Dreamfall Chapters: Book I - Reborn

Nel 2001, Ragnar Tørnquist creava The Longest Journey, assieme alla casa di sviluppo norvegese FunCom. Era la storia di April Ryan, una studentessa d'arte un po' sfortunata, che doveva ripristinare l'Equilibrio dell'universo, diviso fra Tecnologia e Magia. Nel 2006 arrivò il seguito, Dreamfall, sempre sviluppato dalla FunCom. Questa volta, i protagonisti della storia erano tre: la stessa April Ryan di TLJ, cresciuta e ormai disillusa dalla vita, Kian, un soldato Azani proveniente da Arcadia (la metà magica dell'universo ideato da Tørnquist), e Zoe Castillo, piccola rompiballe universitaria, con tante tare mentali e poca voglia di crescere.
La storia di TLJ, pur essendo aperta a seguiti, poteva considerarsi chiusa. La storia di Dreamfall, invece, era chiaramente rimasta aperta: il destino di tutti i personaggi era ancora da decidere, per non parlare delle conseguenze che le loro azioni avevano avuto sui due mondi.

Oggi, a fine 2014, arriva finalmente il tanto atteso (dai fan di Tørnquist, quantomeno) finale della storia! O, almeno, ne arriva un pezzo: sviluppato grazie a un kickstarter, Dreamfall: Chapters è stato diviso a sua volta in “libri”. Ecco, quindi, che oggi recensiamo Dreamfall: Chapters – Book I.

Partiamo da alcuni doverosi disclaimer. Benché, all'inizio del gioco, ci venga fornito un riassuntino di ciò che è avvenuto in TLJ e Dreamfall, tale riassunto non è assolutamente bastevole per chi non ha mai giocato i primi due giochi. Immaginate di prendere Il Signore degli Anelli e di cominciare a leggere dal secondo libro, con un riassuntino del primo: si potrà capire qualcosa, ma tantissime sfumature, tanti personaggi, tanti dettagli, si perdono. Consiglio, quindi, a chi voglia giocare Chapters, di giocare prima TLJ e Dreamfall.
Secondo disclaimer: questa recensione, per forza di cose, farà qualche spoiler su TLJ e Dreamfall, perché gli eventi di Chapters sono direttamente collegati a quelli dei giochi precedenti – si tratta, di fatto, una sola storia. Chi non vuole nessuno spoiler, salti direttamente alla conclusione (ultimo paragrafo della recensione), oppure non legga.
Fine dei disclaimer, passiamo alla recensione vera e propria.

Dreamfall: Chapters Book I comincia esattamente lì dove avevamo lasciato i nostri protagonisti. Si apre con la bellissima scena del funerale di April, vediamo Kian imprigionato e in attesa di giudizio (sommario), e Zoe è ancora in coma. O meglio, il corpo di Zoe è ancora in coma: lei si trova nel Dreamtime (Tempo dei Sogni, circa), bloccata con il Cantastorie, e passa il tempo ad aiutare i poveri sventurati che finiscono lì a causa della Dream Machine (Macchina dei Sogni). Finché non decide di averne abbastanza di questa vacanza, e di tornare a casa.
Il problema è che, una volta sveglia, ricorda poco o nulla di quello che è successo prima e durante il coma. Gli eventi le vengono spiegati da altri personaggi, e chi ha giocato a Dreamfall noterà che questo o quel dettaglio sono *leggermente* diversi da come erano effettivamente accaduti, e altri eventi saranno più che sospetti.

Una delle cose che temevo moltissimo, quando ho preso in mano questo Chapters, era che tutti i personaggi parlassero come in The Secret World (il MMORPG di Tørnquist), ossia facendo infiniti pipponi retorici sul nulla. In Dreamfall succede solo un paio di volte – perdonabile. In compenso abbiamo alcune scene un filo poco credibili, come quella in cui Zoe e il suo psichiatra parlano appunto degli eventi precedenti al coma di Zoe. E' poco probabile che non ne abbiano già parlato prima (sono passati già 3 mesi dal risveglio di Zoe), è ovvio che adesso lo fanno solo per informare il giocatore/spettatore.
Anche questo di per sé non è grave, se non si ripete continuamente (e in Chapters non succede), ma dà un'idea di come è gestita tutta la storia di questo Book I, ossia in maniera un po' altalenante. Si passa da momenti molto ben realizzati, in cui capiamo la drammaticità della scena da piccoli gesti, o da parole non dette – o da determinate parole dette al posto di altre, – a momenti... meh. Gran parte di Book I, per esempio, è passata a gironzolare per la città a svolgere compiti di cui non potrebbe fregarci di meno, tipo prendere il pranzo al fidanzato, oppure andare a buttare alghe nel fiume – peraltro senza poter *fare* niente, visto che il gioco fa tutto da solo, ma di questo parliamo sotto. Ho capito che l'idea era quella di mostrarci l'attuale “vita normale” di Zoe, ma 15 minuti per buttare le alghe nel benedetto fiume, ma che palle!

Quando le cose son fatte bene, sono fatte davvero bene, come nelle scene con Zoe e Reza, il suo fidanzato (che qualcuno ricorderà da Dreamfall). Riusciamo a capire la relazione e i problemi fra i due anche senza spiegazioni – come dovrebbe essere, in pratica. Altre volte, invece, si scende negli abissi del melodramma. Il fondo di Book I lo si tocca con Madame Queenie, classico personaggio anziano, misterioso et super-saggio che parla come un'attrice anziana, saggia e misteriosa dei film: fa domande incredibilmente profonde – per chi non è abituato a pensare, quantomeno, e Zoe sappiamo già da Dreamfall che non lo è – dice le cose come stanno e, chissà come, riesce a far aprire gli altri.

Qua e là c'è qualche problemino che chiamare “buco logico” è esagerato, ma nondimeno resta un problema. Di solito entra nella categoria “perché i personaggi non pensano a questa bella soluzione?”, e di solito il motivo è che si voleva rafforzare l'effetto drammatico. Uno di questi problemi si trova proprio alla fine del pezzo dedicato a Kian, che, senza spoiler, possiamo riassumere in: “Perché i personaggi non adottano la soluzione X, bella tranquilla, invece della Y, dolorosa e strappalacrime?”. E, appunto, la risposta è: “perché altrimenti il dramma dove lo metti?”.
Chiariamo, nessuno dei problemi che ho elencato sopra, in realtà, è davvero azzoppante, specialmente perché appaiono qua e là, sporadicamente, in mezzo a pezzi molto belli; sono però tanti piccoli fastidi che costringono a “chiudere un occhio”, e alla lunga giocare con l'occhio chiuso dà fastidio.

Passiamo ai lati positivi, ossia ambientazione e personaggi.
Con l'ambientazione, sapevo già di andare sul sicuro, perché è la stessa di TLJ e Dreamfall. Europolis, la megalopoli in cui vive adesso Zoe e in cui è sempre buio, è abbastanza viva e ben realizzata. Nonostante, dopo averla girata per bene, si possa notare che è formata da corridoi, i ragazzi di Tørnquist si sono sbattuti per “dipingerla” come si deve. Vediamo personaggi che passano e spassano per le vie, drogati della Dream Machine buttati a terra, gente seduta sulle panchine... Possiamo origliare un paio di conversazioni, anche se l'effetto realismo si perde quando ascolteremo la stessa per la terza volta in un'ora. In ogni caso, siamo svariati passi avanti rispetto a quell'orrore della Casablanca di Dreamfall, che era uno scenario di cartapesta con dietro il nulla spinto. In Europolis potremo anche entrare in vari edifici, anche se sarà inutile ai fini di quello che dobbiamo fare.
Molto ben mostrato è il background politico e culturale della città. Zoe e il fidanzato sono attivi politicamente, e dai loro discorsi, e dai discorsi che fanno con altri personaggi, possiamo intuire i problemi di Europolis e gli interessi delle varie fazioni politiche – un po' meglio di come un turista potrebbe capire la politica italiana dai discorsi degli amici al bar, ma nondimeno l'espediente funziona. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte a una vera città, con veri problemi, insomma.
Arcadia, in Book I, si vede poco. Seguiremo Kian in prigione, ma in tale prigione ci saremo solo noi, una guardia, un altro tizio e qualche cadavere – benché ci sia una rivolta in corso. Ho anche trovato i modelli e le texture più brutte e povere, come se fossero state fatte con le rimanenze del budget.
Infine, ci sono alcune sorpresine per chi segue la storia dai tempi di TLJ: qualche personaggio qua e là, che riconoscerete sicuramente, e una nuova location, di cui non vi posso dire assolutamente nulla, ma che sarà familiare a tutti i fan.

Anche sui personaggi avevo pochi dubbi, perché è da TLJ che Tørnquist ha dimostrato di saperli realizzare. In Book I, il personaggio che seguiremo più spesso, come avrete intuito, è Zoe. Zoe è maturata abbastanza da Dreamfall (per la gioia di Largo), anche se *quanto* è maturata potrete sceglierlo voi attraverso i suoi dialoghi. Ad ogni modo, sta cercando di rimettersi in piedi dopo il coma, ha ripreso a studiare, ha rotto col padre per via di quanto avvenuto in Dreamfall e adesso vive a Europolis con il fidanzato Reza, col quale va più o meno d'accordo, e si occupa di politica a tempo perso. Arriviamo a conoscerla bene, visto che questo Book I è tutto incentrato su di lei, su quello in cui crede e sui suoi obiettivi nella vita.

Nonostante sia un personaggio che non m'ispiri simpatia, non posso dire che sia mal fatto: è una ragazza – ormai una donna – con la quale non è difficile identificarsi, che cerca di ricostruire la sua vita su quello che è rimasto del passato (non a caso il sottotitolo del Book I è “Reborn”, rinato). I suoi conflitti interiori sono molto ben resi: l'amore per Reza e allo stesso tempo il fastidio per il suo atteggiamento paternalistico; la voglia di dare un obiettivo vero alla sua vita e la convinzione latente che tale obiettivo non sia la politica – e il conseguente senso di colpa al pensiero che lei fa “per spasso” quello che i suoi compagni di partito fanno perché ci credono davvero. Tutti questi sono problemi in cui lei si dibatte giorno per giorno e che Tørnquist ci mostra senza, grazie a dio, pipponi retorici. Zoe risulta credibile e complessa, come complessa risulta la realtà che la circonda.

Anche molti personaggi secondari – Reza, il collega di Reza, e il compagno di partito di Zoe, per esempio – suonano credibili, ognuno con la sua propria “voce” (intento il modo di parlare, non il doppiatore), con i suoi interessi e le sue abitudini.

Molti mi sono rimasti impressi, ma quelli più inusuali sono probabilmente Mira e Wit, due costruttori di robot per i quali Zoe lavora occasionalmente. Mira è una svitata (se qualcuno ricorda Flipper, quello di TLJ, ha più o meno chiaro il livello di svalvolaggine di Mira), e Wit è un energumeno autistico. I due ci regalano scenette spassose, ma ancora più divertente è Shitbot (letteralmente: “bot di merda”), il robottino che dovremo testare per conto di Mira. Questa è una delle parti del gioco meglio riuscite, nonostante alcuni problemi anche qui, di cui parlerò meglio sotto.

E abbiamo più o meno terminato i lati positivi. Gran parte della forza di questo Book I è dovuta a ambientazione, personaggi ed eventuale amore dei fan, che hanno atteso anni questo benedetto finale.

I problemi cominciano col gameplay, che di norma non c'è, e quando c'è è fra il noioso e l'imbarazzante. Già in Dreamfall, Tørnquist aveva avuto la “bellissima idea” (ironia, vieni a me!) di eliminare il gameplay “perché voleva raccontare una storia” (citazione più o meno testuale da un sacco di interviste). E' inutile che sottolinei come sia un'idea balorda eliminare il gameplay nella speranza che aumenti il coinvolgimento del giocatore; fatto sta che in Dreamfall si passava da una cutscene all'altra, tranne quando toccava fare un orrendo combattimento legnosissimo, capace di tirare le peggio imprecazioni anche dalle suore.

In Chapters, Tørnquist si è superato! Mi ha quasi fatto rimpiangere la presenza di un QTE! La maggior parte del tempo è spesa (direi “sprecata”) a camminare per Europolis, come se si stesse facendo la staffetta. Vai fino alla sede del giornale di Reza. Ok, adesso vai fino al laboratorio. Oh, sei appena entrata, adesso esci dal laboratorio. Adesso vai fino al fiume. Oh, ora torna dentro il laboratorio. Esci di nuovo dal laboratorio.
Sì, con tutti i caricamenti che state immaginando.
Due. Palle.

Persino un momento spassoso, come quello in cui si testa Shitbot, è ammorbato dal fatto che non c'è *niente* da fare. Peggio ancora è il pezzo delle alghe, in cui bisogna stare fermi a guardare sto robot che setaccia il fiume, mentre lui e Zoe si dicono cose di cui non frega niente a nessuno.
Prima di scrivere la recensione ho spulciato qualche filmato sul tubo, per vedere se cambiando questa o quella scelta si sbloccavano scene nuove, e più di una volta ho beccato i giocatori a dire: “Che perdita di tempo. Ma che palle. Vabbè, questa parte è noiosa”.
Non aiuta che tutti questi spostamenti non mandino avanti la storia quasi per niente. A metà gioco – che dura un cinque ore, per la cronaca – ero lì che pensavo: “ok, tutto molto bello... ma la storia dove sta? Che cosa sto facendo, ma che me ne frega a me delle alghe, del Kaiser e dei problemi sentimentali di Zoe?!”.

Quando qualche pezzo di gameplay è introdotto, era meglio se non ci fosse stato. Si va da degli pseudo-enigmi a dello pseudo-stealth. Gli pseudo-enigmi sono più o meno insensati. Premessa: ci viene detto e mostrato più volte come Europolis sia sotto un regime di polizia da dittatura, ossia se ti arrestano e non ti pestano sei un miracolato. Detto questo, un enigma consiste nel rischiare di mandare in galera un povero vecchio, sempre perché Zoe deve buttare quelle stupidissime alghe in quello stupidissimo fiume. Non ho trovato alcun sistema alternativo (e meno mostruoso) per risolvere quell'enigma.

Un altro enigma è semplicemente banale e noioso (e richiede, indovinate un po', di andare avanti e indietro per altri 15 minuti), ma è magnifica la sua utilità. Dobbiamo riuscire a ottenere udienza presso la Queenie di cui parlavo sopra. La marmocchia di guardia non ci lascia passare. Superiamo questo enigma noioso. La marmocchia continua a non farci passare. Improvvisamente, Queenie stessa decide di darci udienza, così, tanto per (ma probabilmente perché lei è una saggia matusa e SA di avere davanti l'Eroina!). A che è servito quell'enigma palloso? Ma il bello deve ancora venire. Andiamo da Queenie e lei ci accoglie con: “Beh, siccome hai superato la mia marmocchia, ho deciso di darti udienza”. Come cosa? Ma se hai dovuto intercedere tu perché mi facesse passare! Mah, forse anche le vecchie sagge hanno problemi di memoria...

Degli pseudo-enigmi che non definirei decenti, ma che non sono neanche da cervello scartavetrato, si trovano nel prologo, prima che Zoe si svegli dal coma. Anche Kian ha un paio di questi enigmi.

Poco c'è da dire invece dello pseudo-stealth: non è difficile come può sembrare (qualcuno ricorderà l'orrendo stealth di Dreamfall), ma non aggiunge niente di che al gameplay.

Io ho capito che cosa voleva fare Tørnquist: una specie di film interattivo, stile Heavy Rain o TWD. Il problema, anche se si vuole imitare una roba del genere, è che mancano dei pezzi. Anche in TWD e in HR non si fa granché, e ci sono enigmi che sarebbe meglio levare, ma almeno lì c'è una regia decente, e le scene sono interessanti da guardare – quantomeno la prima volta che ci incappi. Se uno prende HR, leva quei quattro QTE e le scelte di dialogo, e attacca tutti i pezzi che si muovono da soli, è tranquillamente guardabile come film.

In Chapters, neanche questo. Nel 90% dei casi, in Chapters la regia è usata, direi, “all'ammuzzo”. Il bot deve setacciare il fiume? Noi siamo bloccati nella solita visuale in terza persona su Zoe, non possiamo neanche spostarla di molto, e ci tocca *aspettare*. Non c'è niente di bello da vedere, è solo noioso. Solo occasionalmente il gioco si impadronisce della regia, e anche in questo caso, a volte se ne esce con inquadrature che non paiono essere state pensate neanche due minuti. Se facessimo l'esperimento del film, ossia levassimo gli orrendi enigmi e attaccassimo il resto, verrebbe fuori una palla allucinante, con Zoe che cammina da A a B, fa un dialogo con qualcuno, poi cammina da B ad A.

Ora, scene belle ce ne sono – il già citato funerale di April, per esempio. Ma sono sparse qua e là, e nel mezzo c'è la noia. Quel che manca è qualcosa, qualsiasi cosa, che attacchi il giocatore allo schermo e lo tenga attaccato. Ambientazione e personaggi funzionano, ma da soli non bastano: ambientazioni e personaggi sono il contenuto, ma manca un veicolo decente per tale contenuto. Normalmente, il veicolo sarebbe il gameplay. Mancante quello, restano solo regia e “cinematograficità”. Mancanti anche questi... capite dove voglio arrivare?

Non voglio penalizzare Book I per il fatto di essere un pezzo della storia completa. Ma, secondo me, anche se la storia fosse già uscita tutta, i problemi non cambierebbero. Sì, io lo giocherei e apprezzerei comunque per la storia, e probabilmente come me tanti altri per cui questa è la parte preferita. Ma lo giocheremmo e apprezzeremmo nonostante questa noia imperante.

Unico puntino di luce in questo mare di problemi: i dialoghi, copiati pari pari da TWD e simili, ma senza l'affanno per trovare una risposta in poco tempo. Quando Zoe o Kian devono decidere cosa rispondere, il tempo rallenta e sulla testa del nostro personaggio volteggiano le varie scelte, di solito ridotte a una parola. Ho molto apprezzato che, passando il mouse su una scelta, il personaggio pensi esattamente quello che intende dire, in modo che non ci siano ambiguità (mi è capitato spessissimo in TWD o in Dragon Age 2, di scegliere una risposta che per me significava X, e per il personaggio significava Y).

Altrettanto copiato è l'orrendo “Tizio si ricorderà di questa cosa” che appare quando facciamo una scelta significativa. Capisco voler dare un feedback al giocatore, ma in teoria il feedback si dovrebbe avere in seguito, quando Tizio, ricordandosi di “questa cosa”, reagirà con noi in modo appropriato. In altri momenti, appare un “L'Equilibrio si è spostato”, quando la nostra scelta è talmente significativa da modificare tutto l'Equilibrio, appunto (anche se, in qualche caso, non mi è parso che avessimo scelta).

Passiamo all'aspetto tecnico. La grafica, come potete più o meno vedere dalle immagini (ho dovuto abbassare un po' i dettagli, sul mio pc), non è super-realistica e dettagliata come in altre produzioni, ma regala scene davvero molto belle. Si vede qua e là che il budget non era abbastanza: come già detto, la parte su Arcadia è nettamente più brutta rispetto a quella su Stark. Anche su Stark, c'è una bella differenza fra i modelli di Zoe e Reza, e quelli dei passanti o di altri personaggi minori. Non è la fine del mondo, direi che la grafica si difende comunque bene, tenuto conto che è un progetto indie e non ha dietro i miliardi.

La musica, stranamente, non mi è rimasta granché impressa. Dico “stranamente” perché quella di Dreamfall e di TLJ la ricordo ancora oggi, e parlo di quasi tutti i pezzi delle due OST. Ad ogni modo, i brani sono molto suggestivi, il sound ricorda da vicino quello dei due titoli precedenti, e riesce sempre a restituire il giusto feeling.

Il doppiaggio in inglese va dal buono al “mmm, ok, si può ascoltare”, anche se qualche accento mi è sembrato un po' falso. Alcuni personaggi hanno cambiato doppiatori, in particolare Zoe e Reza; in giro molti hanno storto il naso per la nuova voce di Zoe, che ha perso l'accento e è molto più roca.

In conclusione, com'è questo Book I? Se siete fan di Tørnquist, o semplicemente di The Longest Journey e Dreamfall, vi piacerà sicuramente per via di personaggi, ambientazione e (scampoli di) storia. Anche chi non va matto per l'universo creato da Tørnquist, ma predilige la storia al gameplay troverà probabilmente di che essere contento (tenendo conto che Book I è un pezzo di una storia, quindi è come leggere un terzo di un libro): Dreamfall Chapters: Book I ha dalla sua un bellissimo setting, molto ricco e approfondito, e dei personaggi umani e ben caratterizzati.
Se della storia in questione non ve ne frega niente, invece, potreste restare annoiati dal continuo andare avanti e indietro per la mappa, dagli enigmi ridicoli e da alcuni personaggi poco ispirati e cliché. Book I non ha un gameplay degno di nota, e potrebbe deludere anche gli amanti dei film interattivi perché non ha una regia e/o delle cutscenes in grado di rivaleggiare con altri titoli simili.

Il sogno di "Sogni": INDIEtro Tutta intervista il creatore Francesco Cucchiella

Rieccoci anche questa settimana con l' appuntamento di INDIEtro Tutta che stavolta si occuperà dell'indie gaming più "hardcore", quello che sviluppa da zero e cercando metodi alternativi per raggiungere i propri obiettivi: parliamo di "Sogni: l'inizio", una fiction interattiva (ben diversa da un'avventura in prima persona!) in cui impersoneremo un medium cieco, vagante nei propri sogni, alla ricerca di... qualcosa. Ma sappiamo cosa stiamo cercando?
Mentre voi spulciate il gioco sulla sua pagina "ufficiale" di Indiedb, noi ci portiamo avanti ed intervistiamo il suo creatore, Francesco Cucchiella, conosciuto anche come Fafri!

Gamanek: Eccoci qui. Intanto grazie per aver accettato di fare l'intervista per OGI. Mettiti comodo che la lista è lunga e siamo curiosi! Partiamo col dire chi sei, cosa fai nella vita per lavoro, per hobby, che studi hai fatto... facciamo un po' di biografia!

Francesco: Sono Francesco Cucchiella, ho 21 anni ed attualmente frequento una facoltà universitaria criticata da tutti... compreso me. Vi chiederete: perchè l'hai scelta? La risposta è: "Non so cosa mi diceva il cervello!"
Mi sono diplomato in un istituto tecnico commerciale ed è proprio nel periodo delle superiori che iniziai ad addentrarmi nello sviluppo dei videogiochi, con scarsi risultati oltretutto.
Inutile dirlo ma come ogni vero giovane italiano, sono disoccupato e nel tempo libero, oltre a coltivare la passione per i videogame, mi diletto a suonare il pianoforte e mi interesso di tutto ciò che riguarda la mente umana ed i suoi meccanismi.

Da quali esperienze videoludiche provieni? Ma soprattutto... giochi preferiti, qualche gioco che ti ha colpito in particolare?

Francesco: Ho dei vaghi ricordi di giochi su Amiga e NES, di cui ho ancora le cartucce, ma le mie prime vere esperienze videoludiche le ho avute su PS1 con grandi titoli come "Crash Bandicoot", "Spyro", "Medievil" o "Tombi!".
Con l'arrivo di un PC in casa ho poi iniziato a scoprire le avventure grafiche che mi hanno segnato particolarmente e a cui gioco ancora oggi!
Di sicuro la mia serie preferita del genere è "Monkey Island", tant'è che i primi giochi che creai furono proprio dei Fan Game dedicati al mitico Guybrush!
Esprimere però una preferenza in assoluto mi rimane piuttosto difficile visto che adoro tantissimi videogame: da Final Fantasy, Kingdom Hearts a Bioshock o GTA, certo è che i titoli che basano la loro esperienza di gioco sulla trama, sulla narrazione o sulle emozioni occupano un gradino più alto rispetto agli altri e sicuramente Heavy Rain è stato per me una "svolta" in questo ambito.

Va bene, finora è stata facile... adesso parliamo invece di Sogni: l'inizio, il tuo gioco. Vogliamo sapere da cosa è nato e cosa ti ha spinto a fare un gioco con protagonista un cieco medium!

Francesco: "Sogni" nasce in realtà da due concept differenti che vennero scartati e la cosa particolare è che il primo dei due differisce totalmente dal risultato finale. Infatti il primo concept riguardava un platform 2D che parlava di un'anima rimasta nel nostro mondo che doveva ricostruire ciò che era accaduto prima della sua morte. Questo progetto venne però accantonato poichè non sono riuscito a collaborare con nessun grafico in grado di sostenere un grosso carico di lavoro gratuitamente e, con il senno di poi, capisco il perchè. Il secondo concept invece si avvicinava molto di più a "Sogni" infatti decisi di creare una sorta di film interattivo in prima persona. Purtroppo mentre lo sviluppo andava avanti notai di aver creato un personaggio particolarmente fastidioso, addirittura io lo odiavo, ed inoltre la storia non mi convinceva molto così anche questo fu scartato. A quel punto avevo perso un po' di fiducia ma dopo circa un mese appuntai delle idee su un foglio e lentamente il tutto si traformò in un brainstorming e nacque cosi "Somnium: The Beginning" che cambierà successivamente nome in "Sogni: L'Inizio".

C'è poi una motivazione che mi ha spinto a scegliere come protagonista una persona non vedente ed è una motivazione tecnica. Infatti all'inizio del progetto mi chiesi: "Non essendo un modellatore nè tantomeno un texturizzatore, come faccio a far sembrare belli dei modelli senza texture
ed abbastanza grezzi?" La risposta era semplice: "Tutto deve essere nero". Cosa poteva spiegare una grafica totalmente basata sul buio? Naturalmente un protagonista non vedente. Ho così creato una storia molto particolare che ci spiegherà anche il motivo per il quale Steven (il protagonista) è cieco ma l'argomento non viene ancora affrontato nel gioco appena uscito, bisognerà quindi aspettare per conoscerlo.

Nei Crediti del gioco viene nominato anche Emiliano Massaroni, collaboratore nella grafica 2D... come è nata la collaborazione? Quali sono state le difficoltà nel progettare e sviluppare una visuale così particolare?

Francesco: Emiliano è in realtà un mio amico ed è stato il mio compagno di banco alle superiori per 3 anni. Lui è appassionato di grafica, in particolare tutto ciò che riguarda il mondo del Web Design e quindi si occupa di creare template per siti e la grafica generale di questi ultimi. Conoscendo questa sua passione ho deciso di chiedere a lui una mano per tutto ciò che riguarda il menù di gioco, le schermate di caricamento, loghi e così via. Lo ringrazierò sempre per avermi aiutato perchè è anche grazie a lui che "Sogni" è nato!

La principale difficoltà nel creare questo tipo di visuale è stata quella di trovare un sistema adatto ad un cel-shading di questo tipo.
Sono stato settimane e settimane su siti di ogni tipo per cercare tutorial, consigli e risorse adatte alla creazione di questa grafica in bianco e nero o, come qualcuno l'ha definita, in buio e luce. Alla fine mi sono affidato ad un sistema creato da un utente del forum di UDK che però rischia di occupare un po' di memoria visto che sfrutta due modelli identici per ogni mesh con diversi tipi di materiali. Un'altra piccola difficoltà che ho trovato è stata quella di evitare che il gioco fosse troppo "buio". Di certo volevo creare questa atmosfera cupa ed il buio deve dominare la scena ma naturalmente era necessario evitare il rischio di rendere i livelli troppo "spogli" ma spero di essere riuscito in questo.

 Ora una domanda più difficile ancora: Sogni è una fiction interattiva o un'avventura grafica? (domanda trabocchettoooh! NdGamanek)

Francesco: "Sogni" è sicuramente una fiction interattiva. Non ha nulla a che vedere con un'avventura grafica poichè mancano degli aspetti fondamentali per renderlo tale come per esempio gli enigmi. Il mio intento era semplicemente quello di narrare una storia in cui il giocatore è in grado di muoversi e di interagire. Se ci si lascia andare si ha la sensazione di far parte di quel mondo di gioco, dopotutto io stesso parlo di "vedere attraverso gli occhi del protagonista" e di "sentire le sue emozioni". Secondo me si avvicina molto di più ad un gioco di esplorazione che ad un'avventura grafica anche se i miei limiti tecnici non lo hanno reso di certo un gioco di successo.

E quando pensi di fare uscire le restanti parti? Dopotutto è Sogni - The Beginning! C'è qualche motivo particolare che ti ha spinto verso la scelta di farlo ad episodi?
Francesco: Sì, c'è solamente un motivo che mi ha portato a questa scelta: non mi volevo impelagare in enormi progetti che, inevitabilmente, sarebbero falliti.
Nel corso degli anni ho tentato di portare avanti concept che non avevano modo di crescere e svilupparsi e mi ero stancato di lasciare tutto a metà.
L'unico modo per riuscire finalmente a creare qualcosa di concreto, e soprattutto da solo, era quello di impegnarsi in un progetto più modesto.
Ero partito con la volontà di sviluppare una demo di pochi minuti e sono riuscito invece a creare un "prologo" di 50 minuti circa e questo mi ha sorpreso e mi ha reso felicissimo.

"Sogni: L'inizio", come dice anche il titolo, è solo la prima parte di una storia più complessa ma non voglio assolutamente creare una serie ad episodi.
Come ho già detto c'è un motivo preciso che mi ha spinto a lavorare solo su questa prima parte ma vorrei sviluppare un unico capitolo conclusivo che si intitolerà semplicemente "Sogni". Sarò sincero però... non so quando uscirà il completamento di questa storia perchè vorrei tanto evitare di lavorarci nuovamente da solo, anche perchè, per come ho immaginato la storia (che oltretutto devo completare con alcuni aspetti), sarà difficile riuscire a fare qualcosa che renda al meglio ciò che voglio raccontare. Vorrei migliorare l'esperienza di gioco aggiungendo maggiore interattivià e più azione ma per fare questo necessiterei di un aiuto in più. Di sicuro non voglio abbandonare questo progetto perciò, sia da solo che in gruppo, "Sogni avrà una fine.

Al di là di Sogni? Progetti, idee, speranze per il futuro?

Francesco: Al di là di "Sogni" ci sono i miei sogni. Ogni giorno molte idee mi frullano per la testa, tante le scarto immediatamente, altre invece dovrei iniziare ad appuntarle per portarle alla luce, prima o poi.Vorrei tanto poter entrare nell'industria videoludica come Game Designer e mi piacerebbe farlo in Ialia... sì lo so, sono pazzo, ma riuscirci sarebbe il massimo! Intanto mi piacerebbe iniziare a lavorare in un Team ad un qualsiasi progetto che mi attiri, anche per cominciare ad avere un po' di esperienza di lavoro in gruppo e poi si vedrà.So solo che il futuro è un grande foglio, in parte scritto ed in parte bianco, sta a noi lavorare sulle parti vuote per renderlo migliore.

Chiudiamo con la domanda che non volevi proprio, ma che noi non possiamo fare a meno di porti: un pensiero sulla scena indie attuale, sia italiana che estera?

Francesco: Partiamo dal presupposto che gli indie sono una risorsa importantissima in quanto i videogiochi di questo genere vengono creati per passione e non per soldi, provate a confrontare un ottimo indie con un gioco AAA a cadenza annuale e noterete la differenza. Detto questo, penso che la scena indie italiana sia leggermente più "povera" in confronto a quella estera. Frequentando varie community italiane vedo tante persone che "vogliono creare un gioco" ed iniziano a parlare di grandi progetti che non verranno quasi mai completati.Questo accade, secondo me, non per mancanza di voglia di fare bensì per un errata concezione dell'idea del "creare un videogioco". Sviluppare un videogame non significa giocare ma lavorare, bisogna immergersi totalmente nel processo di sviluppo, metterci passione, tempo e passeranno mesi e mesi prima di vedere un prodotto finito.
In tanti invece vorrebbero l'engine miracoloso in cui tu scrivi la storia e lui fa tutto il resto ma purtroppo, o per fortuna, non è così. Un altro piccolo problema invece proviene dai giocatori italiani: in molti vedono un gioco indie gratuito come una possibile ciofeca e preferiscono spendere soldi per giochi mainstream che tante volte si rivelano inferiori agli indie stessi.
Credo che bisognerebbe aprire un po' di più la nostra mente e dare l'opportunità a tutti di mostrare le proprie creazioni, sicuramente molti non si avvicineranno nemmeno a dei veri videogiochi ma altri invece potrebbero piacevolmente sorprenderci. E cosa c'è di meglio?

Ti ringraziamo molto ed aspettiamo impazienti il prossimo gioco!

Francesco: Grazie mille a tutto lo staff e agli utenti di Old Games Italia! Un saluto e a presto!

Bè, lascio a voi commenti più estensivi, ma certo il protagonista di oggi ha le idee chiare e sta cercando pure aiuto! Se volete proporvi, perché non farlo ora?

 Sognate anche sull'Ogi Forum

DVL 2x07 - Provaci ancora Dave

Titolo:
Provaci ancora Dave
Serie:
Dietrologia Videoludica
Durata:
2 h 38 min.
Pubblicato il:
15 febbraio 2014
Download: DVL 2X07

David Cage ci ha regalato una nuova gemma nel panorama videoludico, o forse no? La ciurma poco educata di DVL ha deciso di fare una disanima dell’intero lavoro del noto autore videoludico cercando di scoprire se veramente siamo di fronte ad un genio oppure ad un abile mistificatore.
 
I nostri saranno riusciti a cavare un ragno dal buco? Oppure ad un certo punto della trasmissione saranno arrivate delle intelligenze artificiali aliene a tormentare i conduttori con attività paranormali?  Per scoprirlo non dovete fare altro che seguire il link della puntata premendo contemporaneamente i tasti R1, L2, X scuotendo il pad in senso orario.
 
Di cosa si è discusso:
  • Rompiamo subito il ghiaccio: quale tra i videogiochi di Quantic Dream (Fahrenheit, Heavy Rain, Beyond: Due Anime) è il vostro preferito? Perché? E se nessuno tra le produzioni precedenti vi ha soddisfatto, quali sono le motivazioni?
  • Una trama povera spesso è alla base di grandi videogiochi. A patto che non si concentri tutta l’attenzione su questa, ma si crei un sistema ludico decente. Nei titoli di David Cage è possibile trovare alcune caratteristiche comuni di entrambi (l’alternarsi di scene di vita quotidiana e d’azione eseguite mediante controlli contestuali quasi-intuitivi, gameplay minimale che non evolve col progredire del gioco, la storia che deve proseguire lo stesso a prescindere dalla “bravura del giocatore”, personaggi oppure punti di vista multipli sugli eventi in corso e non ultimo una strana predilezione di Cage per il tema del soprannaturale e fantastico). Secondo voi quali aspetti contano davvero in un gioco “narrativo”?
  • E se foste nei panni di Cage quali aspetti cambiereste per un ipotetico prossimo titolo in uscita su PS4? Quali lascereste invece inalterati? E perchè?
  • Sulle orme di Cage, chi prima, chi dopo, altri “player” hanno battuto o continuano a percorrere questa strada (Shenmue 1 e 2, The Walking Dead, The Wolf Among Us, The Stanley Parable, Bioshock, Portal, Mass Effect, Gone Home, ecc…). Parliamone.

E voi cosa ne pensate? Ditecelo sull'Ogi Forum

Jurassic Park

Arrivato tra le mie mani anche se in modo del tutto digitale, Jurassic Park rappresenta per me una doppia sfida molto interessante: non solo come gioco, ma anche come prima recensione da scrivere in modo completo e soprattutto in tempi relativamente brevi. Quindi, non appena arrivatomi, non ho esitato ad installarlo sul mio Mac in modo da avviarlo in tutta la sua "forza bruta" (si capirà poi la profonda ironia di questa frase).

Non ero del tutto cosciente di quello che mi sarei dovuto aspettare da questo gioco non avendo seguito con grandissima partecipazione le discussioni che erano cresciute nel frattempo, sebbene confesso che una certa curiosità al riguardo mi avesse portato comunque alla visualizzazione di una demo video presentata ad una delle fiere del settore.

Ammetto che, candidamente e senza troppi problemi,  la prima impressione che ho avuto di Jurassic Park da non giocatore è stata quella di vedere una brutta copia di Heavy Rain, con personaggi costruiti in modo brutto, con un brutto motore di gioco e bruttezza generalizzata.

Ma questo non mi ha impedito di essere comunque curioso verso il titolo di TellTale per diversi motivi: in primo luogo non sono una persona soggetta al preconcetto, sebbene avessi espresso delle opinioni personali al riguardo dopo aver visto il video di cui sopra; inoltre mi ritengo uno dei pochi (forse) al mondo a non avere una posizione ostracistica e forcaiola verso quel genere di gioco nato con i lasergame ed espanso ai limiti di quello che potevano essere le potenzialità emotive e narrative con Indigo Prophecy e Heavy Rain.

Ok, vi annuncio subito che il termine di paragone, soprattutto nel mio giudizio finale, saranno proprio queste due opere di David Cage così che possiate già trarre le vostre prime conclusioni, ma sappiate che l'esclusione a priori delle potenzialità di questo titolo vi escludono dal ragionamento e dalla discussione e soprattutto dal tentativo di individuare una categorizzazione (se ne esiste una o se sia possibile farlo).

Bene, dopo questo preambolo necessario, è ora di far partire il "gioco" e quindi avviare il famoso eseguibile; partito il solito menu, adeguatamente personalizzato con un bel T-Rex che ogni tanto si affaccia strillandoci in faccia, è possibile trarre i primi elementi.

Vediamo subito che Jurassic Park è diviso in quattro episodi, abbiamo poi il setup dei linguaggi, dal quale è escluso l'italiano (anche dai sottotitoli) e questo è già un gran peccato per diverse ragioni, poi abbiamo ovviamente i settaggi video e audio. Nulla di trascendentale.

Quando avrete avviato la partita ci sarà anche l'opzione per caricare il gioco tramite un sistema di salvataggi automatici basato su check point, i quali non sono suddivisi in scene ma in sequenze, ossia superata una determinata sequenza della scena il sistema salva in automatico. Ci si accorge presto che esiste anche una sorta di sistemi di achievements che ci premiano con oro, argento o bronzo a seconda di come siamo andati nelle varie sezioni, sebbene l'esperienza di gioco, a mio avviso, cambia radicalmente se si usa un joypad o tastiera + mouse, soprattutto per il modo in cui questa ultima modalità è impostata risultando molto scomoda soprattutto se si è destri e non mancini.

Facendo partire il gioco si inizia con una sorta di incipit che non solo ci introduce più o meno in quello che dovremo aspettarci dalla storia ma anche dal "gioco" stesso e funzionerà sostanzialmente da semplice tutorial per dare modo al giocatore di prendere subito la mano con tutti i comandi che nella maggior parte delle situazioni si riducono a spingere una freccia direzionale e usare il mouse per tenere un pallino dentro un pallino ancora più grande.

Successivamente a questa scena di incipit, tra l'altro ben realizzata, ho già l'impressione che la versione mac non sia stata particolarmente ottimizzata: un iMac con 2 Giga di Ram e una scheda da 512kb inizia infatti a faticare senza che non vi sia una ragione precisa data la relativa qualità del motore di gioco. In ogni caso, esattamente come capita in Lost (il popolare serial tv) veniamo scaraventati dentro all'avventura in modo brusco, facendoci capire che di tempo per rilassarsi e mangiare popcorn in questo titolo ce ne sarà veramente poco.

Il resto? Il resto beh... è Jurassic Park, quello del parco di divertimenti costruito in un'isola piena di Dinosauri incazzati e affamati, con la solita caccia guardie e ladri in favore di una lattina di embrioni preistorici, con malcapitati che si trasformeranno in eroi, e con i brutti e cattivi contro i belli e buoni che alla fine è sempre una sorpresa capire chi vince.


 

SCENEGGIATURA

Anche quando si parla di un blockbuster, di un film di puro intrattenimento e di azione abbiamo visto recentemente che non sempre le cose sono così facili come sembrano. In realtà pare proprio che una volta lo fossero molto di più di quanto non lo sia oggi, anche quando si usano degli stereotipi tipici di genere come un intreccio basilare, situazioni innescanti, personaggi stereotipati all'ennesima potenza, il giusto mix tra dialogo e azione e il tempo di creare empatia verso i protagonisti e la loro crescita mischiati con il solito schema, buono, cattivo, redento e via dicendo.

Molti film di grande successo sono stati realizzati con schemi comprovati e spesso si sono ottenuti risultati veramente belli da vedere e da seguire. La cosa bella è che questo vale per il cinema, per la televisione e ovviamente, anche se con le dovute differenze, anche per i videogiochi.

Però è capitato altrettanto spesso che certi meccanismi stereotipati non solo non abbiano funzionato ma siano stati frutto di grande critica perché magari, oltre allo schema consolidato, ci vuole anche un po' di capacità narrativa e soprattutto grande professionalità. Capolavori come Indiana Jones ad esempio hanno segnato un'epoca senza fallire un colpo (escluso l'ultimo inesistente capitolo).

Paradossalmente, dopo aver affrontato questo Jurassic Park non solo posso affermare che è in grado di far arrossire grandi opere televisive come il deludente The Falling Skies o la prima stagione di The Walking Dead, vittime di una ricerca post lostiana che sta generando mostri, ma anche grandi film come i due Transformers o i capolavori di JJ Abrams quali Star Trek e Super8. Finalmente, almeno nei videogiochi, sono tornate persone veramente capaci di scrivere una storia, che pur usando una semplificazione di base, presupposti, come detto, basici e stereotipati e personaggi magari già visti, sono stati in grado di tenere su una storia che fila, dall'inizio alla fine, con il giusto ritmo e soprattutto con la giusta dose di equilibrio tra azione, pause, dialoghi e ancora azione.

Nulla appare mai troppo da questo punto di vista, tutto è molto ben saldato e anche le parti di "gioco" alla fine sono composte in maniera tale che il ritmo, punto focale di una storia come questa, non cali mai, non ci sia una caduta di "tempo" anche quando ogni cosa appare tranquilla. Questo gioco, sia come storia che come impostazione, è stato scritto per non perdere mai l'attenzione e il tutto resta sempre attivo, vigile, presente.

Ovviamente, come detto sopra, non parliamo di un film di Kubrick ma di un'opera di intrattenimento che è riuscita dove tanti hanno fallito da questo punto di vista, siano essi giochi, serial televisivi o film. Questo perché anche quando si scrive una storia apparentemente semplice, non particolarmente evoluta da un punto di vista simbolico, la coerenza e l'integrità della struttura sono assolutamente fondamentali sebbene mi sembra che in molti lo abbiano dimenticato.

La suddivisione della narrazione è in quattro atti come detto in apertura, un po' come una sceneggiatura di un film vero e proprio sebbene, non solo per l'atto in più di una canonica scrittura cinematografica (nonostante li si parli proprio di suddivisione sulla base dello svolgimento), credo si possa parlare tranquillamente di un tipo di scrittura adatto ad un miniserial televisivo a quattro episodi. Pare una differenziazione inutile ma in realtà non lo è visto il modo in cui ogni atto si svolgono gli avvenimenti che hanno un loro intro, una dipanazione e soprattutto un finale ovviamente con sorpresa o colpo di scena.

Di solito vengono introdotti nuovi personaggi che impariamo a conoscere e iniziamo a vedere come si muovono e soprattutto il perché delle loro azioni. La traccia principale della storia diventa una sorta di copertina gigantesca che ricopre ogni atto il quale però ha una sua sottotrama precisa esattamente come avviene in un qualunque serial televisivo dove le puntate non sono autoconclusive ma consecutive e legate tra loro. In questo la lavorazione di scrittura è molto buona e mi ha soddisfatto. Ma questo probabilmente viene dalla grande esperienza di TellTale di scrivere giochi episodici dove hanno sicuramente raffinato questa arte che non è da sottovalutare.

L'opera di scrittura complessiva quindi, pur non trovandoci davanti ad un capolavoro ma ad un'opera tutto sommato anche profondamente stereotipata, è calzante, aderente e strutturata senza grandi buchi o beghe di sorta.


 

REGIA CINEMATOGRAFICA

Intanto iniziamo con il premettere che da questo punto di vista di cose da dire ce ne sono svariate. In primis, non per fare il pignolo, più che di aspetti cinematografici si può parlare di linguaggio televisivo, ossia di aspetto visivo da serial tv piuttosto che di una vera e propria impronta cinematografica. Questo non è un difetto, sia chiaro, è solo una specifica perchè purtroppo, e lo dico in generale, la massiva presenza in televisione e il grande successo dei serial tv stanno fortemente condizionando la nostra percezione dei due diversi linguaggi e una contaminazione a livello di grammatica nelle nuove produzioni cinematografiche.

In ogni caso, parliamo dell'aspetto di questo gioco da un punto di vista prettamente registico, registrando in prima battuta che, come possiamo notare dai titoli di testa di ogni atto, esistono differenti direzioni del "gioco" e che forse siamo davanti ad uno dei rarissimi casi nel mondo videoludico dove non esistono particolari sbavature. Il gioco è ricchissimo di inquadrature differenti, mai noiose e ripetitive e tutte piuttosto ben congeniate in chiave estetica. E' difficile che le inquadrature siano semplicemente fini a se stesse, sia nelle scene action che nelle parti più di ampio respiro: un buon mix tra primi piani, dettagli e campi lunghi permettono alla narrazione di scorrere facendo in modo che ci si renda sempre conto di dove si è, in che condizioni e in quale situazione specifica.

Ripeto, raramente ho trovato un aspetto così curato da questo punto di vista, il che non è solo un vezzo, ma tante inquadrature, coerenti e ben miscelate, concorrono a dare un senso di ritmo al gioco. La macchina da presa non indugia mai troppo su un'inquadratura, i campi lunghi sono sempre azzeccati e nei momenti appropriati e i movimenti di camera, non sempre relegati alle fasi action, fanno il loro dovere con un dinamismo e un uso saggio e perfetto, senza scatti, con un movimento più reale che in altre produzioni. Comprese altre opere TellTale, dove il senso di macchina da presa appiccicata al personaggio è più visibile.

Mi sento pertanto molto soddisfatto da questo punto di vista perché l'opera in se almeno in questo non ha fallito: saper scegliere punti di ripresa e avere multipli angoli di visualizzazione di una scena non è un gioco, non si fa a caso, come invece spesso accade con Heavy Rain, opera condizionata fortemente dalla televisione, ma in un modo molto meno preciso e con tantissime imperfezioni di carattere estetico.

Una nota veramente positiva, anche se spesso si tratta di un qualcosa del quale si pone poca attenzione, anche da parte degli sviluppatori, sono i raccordi precisi e mai fuori fase. Per raccordo intendo tutte quelle inquadrature che legano una sequenza a quella successiva, ossia quando una persona si abbassa per prendere un oggetto e l'inquadratura cambia in favore del movimento per poi raccordarsi appunto a quella successiva. Questo aspetto non è da sottovalutare perché anche titoli ben più blasonati di Jurassic Park hanno fallito a causa del fatto che si prevedevano le cose in modo del tutto approssimativo e si vedeva magari un raccordo dove un dato personaggio si muoveva per poi trovarsi con situazioni leggermente differenti o addirittura le animazioni di raccordo non erano precise perché prevedevano un raccordo standard per ogni contesto.

In questo caso, sebbene le situazioni siano limitate, abbiamo dei raccordi sempre soddisfacenti, soprattutto quando, in alcune specifiche sezioni di gioco, il personaggio camminava ad esempio verso una data posizione e nel cambio di inquadratura, prevista alla perfezione e quindi adeguatamente congegnata, sia la posizione che la relativa differente inquadratura erano perfettamente coerenti. Sono piccoli dettagli che però, ripeto, spesso capita di vedere "fallati" anche in serial televisivi come Dottor House o Lost, dove i campi, i controcampi e i raccordi non sono precisamente adeguati. 


 

LA FOTOGRAFIA:

Per fotografia andiamo ad intendere tutta la parte strettamente estetica, visiva e pertanto tutto quello che il motore di gioco è in grado di offrirci. Purtroppo qui le note dolenti sono diverse visto che parliamo di un motore grafico che non è assolutamente all'altezza di far muovere e di rappresentare adeguatamente scene che avrebbero meritato ben altro trattamento estetico e un maggiore fotorealismo.

Intanto i personaggi, per quanto ben caratterizzati, sono assai lontani da un minimo di realismo e questo stona portandoci alla vista immagini di un'altra generazione tecnologica. Le animazioni sono ottime e nell'insieme anche le corporature non sono da buttare, ma tutti quegli aspetti tipo pelle, riflessi o quant'altro sono del tutto statici. I visi ad esempio non sono adeguati e si vede che sono lavorati per funzionare in un meccanismo di insieme che non è in grado di reggereil tutto se non con quell'aspetto tra il cartonesco e il non che alla fine perde di personalità e di stile non riuscendo a dare un'impronta visiva all'opera.

Le illuminazioni sono basiche, adeguate e precise per certi versi, ma di poco di impatto. E' un po' come vedere un lavoro dal quale riesci a scorgere solo il minimo indispensabile, ossia quello che proprio non potrebbe mancare. Gli ambienti sono illuminati adeguatamente ma non esiste nessun tipo di reazione realistica tra luce, ambiente, personaggi. I personaggi sono sempre illuminati come l'ambiente richiede ma con un tocco fotografico abbastanza primitivo fatto di luce ambiente (anche simulata come accade al cinema per la luce blu del buio) e luce di riflesso che si usa per illuminare sempre i volti (tipo pannello o controriflettori di potenza inferiore) che però non restituisce lo stesso gusto realistico e cinetelevisivo che invece rende la televisione.

L'illuminazione globale comunque non è eccellente, non da nessun tocco di realismo alle scene e se la volontà fosse veramente stata quella di dare al tutto (per ovvie ragioni) un tocco comics, beh… non mi sento di dire che anche in questo caso ci sia un risultato valido. Solo considerando la portata produttiva di questo gioco possiamo dire che alla fine il tutto galleggia tranquillamente sul sufficiente però se consideriamo che forse un piccolo sforzo per amplificare le potenzialità del loro motore poteva essere fatto, se facciamo inevitabili confronti con titoli di questa generazione che non abbiano come protagonista delle caricature cartoonesche, allora posso proprio dire che non ci siamo.

L'impianto d'insieme, ossia modelli, texture e quant'altro, non può essere valutato senza questa considerazione che di per se alla fine rende anche inutile aggiungere altro. Una nota veramente sgradevole infine la diamo all'acqua che è veramente mal trattata soprattutto se consideriamo che il gioco è ambientato in un'isola e che sia all'inizio che alla fine fa mostra di se in diverse occasioni: nel finale gli occhi hanno protestato non poco. Anche se l'insieme dell'impianto alla fine potrebbe forse farci chiudere uno di questi due occhi protestanti.

Ci metto in questo capitolo anche il modo in cui i personaggi vengono fatti recitare che, fino a che si limitano a espressioni semplici e mai troppo marcate più o meno può andare, ma quando invece ci troviamo di fronte ad espressioni come rabbia o paura particolarmente accentuate, allora torniamo al pupazzettismo più becero e qualche volta fastidioso. Mi è capitato di vedere un personaggio che facendo  un'espressione che avrebbe potuto essere anche buffa, alzando le sopracciglia, mi ricordava di rivedere Guybrush Treeepwood, il che, onestamente, non è affatto un bene.

Il suono è buono. Gli effetti sonori sono quelli del film, i rumori ambientali sono ben realizzati e sempre adeguati, non ho notato desincronismi particolari se non alcune sbavature di effettistica sulle voci nei cambi di inquadratura, come se il computer non fosse in grado di stare al passo con il cambio e faticasse ad arrabattare il posizionamento spaziale della voce del personaggio. Una cosa un po' strana che ho notato infine è la gestione dei volumi. Sebbene da settaggio abbiamo la possibilità di gestire tutto a nostro piacimento, trovo curioso il fatto che i volumi delle musiche di sottofondo spesso siano superiori di default alla voce e questo qualche volta mi ha dato fastidio perché io penso che sì, uno deve impostarsi le cose a suo gradimento, ma un prodotto deve arrivare tra le mie mani con un'impostazione di fabbrica già ben definite.

Le musiche specifiche sono sempre calzanti tranne in rari casi dove il tema non mi sembrava seguisse la situazione o, ancora, sarebbe stato meglio non sentirlo affatto. Ma dal punto di vista audio, doppiaggio compreso, non credo ci sia altro da dire.


 

IL GIOCO

Finalmente ci siamo arrivati. Generalmente in una recensione non si affrontano capitoli così dettagliati su aspetti extra gioco, ossia su tutto l'aspetto fondante del gioco che non sia il gameplay, ma in questo caso ho creduto indispensabile porre l'attenzione sul grande lavoro fatto dagli sviluppatori in merito a questi aspetti che su questa specifica tipologia di gioco sono discretamente prioritari. La mia scelta di parlare del gioco in se, quindi del gameplay puro, solo a questo punto dell'articolo è voluta dato che di fondo di questo aspetto di Jurassic Park ci sta veramente poco da dire in senso strettamente tecnico. Ma tant'è che ne parliamo anche perché comunque, qualche cosa di interessante l'ho trovata.

La maggior parte dell'impianto di gioco, molto più che in Heavy Rain, è basata sul Quick Time Event: passeremo molto del nostro tempo a premere tasti, cliccare, essere veloci o memorizzare le sequenze più impegnative. La presenza dei segnali di questi QTE è adeguata, sono infatti ben visibili e disturbano poco, come anche il buon David Cage a suo tempo apprese visto lo scempio fatto con Indigo Prophecy e il Simon gigantesco che deturpava completamente la scena.

Da questo punto di vista non si trovano grosse differenze tra JP ed HR, anzi, se non per l'eliminazione delle icone tremolanti a seconda delle condizioni emotive del soggetto protagonista nella specifica scena, ma li esisteva una ragione ben precisa e ne parleremo a commento finale.

Quindi con i QTE aiuteremo la scena ad andare avanti e rispetto ad HR questi perdonano ma non troppo: ad esempio un errore può portare ad una situazione critica e il gioco ti fa capire, anche tramite icona in alto a destra, che il prossimo errore sarà fatale. Sbagliare è facile perché spesso ci si può trovare davanti a scelte multiple e molto molto rapide da effettuare e se si è proprio lenti, dopo due o tre volte che si muore il gioco tende a facilitare l'operazione, anche nei casi in cui non se ne sentisse effettivamente il bisogno.

Quì potremmo già lamentarci, dato che almeno quel poco di sfida che rimane da una sequenza di QTE sarebbe stato il caso di lasciarlam, anche a costo di ripetere molte volte la stessa sequenza. Il grande vantaggio delle ripetzioni sta infatti nel fatto che, come detto in precedenza, i salvataggi sono a sequenza e non a scena, quindi è veramente raro che nella ripetizione ci si debba sorbire parti viste e riviste troppo lunghe.

Le situazioni invece più in bilico, dove bisogna mantenere un certo equilibrio o un self control particolare vengono gestite da un cerchio verde scuro che appare in basso a destra, tipo radar, che contiene un cerchio più piccolo che avrà la funzione di bersaglio e un pallino verde chiaro che dovremo controllare per fare in modo che sia quanto più aderente o all'interno del mirino stesso. Quando il mirino sarà riempito adeguatamente, entro un lasso di tempo predeterminato, avremo superato la prova di equilibrio o self control che sia.

Vi premetto che, pur avendo giocato a JP esclusavamente su tastiera e non avendo avuto controprove con il joypad, risulta abbastanza evidente che avere un solo controller anziché due (mouse o tastiera) è molto più naturale ed intuitivo e soprattutto molto più facile da padroneggiare. Con la tastiera in pratica si utilizzano le frecce direzionali per gestire i QTE ma quando, all'improvviso appare il cerchio verde tipo radar per mantenere l'equilibrio o non fare rumore come detto prima, si deve levare la mano destra dalla tastiera e, restando incollati con gli occhi allo schermo, trovare e muovere il mouse. Ora, detta coì sembra facile ma in realtà durante le sequenze si tende ad avere la mano sempre sul tastierino direzionale della keyboard proprio per evitare di essere colti di sorpresa. Dover lasciare la "postazione" per doverne usare un'altra ed essere rapidi a tornare allo stesso posto sicuramente non è un'impresa titanica ma è poco naturale e fastidioso. Questo per dire che se potete giocatelo con il joypad.

Ma JP non è tutto QTE: in realtà esistono seziondi di dialogo, eccellenti dal mio punto di vista proprio per la loro dinamicità cinematografica e per il loro essere molto aderenti ad un testo da pellicola, in quanto mai prolissi, mai ripetitivi e sempre capaci di spezzare il ritmo in modo sensato, tale da non far cadere il titolo in una deriva logorroica inutile e inappropriata. I dialoghi si selezionano da quattro o più opzioni stringate che vengono poste nella parte bassa dello schermo e spesso sono anche importanti, non solo per dipanare la storia dato che in ogni film ci sono i momenti in cui si svelano le cose, ma anche per supportare l'intero gruppo di avventurieri o farsi aiutare a risolvere una questione.

Ci sono anche quelli che io chiamo senza pudore enigmi ambientali. In queste fasi di gioco, a differenza di HR, non è il personaggio ad essere protagonista, ma è la scena. La camera è "liberamente" direzionabile dal giocatore a destra, sinistra, alto e basso e via dicendo e ci sono degli hotspot precisi e specifici che individuati vanno interagiti per capire cosa bisogna fare.

Spesso sono descrittivi, ci fanno comprendere più o meno cosa va fatto, ma in altre occasioni vanno risolti tramite l'uso di altre location, sempre nella scena ovviamente, o parlando con altri personaggi restando nel punto stesso. Encomiabile il modo in cui queste sezioni, per la verità non particolarmente difficoltose dato che dai e dai alla fine anche se non ne capisci il senso, si è sempre in grado di completarle, mantengano comunuque intatta l'atmosfera e il ritmo. Il fatto che siano sempre visivamente curate e che ogni azione o osservazione è sempre accompagnata da relativa inquadratura o movimento di macchina, ci permette di tenere sempre un ritmo visivo presente e mai scadente. Questa probabilmente è una delle parti, in senso di sperimentazione, più interessanti dl tutto il gioco.


 

IN CONLCUSIONE

Posso comprendere perfettamente quanto un gioco come Jurassic Park abbia potuto contrariare gli hardcore gamer dell'avventura grafica, anche perchè come è abbastanza palese un'avventura grafica non è. Posso comprendere anche come i fan, gli appartenenti della nicchia Adventure Game Indie sentano tradito il loro credo, la loro fede immutata e intramontabile, però la mia opinione è che nella vita, vuoi o non vuoi, dolorosamente o meno, si debba andare avanti.

TellTale ha deciso di provare una nuova strada, annusando e sperimentando nuovi percorsi, provando a vedere se la loro interpretazione del lavoro di Cage potesse portare dei benefici ad un nuovo genere che spero vivamente si sviluppi, ossia quello della pura narrazione interattiva, dove tra mille giochi ammazza spazza, altrettanti punta e clicca, di tanto in tanto qualcuno voglia farci vivere un'avventura piena di ritmo e tensione o raccontarci una storia piena di emotività senza dover essere dei supercambioni del joypad o dei fantacervelloni.

Credo che a suo tempo, anche agli albori della LucasFilm Games quello che era la vera aspirazione, visto anche le risorse alle quali potevano attingere, era quella di raccontare delle storie. Secondo me l'avventura grafica è stata un tramite naturale per farlo e lo ha fatto bene per oltre quindici anni. Però è giusto che almeno gli indipendenti siano in grado di esplorare nuove vie, nuove risorse, un nuovo modo di raccontare, di allargare anche il loro campo d'azione in termini di pubblico senza dover stare per forza ed obbligatoriamente sotto ricatto rispetto ad un pubblico di fan che si, è fondamentale, ma spesso tende per natura ad un conservatorismo che non porta giovamento a nessuno.

Una software house fa quello che deve fare ed essendo un'impresa nel mercato deve ragionare anche in termini di profitto, di allargamento delle vendite, pur avendo sempre presente il suo carattere indipendente rispetto alle major che ti costeringono a fare sempre gli stessi giochi. Ma in realtà, essere indipendenti e stare sotto scacco del proprio pubblico inferocito che pretende da te sempre gli stessi giochi, è più o meno come essere sotto una major che te lo impone per contratto.

Jurassic Park è un bel gioco perché mi ha tenuto incollato un giorno e mezzo davanti al Mac, perché ero curioso di capire come si dipanavano alcune situazioni, vedere cosa succedeva dopo, come si sarebbe sviluppata tutta la storia e cosa succedeva a quel tale personaggio piuttosto che ad un'altro. Questo è indice di interesse, di attrattiva, del fatto che anche un non super specializzato del genere AG ora può giocare e divertirsi in un nuovo modo, in una nuova forma di interazione narrativa che, badate bene, non può diventare uno standard, ma non è nemmeno così sconvolgente se ogni tanto ci viene proposta.

D'altra parte, questi giochi nascono da un'esigenza fondamentale e che oramai nessuno può più escludere o non considerare: nelle avventure grafiche tradizionali manca il dinamismo, manca il movimento, la percezione del tempo e l'aspetto cinematografico che oramai è un punto fermo dell'intrattenimento. Quindi se Jurassic Park aggiunge qualcosa rispetto ad Heavy Rain, e l'inserimento degli enigmi ambientali dove la scena è protagonista secondo me lo ha fatto, ben venga e spero si continui vivamente su questa strada, magari, anche grazie alle critiche o ai suggerimenti ma soprattutto grazie alle intuizioni degli autori. Si può proseguire sulla strada dettata con ulteriore sperimentazione, rendere la vita più difficile agli utenti e fare in modo che questo tipo di giochi sia di maggiore appeal per la maggior parte della gente, anche magari differenziando un livello di difficoltà per chi giustamente cerca una sfida maggiore.

Una critica a priori, soprattutto se feroce, solo perché si pretende che tale casa di produzione ci regali il "clicca qui" o "metti lì" mi sembra quantomeno un desiderio di conservazione ed un modo un po troppo intellettualoide di vedere le cose.

Buon Velociraptor a tutti.

Jurassic Park: un nuovo trailer

E' appena uscito il secondo episodio di Back to the Future, ed i TellTale sono già qui a deliziarci con un nuovo trailer di Jurassic Park.

Anche questa sarà una serie ad episodi e l'intera stagione è già prenotabile sul sito ufficiale ad un prezzo scontato, con partenza da Aprile 2011.
Sembra che il gioco (un action-adventure) farà ampio uso di "quick time events", in pieno stile Heavy Rain. Ed è già ipotizzabile che la scelta spaccherà in due la community degli avventurieri... Voi da che parte state?

 

Il trailer di Jurassic Park:

Discussione sul forum di OldGamesItalia dedicata a Jurassic Park
Sito ufficiale TellTale