR in terza persona, sulla scia di Morrowind.

I titoli isometrici che sono usciti negli ultimi anni non mi sono sembrati sinceramente innovatori dal punto di vista del gameplay e comunque sono ben noti.
Partendo da Dunegon Siege (Microsoft, 2002), passando per Pool of Radiance: "Ruins of Myth Drannor" (UbiSoft, 2001) e il famoso Temple of Elemental Evil (Atari, 2003), prima trasposizione su computer della celebre e complessa terza edizione del D&D.

       

È chiaro che la potenza dei nuovi engine 3D sta spostando l'esperienza del gioco di ruolo su computer verso titoli in soggettiva o in terza persona, con risultati grafici indiscutibilmente notevoli e con una capacità evocativa ineguagliabile (vedi Skyrim).
Tuttavia ritengo che la visuale isometrica sia ancora oggi uno strumento preziosissimo in mano ai gamedesigner, sia per rendere al meglio i combattimenti tattici (vedi Baldur's Gate), sia più in generale per costruire dei mondi fantasy davvero credibili e interattivi (vedi Ultima 7).
Se l'obbiettivo è il realismo, il rispetto dei regolamenti originali pen&paper e l'interattività con il mondo, ecco che la visuale isometrica è ancora oggi insuperata. Tanto più quando il mondo non è disegnato a mano, ma costruito "ad oggetti".

Discutiamo insieme della storia dei giochi di ruolo sul forum di OldGamesItalia!

Dietrologia Videoludica: i draghi volano ancora..

Torna la lente di ingrandimento di Dietrologia Videoludica, in questa puntata impegnata a sviscerare Dragon Age e tutto quello che questo gioco di ruolo ha portato nel mondo dei videogiochi.

Successo? Fallimento? Delusione? La discussione come vedrete ha molti punti di attenzione ed è difficile dare una visione unica a uno delle più grandi produzioni Bioware di sempre; non che resta che raccogliere l'eredità del drago...
 

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