Chiunque abbia speso centinaia di monetine nel tentativo di aiutare il prode Dirk a salvare la principessa Daphne (probabilmente il primo sex symbol del mondo dei videogiochi), sarà felice di sapere che da oggi GOG.com ripropone l'intera saga di Dragon's Lair (con l'aggiunta di Space Ace) sulla propria piattaforma di vendita, in versione rimasterizzata e con la possibilità di attivare indizi visivi per rendere meno frustrante l'esperienza di gioco.
Il prezzo di 15 euro non è esattamente in linea con altre proposte retrò che abbiamo visto su GOG, ma sicuramente è più economico che cercare di terminare tutti gli episodi in sala giochi!
Segnaliamo con piacere i porting per iOS di alcuni grandi classici laserdisc. La novità di rilievo è che stavolta non si tratta "solo" dei soliti (meravigliosi) titoli di Don Bluth! Ci sono anche altri titoli, forse meno conosciuti, ma certo non meno affascinanti. E questa è l'occasione perfetta per recuperarli e gustarseli!
Attualmente il catalogo dei laserdisc presenti in versione HD sull'AppStore comprende:
- Dragon's Lair (30th Anniversary)
- Dragon's Lair 2: "Time Warp"
- Space Ace
- BrainDead 13
- Mad Dog McCree
Riuscirete a resistere alla tentazione?
Un paio di settimane fa, stavo spiluccando i post su Facebook quando è comparso un messaggio sulla pagina di "Avventure Testuali”. E così ho scoperto che due ragazzi avevano ricreato, a partire dalle immagini e dai testi originali, una famosa avventura testuale (AT) pubblicata per l'Amiga quasi trent'anni fa, riscrivendola in JavaScript. Grazie al loro lavoro, quest'avventura ha ripreso vita e può essere giocata comodamente per mezzo di un qualsiasi browser internet.
L'AT in questione è “La Casa”, scritta in origine per lo ZX Spectrum dalla DJ Soft e pubblicata sulla mitica rivista Load'n'run.
Incuriosito da questa impresa, ne ho subito approfittato per ricavarne un let's play in diretta su Twitch e, grazie all'aiuto di Marco Vallarino (l'autore della serie Darkiss, nonché esperto di storia delle AT), sono riuscito a contattare uno degli autori del gioco originale.
Questo è l'antefatto che ha portato a questa doppia intervista con G.B. Aicardi (DJ Soft) e gli autori del porting, Davy e Druido. Un'occasione per un confronto generazionale sul passato e sul futuro delle AT.
Ma lasciamo parlare i protagonisti.
LB: Dall'86 all'89 la “DJ Soft” è stata associata a una serie di avventure testuali per ZX Spectrum e per Amiga. “La Casa” è l'opera d'esordio. Come è avvenuto l'incontro con le AT e chi si “nasconde” dietro la DJ Soft?
GBA: DJ Soft è nata un po’ per gioco, un po’ per sfida. L’abbiamo fondata io (Gian Battista Aicardi) ed un mio compagno di liceo (Davide Possamai) nel 1985. Eravamo affascinati dalle potenzialità grafiche dello ZX Spectrum ed allo stesso tempo appassionati di film horror e di romanzi di avventura. L’idea era di sfruttare appieno le limitate capacità grafiche e di memoria dello Spectrum per realizzare delle avventure in lingua italiana capaci di trasportare in una dimensione fantastica i giocatori. L’ispirazione è nata giocando a “The Hobbit” della Melbourne House, che resta, a mio avviso, una delle migliori avventure testuali di tutti i tempi.
Sebbene sia io che Davide fossimo entrambi in grado di occuparci di tutti gli aspetti del gioco, io ero più portato per l’aspetto grafico e per la programmazione, mentre Davide per la sceneggiatura.
LB: Immagino che “La Casa” sia stata ispirata dal film di Sam Raimi del 1981. In quanto “opera prima”, è stato difficile programmarla cercando di ricreare le atmosfere proprie dell'horror?
GBA: Prima di “La Casa”, effettivamente ispirata al film dell’81, abbiamo realizzato altre avventure, tra cui “Avventura nel Castello”, che però non abbiamo pubblicato perché non eravamo del tutto soddisfatti del risultato. La nostra intenzione era stupire con un prodotto di qualità e non volevamo associare il nome della nuova nata DJ Soft a prodotti imperfetti. “La Casa” è stata la prima avventura di cui siamo stati realmete soddisfatti. La difficoltà più grande era dovuta al fatto che la memoria dello Spectrum non bastava mai e quindi è stato necessario ricorrere a espedienti particolari per comprimere al massimo le immagini, e tagliare alcune tra le scene previste dallo storyline originale. La sfida è stata di riuscire comunque a mantenere gli elementi essenziali necessari per garantire il coinvolgimento del giocatore in tutte le fasi dell’avventura.
LB: Quindi il vero esordio, mai pubblicato, sarebbe stato “Avventura nel castello”. Agli appassionati avrà subito ricordato l'omonima avventura del 1982 di Enrico Colombini e Chiara Tovena, di certo la prima AT italiana. C'è qualche attinenza tra le due?
GBA: No, è solo una coincidenza. Sono passati trent'anni, ma se non ricordo male il titolo mi era venuto in mente giocando a “Dragon's Lair”, il laser game di Don Bluth.
LB: Molti appassionati hanno apprezzato e ricordano ancora serie di avventure come “Sire Fire” e “Thunderland”. Qual è la preferita da DJ Soft e da quali fonti nasceva l'ispirazione per creare questi racconti interattivi?
GBA: Fino a quando un’avventura non ci soddisfaceva completamente, continuavamo a curarne i dettagli, ad eliminare le imperfezioni. Per questo ogni volta che ne completavamo una, questa ci appariva come la migliore di tutte. In questo senso la mia preferita è “Attraverso lo Specchio”, ultima avventura da noi realizzata per l’Amiga con un team più ampio e pubblicata dalla Simulmondo di Bologna. Per chi fosse interessato, c'è un video su Youtube con il walkthrough.
Per quanto riguarda l’ispirazione, proveniva dalle fonti più diverse: l’ascolto di un disco, la lettura di un libro, la visione di un film. Di solito se l’idea partiva da me, costruivamo la storia intorno ad immagini che mi avevano in qualche modo colpito. Se partiva da Davide, seguivamo un processo più lineare, dove veniva prima la storia e poi le immagini.
LB: In quegli anni come si percepiva il futuro delle avventure testuali? Si sentiva di essere prossimi a un rapido declino? Ma, soprattutto, si riusciva a immaginare che le AT non erano destinate ad essere dimenticate, ma a diventare un “cult” per gli attuali appassionati di retrogaming?
GBA: All’inizio, ai tempi dello Spectrum, i tempi erano più dilatati, il ritmo di innovazione non era paragonabile a quello di oggi. Io acquistai il mio Spectrum nell’84 in Inghilterra, e ricordo che fino all’87 non sentii la necessità di passare ad una macchina più potente. Fu solo all’inizio degli anni ’90 che realizzai che sarebbe arrivato il declino delle avventure testuali, dovuto all’avanzare delle capacità di elaborazione e grafiche dei computer. In questo senso penso che il vero passaggio di staffetta ci sia stato con l’avvento di “Tomb Raider” perché, a mio parere, è stata la prima avventura non testuale in grado di proiettare davvero il giocatore in un mondo fantastico e misterioso.
Il retrogaming all’epoca non era ipotizzabile, così come la possibilità che qualcuno un giorno potesse appassionarsi alle avventure testuali giocandole su macchine migliaia di volte più potenti rispetto a quelle per le quali erano state pensate.
LB: Caratteristiche delle AT di DJ Soft erano le immagini che accompagnavano i testi descrittivi delle “stanze”. Si nota una cura particolare nel realizzarle, pur con i limiti della grafica digitale dell'epoca. La passione per le arti figurative continua tuttora?
GBA: Certamente. In particolare, sono appassionato di pittura ad olio. Per chi fosse interessato, questo è il sito dove pubblico i miei dipinti: http://giadacu.wix.com/oil-paintings
LB: Cosa pensa DJ Soft del recente porting de “La Casa” su browser? È lusingato, infastidito o semplicemente stupito?
GBA: All’inizio è prevalso lo stupore: essendo passati quasi trent’anni, non ricordavo che avessimo realizzato questo gioco per l’Amiga. Poi ho capito che qualcuno, ispirandosi alla versione originale per lo Spectrum, doveva aver effettuato la trasposizione. Questa pertanto, è la terza volta che il gioco viene riscritto o comunque modificato e la cosa non può che farmi tantissimo piacere! Resta il mistero su chi abbia realizzato la versione per Amiga firmandola comunque DJ Soft…
LB: Un mistero che mi preclude la possibilità di intervistare il protagonista intermedio di questa staffetta. Un altro mistero, però, lo possiamo svelare: c'è la possibilità che in futuro si possa giocare un'AT inedita firmata DJ Soft?
GBA: Chissà, forse da qualche parte in soffitta a casa dei miei genitori, si trova ancora il nastro con il gioco “Avventura nel Castello”, mai pubblicato prima d’ora. Questa possibilità non è quindi da escludersi! Se dovessi realizzarne una oggi, probabilmente utilizzerei questo mio dipinto come fonte di ispirazione!
Davvero suggestivo! Ringraziamo G.B. Aicardi per la disponibilità. Avere delle risposte da un testimone dell'epoca d'oro delle AT in Italia non capita tutti i giorni e gli amici di OldGamesItalia non potranno che apprezzarlo.
Ma ora ascoltiamo chi si è preso la briga di dare nuova vita a quest'avventura. L'autore del porting su browser de “La Casa” è Druido87 e suo fratello Davy Gi Zeta ha ospitato l'editor e la storia nel suo sito web, dove ha una sezione dedicata.
LB: Quando ho saputo di questa iniziativa, mi sono subito incuriosito. Cosa poteva aver portato due ragazzi di meno di trent’anni ad interessarsi alle avventure testuali?
Davy: È un tipo di gioco che ha fatto parte della mia infanzia. Per quanto mi riguarda, lo ritengo utile anche per tenere allenata la mente, in quanto bisogna usare il cervello per arrivare alla soluzione, a differenza di altri giochi.
Druido: Sono affascinato dalla pixel art, spesso usata in questi giochi, ed anche dall'elaborazione di frasi in lingua naturale da parte dei computer. Se ben realizzate possono essere molto evocative e coinvolgenti.
LB: So che avete un Amiga 2000 e alcune mitiche riviste “Amiga Byte”. Come ne siete entrati in possesso?
Davy & Druido: Era di nostro padre. E già durante il periodo delle scuole elementari, imparammo ad usare molti suoi programmi e a vincere moltissimi giochi.
LB: L'Amiga aveva capacità grafiche notevoli per l'epoca. Per una macchina del genere, che senso aveva, secondo voi, programmare un'AT? E che senso ha, al giorno d'oggi, riproporre un'AT da giocare nei browser moderni?
Davy: Non è sempre stato un settore tanto di nicchia come oggi. Per me all’epoca aveva senso perché era un tipo di gioco differente, che estendeva l’Amiga ad avere una gamma di prodotti più ampia. Al giorno d’oggi, se fosse più conosciuto, forse ci sarebbero più persone disposte ad apprezzarlo.
Druido: I giochi di un tempo o moderni, non devono per forza utilizzare tutte le potenzialità grafiche disponibili. Le AT hanno un loro particolare stile, che indicativamente si avvicina ad un libro interattivo. Un’AT è spesso un rompicapo, quindi possono piacere a chi desidera scoprire cose nascoste o trovare soluzioni ingegnose in situazioni complicate. A questo si aggiunge una trama, "di successo" se si sa usare bene la suspence, e poi belle descrizioni, personaggi curiosi, spazio per le riflessioni, come pure situazioni comiche. Sicuramente l'aspetto più importante che fa la differenza tra una bella avventura testuale ed una non riuscita è la cura che dedichiamo a ciascuna scena e a ciascuna risposta.
LB: Perché è stata scelta proprio “La Casa” per questa operazione di restauro?
Davy & Druido: Era la nostra avventura testuale preferita, tra quelle che avevamo. In particolar modo per la descrizione delle ambientazioni e per le immagini realizzate in pixel art, molto evocative.
LB: Che strumenti software sono stati utilizzati per il porting e quanto è stato difficile realizzarlo?
Druido: Ho usato principalmente l'editor di testo Notepad++, le prove le facevo direttamente sul browser (preferisco Firefox, ma uso anche Chrome). I contenuti e la grafica sono realizzati in HTML5 e CSS3, la programmazione l'ho fatta con JavaScript (in particolare la versione EcmaScript5 supportata da tutti i browser). Il debug di JavaScript l'ho portato avanti con gli strumenti per sviluppatori di Chrome, ma anche Firebug su Firefox è molto valido. I linguaggi del Web hanno reso il lavoro totalmente multipiattaforma. I pochi elementi grafici sono definiti nel file "stile.css" e per scrivere nuove storie si lavora nel file "scene.js" che supporta molti comandi semplificati e abbastanza potenti. Il lavoro più duro, che ha richiesto due intensi mesi di fatica, è "interprete_it.js", ovvero il "cervello" che fa funzionare i relativamente semplici comandi (in italiano) dentro "scene.js". Non ho specificato che il software è di pubblico dominio, perché non immaginavo potesse interessare a qualcuno, ma anche perché andrebbero arricchite le sue funzioni, è poco soddisfacente al momento.
LB: La scena italiana di nuovi autori d'avventure testuali è piuttosto ridotta. Pensi di rendere pubblico il software che hai realizzato? Se fosse semplice da usare, potrebbe invogliare chi ha un'AT nel cassetto a realizzarla?
Druido: Rendo pubblico volentieri questo software, ma servono alcune lezioni per imparare ad usarlo. Inoltre, può apparire insoddisfacente finché alcune funzioni non verranno implementate (attualmente non salva e non carica, mancano gli eventi casuali, la gestione degli oggetti è noiosa e servono più automatismi, bisogna poter abbandonare gli oggetti in una stanza ed altro ancora). Mi piacerebbe realizzare una nuova versione visuale dell'editor, ma avrò poco tempo per occuparmene e ho altri progetti a cui forse darò la priorità.
LB: Ho notato la comparsa di una nuova AT sul vostro sito “chestress.it” dal titolo “La domestica” che viene definito uno splatter umoristico. Di cosa si tratta?
Davy: Ho realizzato questa avventura testuale, prendendo spunto da una vecchia storia accaduta realmente nella nostra regione, ovviamente ho ingigantito pesantemente i fatti per rendere tutto più comico e surreale per far divertire i miei amici. È nata per avere come solo pubblico dei miei conoscenti stretti, non avevo in mente di metterla in rete, in quanto è molto spinta. Siccome però richiede una certa logica, mi sono azzardato ad inserirla. Sarà la sola e unica storia presente nel mio sito ad essere così splatter.
LB: Avete in progetto altre AT? Utilizzerete ancora lo stile retrò che caratterizza queste prime due avventure?
Davy: Mi piace il vecchio stile, non solo in ambito di avventure testuali. Ad ogni modo, potrei anche decidere di cambiare. Dovrei prima avere un feedback dai giocatori e capire cosa preferiscono.
Druido: Visto che un editor l’ho realizzato e che c'è un certo interesse, potrei fare il porting anche di "Excalibur", un'AT più matura de "La casa", sempre dalla rivista Amiga Byte e, nel trascriverla, migliorarla ulteriormente.
LB: Le AT hanno un glorioso passato remoto. Pensate che possano avere un qualche tipo di futuro?
Davy: Ci saranno sempre persone che, amando questo settore, continueranno a seguirlo. Per quanto riguarda la commercializzazione invece, ne dubito. Ritengo però, che se venissero inseriti i link delle AT nei giornali di enigmistica, ci sarebbe molto più pubblico: il piacere di giocare alle AT è paragonabile a quello di risolvere un cruciverba più o meno complesso, solo molto più coinvolgente.
Druido: La possibilità non la precludo, anche se ho la sensazione che rimarranno piuttosto di nicchia. Forse un giorno, con gli sviluppi del trattamento del linguaggio naturale, qualche importante evento connesso all'intelligenza artificiale, potrebbe far tornare di moda queste avventure interattive, che si arricchirebbero di inattese possibilità. Pensiamo a Siri, l'assistente digitale sviluppato da Apple con cui si interagisce a voce o al desiderio di Mark Zuckerberg di veder realizzato un sistema di intelligenza artificiale ispirato a Jarvis di Iron Man. In alternativa, un editor semplice e potente e ottimi autori, connessi ad un po' di pubblicità, potrebbero allargare la nicchia ad appassionati più numerosi.
LB: Vi ringrazio per la disponibilità e le interessanti risposte. Non vedo l'ora di provare “La Domestica” e chissà che presto non riesca a giocare in diretta a qualche altra AT realizzata con l'editor JS per avventure testuali.
Davy: Grazie a te e a oldgamesitalia! Stai attento alla domestica… chi la incontra rischia lo shock.
Druido: Non mi aspettavo che sarei stato intervistato e sono sorpreso e contento, vi ringrazio molto e magari cercherò di trovare un po' di tempo per "Excalibur", forse per il nuovo editor o comunque per qualche novità.
Nell'attesa di nuove avventure, non resta fare una visita alla sezione giochi del sito “chestress.it” e fare un tuffo nel passato giocando a “La Casa” nel vostro browser preferito: http://chestress.it/CHE_STRESS/La%20casa/INIZIA.html
È il momento di addentrarsi all'interno della selva oscura delle sala giochi, laddove i muscoli virtuali si misuravano con il numero di monetine a propria disposizione; e come non iniziare se non celebrano l'eroe di quelle generazione, il gioco che faceva volare con la fantasia del laser e delle mirabolanti tecnologie alle sue spalle? Ecco a voi Dragon's Lair!
Con la compagnia del mitico Simone "Il Creatore di Mondi" Pizzi, Roberto "ma quanti soprannomi hai" Bertoni, Marco "il Distruggitore" Gualdi sotto la guida di Alex "Ritmo, ritmo, ritmo" Raccuglia e con la (non?!?) partecipazione di Peppe "Professor Jones" Scaletta, Archeologia Videoludica vi porta alla scoperta dei primi laserdisc e delle meraviglie che accompagnavano la loro leggenda.
Passeremo per momenti amarcord, momenti di estasi Freudiana, analisi introspettive del nostro animo e disamine tecniche dell'ultimo grande alfiere dell'analogico, il tutto con la consueta ironia e la voglia di raccontare la storia del nostro passatempo preferito.
Allacciate le cinture del vostro cabinato virtuale e partiamo... buon ascolto! Per qualsiasi commento, inserite la vostra monetina qui oppure giocate una partita nel forum di Oldgamesitalia.
Simone Pizzi ci porta dalle parti della sua prima sala giochi, quando a causa della tenera età venne ammaliato dalla leggenda di un cabinato "magico", la cui visione era quasi mistica: fra paragoni con Heavy Rain e analisi sociologiche respiriamo l'atmosfera di quegli anni.
Cosa succede quando un animatore Disney incontra una delle software house più innovative degli anni '80? Tracciamo la storia di questo miracoloso mix soffermandoci sulla carriera del primo e sulle innovazioni e sugli epic fail del conduttore che hanno portato alla nascita di Dragon's Lair.
Cosa c'era dietro alla tecnologia "miracolosa" dei laser game? Quanto veloce giravano i dischi? Tutto quello che avreste voluto sapere dietro una tecnologia analogica di un mondo nato e tramontato in sala giochi è qui per voi, sviscerata nei dettagli più dettagliati.
Andiamo ad esplorare Dragon's Lair in tutti i suoi ambiti, fra aneddoti, numeri e le varie versioni che si sono succedute nel tempo, facendo leva sui nostri (e vostri) ricordi e scavando nelle pieghe di un passato glorioso e "commuovente".
Esploriamo le varie versioni di Dragon's Lair, il gioco più convertito della storia!
Klone - Dragons Lair (Builder Remix)
All'interno di easter eggs, Daphne senza veli e ammenicoli vari il Distruggitore ci porterà là dove nessun laser game è mai giunto prima.
BibliOgi: La Storia di Nintendo
L'interessometro: Wing Commander
La bibbia per i laser game
Cercate una versione di Dragon's Lair? La trovate qui!
La pagina Wikipedia di Don Bluth
La pagina Wikipedia di Cinematronics
Il sito ufficiale di Cinematronics (davvero?)
Il longplay di Dragon's Lair
Il sito della casa di Don Bluth
Daphne in versione hot
Arcade Museum - Dragon's Lair
Prendete un film di Bruce Willis, uno qualsiasi, togliete tutti i proiettili, le schegge di vetro, i terroristi e le armi automatiche e otterrete il Sesto Senso, forse la miglior pellicola dell’attore statunitense.
Con Tales from the Borderlands, Telltale Games ha tentato un esperimento analogo: in associazione con Gearbox Software e 2K Games è riuscita a confezionare un titolo ambientato nell’universo fracassone e coloratissimo di Borderlands. Nel processo sono state cassate le infinite sparatorie (con alcune eccezioni “fuori di testa”), il mondo free roaming e la possibilità di collezionare armi a profusione; il tutto senza rinunciare al sapore unico di Borderlands.
L’avventura, incentrata prevalentemente sulla narrazione, si rivela ancora una volta piacevole escursione nella terra dei quick time event, con i consueti bivi decisionali a tracciarne l’elegante topografia.
La caduta degli eroi
Tales from the Borderlands è ambientato cronologicamente dopo gli eventi che chiosano Borderlands 2: Jack il Bello è morto, ucciso dai cacciatori di Volte ed Helios, la grande stazione spaziale assisa lassù sulla luna sfregiata di Pandora, vive un vuoto di potere.
Nei corridoi della corporazione Hyperion aleggia il fantasma del grande presidente: manifesti come locandine di film d’epoca ritraggono l’icona che, con la sua apparenza che profuma di successo, esorta le generazioni venture ad essere “folli ed affamate”. Ancora, sulle lustre pareti della stazione campeggiano manifesti motivazionali illustranti scintillanti SMG, lussuose vetture aziendali e holiday location da favola, onnipresenti memorandum dei bonus concessi a chi raggiunge i vertici.
Come risultato la compagnia trabocca di arruffoni arrivisti, doppiogiochisti in doppiopetto, e nevrotici nerd che cercano di farsi una posizione leccando scarpe appena più lucide e truffando i pesci piccoli.
Il segreto del mio successo
Il protagonista di TftB, pare uscito direttamente da una delle commedie anni ’80 con Michael J. Fox. Manager rampante, Rhys è emulo e riflesso di Jack il Bello: con una cravatta rossa improbabilmente lunga, che scompare nei pantaloni verso destinazione ignota; pettinato in egual maniera e similmente allampanato concupisce ricchezza e potere seguendo le inconsistenti orme del (suo) mito.
Con l’aiuto degli amici Vaughn (esperto contabile) ed Yvette (addetta alle requisizioni), Rhys ha brigato duramente per migliorare il proprio status nell’organigramma dell’azienda, solo per vedere frustrati i propri tentativi dall’eterno rivale Vasquez che lo declassa prontamente ad aiuto spazzino.
Il novello vice presidente della propaganda alla sicurezza ha ottenuto la promozione che spettava “di diritto” al nostro espellendo il predecessore da una camera di decompressione, ma soprattutto ingolosendo i superiori grazie ad un losco affare in corso su Pandora che dovrebbe portarlo ad acquistare la preziosa chiave di una Volta: leggendari siti alieni contenenti armi, ricchezze e manufatti, come da lore originale.
Tale conoscenza viene carpita da Rhys grazie al suo eco-occhio, utile impianto in grado di scannerizzare gli elementi dell’ambiente circostante e di accedere, da remoto, a terminali e sistemi elettronici.
Il tentativo di soffiare l’affare a Vasquez catapulterà gli imberbi hyperiani - impreparati e inetti - sul territorio ostile di Pandora dove, in un primo momento, sopravvivranno aiutati unicamente dal monolitico Loader Bot vero e proprio character meccanico con un’anima, come da tradizione asimoviana.
Una derringer e una bombetta
Assediati da banditi, truffatori e skag a profusione, Rhys e Vaughn sono costretti a formare temporanee alleanze con gli indigeni pandorani, dacché si rivelano molteplici le fazioni in lizza per la conquista del bottino.
Ed ecco che TTG, con una mossa magistrale, ci offre un’altra prospettiva sulla storia, un punto di vista tutto femminile. A fianco del protagonista principale compare, graditissimo, un secondo main character: costei è la bella Fiona, straordinaria artista della truffa, sempre accompagnata dalla sorellina Sasha quale partner nel crimine.
Cambiano i quadri che declinano in locazioni urbane e decadenti, in contrasto con gli asettici corridoi della base spaziale, e cambia il guardaroba realizzato con materiali di recupero fra cui: toppe, nastro adesivo, borchie e fasce di metallo.
Armata unicamente di una derringer, Fiona rappresenta l’antitesi di quanto sperimentato giocando a Borderlands: la pistola tascabile per antonomasia contiene difatti un singolo colpo in canna, da usare unicamente nei casi di emergenza, a voler affermare che la forza dei personaggi di TftB non risiede nel quantitativo di munizioni accumulate, quanto nell’arsenale di battute e nell’umanità dei caratteri. Con questa scelta Telltale Games traccia la distinzione più netta con il titolo madre.
Nelle sessioni in compagnia di Fiona, la spacconeria maschile, sostenuta unicamente dalla protezione garantita dalla superiore tecnologia, cede il passo al fascino femminile e ad arti meno rutilanti. Se nel caso di Rhys e V. i soldi vengono infatti trafugati con un battito dell’eco-occhio, le capacità della protagonista con la bombetta implicano destrezza di mano e attitudine a mentire; abilità che le consentono di borseggiare spille porta-soldi e garantirsi l’aiuto di character secondari.
Il lungo viaggio
Il gioco si apre con la cattura dei due protagonisti ad opera di un misterioso straniero che li obbliga, sotto la minaccia delle armi, a raccontare le vicende che li hanno messi sulle tracce dell’ inarrivabile progetto Gortys.
Inizia qui un lungo flashback che dura per i 9/10 dell’avventura. Tema dominante di TftB è il viaggio, concreto ed interiore; parliamo di una vera e propria joyride caratterizzata da folli gare di velocità, fughe al limite dell’impossibile, altissimi voli spaziali e incredibili voli di fantasia, ogni tappa impreziosita da memorabili duetti, frequenti omaggi ai cartoni mecha degli anni ’70 – ’80 e adrenalinici showdown con villain particolarmente azzeccati. Il tutto sotto l’ombra proiettata dallo spettro di Jack il bello.
Le due coppie di protagonisti si rubano la scena vicendevolmente, quindi si rimescolano a comporre impensate alchimie; due coppie che hanno più punti in comune di quanto siano disposte ad ammettere e che, giocoforza, saranno costrette a formare quel team che riuscirà ad arrivare laddove nessun cacciatore di Volte era mai giunto prima. Tutto questo grazie anche ad una buona dose di fortuna e di indispensabile tutoraggio,
È da elogiare la maestria di TTG che, dopo aver procrastinato per cinque capitoli la rivelazione dell’identità del misterioso straniero, riesce a non deludere. Non solo l’elemento narrativo chiave viene offerto al giocatore con particolare bravura, soprattutto si rivela determinante per quanto concerne la qualità e il senso ultimo dell’intreccio.
Come aggiunta il gioco imbastisce una morale di fondo, non banale, che delinea una graffiante critica rivolta alle nostre strutture sociali basate sull’accumulo.
Umor nero, ma non troppo
L’umorismo che permea Borderlands, viene ottimamente traslato nella struttura episodica del titolo TTG. Riproponendo, a tratti, situazioni e personaggi folli della serie madre, TftB si concede, in più di un’occasione, divagazioni nel grottesco indugiando su sleali colpi bassi, esagerate eviscerazioni, dolorose rimozioni di protesi, disgustose escoriazioni e brucianti graffiature.
Le situazioni, anche quando drammatiche, motteggiano i canoni delle serie precedenti di TTG declinandoli nel surreale o nel ridicolo. È difatti contenuta la cifra drammatica, perché TftB è avventura che si gioca soprattutto per apprezzare gli ottimi personaggi che vedremo maturare nel corso del gioco imparando che, dalla caduta dei miti, ci si può rialzare e uscire migliori o rafforzati nella propria determinazione.
Border’s Lair
In linea con i più recenti titoli TTG, TftB si gioca con mouse e tastiera alla mano.
Il gameplay è incentrato sulle frenetiche sessioni dedicate al button mashing e sui siparietti composti dagli immancabili, e a volte interminabili, dialoghi, ormai marchio di fabbrica. Come intervallo fra i due “tempi” troviamo gustose, benché lineari fasi esplorative.
I QTE di TftB presentano una sfida di difficoltà medio-alta ricordando a tratti, per la perfetta coreografia, alcune delle intramontabili sequenze di Dragon’s Lair, quando i folli mercenari, piogge di meteore e la selvaggia fauna locale si accaniscono sui protagonisti.
Le parentesi esplorative sono contenute, nondimeno ricche di punti attivi e quindi di opportunità per consentire a Rhys e Fiona di sfruttare le rispettive abilità e di usare i limitati oggetti presenti nell’inventario. L’eco-occhio, come già accennato, consente di crackare gli strumenti elettronici ed è in grado di fornire informazioni dettagliate su personaggi e ambiente, restituendo sempre un listato comico; mentre i fondi accumulati da Fiona si rivelano necessari per l’acquisto di abbellimenti ai distributori automatici.
Maggior approfondimento merita il discorso sulle scelte.
Le scelte offerte al giocatore in TftB hanno, come sempre, un peso minimale sugli eventi chiave; se ne rende conto la stessa TTG che usa i canonici promemoria (“Tizio si ricorderà di questo”) come relief auto-ironici.
Scelte che, sebbene cosmetiche, consentono nondimeno di posare dei binari all’interno dei personaggi precostruiti. Fiona è un assassina a sangue freddo, che concupisce la vendetta, o spara solo per autodifesa? È in grado di mostrare compassione nei confronti di un morituro o lascerà che l’ultima immagine impressa nella retina del malcapitato sia quella di una giovane fanciulla che gli invola i soldi ormai inutili? Rhys è interessato solo al potere (rimanendo ancorato, fin dove possibile, al mito di Jack il Bello) o avrà attenzioni e parole di riguardo per i propri amici? Soprattutto, saremo disposti a perdonare, capire e ad amare… o l’interesse romantico designato dagli sviluppatori ci risulta indigesto?
Queste decisioni rappresentano il colore che riempie la traccia, la grafia della linea che unisce i puntini del disegno predefinito.
Occhi di ragazza
La scelta di Borderlands come terreno "d'azione” per il nuovo titolo emozionale di TTG si rivela particolarmente azzeccata. L’atmosfera del gioco originale, realizzato con la tecnica del cel-shading, viene riproposta in una cornice grafica similare offrendo locazioni e personaggi cartooneschi e coloratissimi. Si mantiene essenziale la linea del disegno, mentre il colore assume funzione di modellante scolpendo nasi, capelli, pieghe dei volti e iridi luminescenti. Sono da elogiare, soprattutto, le espressioni che, implementate per una pletora di personaggi (principali e minori), vantano una gamma notevole in grado di restituire, con eguale efficacia, entusiasmo, stupore, rassegnazione, rabbia, gioia e tristezza.
Al volto quasi sempre spaesato di Rhys, si sostituisce la suprema confidenza di Fiona riflessa nei begli occhi verdi (uno sovente appena abbassato a conferirle un’aria snob ed inarrivabile). E poi c’è la “piccola” Shahsa con il faccino “pulito” ed impunito adornato da un folta chioma rasta; volto su cui si alternano le malizie di una giovane donna e gli stupori di una ragazzina.
Anche il doppiaggio si rivela di altissima qualità, con picchi rinvenibili nelle battute recitate da Laura Bailey per Fiona e Patrick Warburton nei “panni” di Vasquez.
Sempre elegante e ficcante la musica di Jared Emerson-Johnson, ormai colonna portante dei titoli TTG; mentre ad accompagnare i credits in-game di ogni episodio troviamo eccellenti brani su licenza fra i quali mi piace citare Back to the Top (Twin Shadow) e Retrograde (James Blake).
Sbavature
Le sbavature in TftB sono ridotte ai minimi termini.
Ancora una volta un villain formidabile viene introdotto nel terzo capitolo – riesce a farsi odiare – e, troppo velocemente, viene liquidato nell’installazione conclusiva; capitolo che perde un paio di colpi, per poi risollevarsi maestosamente nell’opulente finale. Col procedere dell’avventura si rarefanno inoltre gli spazi riservati all’esplorazione, come già visto in TWAU, sostituiti comunque dal grandioso scontro per il bottino.
Ho incontrato un baco solo nel primo capitolo, dove, in un paio di circostanze, non sono riuscito a chiudere la modalità eco-occhio. Problema risolvibile con un reload.
E vissero per sempre ricchi e contenti
Con Tales from the Borderlands, TTG ha dimostrato non solo di saper valorizzare una IP, consegnando al giocatore un titolo che è a tutti gli effetti Borderlands, ma anche di saper ampliare una lore già consolidata accrescendone il mito.
C’era una volta…
Sono cresciuto a pane e fumetti, latte e favole; mi sono entusiasmato per ogni CRASH, POW e BANG impresso a caratteri cubitali sulle odorose pagine di carta che recavano il prezioso emblema dell’Editoriale Corno; ho canticchiato lo yodel dei nani, “I sogni sono desideri” e mi sono rallegrato per ogni gioioso lieto fine.
Raggiunta la “maturità” sono rimasto folgorato dal V for Vendetta di A. Moore e D. Lloyd, dalla forza iconoclasta del Black Orchid di Neil Gaiman e Dave McKean e, in tempi recenti, ho apprezzato e glorificato il Fables di Bill Willingham. Quanto sopra perché i fumetti e le favole della gioventù mi erano parsi tanto ingenui.
Oggi, scrivendo queste righe, mi rendo conto di essere stato ingeneroso nei confronti del materiale originale. La bibliografia da cui Disney ha attinto per i suoi film d’animazione era certo più adulta rispetto all’offerta cinematografica: la Sirenetta concepita da Hans Christian Andersen non si conclude con il canonico lieto fine e il Bambi di Felix Salten non è un racconto per bambini (e, tutto sommato, non lo è nemmeno l’omonimo film d’animazione del 1942).
Gli stessi eroi dei fumetti sono nati nel dolore: Peter Parker ha accettato le proprie responsabilità solo in seguito alla morte dello zio Ben, mentre Iron Man è stato forgiato nei fuochi della guerra del Vietnam. E non dobbiamo dimenticare, per i personaggi citati, le coraggiose saghe della droga e dell’alcolismo quando ancora la Comics Code Authority vegliava severamente sui contenuti che venivano distribuiti ad un pubblico ingiustamente giudicato impreparato.
Sì, c’era un ingenuità di fondo: gli eroi non invecchiavano, i cattivi venivano regolarmente sconfitti e, spesso, erano di cartapesta, nondimeno i “demoni” erano già presenti e, forse, trattati con maggiore finezza, poiché oggi il generoso utilizzo delle four letter word ha affiancato e talvolta “sostituito” le già citate onomatopee.
Se un tempo era il rosa a dominare, anche se come abbiamo appena visto si trattava di un rosa “antico”, oggi è il nero a farla da padrone, un nero che ha il profumo della china della decomposizione.
La lunga premessa per dire che con questo mio pezzo ho l’intenzione, o forse l’ardire, di portare il verbo dei quick time event in questo sacro tempio dell’old gaming, dacché desidero parlarvi di the Wolf Among Us, favola scura di Telltale Games.
Attenti al lupo
C’era una volta, nello stato di New York, una comunità di personaggi delle favole che viveva nell’incantata cittadina di Fabletown; potenti intrecci magici proteggevano la loro cerchia dagli occhi dei mondani e lo sceriffo Bigby Wolf (il lupo cattivo per antonomasia) vegliava su tutti i suoi abitanti.
Queste le fondamenta gettate da Bill Willingham per il suo Fables pubblicato da Vertigo DC. Nell’immaginario di Telltale Games, riflesso di quello dell’artista statunitense, il “… e vissero per sempre felici e contenti.” è seguito da un terzo tempo inaspettato, un after credits maledetto dove le icone e i miti dell’infanzia sono stati attossicati dalla mela avvelenata (NY è la città della grande mela, incidentalmente). È un mondo insicuro e “reale” dove la dura necessità di far fronte alle scadenze dei fine settimana domina le priorità del vivere quotidiano e il denaro è il desiderio dei sogni.
Accade allora che personaggi storici assumano caratteri e valenze completamente inaspettati: Biancaneve ha una spiccata propensione al comando e un gran bel personale e Bigby, il lupo cattivo, è lo sceriffo; il tagliaboschi frequenta un giro di squillo, mentre Bella ha problemi di coppia (magari “pensare”, prima di mettersi con uno che ha il carattere di Bestia?).
Fra le righe di favole poco note si accenna all’incesto e le barriere burocratiche sono più salde delle mura di eterei ed elevati castelli. E laddove lo stato disorganizzato non arriva è la criminalità organizzata ad offrire un “pronto soccorso”.
Queste le basi per l’avventura che costituisce un prequel del comic; premesse invero sapide che si concretizzano già con le prime “vignette” dove un Bigby pensieroso giunge sulla scena del misfatto a bordo di un Taxi i cui sedili sono rattoppati con economico nastro adesivo (il cavallo bianco, naturalmente, è rimasto “parcheggiato” nelle favole).
Chiamato con urgenza da Mr. Toad, un personaggio di Kenneth Grahame che qui vede la sua reinterpretazione nei panni di un locatore di appartamenti di infima qualità, lo sceriffo di Fabletown deve sedare una rissa fra la sua vecchia nemesi e una giovane prostituta. È solo l’inizio di una storia urbana dove eroi e antieroi sono invertiti o, quantomeno, sfumati: si scopre, per esempio, che il tagliaboschi aveva motivi tutt’altro che nobili per aiutare Cappuccetto Rosso; Barbablù, invece, pare redento ed è ora una colonna portante della comunità delle favole.
La narrazione di TWAU è come un viaggio in treno: parte con uno strappo iniziale in salsa di percosse gratuite e alterna momenti di riflessione pura a brusche fermate alle stazioni dove, come da un finestrino, assistiamo a omicidi disturbati e fastidiosi mimetismi mescolati ad insalubri feticismi; il tutto mentre le nude gambe della sirenetta (che qui si chiama Nerissa) si aggrappano con provocante perizia al lucido palo di una pista da ballo e le scarpe di cristallo esibiscono un tacco dodici.
Non sarà, un avventura
TWAU è racconto interattivo, avventura o altro? In definitiva, quanta interattività è richiesta ad un titolo perché possa fregiarsi dell’appellativo di videogioco? Non mi addentro nella questione, poiché le multiformi opinioni, le immutabili prese di posizione e le sterili etichettature hanno sovente la meglio sul raziocinio.
Dirò tuttavia che se dobbiamo criticare TWAU per le limitate opzioni che offre al giocatore e, di conseguenza, penalizzarlo in sede di valutazione, dovremmo per coerenza bollare tutte quelle avventure che dispensano succedanei del gioco del quindici e labirinti senza soluzione di continuità; che collocano nei loro scenari virtuali protagonisti squattrinati costretti ad ingegnarsi con stecche d’ombrello e gomma da masticare per recuperare decini opportunamente dimenticati nei tombini.
Il giocatore, come già accade in the Walking Dead, è chiamato a prendere decisioni lampo scandite dal ritmo ossessivo, ma non troppo, dei QTE; il tutto sotto la luce sgargiante di un’art direction superba. I dialoghi, salvo eccezioni, sono “a scadenza”: è concesso un tempo limite per fornire una risposta all’interlocutore di turno al fine di conferire dinamicità alla meccanica del verbo che, in molti titoli, è statica in attesa dell’input del giocatore. In genere si hanno quattro opzioni comprensive delle modalità “cinico – sarcastico”, “lupo addomesticato” e “fedele alle origini”. Il silenzio è la quarta opzione, qui rappresentata da tre puntini di sospensione.
Naturalmente il peso delle scelte effettuate si mostra ancora una volta evanescente, tanto che gentilezza, disponibilità e concessione di indipendenza, così come gli sforzi di contenere la bestia dentro, appaiono vani tentativi di influenzare la narrazione. Togliersi il vestimento del lupo e piazzarlo sulla proverbiale pozzanghera, per consentire a Biancaneve di attraversare agevolmente le asperità del titolo, non serve a guadagnare i favori della principessa, né ad aumentare la stima, peraltro molto bassa, che i png hanno del protagonista. Al più avremo variazioni cosmetiche e temporanee reprimenda a fronte di un atteggiamento particolarmente sadico; la Storia, tuttavia, segue un binario unico, anche se di altissimo profilo.
Anche le fasi esplorative sono assai limitate e dispensate con parsimonia. Gli spazi paiono ulteriormente “compressi” da una deambulazione limitata dalla scelta di cassare il mouse come strumento di input in favore dei tasti WASD che rispondono alle esigenze di una telecamera fissa.
Le meccaniche del gioco d’avventura, inteso nel senso tradizionale, sono semplificate al massimo: l’inventario è minimale e gli oggetti non combinabili tra loro. Un elaborato cerchio, diviso in quattro archi, si attiva sui punti sensibili mostrando le icone delle azioni permesse sull’oggetto selezionato: è possibile, fra le varie azioni disponibili, sfondare le porte, ascoltare conversazioni, osservare e utilizzare gli articoli presenti nell’inventario.
Colors of the Wind(ows)
Shader e modelli dei personaggi in TWAU non sono allo stato dell’arte, le mani, soprattutto, sono inguardabili; gli abiti paiono di cartapesta, i capelli scolpiti da gel a poco prezzo, nondimeno le espressioni dei volti, in cui guizzano occhi vivaci, e la tavolozza fluorescente restituiscono illustrazioni sopraffine dai colori saturi.
Sui corpi dei protagonisti, alla stregua di una variopinta collezione moda, troviamo gilet rosso sangue, camicette color carta da zucchero punteggiate da fiocchi di neve e cravatte verde marcio su camice sciupate che, in origine, erano forse bianche. Il blu elettrico dei marciapiedi si imprime sulle retine con la sua freddezza che fa da contrasto alle coloratissime insegne di tubi al neon dove si pubblicizzano hotel senza stelle e negozi che vendono mocassini di vetro scintillante. Il giallo canarino dei taxi è un frego brillante sulle strade trafficate, mentre su corazze medievali il giallo dorato è sporcato da nuvole di polvere grigia. Negli interni sono il marron e il verde tonalità decadenza a dominare con le loro tinte opprimenti. Le tappezzerie, spesso strappate, sono decorate da fiori di un rosso sbiadito.
Soprattutto, in TWAU troviamo una sovrabbondanza di rosa e viola: il viola del titolo “buca” lo schermo e muta presto in un rosa antico violento ed insinuante e, ancora, maiali rosa, corpi rosa, stivali delle prostitute viola cupo e volti rosa profilati dall’incandescenza delle sigarette.
Infine c’è il nero dei contorni degli oggetti e dei personaggi: tratti spessi, angolosi a volte solo abbozzati e le ombre, come china, avviluppano e affogano i character in un abbraccio cupo a formare quelle che, a tutti gli effetti, sembrano le pagine di un fumetto trasposto su schermo per il nostro godimento oculare.
La regia non è da meno: accalorate zuffe, bisticci di innamorati, vischiosi sputi di disprezzo, dialoghi serrati, lunghi silenzi imbarazzati, torbide confessioni e scatti d’ira vengono ripresi con un’angolazione sempre impeccabile; la cinepresa non perde un colpo, non un solo fotogramma viene sprecato a comporre un montaggio degno dell’oscar. È un primo piano sul degrado, una carrellata schietta sui corpi ignudi e percossi, fermo immagine sui cadaveri delle vittime, zoom su radio d’epoca (con mangianastri incorporato) e revolver sovradimensionati.
Un diamante allo stato grezzo
Che piacciano o meno, i QTE fanno ormai parte del nostro bagaglio esperienziale: li abbiamo già incontrati, con buona probabilità, almeno una volta sul nostro cammino ludico, se non in Dragon’s Lair, forse in uno dei vecchi titoli di Cryo Interactive.
I QTE di TWAU sono decisamente tolleranti nei confronti degli sbagli del giocatore e non richiedono riflessi particolarmente brillanti. Dopo un primo episodio spumeggiante, vengono inoltre usati con parsimonia e hanno una durata generalmente contenuta.
Nel contesto, questa scelta costituisce un difetto perché i momenti “action” sono riflesso diretto dell’adrenalina e della rabbia, qui fattori caratterizzanti della natura selvatica del protagonista. Ridurre e semplificare i QTE equivale, quindi, a togliere spazio d’“espressione” a Bigby. Inoltre le fasi esplorativo - investigative, già ridotte all’osso (un osso sbiancato, rosicato e a cui sia stato succhiato il midollo), si rarefanno a partire dal secondo atto riducendo la “durata percepita” di ciascun capitolo.
Quello che resta, oltre metà avventura, è una trama ficcante e graffiante che accelera frenetica in una sarabanda di rivelazioni, showdown e dialoghi serrati che, quasi, non lasciano il tempo per pensare, per riordinare le idee; il narrato brillantemente sottolineato dalla musica sempre elegante e mai invadente di Jared Emerson-Johnson.
La storia, giunta al capolinea, vede soddisfatte trame e sottotrame, ma, come da consuetudine abusata, si conclude con un interrogativo che, a prescindere dalla “scelta” finale, non trova risposta lasciando tuttavia spazio alla deduzione e alla riflessione e quindi si radica nei nostri pensieri.
TWAU, infine, introduce personaggi senza soluzione di continuità in un arco temporale che, sommati i 5 capitoli, si traduce in 8-10 ore complessive di gioco; le invenzioni e le reinterpretazioni si susseguono in un caleidoscopio di figure sempre vario e sempre interessante, nondimeno resta poco spazio per un approfondimento di un certo spessore.
Vivere una favola
Riassumendo, TWAU è giuoco (o avventura, o racconto interattivo,…) dove c’è poco da fare, salvo accompagnare Bigby da un evento all’altro. È concesso ascoltare, interloquire, investigare (il meno possibile) e scatenarsi durante le sessioni dedicate al “button mashing”.
La logica domanda, a questo punto, è: “Perché non limitarsi a guardare un let’s play di quella che, sostanzialmente, è un esperienza visiva?”. Ancora: “Vale la pena investire tempo e soldi in questa bella opera concepita dai TTG?”
La risposta è insita nel titolo del paragrafo: TWAU si gioca per vivere in prima persona una fiaba cupa che ha per protagonista un main character decisamente carismatico e dai poteri quasi illimitati.
Rimare o imprecare davanti allo Specchio delle Brame, condividere una sigaretta con un vecchio nemico o ascoltare le prediche di un maiale comodamente stravaccato in poltrona sono momenti unici e originali in un universo ludico spesso derivativo.
Un altro parere, il video di Dietrologia Videoludica:
La costola di Bioware
Inizio 2012. Un gruppo di ex-dipendenti BioWare decide di fondare la software house Stoic e, tramite il finanziamento su KickStarter, di realizzare uno strategico a turni condito in salsa di leggende norrene con stuzzichini di scelte à la Telltale Games. Il risultato? Un gioco drammaticamente ripetitivo, intriso di una mitologia derivativa e, ahimè, avanguardia dell’ennesima trilogia.
Analizziamo quello che, a tutti gli effetti, è il “Figlio di un dio minore”.
La fine è vicina
Siamo in pieno clima da Götterdämmerung: gli dei sono caduti e il sole si è arrestato nel cielo.
Nonostante i cattivi auspici la vita continua: dopo le grandi guerre, le popolazioni dei giganti (qui denominati Varl) e degli uomini prosperano grazie ad una delicata, ma prolungata alleanza; il commercio è florido e nuove ambasciate vengono inviate ai poli politici per rinsaldare il clima di cooperazione.
Il gioco si apre con una carovana di giganti che sta completando il giro annuale della raccolta dei tributi. La voce narrante esprime le preoccupazioni e i timori di chi, per troppo tempo, è rimasto lontano da casa sotto un cielo maledetto punteggiato, al volgere della stagione, dalla prima neve.
Giunto alla grande sala della città commerciale di Strand, ultimo punto di raccolta prima dell’agognato ritorno a casa, Ubin, questo il nome del capo carovana, è chiamato a sedare la rivolta attualmente in corso. È la prima “scusa” per prendere confidenza con le meccaniche di gioco e affinare la nobile arte della strategia a turni.
Gettate le premesse, la storia introduce personaggi senza soluzione di continuità, evitando così di incentrare le vicende sul cardine di un eroe unico, espediente fin troppo abusato. Il focus della narrazione è diviso tra la carovana dei giganti, a cui presto si unirà il principe degli uomini scortato in ambasciata alla capitale Varl, ed un convoglio di fuggitivi costretto ad abbandonare il villaggio natio in seguito ad un violento attacco ad opera di alcuni misteriosi assalitori.
Dopo un inizio intrigante, soprattutto grazie all’efficacia del comparto tecnico e alla “freschezza” delle prime (due) ore di gioco, la storia declina presto in un dramma posticcio che ingurgita e rigurgita in maniera nozionistica tutto l’abbecedario della mitologia norrena, mescolato a quanto non ci (mi) piace del Trono di Spade. Ponti di pietra sospesi su profondissimi orridi, fortezze scavate nella nuda roccia, temporanee alleanze, tradimenti a ogni piè sospinto, morti ammazzati e, naturalmente, la fine del mondoTM sono le portate principali di un banchetto che ha il gusto di un insipido déjà vu; il tutto mentre un misteriosa “oscurità” incombe sulle lande civilizzate e un enorme rettile solca la terra spezzando pianure gelate e infrangendo dorsali montuose.
Il leviatano qui presentato non è altro che una reinterpretazione del terribile Jörmungandr, il serpente del Ragnarök, che, per l’occasione, ha le fattezze non troppo inquietanti di Flotsam (o Jetsam) una delle due murene domestiche di Ursula (la Sirenetta, Disney).
Un cartone animato
The Banner Saga ha l’indiscusso pregio di presentarsi al giocatore con un comparto tecnico di altissimo profilo. Gli scenari sono adornati pannelli dipinti dove la scia colorata della carovana, sormontata da uno stendardo impossibilmente lungo, procede alla stregua di un frego animato, minuscola cosa al cospetto delle montagne frastagliate, degli implacabili deserti algidi e delle fitte foreste.
Gli elementi scenici, rigorosamente bidimensionali, vengono presentati su livelli sovrapposti che, traslati su schermo, creando un senso di profondità e movimento con una tecnica che ricorda il film d’animazione Bambi (1942). Ogni fondale è ulteriormente arricchito da una tavolozza prettamente invernale che riproduce alberi stilizzati punteggiati da bacche colorate, megalitiche pietre affollate di decorazioni simili al calendario dei Maya e colline trapuntate con boschi e arbusti che hanno la foggia di giganteschi e irreali soffioni.
Durante il combattimento tattico, gli esterni vengono sostituiti dalla “scacchiera” di gioco dove eccellono animazioni in stile Disney (l’artista di riferimento è chiaramente Don Bluth, celeberrimo in ambito videoludico per l’accoppiata Dragon’s Lair e Space Ace). I battitori di scudi percuotono l’egida con la mazza per innervosire gli avversari, i lancieri infilzano e spingono gli avversari sullo scacchiere di gioco, mentre gli arcieri sono pedine strategiche in grado di scoccare frecce mistiche che possono incendiare le caselle. Il risultato è un’orgia tattica visivamente e ludicamente impressionante.
Il lungo viaggio
L’esperienza di gioco in tBS è divisa in due momenti distinti.
Il nucleo principale di gioco vede la carovana (umana o Varl) spostarsi da un insediamento al successivo, assecondando il volgere degli eventi. L’incedere della comitiva è lento, il passo cadenzato, inframmezzato dai dialoghi tra i protagonisti, dove viene approfondita la trama mediante la selezione di battute da un elenco di topic, e dalla comparsa di pannelli testuali che descrivono le problematiche di rilievo concernenti l’amministrazione delle carovana.
In questa fase dell’avventura debbono essere prese decisioni chiave volte a mantenere in vita i propri uomini. Gli eventi comprendono, ma non solo, episodi di ubriachezza molesta, problematiche concernenti le riserve di cibo (ogni giorno di viaggio consuma preziose provviste) e, non ultimo, il reclutamento di utili alleati. Tuttavia le situazioni che il giocatore è chiamato a sbrogliare giungono presto a noia presentando una fastidiosa trivialità o ripetitività come l’abusato pellegrinaggio presso le pietre degli déi.
L’approfondimento della storia è talvolta affidato a corollari di scarso interesse che trovano la “massima espressione” in quello che, pur lussureggiante, non è altro che un gargantuesco Wall of Text: la mappa del mondo di gioco. Il settanta percento della storia antecedente i fatti narrati è, di fatto, contenuta nelle didascalie che scaturiscono cliccando sulle molteplici montagne e montagnole, rivi e fiumi, rocce e rocche, fiordi e ghiacciai, città e paeselli; esperienza che giunge a noia dopo i primi clic.
Rook* in A4 (*torre)
Periodicamente i pellegrini incontrano la loro nemesi, qui rappresentata dai temuti dredge: misteriosi guerrieri in armatura nera succedaneo degli elfi scuri della mitologia nordica o, per rimanere nell’ambito dei VG, dei prole oscura (Dragon Age). In questi frangenti il combattimento è l’unica opzione.
I personaggi principali della storia fungono da eroi e vere e proprie pedine di gioco, dacché il combattimento si svolge su un scacchiere che ricorda i titoli à la Heroes of Might and Magic.
La prima fase consente il piazzamento delle pedine su una limitata griglia di caselle. Gli schieramenti muovono quindi un pezzo in alternanza, questo per equilibrare battaglie che altrimenti potrebbero svolgersi in inferiorità numerica.
Durante il proprio turno è possibile muovere, attaccare, riposare (attività che consente il recupero di un punto di morale), passare la mano o eseguire l’attacco speciale dell’unità selezionata.
Le due statistiche primarie di ciascuna unità sono armatura e forza, che qui funge anche da salute di ogni singola unità. L’attacco può essere portato sulla forza o sull’armatura. In caso di attacco alla forza il valore della statistica dell’attaccante viene confrontato con l’armatura del difensore, la differenza si traduce nel danno recato al nemico. In caso di significativa discrepanza tra armatura del nemico e forza dell’attaccante il colpo può essere deflesso negando integralmente il danno. Intaccare o spezzare l’armatura è dunque il primo passo di quello che spesso si rivela un prolungato scontro tattico.
La profondità del combattimento è ulteriormente arricchita dalla statistica del morale che, qui, rappresenta il mana a disposizione di ciascun pezzo di gioco. Attingendo alla riserva di morale è possibile attivare i colpi speciali, spostarsi più in là sul terreno di gioco o potenziare i propri attacchi. La riserva di morale, tuttavia, non può essere usata integralmente, ma in base alla statistica fatica che determina il limite massimo di morale impiegabile ad ogni turno.
L’ultima statistica riguarda l’abilità intrinseca ad ogni unità di intaccare una porzione dell’armatura avversaria.
Saranno famosi
Risolvere con successo le sfide presentate dal gioco porta all’accumulo di fama e morale. La seconda statistica rappresenta uno status complessivo della carovana che si traduce in bonus / malus conferito alle truppe a inizio battaglia, mentre la fama è la currency di tBS utilizzabile sia per acquistare le indispensabili provviste che per aumentare il livello degli eroi e acquisire oggetti alle bancarelle dei mercati delle città (un oggetto può essere assegnato a ciascun eroe per aumentarne caratteristiche e bonus).
La fama è, ovviamente, risorsa limitata il che obbliga ad oculati investimenti. In teoria questo è un bene; il gioco decide tuttavia, e con frequenza, di sacrificare sull’altare della trama eroi ed eroine, magari proprio quell’eroe in cui avevamo maggiormente investito! Questa privazione, che può avvenire per dipartita o allontanamento, lascia in eredità un roster “mutilato” che rende le battaglie successive ingiustamente ostiche. Sono altresì perduti gli oggetti indossati dall’eroe rimosso, aumentando il danno procurato alle nostre risorse.
Tu non puoi salvare
Il primo grosso difetto di the Banner Saga si palesa allorché il giocatore decida di salvare la propria partita. Seguendo la filosofia tipica dei titoli emozionali, tBS non consente di archiviare i progressi a piacimento, quanto sopra al fine di valorizzare le scelte effettuate, pena ricominciare il capitolo o una parte di esso. Non fosse per i frequenti crash al desktop, probabilmente da imputarsi ad un s.o. obsoleto, il problema non sarebbe tale.
Va tuttavia sottolineato questo “vizio” tipico di molti giochi story driven che, dopo aver coinvolto il giocatore in una battaglia particolarmente ostica, si “dimenticano” di salvare i progressi dell’avventura poiché impegnati nell’ostentazione di roboanti cinematiche e sofisticate ponderazioni sulle sorti della battaglia.
Scacchi imperfetti
A fronte di una selezione di unità varl particolarmente valida, per forza, abilità e carisma, diminuiscono al raffronto i pregi delle pedine umane, generalmente più deboli e richiedenti un approccio al combattimento tattico che nondimeno tende a sconfinare nel puro e semplice “chore”.
Rook e Alette sono, a mio giudizio, particolarmente deboli. Alette, come ogni arciere, migliora la propria resa nelle fasi avanzate sulla scacchiera, posto che sopravviva, mentre Rook non ha qualità in grado di redimerlo: contrassegnare la preda si traduce in una scheggiatura minima dell’armatura dell’avversario che innesca un attacco simultaneo di tutte le unità adiacenti sul bersaglio; questa operazione richiede di mantenere un certo numero di pedine appresso al bersaglio marcato, lasciando Rook e i vulnerabili compagni aperti ai devastanti attacchi dei dredge che, in genere, hanno il doppio di armatura e forza.
La risorsa più utile delle truppe umane rimane il morale che consente di potenziare gli attacchi di base, peccato che per mantenere quest’atmosfera da “moriremo tutti al prossimo turno” la campagna dei fuggitivi risulti piagata da una sequela di sventure, che si rivela finanche ridicola, e che si traduce in un morale della carovana sempre infimo che né feste, né ritrovamenti di cibo possono risollevare, se non per il breve tempo di una giornata di gioco. Questo comporta, come già accennato, una penalità a inizio battaglia sul morale di ciascun pezzo.
Soprattutto, dopo aver imbastito uno scacchiere impressionante per iconografia e profondità, il titolo Stoic decide, inspiegabilmente, di contrapporre al giocatore umano uno sfidante il cui ventaglio tattico risulta limitato e prevedibile.
Le unità corazzate dei dredge si presentano in sole cinque varianti: il portatore di scudo (caratterizzato da un elevato fattore d’armatura), il guerriero evocatore (di notevole forza), il guerriero semplice, il mago (in grado di lanciare cristalli esplosivi sul terreno) e il lanciatore di bolas. Le battaglie che scaturiscono sono giocoforza ripetitive e tediose.
Decisioni, decisioni
L’impatto emotivo delle scelte presentate in tBS può rivelarsi significativo o lasciare imperturbati, tale elemento è puramente soggettivo; quel che è certo è che i bivi non vengono presentati al giocatore con un numero di elementi sufficiente per operare un’oculata valutazione della situazione.
Un esempio illustra meglio il quadro generale. Un dredge appare dietro l’angolo di una casa nei campi e incombe minaccioso su Alette; le opzioni sono: caricare con l’ascia, scoccare una freccia o lanciare un avviso verbale. Se, come ho fatto, avete attaccato con l’ascia vi verrà laconicamente comunicato che eravate troppo lontani e che Egil, un giovane soldato, si è immolato per salvare vostra figlia, per poi venir immediatamente vendicato da un terzo personaggio.
Ma qual era la distanza effettiva dall’assalto? Erano presenti personaggi terzi nei dintorni? Elementi di analisi indispensabili che il gioco fornisce solo in seguito ingenerando conseguenze arbitrarie che risultano davvero fastidiose.
Per paradosso, quando la situazione appare estremamente chiara - occorrerà ad un certo punto decidere se permanere in una città sotto assedio agitata da rivolte interne - sono altri personaggi a prendere la decisione in nostra vece. Non commento.
Sei solo chiacchiere e armatura
Quel che è peggio non ho sperimentato, come già accaduto in Dragon Age (inserite un numero a piacere), alcun attaccamento emotivo al contesto e ai personaggi di tBS che ho trovato sostanzialmente piatti, triti e, fondamentalmente, sciocchi. Il principe umano è stupido e infido. I Varl sono coraggiosi, ma superstiziosi e orgogliosi (al limite del razzismo). Una sottotrama d’amore è appena accennata per Rook e il legame affettivo con la figlia è presente solo per dispensare un’emozione finale degna della più trita delle soap opera. Ovviamente non finirà bene, ma non vi rivelo alcunché di eclatante: la conclusione è palese fin dalle prime fasi di gioco.
L’unico elemento della storia in grado di catturare l’attenzione è lo stendardo che, come un fil rouge, accompagna l’incedere della comitiva fra una sventura e l’altra. Sul vessillo viene periodicamente ricamata la storia del villaggio e del viaggio; questo compito viene affidato nelle prime fasi dell’avventura ad Alette in una scena particolarmente pregna di significati, peccato che il gioco non ritorni più sulla questione preferendo dispensare banalità e sciagure.
Concludendo, il gioco di Stoic è equiparabile ai suoi guerrieri dredge: forte di una corazzatura solidissima e luccicante ripete pedissequamente quanto introdotto nelle prime ore di gioco riciclando le costituenti di intreccio e combattimento. La forte matrice derivativa congiunta ai difetti sopra elencati, non consente al titolo di raggiungere la sufficienza.
Guarda la videorecensione di The Banner Saga sul Canale YouTube di OldGamesItalia
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E’ il momento di addentrarsi all’interno della selva oscura delle sala giochi, laddove i muscoli virtuali si misuravano con il numero di monetine a propria disposizione; e come non iniziare se non celebrando l’eroe di quelle generazione, il gioco che faceva volare con la fantasia del laser e delle mirabolanti tecnologie alle sue spalle?
Ecco a voi Dragon’s Lair! Con la compagnia del mitico Simone “Il Creatore di Mondi” Pizzi, Roberto “ma quanti soprannomi hai” Bertoni, Marco “Il Distruggitore” Gualdi, sotto la guida di Alex “Ritmo, ritmo, ritmo” Raccuglia e con la (non?!?) partecipazione di Giuseppe “Prof. Jones” Scaletta, Archeologia Videoludica vi porta alla scoperta dei primi laserdisc e delle meraviglie che accompagnavano la loro leggenda.
Scarica la puntata 3x03
Il sito di Archeologia Videoludica
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Quello di cui vi parliamo oggi può essere tranquillamente definito come LO spauracchio per più di una generazione di videogiocatori nati e cresciuti sotto la stella delle sala giochi: quante monete perse alla ricerca della sequenza corretta per uscire vincitori da un livello!
Per tutti gli amanti dell'amarcord e delle "notti magiche" ecco arrivare un ottimo sito che ci permette di rigiocare questo piccolo capolavoro in flash; provaci ancora Dirk!
Qui potete giocare Dragon's Lair su Flash
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